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Autore: _Frame_    24/03/2019    2 recensioni
[Human!AU]
[Frying Pangle!Centric; Bad Touch Trio; Accenni ad altre coppie]
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Per festeggiare l’ultima caldissima settimana di vacanze estive non c’è niente di meglio di una colossale gita di gruppo al mare, fra partite a beach volley, falò sulla spiaggia e sbevazzate in compagnia, prima che le scuole e le università riaprano, e prima che la vita riprenda il solito ritmo quotidiano.
Spronato (ricattato) dai suoi due migliori amici, Gilbert Beilschmidt decide che questa è la sua ultima opportunità per rimediare a una certa mancanza, prima che la partenza per l’accademia militare lo separi da coloro che ama di più.
Genere: Comico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bad Friends Trio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Brevi disavventure di adolescenti allupati'
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. Due di picche

 

 

Gilbert sgattaiolò attorno al perimetro del giardino a cui si affacciava la veranda della camera che lui condivideva assieme a Roderich ed Elizaveta. Infilò le mani fra i cespugli chiazzati da fiorellini bianchi da cui proveniva un dolciastro e nauseabondo odore di polline, spalancò la visuale sul giardino, scacciò via il volo di un’ape che gli era ronzata sopra la spalla, e aguzzò lo sguardo verso la piccola terrazza in ombra.

Roderich sedeva da solo al tavolino. Lo sguardo basso sul libro che reggeva fra le mani – una raccolta di poesie di Bertolt Brecht – e un bicchiere mezzo pieno di tè freddo alla menta su cui galleggiavano due foglioline verdi e un cubetto di ghiaccio ridotto ormai alle dimensioni di una nocciolina. Sfogliò una pagina, aggiustò la montatura degli occhiali che gli stava scivolando dal naso, e prese un sorso dalla cannuccia, continuando a leggere.

Gilbert abbassò le palpebre, guadagnò un respiro profondo nonostante l’odoraccio di fiori che gli dava il mal di testa, e rilassò il fascio di nervi già indurito sulle spalle e bruciante attraverso la schiena ricurva. Coraggio, Gil, puoi farcela. E che sarà mai, no?

Si tirò in piedi con uno scatto, lasciandosi inondare dai forti raggi di sole estivo che lo caricarono di energia, e scavalcò le siepi con una falcata sola. Attraversò il giardino con l’audacia e la sicurezza di un soldato che pesta i piedi sul campo di battaglia, esibì uno dei suoi sorrisi più sgargianti, e sventolò un braccio sopra la testa. «Ehiii, Roddie!» Prima che Roderich potesse anche solo sollevare lo sguardo dal libro e rivolgergli la parola, Gilbert agguantò una delle seggiole e si lasciò cadere nel guscio di vimini. Premette i gomiti sul tavolino, raccolse il viso fra i pugni, e ammiccò stendendo un sorrisone che splendeva come quel rovente sole pomeridiano. «Ma come sei bello, oggi, Roddie. Il sole ti bacia divinamente il viso, Roddie, ti fa splendere i capelli.»

Roderich inarcò un sopracciglio, azzardò una sillaba. «Cos...»

«Shampoo nuovo?» Gilbert gli raccolse una ciocca di capelli dalla fronte e la arricciò attorno alla punta dell’indice. Annuì. «Mi piace. Profumi proprio come un dolce mazzolino di fiori freschi.»

Le labbra di Roderich si schiusero in un’espressione perplessa ma ancora troppo spaesata per accendersi di rabbia. Roderich squadrò di traverso la mano di Gilbert intrecciata ai suoi capelli, gliela cacciò via con un colpetto, e tirò le spalle all’indietro, corrugando le sopracciglia in quella sua perenne espressione di disappunto. «Cosa vuoi, Gilbert?» Si girò sul fianco, sfogliò un’altra pagina della raccolta di poesie, si sistemò gli occhiali, e riprese a leggere.

Gilbert sbuffò. «Che sfiduciato.» Si tenne appoggiato sul gomito e reclinò il capo di lato, affondando le nocche nella guancia. Batté le palpebre imitando uno degli sguardi ammaliatori di Francis. «Non posso semplicemente venire qui a dirti quanto sei carino?»

«No. Dimmi cosa c’è o lasciami in pace.» Roderich prese un sorso di tè freddo dalla cannuccia, facendo trillare il ghiaccio. «Sto leggendo.»

Gilbert appiattì quel sorrisetto inebetito, socchiuse un occhio per aguzzare la vista, e si guardò attorno. Giardino vuoto, porta scorrevole della veranda lasciata aperta, e nessun profilo a occupare l’interno della camera. Tese l’orecchio. Solo il cinguettare degli uccellini, il ronzio delle api che banchettavano con i fiorellini delle siepi, gli schiamazzi provenienti dalla spiaggia, e il soffio del vento che faceva frusciare gli alberelli. Nessun altro all’orizzonte.

«Dov’è Liz?»

Roderich posò il bicchiere di tè freddo e sfogliò un’altra pagina del libro, senza sollevare gli occhi dalla lettura. «È uscita assieme a Natalia a visitare i negozi in centro. Volevano comprarsi un vestito nuovo per la spiaggia.»

«Ah.»

L’occhio di Gilbert tornò a cadere su Roderich, sul suo profilo irradiato dalla luce del sole che si frammentava fra le foglioline e attraverso cui filtrava la tinta verde smeraldo del prato. I capelli scuri e profumati di shampoo cadevano un po’ ribelli sul suo viso delicato reso ancora più chiaro e sottile dal sole estivo. Il colletto sbottonato della camicia scopriva l’invitante curva del collo, bianca e liscia, ancora senza abbronzatura, che sembrava fatta apposta per ricevere i baci mordicchianti di qualcuno, per passarci sopra la punta della lingua e succhiare il sapore di salsedine dalla sua pelle diafana, perdendosi nella sua dolcezza.

Gilbert deglutì, ricacciando indietro quella voglia. Strizzò le mani a pugno grattando le unghie sulla stoffa dei pantaloncini, e soppresse il prurito alla pancia che minacciò di salirgli alla testa come le sorsate di birra che aveva tracannato solo qualche minuto prima assieme a Francis e Antonio.

Scrollò il capo, si rivestì della sua migliore maschera di serietà, e piantò le mani sul tavolo. «Okay.» Trascinò la sedia per portarsi più vicino a Roderich e spinse le spalle in avanti. «Senti, non c’è un modo semplice per dirtelo, quindi io te lo dico e basta.» Sollevò un ghigno aguzzo da guancia a guancia e ammiccò con le sopracciglia. «Ti va di fare sesso con me stasera?»

Roderich allargò le palpebre, sbiancò di colpo – la faccia di un cadavere –, e strinse le punte delle dita sulla copertina flessibile del libro, raggelato. Tirò su lo sguardo dal libro, sbatté gli occhi, e squadrò Gilbert con la stessa espressione persa e un po’ stordita che aveva mostrato al saggio di musica in terza media, quando gli si erano rotti i crini dell’archetto mentre suonava il violino davanti a tutta la scuola. Un’espressione che diceva: “Gilbert, per cortesia, convincimi di aver sentito male”.

Gilbert incassò quella cinerea occhiata di disagio e sospirò. «Ascolta, è successo un casino con Francis e Antonio.» Indicò alle sue spalle con entrambe le mani. «Loro mi fanno: “Ehi, Ludwig ha perso la verginità prima di te che sei il fratello maggiore. E non puoi finire le superiori se non hai fatto sesso almeno una volta, perché è la morale di American Pie, e saresti marchiato come uno sfigato a vita. Ho chiesto a Francis. Ma Francis non vuole farlo con me perché è in fase corteggiamento con Matthew o che cavolo ne so. Antonio non mi lascia chiederlo a Lovino. E se facessi sesso con Antonio poi lui mi farebbe vedere le televendite dei frullatori e si metterebbe a progettare la planimetria della nostra casa. Ma se lo facessi con te sarebbe tutto a posto, sarebbe il piano perfetto. Ci divertiamo per una sera, io vincerò la scommessa, e poi finirà là.»

«Gilbert, cosa stai...»

«Sarebbe solo sesso, lo giuro.» Gilbert diede una sventolata di mani, di nuovo esibendo il suo sorriso da sbruffone, e si spolverò le spalline della maglietta. «Mica ti chiederei di metterci assieme o di sposarmi, so di essere irraggiungibile per i comuni mortali.» Giunse le mani in preghiera, fece gli occhi dolci, e inzuccherò il tono di voce. «Ti prego.»

Roderich sollevò un sopracciglio. Le labbra ancora schiuse in quella smorfia d’incredulità, in quella faccia di sasso a cui pareva avessero succhiato tutto il sangue dalle guance. «Tu vorresti fare...» Sbatté di nuovo le palpebre, chiuse gli occhi, prese un lungo sospiro, ripose il libro sul tavolo e si massaggiò le tempie sotto le stanghette degli occhiali. «Tu in pratica mi stai chiedendo di avere un rapporto solo per vincere una scommessa con quei due? Correggimi se sbaglio.»

