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Autore: NyxTNeko    24/03/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 9 - L'attesa è la madre di tutte le frustrazioni -

5 marzo 1782

Napoleone stava chino sul tavolo che aveva nella sua camera, erano le tre di notte, si era svegliato da poco, come di consueto. Il silenzio, quasi assordante, veniva interrotto dalle pagine del quaderno degli appunti che sfogliava, erano le lezioni di quella giornata,  delle materie più tecniche dell'ambito militare, ossia armamenti e fortificazioni.

Due materie distinte, che lui studiava insieme, poiché erano strettamente collegate: nella prima si esaminavano le tipologie di armi, la loro storia, l'evoluzione, soprattutto le armi da fuoco come baionette, pistole di vario calibro e cannoni; la moderna e nuovissima artiglieria, infatti, stava assumendo sempre più importanza nelle battaglie e scontri campali. Nella seconda si esaminavano le varie tecnologie per poter proteggere città, monumenti, castelli e case dagli attacchi delle sempre più potenti e precise armi da fuoco.

Tuttavia, la sua mente, ritornò alla discussione che aveva avuto la mattina prima con Louis Antoine, durante l'ora di ballo. Anche se incredibilmente dotato e per nulla goffo, il ragazzino corso concepiva la danza come qualcosa di inadeguato alla disciplina militare.

- Se una donna ti invita ad un ballo non puoi dirle di no! - insistette Louis Antoine che compì due passi di danza e si inchinò di fronte a lui.

- Non mi piacciono le feste mondane...un uomo d’armi non dovrebbe perdere tempo per certe cose! - esclamò a braccia conserte, stufo già di quell'ambiente, ai suoi occhi, troppo cortigiano e frivolo. Pensò subito a suo padre, a suo agio in mezzo a dame e signori rispettabili, ma lui non aveva quel carattere amichevole e confidenziale.

- Va bene, va bene! - rise Louis Antoine - Io però penso che non sia poi così male…in fondo anche i soldati sono uomini e quindi trovo che sia giusto svagarsi un po', soprattutto dopo aver visto tanto orrore...

- Ti ho detto più di una volta che non mi interessano le tue considerazioni! - lo interruppe il corso, guardandolo fisso, con aria tesa - E poi tu non sai proprio cosa significa la parola orrore, sei un francese! - aggiunse cercando di non perdere del tutto la calma, per cui uscì dalla sala di ballo per dirigersi nella sua stanza a studiare.

Louis Antoine volle fermarlo e farlo ragionare, però, sapeva, oramai, che l'unico modo per fare sbollire quel carattere difficile era di lasciarlo andare per conto suo. Quelle poche volte con cui si confidava bastavano per il momento, doveva pazientare ancora un po' per avere la sua completa fiducia.

"Nonostante gli abbia parlato in quel modo, poco dopo, è venuto a parlare con me, come se nulla fosse accaduto" disse Napoleone tornando nel presente "Insiste nel considerarmi e chiamarmi suo amico, quando sa benissimo che per me l'amicizia è solo una bugia colossale, so che non mi farebbe nulla di male, ma non mi fido, non ci riesco, mi sentirei un traditore, e poi se fosse un modo per umiliarmi? No, non devo cedere..." si diede qualche pugno sulla testa, come a voler eliminare quei pensieri che affollavano la sua mente e concentrarsi sui fogli che aveva davanti.

La fievole candela creava una strana ombra sul viso scavato del ragazzo, mettendo in luce il suo tormento interiore, che stava tentando di eliminare dedicandosi alla lettura incessante di ciò che gli capitava o di concentrarsi nell'apprendimento di nuove discipline, alcune volte ci riusciva, altre, come in quel giorno, invece riemergeva di notte, quando il buio avrebbe dovuto inghiottire ogni cosa, perfino le preoccupazioni. Alla fine, dopo aver fissato per parecchio il quaderno, si diede uno schiaffo per incoraggiarsi e riprendere a compiere il suo dovere, senza sosta, fino all'alba. 

Il nuovo giorno si aprì con un'altra splendida giornata di sole, per Napoleone non poteva esserci condizione migliore, avrebbe potuto studiare all'aperto, come faceva da quando i monaci concessero agli studenti di occuparsi, a gruppi di tre, di un piccolo pezzo di terra presente intorno alla struttura.

