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Autore: NyxTNeko    31/03/2019    2 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 10 - Legami -

12 giugno

Quasi un mese dopo aver ricevuto la lettera, i suoi genitori arrivarono al collegio e rimasero di sasso nel vedere le misere condizioni in cui versava il loro caro figlio. Le aveva descritte nelle lettere, ma credevano fossero delle esagerazioni, conoscendo la sua grande passione per la lettura e i grandi stili che poi replicava nei suoi scritti.

Mentre pensavano ciò furono interrotti dalla sua comparsa, la sua figura quasi si ergeva, con la divisa indosso e gli occhi un po' lucidi, emozionato, pur desiderando trepidamente di poterli rivedere. Era cresciuto parecchio dall’ultima volta, però era anche dimagrito tantissimo: il volto scavato e pesanti occhiaie circondavano i suoi occhi grigi sempre vigili e attenti. Fin dai primi anni a Brienne, infatti, aveva cercato di mangiare poco, un solo pasto al giorno, per abituarsi alla vita militare e di condurre uno stile di vita parsimonioso, spartano in modo da evitare sprechi e lussi eccessivi.

- Nabulio, figlio mio - gli disse la madre che gli si avvicinò commossa; quel nomignolo così dolce lo fece sentire per un momento a casa, dopo tanto tempo sulle sue labbra si formò un sorriso, seppur timido - Sei sicuro di stare bene? Sei magro come un chiodo! - lo accarezzò dolcemente sul viso, come se volesse accertarsi che fosse davvero lui.

- Sto bene, madre - confermò mentre la madre lo stringeva amorevolmente e lo guardava con preoccupazione - Non dovete preoccuparvi di questo! Non sono più abituato agli abbracci, sapete? - aggiunse orgoglioso. La sua voce, leggermente più profonda e mascolina, risuonò diversa nelle orecchie di Letizia e Carlo, a constatare il fatto che era realmente cambiato: il loro piccolo Napoleone stava diventando un uomo senza di loro. L'estraneità della sua voce mise in luce questa verità alla quale, soprattutto Letizia, non voleva credere.

- Figlio mio, perché dici questo? Sei ancora un bambino, il mio bambino, e hai bisogno di nutrirti bene, di curare il corpo e l’anima attraverso l’amore, i rapporti con gli altri, le amicizie, non puoi pensare solo al tuo dovere e al tuo futuro - gli ricordò la donna, negando a sé stessa l'evidente maturazione di Napoleone, sovrapponendo all'immagine odierna, quella del suo secondogenito prima che se ne andasse da lei.

- No, madre, ormai sono un uomo, anzi di più, sono un soldato pronto a svolgere il suo dovere: combattere per la Patria! - gridò fiero, posando la mano sul petto, in italiano, per non farsi capire dagli altri - Soprattutto al fianco di mio padre e di Paoli, che sono sicuro tornerà presto, una volta insieme libereremo la Corsica dall'opprimente dominio francese, restituendole la sua identità

Il padre si rese conto di quanto pericolosa fosse quell'esclamazione pronunciata in quell'ambiente ostile. Tra le mura di casa, quelle poche volte in cui vi faceva ritorno, per lui i francesi restavano nemici, invasori, con i quali doveva convivere per sopravvivere, esattamente come Napoleone stava constatando. Nel profondo era orgoglioso di lui, aveva creduto, ormai con convinzione e rassegnazione, che lì fosse diventato un cittadino francese a tutto tondo: altezzoso, saccente e indolente; che in quelle lettere vi fosse il desiderio di mollare ogni progetto, di rassegnazione di fronte al nemico, ma a parte la divisa e la lingua, non era cambiato molto da quando era partito da Ajaccio. Nei suoi occhi chiari risplendeva con nitidezza la luce del riscatto.

- Continua ad impegnarti ragazzo mio! - lo incoraggiò il padre soddisfatto, che era rimasto muto ad osservarlo per tutto il tempo - Ormai sei arrivato ad un ottimo livello

Il ragazzino lo guardò velocemente ed annuì, poi chiese - Come stanno i miei fratellini?

- Non pensare a loro - rispose il padre intuendo lo stratagemma per cambiare discorso e non pensare allo sforzo immane per adattarsi - Stanno bene! - aggiunse, volendo tranquillizzarlo un po'.