Gilbert annuì con energia. «Più o meno è così, sì.»

«Io non...» Roderich strinse le dita sulla fronte, contro il profilo di una vena bluastra salita a martellare in superficie, e si lasciò scuotere da un tremolio rovente, da un breve tic all’occhio. Scosse il capo e riprese in mano il suo libro. «Gilbert, non esistono espressioni abbastanza civili ed educate per manifestare quello che vorrei dirti in questo preciso istante, quindi mi limiterò a starmene in silenzio, a chiederti cortesemente di andartene, e farò finta che tu non mi abbia mai detto nulla di simile.»

«Oh, dai, so che lo vuoi anche tu. Chiunque lo vorrebbe.»

«No, Gilbert. Non lo voglio.»

«Ma ti prometto che faccio piano.»

Il viso di Roderich avvampò di colpo. Un violento rossore risalì le guance e lo incendiò fino alle punte delle orecchie, appannandogli gli occhiali. «C-cosa?»

«Lo giuro» confermò Gilbert. Si posò una mano sul petto, sulla croce di ferro, e sollevò l’altra in segno di giuramento, di patto solenne. «Guarda che so essere gentile e delicato anch’io, quando voglio. Se mi dici: “Gilbert, fermo”, io mi fermo. Se mi dici: “Gilbert, non toccarmi lì”, io non ti tocco lì. E così sarebbe...»

«Ti prego, Gilbert.» Il tono di Roderich assunse una sfumatura disperata. «Finiscila con queste tue scemenze.» Si rialzò dalla seggiola e si passò una mano fra i capelli. Lo sguardo di nuovo calmo ma ancora contratto da una scura ruga d’irritazione. «Ne ho davvero abbastanza.» Compì un primo passo per rientrare in camera e lasciare la veranda.

Gilbert si tuffò al di là del tavolo, prima che Roderich potesse scappargli, e lo acchiappò per il braccio, da sopra il largo bracciale di cuoio che gli fasciava il polso. «No, no, aspetta, aspetta, Roddie, solo un secondo, ti preeego

Roderich arrestò il passo, irrigidì il braccio sotto la presa di Gilbert, e strinse il pugno tremante. Riportò il piede indietro e rivolse a Gilbert un’occhiata di striscio da sopra la spalla. Un’ultima pietosa occasione per permettergli di chiedere scusa e di rimangiarsi tutte le assurdità che aveva pronunciato.

Gilbert rinnovò il sorrisone da beota. «E se ti pago?»

Roderich divampò d’indignazione, la bocca cadde aperta in un gemito soffocato, e un violento tremito di sconcerto attraversò il braccio ancora intrappolato fra le dita di Gilbert.

Corrugò la fronte in un’occhiataccia furente, gli strappò il braccio dalla presa, ribaltò la mano, e gli scaricò addosso un ceffone tale che lo schiocco si sentì fino alla spiaggia.

 

 

Gilbert avvolse il pacco di fagioli surgelati in uno strofinaccio che aveva rimediato alla mensa dell’ostello. Rigirò il fagotto e lo premette sulla guancia ancora rossa e gonfia dopo lo schiaffo di Roderich che aveva stampato un’impronta pulsante sulla pelle. Storse il naso e masticò un gemito a denti stretti, piantando uno scuro broncio da offeso. Accavallò le gambe, sistemandosi sulla seggiola di vimini, e finì di sorseggiare il tè freddo che Roderich aveva abbandonato assieme al libro di Brecht dopo essersene andato dalla veranda, indignato come una primadonna.

Dannato damerino. Gilbert risucchiò dalla cannuccia una sorsata di tè alla menta ormai intiepidito. Il ghiaccio si era sciolto completamente. Come osa profanare il mio magnifico viso? Un filo d’acqua rotolò dal fagotto in cui aveva avvolto il pacco di fagioli surgelati, gli attraversò la guancia e gocciolò dal mento. Gilbert aumentò la pressione e placò il bruciore pulsante che rievocò il ricordo del ceffone, il sonoro ciaf! del palmo di Roderich sulla guancia, e quel lampo bianco che gli aveva ribaltato la faccia. Aggrottò un sopracciglio, rosicchiò fra gli incisivi l’estremità della cannuccia che reggeva fra le labbra. Per essere così delicatino ha una mano che sembra fatta di cemento, Cristo. Si diede una strofinata sotto l’impacco di fagioli. Sarà che a forza di suonare gli è venuto il callo? Come i tennisti?

«Gilbert?»

Gilbert rimbalzò sulla seggiola di vimini, sputacchiò l’ultimo sorso di tè dalla cannuccia, e si girò verso la voce che lo aveva colto di spalle.

Elizaveta lo osservava stupita dalla soglia della veranda, fra le due ante trasparenti che si aprivano sulla loro camera da letto. La borsa di paglia a ricadere sull’abito da spiaggia, e la mano stretta sulla tracolla che le fasciava la spalla nuda. «Cosa fai in camera? Pensavo fossi in spiaggia con gli altri.»

Gilbert allontanò di colpo gli occhi. «Sono stato da Francis e Antonio fino ad adesso» farfugliò. La cannuccia gocciolante ancora a pendere dalla bocca. «Sono tornato per...» Premette la mano sui fagioli surgelati avvolti nel panno di stoffa e un’altra goccia d’acqua gli solcò il viso arrossato. Indicò il fagotto. «Per mettermi il ghiaccio.»

«Il ghiaccio?» Elizaveta flesse il capo e fece scivolare dietro l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita all’elastico che teneva ferma la coda di cavallo. Assottigliò le palpebre velate di ombretto verde, lo squadrò con perplessità. «Ma che hai fatto al viso?»

Gilbert si morsicò il labbro e succhiò il sapore del tè che gli era rimasto in bocca. Mantenne lo sguardo lontano da quello di Elizaveta, nascose il rossore raffreddato dal pacco di fagioli surgelati spinti sulla guancia. «Uhm...» Merda! Pensa, cervello, pensa! «L-la saracinesca. Prima...» Rivolse l’indice al di là del giardinetto, verso le siepi in fiore che confinavano con le altre camere. «La saracinesca nella camera di Antonio si era bloccata, io ho provato ad aggiustarla perché sono il più forte, ovviamente, ma il nastro si è spezzato e mi ha sbattuto in faccia.»

Elizaveta arricciò una smorfia addolorata e rabbrividì. «Che male.» Raccolse la ciocca di capelli castani scivolata fuori dall’elastico e la sistemò dietro l’orecchio, sotto il fermaglio a forma di fiore pinzato sulla tempia. Sfilò affianco a Gilbert trascinandosi dietro il dolce profumo di crema solare al cocco sprigionato dalla sua pelle, poggiò la borsetta di paglia su una delle seggiole vuote, e andò a stiracchiarsi sotto il sole, tendendo le braccia sopra il capo. «Non vedo l’ora di farmi anch’io un giro in spiaggia.» Raccolse un lembo dell’abito verde che le arrivava alle ginocchia, compì una mezza piroetta sulle punte dei sandaletti, e lanciò un sorriso in direzione di Gilbert. «Ti piace il vestito nuovo?» Diede un’altra sventolata alla stoffa per mettere in risalto le sfumature color smeraldo e la fila di brillantini d’argento ricamati sull’orlo. «Io e Natalia li abbiamo comprati in uno dei negozi in centro, sai quello vicino alla pizzeria da asporto. Lei lo ha preso viola, stasera lo vedi.»

Ancora stordito dal dolce profumo di crema solare al cocco, Gilbert batté due volte le palpebre e le rivolse la stessa occhiata rapita con cui aveva percorso il profilo di Roderich irradiato dal sole estivo. Per la seconda volta finì risucchiato in uno splendente vortice di scintille incantate.

Elizaveta indossava un vaporoso abito da spiaggia color verde smeraldo, senza spalline, stretto in vita da una sottile cinta di caucciù. Nuvolette di lentiggini erano spolverate sulle spalle ancora bianche, senza abbronzatura. Sandali col tacco, composti da intrecci color cuoio, le sollevavano i piedi di almeno cinque centimetri da terra, adornati da una cavigliera dorata che ricadeva dalla gamba sinistra. Due bracciali di pietre colorate trillavano dal polso destro ogni volta in cui lei faceva oscillare il braccio per spostare l’orlo luccicante della gonna. Sulla scollatura a conchiglia che le fasciava i seni ricadeva una lunga collanina a cui era appeso un piccolo ciondolo a forma di lecca-lecca a spirale. I raggi del sole rendevano i suoi occhi luminosi come il prato alle sue spalle, e le tingevano le guance di un dolce colorito roseo, libero dalle ciocche di capelli legate in un’abbondate coda di cavallo all’altezza della nuca.

Effettivamente, ragionò Gilbert, felice che il gelo dell’impacco gli impedisse di arrossire, anche lei oggi è più carina del solito. La squadrò per l’ennesima volta, indugiando sulle spalle nude e sul petto. Dovrei dirle che il vestito le sta bene? Sarebbe strano da parte mia, dato che le dico sempre che i vestiti le stanno da schifo, ma se le dicessi che sta male sarebbe da stronzi. Aargh, che diavolo dovrei dire?