Il corso non aveva minimamente esitato nel voler rivendicare un piccolo podere confinante con quelli di altri suoi compagni e a stabilirne i confini: aveva posto un cartello con su scritto, in pessimo francese, ma comunque comprensibile: 'Chiunque oltrepasserà la linea indicata da questo cartello verrà punito severamente dal sottoscritto'. Ovviamente gli altri, pur conoscendo l'atteggiamento scontroso e ribelle del compagno, non gli diedero tanta importanza e ci risero sopra, standogli alla larga. 

Così dopo aver trascorso un'intera giornata di lezioni, poté finalmente starsene in santa pace e respirare un po' d'aria fresca, seppur non fosse all'altezza del quella della sua isola. Quando arrivò vide che c'erano gli altri due suoi compagni di corso, nei loro rispettivi territori, allungò la strada per non trovarseli davanti e andò nella sua parte ben definitiva. Tuttavia accadde che i due avevano cominciato a litigare, tra loro, per motivi alquanto futili, e inavvertitamente, senza rendersene conto, si rifugiarono, nel terreno del corso.

Quest'ultimo accortosi della loro presenza indesiderata, adirato e furibondo, li raggiunse con la zappa tra le mani: - Come avete osato disobbedire al mio ordine! Lo volete capire che non voglio rompiscatole dalle mie parti! Se volete tirarvi per parrucche fatelo da un'altra parte che non sia qui!

- Ti-ti prego, Napoleone - bisbigliarono i due spaventati indietreggiando - N-non lo abbiamo fatto di proposito cre-credici...

- Credevate che non me ne accorgessi, eh? Che fossi uno stupido? - urlò con gli occhi spalancati avvicinandosi a loro sempre più furioso - Avete infranto la mia regola...ora subirete la vostra punizione, dannati  francesi...prendete questo! - Li colpì con la zappa sulla testa e sulle altre parti del corpo, mentre i due continuarono a scusarsi piangendo e supplicando di fermarsi, per il corso non c'erano ragioni e riprese a picchiarli.

Tremarono nel frangente in cui scorsero il volto di Napoleone: una lunga ombra scese sul viso mettendo in risalto gli occhi gelidi e il ghigno soddisfatto formatosi sulle labbra. Mentre li colpiva provava un senso di liberazione uscire da ogni fibra del corpo; la sua anima divenne improvvisamente leggera, privata di quel macigno che portava sul cuore da parecchio tempo. La forza pulsava come sangue vitale e gli rinnovava le energie.

Provava un irresistibile piacere nel far loro del male; desiderava far percepire anche a loro quel dolore che aveva sempre celato e tenuto a freno in quegli anni e che era esploso, in quel momento, in tutta la sua bestialità.

Intervennero i monaci, i quali avevano udito delle urla e dei colpi provenire dall'esterno, non appena li raggiunsero, sequestrarono la zappa di Napoleone e li calmarono, anche se con non poca fatica. Su richiesta dei due compagni violentati, il corso venne mandato in una stanza e lo interrogarono.

- Perché hai colpito i tuoi compagni? - gli domandarono mentre tentavano di bloccarlo per le braccia: era un gracile ragazzino di quasi tredici anni eppure non riuscivano a tenerlo a bada. Scalciava e si dimenava come un dannato cercando di liberarsi dalla presa dei punitori, meravigliati di così tanta energia.

- Hanno infranto il mio divieto e li ho puniti! - rispose lapidario, poi li fissò con occhi pieni di odio e rabbia, aggiungendo freddamente - Pensano di fare quello che vogliono solo perché sono francesi!

- Come osi insinuare simili accuse prive di fondamento, corso ingrato! - sussultarono gridando e lo castigarono con ogni sorta di punizione. Lui, però, rimase per tutto il tempo impassibile, non si lamentava né chiedeva di smettere o di diminuire le dosi.

Ciò sconvolse tutti, compresi i punitori che si sentivano impotenti e sconcertati - È un ribelle fatto di granito ed è anche un vulcano, non sappiamo come comportarci, è la prima volta che ci capita uno come lui - riferirono in coro al rettore arresi di fronte ad una manifestazione così grande di resistenza stoica.

- Quel ragazzino è un vero e proprio demonio! - esclamò sconvolto infine il rettore - Continuate a compiere il vostro dovere, vedrete che alla fine si calmerà - aggiunse poi sinistramente. 