- Anche Giuseppe? - domandò ancora.

- Sì, anche lui, non preoccuparti - confermò nuovamente Carlo. Anche il suo pensiero per le sorti e le condizioni della famiglia non era svanito con il tempo, la sua natura paterna non si era affievolita, sembrava essere lui il capofamiglia in quell'istante. Non era cambiato di una virgola.

- Pensa che si è ambientato così bene che ormai si fa chiamare Joseph - confessò Letizia sorridendo leggermente.

- Davvero? - si stupì, sbattendo le lunghe ciglia, li guardò immobile e in silenzio, si sentiva solamente il brusio dei suoi compagni che stavano all'aria aperta, a giocare e ad allenarsi.

Leggeva nei loro volti e nei loro occhi tutta la vita frenetica, le preoccupazioni, le ansie per il domani e per il futuro, che tentavano di non mostrare; Napoleone, tuttavia, stava scoprendo di riuscire a intuire i pensieri e i sentimenti alla prima occhiata, per questo non gli era sfuggito nulla, ma senza farne cenno, per rispetto e per non sembrare troppo maturo ai loro occhi.

Con un gesto secco e brusco, poi, si slacciò dall'abbraccio materno, divenuto troppo soffocante, lei, tuttavia, non staccava lo sguardo dal suo piccolo, ancora incredula del cambiamento di quel figlio tanto adorato, lo vedeva distante, quasi irriconoscibile, la Francia lo stava rendendo una persona diversa. Si soffermò sui suoi occhi incavati, chiarissimi, in cui si leggeva il disagio interiore, la malinconia, la nostalgia, nascosti dalla corazza dell'orgoglio e della freddezza.

- Vi mostro l’intera struttura, che ne dite? - propose il ragazzino rompendo il pesante silenzio.

- Se non rechiamo alcun disturbo, certo Nabulio mio - rispose Letizia, riscossa dalla voce del figlio. Guardò Carlo che annuì soltanto.

- Allora seguitemi - emise Napoleone voltando loro le spalle e incamminandosi alla testa dei genitori.

20 settembre 1783

Animato da rabbia, orgoglio, caparbietà e passione Napoleone proseguiva gli studi, apprendendo i grandi esempi del passato che si imprimevano sempre più nella sua mente e nel suo cuore. Era desideroso di intraprendere gesta simili, non conosceva ancora il suo destino, comunque sperava, nonostante le difficoltà e gli ostacoli, di realizzare il suo più intimo desiderio: essere ricordato come un condottiero valoroso.

Intanto il suo rapporto con Louis Antoine si era fatto solido e sincero, era il suo unico vero amico in quegli anni difficili e duri: nei giorni lieti e decisamente meno gravosi, tranquilli, amavano raccontare della loro infanzia con malinconia e un forte desiderio di ritorno.

Napoleone scoprì che Louis Antoine proveniva da una piccola città di nome Sens abitata, un tempo, dai Galli Senosi, in cui alloggiarono, millenni prima, alcune legioni di Giulio Cesare durante la conquista della Gallia. Fu anche uno dei più importanti centri ebraici e che ospitò, per vari secoli, una sinagoga demolita, qualche anno prima, dalla furia dell’intolleranza verso un popolo, quello giudaico, da sempre considerato un pericolo e un capro espiatorio.

Louis Antoine spalancava gli occhi e la bocca ogniqualvolta Napoleone gli narrava  dei luoghi da sogno in cui aveva vissuto fino a pochi anni prima e di tutte le sensazioni che gli provocavano, ancora ben nitide, scolpite nel suo cuore, nonostante gli anni di lontananza: la brezza marina che lo svegliava la mattina, i boschi ombrosi e accoglienti nei quali si rifugiava d'estate e si dedicava alla lettura e ai suoi sogni, le piccole città che dominano le coste e le montagne, il mare cristallino e impetuoso.

Gli parlava, con profonda ammirazione della popolazione locale costituita da uomini, in maggioranza pescatori, orgogliosi, fieri, laboriosi, anche capaci di organizzare feste e manifestazioni gioiose alle quali assisteva, senza però parteciparvi. Di come resistevano silenziosamente all’invasione francese dopo mesi e mesi di lotte, delusioni e sofferenze. La nostalgia lo invadeva ogni volta che ritornava con la mente nella sua Corsica. Louis Antoine comprese che all'amico mancava il suo piccolo, semplice ma meraviglioso mondo, che avrebbe preferito rimanere accanto alle persone che amava e proteggeva con le unghie e con i denti. E in particolare si sentiva come una vittima sacrificale mandata lì per scongiurare eventi nefasti o con lo scopo di compiere una missione futura.