«Mhf.» Gilbert scosse le spalle. «Carina.» Risucchiò l’ultima sorsata di tè sollevando un forte gorgoglio sul fondo del bicchiere dove giacevano solo le due foglie di menta sciupate.

Elizaveta stropicciò una prevedibile smorfia contrariata ma non nascose il sorrisetto di chi non aspettava altro che attaccar briga. «Ma come?» Strinse le mani sui fianchi, facendo trillare i bracciali di gemme colorate. «Non sei tu quello che non fa altro che dirmi come mi stanno male le gonne e che a Roderich donerebbero molto...» Arrestò la frase a metà, si guardò attorno, ancora a labbra schiuse, e risollevò un’espressione interrogativa. «A proposito, dov’è Roderich?»

«Oh. Veramente è...» Gilbert si guardò alle spalle, verso la porta scorrevole lasciata aperta, e soppresse un gorgoglio di nervosismo sotto l’impacco umido e ghiacciato. Prima era talmente incazzato che probabilmente è andato a farsi un giro per smaltire i bollori. Chissà quando tornerà. «Quando sono tornato in camera non c’era. Forse è uscito.»

«Uscito?» fece Elizaveta. «Ma come?» Sospirò e si diede una strofinata ai capelli dietro l’orecchio. «Dovevamo andare a fare la spesa assieme.»

«Voi?» Gilbert le rimbalzò indietro la sua stessa occhiata stranita. «Ma non doveva andarci il gruppo di Alfred? Francis mi ha detto così.»

«Teoricamente sì» annuì lei. «Ma se spediscono Alfred al supermercato va a finire che ci troviamo con le borse piene di idiozie e con i portafogli bucati già al primo giorno di vacanza. Quindi serve qualcuno di responsabile e che sappia controllare gli impulsi, e hanno affidato la lista a me e a Roderich.» Si strinse nelle spalle. «Andando in due facevamo meno fatica con le borse, ma se lui non c’è...»

Gilbert mollò l’impacco di fagioli, saltò giù dalla sedia e impennò il braccio sopra la testa. «Ci vengo io!»

«Oh.» Elizaveta accostò una nocca alla bocca spalmata di lucidalabbra, sollevò un sopracciglio, e lo squadrò da capo a piedi, mezza sorpresa e mezza tentata. «Sul serio?»

Gilbert raccolse una mano di Elizaveta, chiuse il pugno libero dietro la schiena, e affondò un inchino da galantuomo. «Sir Gilbert al suo servizio, madamigella.»

La mano di Elizaveta divenne più tiepida, avvolta nella sua. Lei non si sottrasse, ma piegò un mezzo sorriso diffidente, voltò la guancia e lo squadrò di traverso. L’espressione scettica di chi fiata il familiare odore di guai in arrivo. «D’accordo, cosa nascondi? Come mai oggi fai tutto il carino?»

Gilbert le lasciò la mano e si diede un’aggiustata alla maglietta di Mister Pickles. «Donna di poca fede» borbottò. «Non posso semplicemente essere felice di aiutarti e di rendermi utile?»

«Suppongo.» Elizaveta rindossò la borsetta di paglia che aveva abbandonato sulla seggiola, strinse l’elastico per capelli, e compì un primo passo per imboccare la stradina di pietre che attraversava il giardinetto e che s’immetteva nella via asfaltata distesa davanti agli appartamenti. Arrestò la camminata. Si girò di scatto e puntò l’indice sul petto di Gilbert, sotto la croce di ferro. «Niente giochetti, però, d’accordo?» Lo trapassò con un truce sguardo d’ammonimento.

Gilbert sollevò il mento, gonfiò il petto in una posa solenne, e batté un saluto militare. «Agli ordini.»

«Lo spero.» Elizaveta fece strada lasciandosi dietro una scia al profumo di cocco, scese dalla veranda e attraversò il piccolo giardino lasciandosi sommergere dalla luce del sole.

Gilbert si diede un’ultima strofinata alla guancia da cui lo stampo della mano di Roderich cominciava a sbiadire. Si ficcò le mani nelle tasche dei calzoncini e seguì Elizaveta a passo incalzante, andando dietro al ticchettare dei sandali sulle pietre e al trillo dei bracciali che rimbalzavano attorno al polso. Flesse il capo di lato, percorse la curva delle gambe attorno cui oscillava l’orlo dell’abito verde.

Le sue guance tornarono a tingersi di rosso, in fondo alla pancia si raggomitolò lo stesso formicolio rovente che aveva provato davanti alla visione del collo scoperto di Roderich. Magari sarà davvero una buona idea. Si morse l’interno della guancia, scrollò la testa, e raffreddò gli impulsi che, nonostante il desiderio, spandevano comunque uno sgradevole e viscido senso di disagio lungo la schiena. Però devo giocarmela bene e approcciarmi con più delicatezza. Non voglio che finisca con un’altra manata stampata sulla faccia come con Roddie. Ma varrà lo stesso per la scommessa, anche se lei è una ragazza? Bah, ovvio. Poi Francis e Antonio non hanno mai specificato in quale piatto deve finire la salsiccia, quindi non c’è niente di male a chiedere a lei. Piegò un sorrisino tremolante, rivolse gli occhi altrove, si coprì la bocca e ridacchiò da solo, come un idiota. Dio, perché non c’è mai nessuno ad ascoltarmi quando faccio queste battute?

 

 

Elizaveta si scostò la ciocca ribelle dal viso, tornò a pettinarla sotto il fermaglio a forma di fiore, e liberò la vista concentrata sulla lista della spesa che Alfred aveva scribacchiato su una pagina strappata dal suo vecchio diario di scuola.

 

- Coca-Cola e Pepsi (X2 ciascuna)

- Aranciata (X2)

- Acqua (X4)

- Barrette di cioccolata al latte (NON FONDENTE!)

- Marsh-mallows

- Biscotti

- Pane da hot dog e pane da hamburger

- Wurstel

- Hamburger

- Ketchup, maionese e senape

- Orsetti gommosi

- M&M’s

- Patatine (CHEETOS!)

- Doritos

 

La rilesse un paio di volte e corrugò un’espressione dubbiosa. «Speriamo che qua abbiano i marsh-mallows. Alfred deve ancora capire che questi supermercati di mare non sono forniti come un Walmart, ci puoi comprare solo l’indispensabile. Ma lui ha insistito tanto che vuole fare i S’Mores.» Si scostò per lasciar passare una signora che tirava un carrello riempito di sacchetti di frutta e di almeno cinque buste di cibo per gatti, e si girò a sventolare la lista spiegazzata verso Gilbert. «Io direi di occuparci prima di prendere le bibite, in modo da infilare subito le bottiglie nel carrello e da non schiacciare tutto dopo.»

Gilbert trasalì, preso alla sprovvista mentre il suo sguardo era ipnotizzato dai colori sgargianti del reparto dolciumi, e strinse le braccia incrociate sul manico del carrello ancora vuoto. Lo spinse in avanti, seguendo Elizaveta. Si allontanò dalle vampate di gelo provenienti dal reparto frutta e verdura che emanava un intenso profumo di orto, e si diede una strofinata alle braccia spoglie per placare i brividi suscitati dall’improvviso sbalzo di temperatura. «Come vuoi tu.»

Elizaveta annuì. Si aggrappò al muso del carrello, intrecciando le dita nella griglia di ferro, e guidò Gilbert fra gli scaffali, dirigendosi nel reparto dell’acqua, delle bibite e dei liquori. «Vieni. Le bottiglie sono di qua.»

Gilbert si lasciò trascinare e rimase accasciato sul manico di gomma. I gomiti intrecciati, le spalle chine, l’udito rapito dai continui blip! provenienti dalle casse, e lo sguardo smarrito a vagare in mezzo ai pochi clienti che girovagavano fra i corridoi, seguiti dal cigolare delle ruote e dallo scricchiolio dei sacchetti di plastica.

Una ragazza teneva a braccetto un altro ragazzo, mentre lui aveva la mano occupata a reggere il cestello rosso. Lei si chinò a pescare un sacchetto di pinoli e un vasetto di olive, e glieli passò con un sorriso. Un’altra coppia ronzava attorno alle bilance per la frutta e la verdura. Si aiutavano a vicenda strappando gli adesivi con i codici a barre e annodando i sacchetti da infilare nel carrello. Lui disse qualcosa e la ragazza rise, gli diede un bacio sulla guancia prima di chinarsi a sistemare il cestino di albicocche.

Gilbert strizzò i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi, corrugò la fronte, e si rosicchiò il labbro, bruciando fino alle punte delle orecchie. Fiamme verdi d’invidia gli rosero il fegato. Ma guarda questo branco di plebei come se la spassano a fare pucci-pucci davanti a tutti. A nessuno importano le vostre effusioni!