Nel suo profondo animo, Napoleone soffriva davvero tanto di quella situazione, i maestri e i monaci lo trattavano con poco rispetto e considerazione, i compagni continuavano a deriderlo e renderlo oggetto di divertimento, a causa della sua diversa condizione economica, nonostante gli immensi sforzi fatti. Quando nessuno lo vedeva o tutti dormivano, sfogava in modo incontrollabile il suo dolore, la sua frustrazione e insofferenza con lamenti, pianti infiniti e preghiere nei confronti di quella situazione che diventava, istante dopo istante, sempre più insostenibile e che lo rendevano ogni giorno più cupo, introverso e schivo nel rapporto con il prossimo.

Negli anni più turbolenti dell'adolescenza si stava forgiando una forte personalità, un carattere solitario, riflessivo, spigoloso, sospettoso che lo avrebbe accompagnato per tutta l'esistenza. Oppresso dal risentimento e dalla rabbia, con tono disperato e solenne tutta la sua umiliazione e il disagio interiore, scrisse al padre:  

'Padre mio, se voi o i miei protettori non mi darete i mezzi per sostenermi più onorevolmente, richiamatemi presso di voi: sono stufo di mostrare la mia indigenza e di vederne sorridere certi alunni insolenti, che più di me hanno solo la loro fortuna, perché non ce n'è uno che non sia mille spanne inferiore ai nobili sentimenti che mi animano!

Eh! Sì Signore, vostro figlio continuerà ad essere lo zimbello di certi nobili cafoni che, fieri del piacere che si procurano, m'insultano ridendo delle privazioni di cui soffro!

No, padre mio, no, se la fortuna si rifiuta ostinatamente di migliorare la mia sorte, strappatemi da Brienne. Piuttosto, se necessario, mandatemi in un'officina, che io veda degli eguali attorno a me: saprò ben presto essere superiore a loro! Da queste proposte giudicate la mia disperazione; ma, lo ripeto, preferisco essere il primo di una fabbrica che l'artista disdegnato di un'accademia.

Questa lettera, credetelo, non è dettata dal vano desiderio di abbandonarmi a divertimenti dispendiosi, non ne sono affatto attirato. Provo soltanto il bisogno di mostrare che posseggo i mezzi per procurarmeli al pari dei miei compagni'.

Una lettera intrisa di letteratura e classicità appresa dai suoi amati libri, piena di volontà che stava forgiando in quel periodo difficile, di contestazione ed anche un pizzico di presunzione, utilizzata per mitigare l'angoscia che si faceva spazio sempre più spesso nel suo cuore; per quanto fosse resistente e volenteroso quel clima di insofferenza era troppo persino per uno come lui. Il padre comprese le esigenze del figlio ma i mezzi che disponeva non poterono mutare la sua situazione, poiché nel frattempo erano nate altre due sorelle: Maria Paola, conosciuta come Paolina e Maria Annunziata, nota come Carolina. 

11 maggio

- Buonaparte è arrivata una lettera da parte della tua famiglia! - informò il maestro porgendogli la lettera nervosamente.

- Spero non l’abbiate letta! - esclamò, gli strappò la lettera di mano, controllando che il sigillo fosse al suo posto. Per fortuna non l'avevano aperta.

- Non mi impiccio degli affari di una famiglia di ribelli selvaggi - emise sottovoce l'uomo.

Napoleone lo fissò con occhi biechi: gli avrebbe fatto rimangiare quell'insinuazione, nessuno doveva permettersi di offendere, disonorare i suoi parenti, la sua terra e il patriota Paoli, poi rivolse lo sguardo alla lettera che aprì ansiosamente, sperando di ricevere buone notizie, almeno da parte loro.

Vi era scritto che si erano messi in viaggio per andarlo a trovare nel Collegio di Bienne: erano ormai passati quattro anni e in tutto quel tempo non avevano mai trovato un’occasione per rendersi conto delle sue condizioni, da lui descritte e commentate nelle innumerevoli lettere spedite in quegli anni, inoltre si scusavano con lui per non averlo fatto prima.

Quando finì di leggerla si sentì sollevato ed emozionato come non lo era da tempo immemore: era un splendida notizia. Si lasciò travolgere dalla malinconia, dalla dolce nostalgia fin quasi alle lacrime. 

   
 
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