Avrebbe voluto dirgli che lo capiva, sapeva, però, che non era vero, nonostante il legame che li univa, Napoleone lo chiamava compagno piuttosto che amico, lui restava il nemico, l'invasore, uno di quei francesi che gli aveva tolto, per sempre, la felicità, oltre alla sua terra. Non ricordava di averlo visto ridere o sorridere da quando si conoscevano, sul suo viso c'era sempre tristezza, mista a rabbia, rancore, ambizione e voglia di riscatto.

"Solo ora comprendo appieno il tuo dolore, amico mio" pensò osservando Napoleone fantasticare e raccontare della sua Ajaccio. Quei momenti in cui, il ragazzino che non sorrideva mai mostrava, sempre più raramente, il suo lato più ingenuo e umano.

I due si aiutavano pure nei compiti: Louis Antoine nelle lingue seppur i risultati non fossero eccezionali, e Napoleone invece a matematica cercando di non farsi scoprire dagli altri compagni, che approfittavano di ogni occasione per fargli la festa. Il francese scoprì l'incredibile orientamento e la memoria fotografica strepitosa del corso, che sapeva condurlo nei luoghi meno noti nei tempi giusti, da una parte era stupito, perché non ne aveva mai incontrati di tipi così in gamba. Dall'altra aveva paura: se un giorno fossero diventati nemici, che cosa sarebbe accaduto? Non osò immaginare in quell'istante, quell'eventualità, volle pensare solo al fatto che sicuramente le sue doti, la sua granitica volontà, il suo carisma e la sua insaziabile ambizione, già ben evidente, lo avrebbero spinto in imprese al limite del possibile. 

La già flebile fede cristiana di Napoleone vacillò fin dalla prima volta in cui era arrivato a Brienne: si rese conto di quanto fosse assurdo, illogico e contradditorio il messaggio biblico e dei Vangeli, di quanti danni, mali abbia procurato, e ne avrebbe provocati altri ancora, nei più umili e nei fanatici. Aveva avuto parecchie discussioni in quegli anni, durante le lezioni e le celebrazioni, su molti dogmi e pilastri della Chiesa, ogni volta che cercava delle prove concrete la risposta che gli davano era sempre - La fede non ha bisogno di conferme, ragazzo, Dio ha creato tutto come sta scritto nella Bibbia...

- L'ultima volta che qualcuno ha provato a dare una risposta, la Chiesa l'ha condannato, altri che hanno letto le Scritture così come ci sono state tramandate, scomunicati o bruciati al rogo - rispondeva prontamente Napoleone, quasi a voler sfidare quell'incrollabile fede, che appariva ai suoi occhi pura ottusità. Sapeva di essere insolente e un po' antipatico atteggiandosi in quel modo, ma si divertiva tantissimo nel vederli ribadire con energia e fervore le loro convinzioni, addirittura litigando e accusandosi reciprocamente tra loro.

Tuttavia, questa fede crollò definitivamente quando un giorno sentì dire, da un predicatore, che Catone e Cesare bruciavano nelle fiamme dell’Inferno perché erano vissuti prima di Cristo e quindi non potevano essere salvati, e che le loro gesta, per quanto valorose e immortali, erano state crudeli e irrispettose nei confronti del meraviglioso dono della vita. Erano i due personaggi che più ammirava e non lo poteva accettare, non riusciva a credere che quei due eroi, che avevano reso grandi il passato ed eterna Roma, potessero subire una fine così misera, solo perché erano vissuti sotto gli dei falsi e bugiardi. "La Chiesa è la più grande tirannia che il mondo abbia mai conosciuto" pensò un giorno tra sé "Mentre i religiosi cattolici i più imbecilli che possano esistere sulla faccia della Terra".

I suoi atteggiamenti non sfuggirono all'ispettore delle dodici scuole militari, il cavaliere di Kéralio, il quale rimase colpito da questo giovane corso molto sveglio e spigliato.

   
 
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