Un’altra coppietta si diresse in fila alla cassa tenendosi la mano e reggendo un cestello riempito di sacchetti di pane, brioche e una bottiglia di vino. Risero anche loro a una battuta che Gilbert non colse.

Gilbert distolse lo sguardo gettando il capo contro la spalla. Approfittate della vacanza al mare per rotolarvi come ricci sotto le coperte, eh? Poi magari vi mettete la crema solare a vicenda, leccherete il gelato dallo stesso, berrete il cocktail dallo stesso bicchiere, sarete tutti: “Oh, amore, ciccino, facciamoci una foto mentre prendiamo il sole, oh, tesoro, andiamocene in giro per mano e sbaciucchiandoci a ogni passo tanto per far vedere in giro quanto siamo love-love, e far crepare d’invidia tutti i single e...”

«Direi di prendere tre bottiglie d’acqua naturale e una di gassata, che dici?» Elizaveta fermò fra gli scaffali il carrello che stava tirando per il muso, e si chinò a spostare il tocco fra le bottiglie di plastica involucrate nelle confezioni da sei. Erano già arrivati allo scompartimento delle bibite, senza che Gilbert se ne fosse reso conto. Elizaveta strappò due bottiglie dalle confezioni e le soppesò. «Tanto se mancherà l’acqua naturale possiamo sempre riempire le bottiglie vuote da una fontana o da un rubinetto.»

«Uhm.» Gilbert scosse il capo, distolse l’attenzione dalle allegre coppiette che facevano la spesa, e annuì. «Sì, direi di sì. Come ti pare.»

Elizaveta infilò quattro bottiglie nel carrello e riprese a esaminare lo scaffale. «Ora la Coca, la Coca... oh, eccola qui.» Si alzò sulle punte dei piedi e raggiunse le bottiglie facendo trillare i bracciali di pietre. «E anche la Pepsi.» Mise tutto nel carrello ma restò sulle punte dei sandaletti, lo sguardo assottigliato verso gli scompartimenti più alti e il capo reclinato all’indietro. «Per l’aranciata direi... ecco, questa dovrebbe andare. È quella che costa meno.» Si riavvicinò al muro di bibite, tese le braccia sopra la testa, barcollò di un passetto di lato per non perdere l’equilibrio, e strizzò più volte le dita riuscendo solo a sfiorare il bordo dello scaffale. Fece schioccare la lingua in un moto di frustrazione e compì un salto, mancandolo di nuovo. «Se solo...»

Gilbert fece roteare lo sguardo, non riuscì a contenere un sorriso di tenerezza. «Aspetta.» Mollò il manico del carrello e le si avvicinò. «Faccio io.» Si mise alle sue spalle, si alzò a sua volta sulle punte dei piedi tendendo il braccio sopra di lei, e le sfiorò la schiena con il petto, accostandosi al dolce profumo di cocco emanato dalla pelle nuda delle sue spalle. Raggiunse la bottiglia di aranciata.

Elizaveta girò lo sguardo, inarcò un sopracciglio, e una scintilla di piacevole stupore attraversò il verde dei suoi occhi che s’intonava con la tinta smeraldina dell’abito nuovo. Il sorriso spalmato dal lucidalabbra color ghiacciolo si schiuse, e un vivace colorito roseo le spolverò le guance.

Gilbert scese dalle punte dei piedi, voltò il capo per nascondere l’espressione tinta d’imbarazzo, e tossicchiò porgendole l’aranciata per il collo della bottiglia. «Ecco qua.»

Elizaveta tenne il sorrisetto inarcato, se lo gustò. Raccolse l’aranciata dalla mano di Gilbert e accennò un piccolo inchino col capo. «La ringrazio, Messere.» Riprese il carrello per il muso, per trascinarselo dietro, e tese il braccio davanti a sé come un condottiero. «Carne e pane, ora!»

Gilbert scosse il capo, si diede un piccolo schiaffetto per cancellare il profumo della pelle di Elizaveta, la visione estatica della sua bocca schiusa e spalmata di lucidalabbra trasparente, e si aggrappò al carrello, lasciandosi guidare. Cambiarono reparto. L’entusiasmo che gli aveva infiammato l’animo durante il tragitto dall’ostello al supermercato scemò, facendolo di nuovo ricadere con le spalle in avanti, accasciato sul manico di gomma, e costringendolo a trascinare i piedi sulle piastrelle. Ma sarei davvero in grado di andare a letto con Liz? Con qualcuno che conosco da quando eravamo all’asilo? Con qualcuno con cui mi impiastricciavo quando giocavamo con gli acquerelli? Con qualcuno con cui trascorrevo le estati in tenda? Con qualcuno con cui mi arrampicavo sugli alberi, e con cui andavo a saltare nelle pozzanghere e a tirarmi le palle di fango? E se anche lei mi dicesse di no come Roddie? No, dai, che dico! Ovvio che vorrà venire a letto con me. Lei è pazza di me, tutti sono pazzi di me! Ma se le camere sono sempre occupate, dove mai potremmo...

Elizaveta raccolse i sacchetti di pane preconfezionato dallo scaffale con i cracker e i grissini, sistemò tutto nel carrello, e si spostò nel reparto frigo, sommersa dalle luci bianche gettate dalle ghiacciaie. Aprì un’anta trasparente per raccogliere le confezioni di wurstel. «Li prendo sia di pollo che di maiale, tanto per accontentare tutti. Per gli hamburger invece dovrebbe bastare un pacco solo, ma prendiamo quello da dodici. Anche perché Natalia prima mi ha detto che domani sera anche il loro gruppo e quello di Yao faranno un falò assieme, e ci sarà anche il gruppo di Mathias, e probabilmente ci divideremo tutto, quindi rischiamo di...» La sua voce si dissolse, divenne un ronzio simile a quello dei frigoriferi, e si mescolò al brusio degli altri clienti che passavano loro affianco chiacchierando e battendo le suole delle ciabatte da mare sulle piastrelle.

Gilbert strinse le mani sulla sbarra del carrello e tornò a isolarsi nella sua bolla di pensieri. Brividi di ansia e agitazione gli strinsero la bocca dello stomaco, risalirono la schiena e gli rosicchiarono la nuca, scuotendogli le spalle ingobbite. Una riga di sudore si sciolse dalla tempia, nonostante l’ambiente gelido del reparto frigoriferi. Domani al falò, si disse. Sì, il falò di domani sarà la soluzione più sensata. Tutti saranno impegnati a cazzeggiare in spiaggia e noi potremo appartarci da soli. Magari dietro gli scogli. Combiniamo una sveltina e la cosa finirà lì. Corrugò un sopracciglio in una smorfia d’indecisione. Oppure sulla sabbia? Con gli asciugamani? No, troppo scoperti. Troppo rischio di essere beccati. Oppure facciamo finta di andare a prendere da bere, a riempire le bottiglie d’acqua, e ci infiliamo in camera da soli.

Elizaveta riesaminò la lista spiegazzata, lanciò le ciocche della coda di cavallo dietro la spalla, corrugò un’espressione indecisa, e guidò Gilbert verso il reparto dolciumi. «Di solito si usano i Graham Crackers per fare i S’Mores, giusto? Ma non so se qui li hanno.» Sfilò lungo lo scaffale dei biscotti, flesse il capo di lato per esaminare quelli più in basso. Raccolse un pacco, lo rigirò, lo rimise giù, e ne pescò un altro. «Magari vanno bene dei semplici biscotti integrali. Basta che siano abbastanza spessi.»

Ma Gilbert non l’ascoltava, era ancora perso nel suo mondo, estraniato dall’ambiente del supermercato.

Socchiuse gli occhi. Si proiettò in quello scenario che lo avvolse come una nuvoletta di zucchero filato rosa.

Posare le mani sulle spalle nude e lentigginose di Elizaveta, affondare la bocca nella sua, dolce e umida di lucidalabbra, inspirare il suo profumo di cocco e salsedine urtandosi a vicenda le punte dei nasi, scostarle i capelli dal viso, sentire la morbidezza del seno sul suo petto, intrecciare le gambe sprofondando fra le sue cosce.

Dentro Gilbert crebbe un gorgoglio ribollente di angoscia, estasi, terrore ed eccitazione. Violenti spasmi risalirono le gambe investite dal gelo proveniente dai frigoriferi. Forti brividi si arrampicarono lungo la schiena e lo soffocarono in una gabbia di rimorso. Il profumo di zucchero filato si sciolse, squagliato da una nera nuvola di pioggia e oscurità che gli diluviò in testa.

Ma è normale che io lo trovi così angosciante?  si domandò Gilbert. E se poi non fossi in grado di andare fino in fondo? E dopo cosa dovrebbe succedere fra noi? Forse sarebbe davvero da bastardi fare una sveltina e comportarsi come se non fosse successo nulla. Dovrei fermarmi lì per un po’ a farle le coccole? Dovremmo stare un po’ abbracciati? Lei è una ragazza, alle ragazze piacciono le coccole dopo il sesso, no? Be’, ma anche a me piacerebbero le coccole. Scosse il capo e si colpì con uno schiaffo. No, no, fai l’uomo, Beilschmidt, e non pensare da femminuccia! Agli uomini non piacciono le coccole. Credo. Però potrei farle un regalino. Un regalino di ringraziamento per avermi aiutato a vincere la scommessa. O sarebbe davvero come pagare una battona? Un momento...

Spalancò gli occhi e aggrottò un sopracciglio, di nuovo trovandosi sommerso da quella brontolante nuvola nera di pensieri indesiderati che lo teneva isolato dall’ambiente luminoso del supermercato.

E se poi mi venisse sonno? E se mi addormentassi di colpo? Che figura di merda.

«Oh, ecco i marsh-mallows!» Elizaveta risollevò le spalle, dopo essersi chinata a raccogliere cinque barrette di cioccolata dagli scaffali più bassi, ed esibì una gonfia confezione di marsh-mallows bianchi. Sulla plastica trasparente spiccava il disegno di un marsh-mallow cilindrico che sorrideva, intento ad arrostire uno spiedo su cui erano infilzati altri tre suoi simili, più piccoli, e senza faccetta simpatica da cartone animato. «Ta-daan! Siamo stati fortunati. Ah, guarda, ci sono anche gli M&M’s. Mhm, però...» Elizaveta fece cadere nel carrello la cioccolata, due buste di marsh-mallows, e ricontrollò la lista della spesa, accigliandosi. «Non hanno specificato di quale tipo. Bah, io prendo un pacco ciascuno.» Mise nel carrello un pacchetto giallo, uno marrone e uno blu, e si diede una spolverata alle mani. «E ora dovrebbero mancare solo gli orsetti gommosi.»

La corsa trotterellante di un bambino si infilò nel reparto, inseguito dal rumore delle sue ciabatte da mare che schiaffeggiarono allegramente il pavimento lustro. Il bambino superò il carrello di Gilbert ed Elizaveta, salì sulle dita dei piedini, levò la punta del nasino fino a raggiungere con lo sguardo gli scaffali più alti, e scandagliò ogni pacco di caramelle colorate. Si soffermò su quelle mou – il disegnino di una mucca tuffata in un catino di latte spiccava sulla confezione – e sgranò gli occhi luccicanti di gioia. «Mamma, mamma!» Si girò verso il carrello della mamma e sbracciò fra un saltello e l’altro. «Vieni, le ho trovati, sono qui! Sono nello scaffale alto.»

La madre si fermò a raccogliere il sonaglio del fratellino che aveva sistemato sul seggiolino del carrello e gli inviò un’occhiata di rimprovero. «Amore, non correre per i corridoi. C’è la gente che passa con i carrelli.»

«Ma le caramelle, mamma. Prendo solo le caramelle.» Il bimbo con le ciabatte da mare distese le braccia verso il pacchetto di caramelle, spalancò le piccole dita, compì un passetto sulle punte dei piedi, e urtò gli scaffali più bassi. Spiccò un balzo, sfiorò l’angolino della confezione con la mucca, e tornò a cadere. La gioia si sciolse dai suoi occhioni, lasciando solo una profonda espressione di tristezza. «Mamma, mi aiuti?»

Elizaveta sorrise, intenerita. Sollevò il braccio, raggiunse la confezione di caramelle mou, e si chinò a porgerla al bimbo. «Tieni.»

Il bambino trasse un sospiro di meraviglia e incredulità davanti a quel gesto. Raccolse il pacchetto di caramelle, se lo strinse al petto come se avesse appena recuperato un forziere di diamanti dalle profondità dell’oceano, e i suoi occhi tornarono a risplendere di felicità. «Grazie, signorina alta!» Fece dietrofront e corse dalla mamma sventolando il bottino sopra la testa. «Mamma, mamma, le ho prese. Sono quelle dell’altra volta.»

Elizaveta scosse il capo senza smettere di sorridere. Le guance ancora arrossite di tenerezza. Raccolse il muso del carrello, guidò Gilbert fuori dal reparto di dolci e diede un’ennesima controllata alla lista. «Ora mancano solo le patatine, i Doritos. Ah, e anche le salse per i panini. Forse le abbiamo superate, dovrebbero essere lì dei sottaceti.»

Gilbert tornò ad accasciarsi a braccia incrociate sopra il manico del carrello e si lasciò guidare senza badare troppo a dove Elizaveta lo trascinava. Si voltò verso gli schiamazzi di gioia del bambino rimasto nel reparto dei dolciumi.

Sua mamma infilò nel carrello un sacchetto di caramelle alla liquirizia, strofinò i capelli del figlio che stava ancora saltellando per la contentezza, e sistemò il ciuccio del bimbo più piccolo che si era rimesso a scuotere il sonaglio appena raccolto da terra.

Davanti a quelle immagini, un pensiero di ghiaccio fulminò il cervello di Gilbert. Ora che ci penso... Arrossì di colpo – le guance a fuoco, un formicolio d’imbarazzo in fondo al ventre, il labbro tremolante morsicato fra gli incisivi – e si girò di colpo. Lo sguardo volò inconsciamente verso il reparto della parafarmacia, avvolto da una corona di luce sterile e azzurrina. Mi sa che con lei mi toccherà usare per forza i preservativi. Se fosse stato con Roddie forse avrei anche potuto farne a meno, ma con lei proprio no. Quindi dovrei essere io ad andare a prenderli? Anche quello sarebbe considerato un gesto di galanteria? Stritolò la sbarra del carrello, piantò le unghie nella gomma rigida, e le dita sudate vi stridettero sopra. Merda, non posso credere che Luddy è passato attraverso una cosa del genere e che ne è anche uscito vivo. E se chiedessi a lui come...

«Gilbert?»

Gilbert trasalì come se gli avessero spremuto un pizzicotto all’orecchio. «Eh?» La nuvoletta di pensieri estranianti esplose e lo fece precipitare di nuovo fra gli scaffali del supermercato, davanti allo sguardo perplesso di Elizaveta. «Cosa?»

Elizaveta infilò nel carrello i Doritos, le Cheetos, un pacchetto extra di patatine al barbecue a forma di spirale, e si accostò a Gilbert aggrottando la fronte. Si strinse la mano sul fianco, piantò una delle sue pose autoritarie. «D’accordo» sbottò. «Si può sapere cos’hai oggi?»

Gilbert irrigidì le spalle e scattò sulla difensiva. «Perché?» Si appoggiò con un gomito solo sul manico del carrello, spostò lo sguardo su un signore anziano che era passato loro affianco, e allentò il bavero della maglietta per far respirare il collo accaldato nonostante l’aria condizionata del supermercato. «Cosa dovrei avere?»

«Sei silenzioso.» Elizaveta abbassò il tono. «Sei tutto imbambolato nel tuo mondo. Non è da te.» Nei suoi occhi si specchiò una luce preoccupata che le ammorbidì i tratti del volto. «È successo qualcosa?»

Gilbert tornò a pinzare il labbro fra i denti e ingoiò la rovente tentazione di spiattellare tutto e di farle la proposta davanti agli scaffali delle patatine e dei pop-corn. «N-no, ehm, niente.»

«E allora cosa c’è?»

«È solo...» Gilbert allentò il bavero della maglietta. «Il caldo.» Tornò a farsi aria al viso e alla gola. «È il caldo che mi spompa. E poi il nastro della saracinesca che mi ha sbattuto in faccia.»

Elizaveta corrugò un sopracciglio in un’espressione ancora carica di dubbio. «Sicuro?»

«Yup.»

Elizaveta sospirò. Si scostò una ciocca di capelli dal viso e diede un colpetto alla griglia del carrello. «Be’, allora qua ci mancano solo le salse. Ah, poi ci converrà anche prendere una scatola di fiammiferi in più, dato che quella che abbiamo sta finendo, e il gruppo di Yao ha portato i fuochi d’artificio e le stelle filanti per domani notte.» Strinse l’elastico della coda di cavallo, sventolò le ciocche dietro la spalla, e fece strada. «Speriamo solo che ci diano il permesso di far esplodere i fuochi in spiaggia.»

Raggiunsero lo scompartimento delle salse, e un bruciante formicolio di ansia si spanse attraverso la pelle di Gilbert, come se gli avessero rovesciato quella al peperoncino sulla testa. Devo chiederglielo. Deglutì. Fece tamburellare le dita sul manico del carrello, agitò le punte dei piedi sul fondo delle scarpe, e rallentò il respiro per placare i sudori sulla fronte e per non accentuare il rossore sulle guance. Devo chiederglielo subito, prima che mi passi la forza.

«Eccole qui.» Elizaveta le trovò tutte e tre – ketchup, maionese e senape –, incastrò le bottigliette spremibili fra le patatine e le bottiglie delle bibite. «E ora solo...» Raggiunse un commesso che stava sistemando i barattoli di cetriolini. «Scusi, dove posso trovare le scatole di fiammiferi?»

Lui puntò l’indice al di là dello scaffale. «Sono nel reparto qua affianco. Li trovi dove hanno esposto le griglie da barbecue, accanto alle tavolette d’accensione.»

«Grazie.»

Gilbert le andò dietro e guadagnò un profondo respiro dalle narici, sciacquando via la sensazione di avere la salsa al peperoncino a gocciolargli dalla testa. Okay. Strinse i pugni e annuì a se stesso. Okay, ora glielo dico. Ma con che approccio? Come con Roddie? Le spiego come stanno le cose, che mi sono immischiato in questa stupida scommessa e che ora l’unica maniera per uscirne è farmi dare una mano da uno di loro due. Eh eh, già, una mano... Si colpì con un altro schiaffo sul rossore lasciato dalla sberla di Roderich. No, concentrati, idiota, non distrarti! Fa’ una faccia da uomo, dannazione.

Elizaveta guidò il carrello verso una cassa occupata solo da una signora che stava già pagando la sua spesa. «Per fortuna non c’è nessuno.» S’incastrò nella corsia, rivolse un sorriso cordiale alla cassiera, e cominciò a sistemare le confezioni sul nastro.

Gilbert si mise ad aiutarla e si occupò delle bottiglie delle bibite. Okay, si disse, armandosi di una fiammata di coraggio. Posso farcela. Ora glielo dico. Ora o mai più! «Sai se ci hanno aggiustato il ventilatore in camera? Quando sono passato a mettere giù la valigia ho provato ad accenderlo ma non andava.»

«Ho fatto un salto alla reception prima di uscire con Natalia e mi hanno detto che avrebbero mandato un tecnico nel pomeriggio.» Elizaveta caricò anche i sacchetti di patatine e quelli dei marsh-mallows. «Magari quando torniamo indietro passiamo a chiedere se hanno già risolto.»

«Ecco, perché non riuscirò mai ad addormentarmi con questo dannato caldo.» Gilbert posò le M&M’s sul nastro. «Poi il ventilatore non fa nemmeno chiasso come un condizionatore, e potremmo anche lasciarlo acceso tutta la notte, tanto basta coprirsi il collo e non c’è nemmeno rischio di beccarsi un accidenti e ti andrebbe di fare sesso con me stasera?»

Elizaveta raccolse il sacchetto di orsetti gommosi, sgranò gli occhi, s’impietrì mentre era ancora con le spalle chine e le braccia immerse nel carrello, e sbatté due volte le palpebre velate di ombretto. Sul volto si stampò la stessa bianca espressione da cadavere che aveva imbalsamato anche il viso di Roderich. Ruotò lo sguardo, andò incontro agli occhi di Gilbert, e corrugò le punte delle sopracciglia. «Cos’hai detto?» La mano si contrasse attorno al pacchetto di orsetti, le dita deformarono la plastica, facendola scricchiolare, e un violento spasmo le percorse il braccio, indurendole i muscoli e gonfiandole le vene fra le nocche.

Questa volta fu Gilbert a sbiancare, e la guancia schiaffeggiata da Roderich pulsò di dolore. Davanti al suo sguardo si spalancò l’immagine del pugno di Elizaveta che si schiantava sull’altro lato del volto, facendolo volare a terra. «A-aspetta.» Mise le mani avanti per pararsi. «Prima che mi picchi anche tu, giuro che ho una giustificazione più che sensata.»

«Sarà meglio per te.»

«Ho fatto una scommessa con Francis e Antonio, okay? E...»

«Cosa?» Elizaveta fece roteare lo sguardo, soppresse un ringhio sconfortato, e allentò la pressione attorno alla confezione di orsetti colorati. «Ooh, ci sono loro due di mezzo, ovvio.» Lasciò cadere le caramelle sul nastro della cassa. «Chissà perché non mi sorprende.»

Gilbert esalò un sospiro di sollievo che sciolse i sudori freddi dalla sua pelle. Si massaggiò la guancia risparmiata, felice di non percepire alcun gonfiore rovente attraverso lo zigomo, e continuò a caricare le bottiglie di bibite. «Sì, ma la cosa è giusto un tantino degenerata.» Tenne la mano ferma sulle bottiglie d’acqua per evitare che rotolassero giù dal nastro mentre quello avanzava verso la cassiera. «E tutto perché Ludwig ha perso la verginità prima di me, quindi la colpa di tutto questo è solo sua e di Feli. In pratica, Francis e Antonio mi fanno: “Ehi, devi perdere la verginità anche tu prima che finisca la vacanza, altrimenti ti prenderemo per il culo a vita”. In senso figurato.» La cassiera passò la confezione di hamburger surgelati – blip! – e lanciò a Gilbert un’occhiata basita. «Ma non hanno realmente specificato con chi o in che modo» disse ancora Gilbert. «Quindi io ho chiesto a Roddie, ma lui ha detto di no, poi mi ha tirato uno schiaffo, e poi sei arrivata tu, e allora ho pensato che...»

Elizaveta si girò di scatto facendo volare la coda di cavallo contro la spalla e strabuzzò gli occhi. «Hai chiesto a Roderich di fare sesso con te?»

Anche i clienti fermi alla cassa affianco si girarono verso di loro. Un ragazzino si coprì la bocca e ridacchiò, il signore che lo accompagnava scosse il capo con un’espressione di disappunto, e una signora si chinò a tappare le orecchie alla figlioletta.

Gilbert lanciò loro solo una breve occhiata di striscio, s’infischiò delle loro espressioni perplesse, e tornò su Elizaveta. «Ehm. Sì.» Annuì e stese un largo sorriso accondiscendente. «Direi di sì.»

La rabbia si sciolse dal viso di Elizaveta, le lasciò addosso un pallore smorto e infittito di grigio attorno alle palpebre sgranate, le labbra schiuse in una muta esclamazione di sconcerto, e gli occhi vacillanti.

Gilbert storse un sopracciglio, gli cadde il sorriso. «Che hai?»

Elizaveta si morsicò il labbro spalmato di lucidalabbra, distolse lo sguardo, serrò la mano attorno al portafogli appena estratto dalla borsetta, e piantò le unghie nella stoffa laccata. Gli ultimi blip! della loro cassa e lo scarrozzare di un carrello che si era messo in attesa dietro di loro riempirono quel silenzio precipitato nella corsia. Un silenzio ghiacciato, come se si fossero trovati ancora nel reparto surgelati.

Gilbert alzò gli occhi al soffitto e sventolò una mano. «Ooh, dai, non mi dire che te la sei presa perché non ho chiesto prima a te?»

La cassiera passò l’ultimo articolo – la bottiglia di maionese spremibile – e spostò lo sguardo da Elizaveta a Gilbert, senza sapere a chi rivolgersi. «Sono cinquantadue e venticinque.»

Elizaveta si riprese con un sobbalzo. «Ah, sì.» Si passò una mano sulla fronte, scostò la ciocca dal viso, ma le rimase addosso quell’espressione tetra, quel tono abbattuto di chi ha appena perso il gatto in un incendio che ha raso al suolo l’intera casa. «Mi scusi.» Infilò le unghie nell’apertura magnetica del portafogli. «Solo un attimo.»

«Ha la carta fedeltà?»

«Io...» Elizaveta diede uno strappo al bottone magnetico, i polpastrelli scivolarono. «Uhm, no.» Rinfilò le dita tremanti sotto la chiusura a forma di fiore, grattò il bottone, fece schioccare la lingua in un moto di frustrazione, e il portafogli non si aprì.

Gilbert sospirò. «Lascia stare.» Sfilò il suo dalla tasca dei pantaloni. «Pago con i miei.»

«Faccio io.» Elizaveta forzò di nuovo la chiusura. Clack! Lo spalancò facendo volare fuori l’abbonamento dell’autobus, si chinò a raccogliere la tessera, riuscendoci al terzo tentativo, e sfogliò le banconote con gesti rapidi e nervosi.

«No, sul serio» insistette Gilbert. «Se vuoi...»

«Lascia stare, Gilbert.» Elizaveta pagò la cassiera, intascò il resto, diede le spalle a Gilbert, e andò a ficcare la spesa nelle buste di plastica. Una borsa solo per le bibite e due per tutto il resto.

Gilbert andò a raccogliere il manico di una busta. «Liz, dai a me le borse, ti aiuto.»

«Faccio da sola.» Elizaveta gliela strappò dalle dita, raccolse tutte e tre le borse da sola, infilandone una nell’incavo del gomito, e uscì rivolgendolo solo un ultimo saluto di cortesia alla cassiera. «Buona giornata.»

«Liz...»

Le porte automatiche si spalancarono. Elizaveta le valicò, e la sua camminata si allontanò pestando il marciapiede che sfilava sotto i portici.

Gilbert, ancora impalato affianco al nastro della cassa, si guardò attorno. Alcune delle persone ferme alle corsie affianco continuavano a fissarlo. Uno di loro bisbigliò all’orecchio dell’altro, una ragazza nascose la bocca per ridacchiare, e la stessa signora che aveva tappato le orecchie alla figlia scosse la testa mantenendo quel broncio di disappunto.

Gilbert sospirò, si passò una mano sulla faccia e si strofinò tempie e palpebre, mitragliato da quelle occhiatacce come da una serie di schiaffi. Una cascata di brividi roventi risalì la schiena sfrigolando fino alle punte delle orecchie. Ma che cazzo sta succedendo? «Liz, aspetta.» Volò fuori dal supermercato, boccheggiando sotto la folata di caldo improvviso, e le corse dietro. Esibì un sorriso sdrammatizzante, la buttò sul ridere. «Ma dai, non ci credo. Sei davvero offesa perché ho chiesto prima a Roddie che a te? Giuro che l’ho fatto solo perché ho trovato lui per primo, ma tanto mi ha già scaricato.» Si batté la mano sul petto e ammiccò. «Quindi puoi consolarti al pensiero che potrai essere tu quella ad avermi tutto per te.»

«Non mi parlare.» Elizaveta diede un colpetto alla borsa incastrata nel gomito, schiacciò i pugni attorno ai manici di plastica che reggeva fra le dita, e continuò a marciare senza degnare Gilbert di un’occhiata. «Non ti voglio ascoltare.»

Fra lei e Gilbert si spalancò una breccia che li rese distanti.

Fronteggiando solo la sua schiena sempre più lontana, senza riuscire a guardarla in viso, e aggredito dal timore che lei rifiutasse di girarsi e che non gli avrebbe nemmeno più rivolto la parola, Gilbert provò una fitta in fondo al cuore. Sospirò, sinceramente amareggiato, e si strofinò la nuca. «Liz, senti.» Tornò a raggiungerla, a camminare al suo fianco incrociando la traiettoria dei passanti, e anche in lui scemò la voglia di ridere. «Mi dispiace, okay? Ma ormai dovresti conoscermi. Di cazzate del genere ne faccio ogni santo giorno e questa non è nemmeno la più grossa. Non tenermi il muso, dai.»

Elizaveta tenne la fronte aggrottata e voltò la guancia. Neanche un battito di ciglia.

Gilbert schivò un gruppetto di bambini fermi davanti alle casse della sala giochi e tornò a saltellarle affianco. «Okay, ho un’altra idea grandiosa.» Giunse le mani in preghiera. «Possiamo fare come se non ti avessi mai detto niente? Né a te né a Roddie. Facciamo che io non abbia mai aperto bocca sulla questione, facciamo tornare tutto come prima e morta là. M’inventerò qualcosa, dirò a Francis e ad Antonio che ci abbiamo provato e che non abbiamo combinato niente perché non siete riusciti a resistere davanti al mio...»

«Gilbert.» Elizaveta si fermò di fronte alla facciata di una gelateria, posò le borse ai suoi piedi, e si girò a fronteggiare Gilbert.  

Gilbert frenò il passo con un ruvido struscio di suole, rimbalzò all’indietro per non finirle addosso, e sbatté sul bidone a forma di cono gelato. Gli occhi seri e magnetici di Elizaveta lo catturarono, gli scaricarono un brivido gelido lungo la nuca e gli seccarono la gola. «Cosa?» borbottò Gilbert. Una vocina dietro il suo orecchio però gli bisbigliava di non voler scoprire cosa si celasse dietro quello sguardo.

Elizaveta si mise a braccia conserte, strinse le dita facendo trillare i bracciali di pietre che le ciondolavano dal polso, e nascose lo sguardo dietro l’ombra della ciocca che continuava a caderle sul viso. Pizzicò il labbro inferiore fra le punte dei denti, fece tamburellare le dita, guadagnò un lungo sospiro. I suoi occhi così distanti si colmarono di una buia colpevolezza. «Io e Roderich ci siamo messi assieme.»

Il brivido alla nuca si condensò in un pugno ghiacciato che affondò nelle viscere di Gilbert, sfondandogli la pancia e mozzandogli un rantolio in fondo alla gola. La faccia di Gilbert divenne di sale. Attorno a lui si spalancò uno spazio nero e vuoto, come se fosse affogato in un lago di pece. Nonostante la canicola, un soffio di vento gelato gli alitò in faccia e sul torso, rizzandogli la pelle d’oca lungo le braccia. Il crack cristallino del cuore spezzato e ridotto a un pugno di briciole risuonò attraverso la sua anima. Se Elizaveta gli avesse sfondato le costole con un cazzotto, se gli avesse strappato il cuore dal petto e se glielo avesse spappolato davanti agli occhi riducendolo a una poltiglia di sangue e carne maciullata, avrebbe fatto meno male.

La grigia ombra che celava il viso colpevole di Elizaveta si trasformò in un rossore d’imbarazzo che le chiazzò le guance. Elizaveta strinse la collanina a forma di lecca-lecca, intrecciò la catenina fra le punte delle dita, strofinò le unghie sul ciondolo smaltato, ma non riuscì a sollevare gli occhi da terra. «È così.»

La bocca di Gilbert rimase aperta in quell’espressione di sconcerto. Le labbra ancora secche, la lingua congelata, e un ronzio di confusione a fischiargli nelle orecchie. «Ma...» Qualcuno gli passò affianco, gli urtò la spalla, ridestandolo, ed entrò nella porta vetrata della gelateria. Gilbert scosse la testa, si allontanò dal cestino a forma di cono gelato, e indurì lo sguardo. «Quando?»

Elizaveta continuò a sviare i suoi occhi. Rigirò il ciondolo, strofinò le unghie sul filo della collana d’argento. «Dopo la serata da te» confessò. «Quella della festa di fine scuola.»

Quindi all’inizio dell’estate, realizzò Gilbert. Da quasi tre mesi! E in tutto questo tempo loro... «E non mi avete detto niente?»

«Non lo ritenevamo ancora opportuno.»

«Una cosa del genere?» Anche Gilbert si mise a braccia conserte, soppresse un fiotto di rabbia affondando le unghie nella pelle, ma il bruciore avvampò comunque fino alle guance, arrochendogli la voce. «E quando lo avreste ritenuto opportuno, sentiamo? Quando sarei partito per andarmene in accademia?»

Elizaveta gettò i pugni ai fianchi e finalmente tirò su lo sguardo. «Guarda che non avevamo nessun dovere di dirti niente.»

«Certo che ce l’avevate!» Gilbert aprì tre dita a ventaglio e ne indicò le punte. «C’è un patto sacro e indissolubile fra noi tre, Liz. Noi tre siamo... siamo consorti, che diavolo! Avete tradito l’alleanza!»

«No, Gilbert. Non siamo consorti, non c’è nessun patto, non c’è nessuna alleanza, e non c’è nessun obbligo.» Il viso di Elizaveta tornò buio, un’aura sfrigolante a scoppiettarle attorno. «E quello che succede fra me e Roderich non ti riguarda.»

«Sì che mi riguarda» esclamò Gilbert. «Perché non avete voluto dirmelo? Per tutta l’estate, dannazione! Avete avuto un’estate intera per dirmelo!»

«Non te l’abbiamo detto perché non volevamo ferirti.» Elizaveta abbassò gli occhi di colpo. «Non ancora, per lo meno.»

«Allora sapevate che me la sarei presa.»

«Sì, ma allo stesso tempo sapevamo che non c’era motivo di prendertela.» Sospirò per riprendere fiato, si pettinò la ciocca di capelli dietro l’orecchio, e abbassò il timbro di voce. «Ascolta, il fatto che io e Roderich stiamo assieme non cambierà comunque quello che c’è fra noi tre.»

«Sì, invece. Lo cambierà eccome.» Gilbert stritolò i pugni ai fianchi, facendo scricchiolare le ossa, e il suo sangue tornò a ribollire fino alle orecchie. «Merda.» Marciò avanti e indietro davanti alla gelateria, sopprimendo il formicolio che gli bruciava in fondo al petto, e fece correre una mano fra i capelli. «Merda, merda, e stra-merda, come avete potuto farmi questo?»

«Oh, non metterti a fare la vittima, adesso.»

«La vit...» Gilbert pestò un ultimo passo e le si piantò davanti. «Spiegami solo una cosa.» Socchiuse le palpebre. La squadrò con occhi truci e penetranti. «Di chi è stata l’idea?»

Lei non esitò neanche di un brivido, non emise nemmeno un battito di ciglia, per nulla intimorita. «Di entrambi. Sono scelte comuni, Gilbert.»

«Ma perché voi due? Perché tu? Avevi tanta voglia di trovarti un ragazzo? Fai tanto la spacca-culi, ma alla fine hai paura che rimanendo single ti considerino una frigida?»

Le guance di Elizaveta s’infiammarono. L’aura elettrica attorno al suo profilo si accese, facendo schiantare un fulmine di rabbia alle sue spalle. «Non si tratta di questo, stupido idiota!» Alcuni passanti si girarono. «Si tratta del fatto che io sto bene con Roderich e che voglio che fra noi ci sia qualcosa di più rispetto...» Elizaveta raffreddò il calore paonazzo del viso, una ruga d’incertezza le solcò la fronte. «A quello che c’è stato fino a ora.»

«E allora perché lui e non me?» Gilbert si strinse una mano sul fianco e si posò l’altra sul petto. «Anche con me stai bene, no?»

Elizaveta abbassò le palpebre, tenendo la fronte corrugata. «Ho scelto Roderich perché lui mi rispetta.» Contò sulle punte delle dita. «Perché Roderich è educato, equilibrato, gentile, coerente, e perché prende le cose seriamente, e...»

«Ehi, anch’io prendo le cose seriamente.»

«Gilbert, mi hai appena chiesto di fare sesso con te senza impegno! Come...» Elizaveta spalancò un braccio contro la ormai lontana facciata del supermercato, e i bracciali le rimbalzarono attorno al polso. «Come se si fosse trattato di chiedermi di andare a fare la spesa. Cos’avresti voluto fare, sentiamo? Infilare l’uccello e poi piantarmi lì come se non fosse successo nulla? Trattandomi come una pagnotta da hot dog?»

«Ma era...» Fu in quel momento che Gilbert si rese conto dell’enorme e irreparabile cazzata di cui stava per rendersi protagonista.

Su di lui grandinarono le occhiatacce dei passanti, le espressioni perplesse di chi era rimasto a bocca aperta lasciando squagliare il gelato raccolto nel cucchiaino di plastica, le ridacchiate delle ragazzine che passeggiavano a braccetto, e il rumore delle camminate più rapide di quelli che avevano accelerato per allontanarsi dalla scenata.

Gilbert li ignorò come aveva fatto con quelli del supermercato e strinse le braccia al petto. «Oh, dai» borbottò. «Adesso non legartela al dito.»

«E allora tu non legarti al dito il fatto che io e Roderich stiamo assieme» ribatté Elizaveta. «Qui non si tratta di te, per una volta, Gilbert. Si tratta di noi.»

«Anche io faccio parte del noi, merda. Avreste dovuto chiedermelo prima di mettervi assieme.»

«Non dovevamo chiederti un bel niente.»

«Ma...» Gilbert distese i pugni, tornò a stringerli, e raffreddò i bollori. Sollevò il mento mostrando uno sguardo granitico e due occhi freddi, nonostante la tinta bronzea delle iridi. Affilò la spada per affondare il colpo decisivo. «Lo avete già fatto?»

Quella domanda si schiantò sul viso di Elizaveta con la prepotenza di uno schiaffo. Le strappò di dosso l’espressione inferocita e la fece di nuovo impallidire all’altezza delle guance. «Cosa?»

«Sesso» specificò Gilbert. «Avete. Già. Fatto. Sesso?»

Elizaveta corrugò la fronte, storse la punta del naso per nascondere il rossore imbarazzato, e gettò lo sguardo in disparte. «Perché dovrei dirtelo?»

«Sì o no?» Anche Gilbert allentò il tono. «Niente dettagli, non voglio sapere niente di niente, lo giuro, solo sì o no. E non mi dire bugie.»

Elizaveta abbassò le palpebre. Dopo un lungo sospiro, borbottò un mormorio a fior di labbra. «No.»

Gilbert strinse entrambe le mani sui fianchi, flesse il capo di lato, e la squadrò dalla testa a piedi, contenendo un risolino di scherno. «Ma ti ha almeno baciata?»

«Certo che ci siamo baciati.»

«Con la lingua?»

«Gilbert!»

«Con la lingua

«Sì!»

Gilbert spezzò la curva delle labbra nel piccolo ghigno malefico di chi si pregusta la risposta prima ancora di aver scagliato la domanda. «Lui ha baciato te o tu hai baciato lui?»

Una nube scivolò davanti al sole, risucchiandone la luce e il calore. Cadde un silenzio glaciale, nonostante l’afa estiva che risaliva dal marciapiede e dall’asfalto e che ristagnava sotto i balconi degli appartamenti e le tende dei negozi. Il silenzio risucchiò ogni suono, i passi delle persone, i rombi delle auto, il vociare dei passanti che entravano nei negozi e che uscivano dalla gelateria succhiando voraci leccate dai coni gocciolanti.

Elizaveta non emise un fiato.

Gilbert fece schioccare la lingua, levò gli occhi al cielo tenendo il sorriso alto e il petto all’infuori, e sventolò la mano. «E lo consideri un uomo migliore di me?»

Elizaveta scosse il capo, si massaggiò la fronte e gli angoli delle palpebre, stando attenta a non sbavare l’ombretto, e trasse un altro sospiro più stanco e trascinato. «Vedi, Gilbert, è proprio per questo che mi sono messa con lui anziché con te. Roderich non è un egoista, e soprattutto non è un coglione montato come lo sei tu. Tu sei sempre stato così, invece.» Lo indicò con una sbracciata. «Sempre convinto che il mondo giri attorno a te, alle tue cazzate. Be’, indovina: per una volta non si tratta di te e di quello che vuoi tu, ma di quello che voglio io.»

«Ma...»

«È questo che Roderich ha di diverso rispetto a te. Lui non ha paura di crescere, di affrontare le sue responsabilità e tutto quello che comportano.» Elizaveta si posò la mano sul petto, sotto la scollatura a conchiglia dell’abito. «E anch’io sto crescendo, Gilbert. Non siamo più bambini, e non possiamo più comportarci come tali, commettendo una stupidaggine dietro l’altra infischiandocene delle conseguenze.»

Gilbert lasciò che quel discorso gli scivolasse addosso come acqua sul vetro e si soffermò solo su ciò che gli interessava per davvero, animato da quella fiammella di speranza che ancora ardeva vivace in fondo al suo cuore. «Ma se non siete ancora andati a letto assieme allora non è una cosa ufficiale, no?»

«Sì che è ufficiale» esclamò Elizaveta. «È ufficialissima.»

«Allora ho un’idea!» Gilbert sollevò gli indici e ne fece combaciare più volte le punte. «Se tutti e due faceste sesso con me, sarebbe una sorta di annullamento fra due forze equivalenti, quindi non sarebbe un vero tradimento. È più che sensato, ti pare?»

Elizaveta socchiuse le labbra, inarcò un sopracciglio, si contenne, ma un breve tic le fece traballare una palpebra. Stritolò i pugni e inghiottì una nuova ondata di rabbia che le gridava di riempire Gilbert di cazzotti fino a fargli gli occhi neri come un panda. «Gilbert, non so nemmeno perché io ti stia ancora...» Scosse il capo mettendo a tacere quella feroce vocina e sventolò via le parole dell’idiota. «Sai una cosa? Hai ragione.» Si chinò a raccogliere le tre borse della spesa e fece scivolare quella delle bibite, la più pesante, di nuovo nell’incavo del gomito. «Facciamo finta che questa conversazione non sia mai avvenuta, dimentichiamocene, e andiamo avanti con le nostre vite come abbiamo sempre fatto.» Compì una mezza piroetta, diede la schiena a Gilbert, «Fine della discussione», e si incamminò a passo pesante verso l’ostello.

Quell’immagine – Elizaveta che si allontanava dandogli le spalle, rimpicciolendosi in mezzo alla folla, con le borse della spesa contro i fianchi e l’aura di rabbia e malumore a circondarla come un’elettrica nuvoletta di temporale – affondò nel petto di Gilbert, rievocando lo stesso pugno di dolore che aveva provato quando lei gli aveva confessato di essersi messa assieme a Roderich. Andata. Finita. Persa per sempre. Un’ondata di panico lo fece sudare freddo, gli fece traballare le ginocchia e spalancò una voragine sotto i suoi piedi. Li ho persi tutti e due? No, che cazzo, mi rifiuto di farla finire così!

Gilbert la inseguì schivando i profili dei passanti. «Liz, Liz, no, aspetta!» Le acchiappò il braccio stringendola sopra l’intreccio dei bracciali. «Ho un’ultima proposta.» La voce assunse una piega implorante e disperata. «Ultima, ultima, lo giuro!»

Elizaveta serrò il pugno sul manico della borsa di plastica ma arrestò il passo. Voltò la guancia, squadrò Gilbert da sopra la spalla, e sollevò il sopracciglio. L’espressione di chi è ancora disposto a perdonare ma che si aspetta in cambio scuse immediate e più che ragionevoli.

Gilbert sollevò lo stesso impacciato sorriso da beota che aveva rivolto a Roderich, giocandolo come ultima carta. «E se ti pago?»

Elizaveta contrasse la fronte, e il viso divenne di pece. Fiamme ardenti bruciarono fra le palpebre, una vena pulsò contro la tempia, e una cascata di brividi roventi le si rovesciò contro la schiena, facendola rabbrividire.

Mollò le borse della spesa, strappò il braccio dalla presa di Gilbert, schiacciò il pugno facendo schioccare le falangi, e gli sganciò un cazzotto sul muso, ribaltandogli la faccia. Risollevò le buste di plastica dal marciapiede e s’incamminò da sola verso l’ostello, sfilando sotto gli sguardi allibiti dei passanti che le avevano aperto la strada, seguita dalla nuvoletta scoppiettante di rabbia che spruzzava fulmini e scintille sopra la sua testa.

   
 
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