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Autore: AdhoMu    25/03/2019    7 recensioni
SOSPESA
[Lee Jordan/Gwenog Jones]
Dice l'Oracolo:
“Se sei un amante sfegatato di Pluffe e Boccini e il tuo sogno è quello di diventare il più grande cronista di tutti i tempi, esistono grandi possibilità che tu perda la testa per una stella del Quidditch.
Attenzione, però: se la stella in questione è una battitrice del calibro di Gwenog Jones la testa, oltre che metaforicamente, rischi di perderla anche in modo piuttosto... letterale”.
Una storia d'amore a colpi di mazza, di reggae e di Gossip sportivi.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwenog Jones, Lee Jordan, Ludovic Bagman
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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3. ‘Cause every little thing is gonna be alright! (o quasi)
 
Pontwelly, Galles, 24 dicembre 1994.
Lo specchio le restituì l’immagine di una giovane donna piacente, inguainata in un abito lungo del colore della notte e aderente a sufficienza da mettere in risalto tutta una serie di curve e controcurve che neanche lei sospettava di possedere.
Gwenog strinse le labbra, contrariata.
Non per quello che aveva visto, anzi. Nonostante la scarsa dimistichezza con il jetset del mondo della Magimoda, il risultato sarebbe stato talmente sorprendente da indurre anche una come lei a rallegrarsi per il suo bell’aspetto. No: il problema era un altro però, e di gran lunga meno superficiale.
“Come sei caduta in basso, Gwen” si disse astiosamente la ragazza, puntando le pungenti iridi castane nei doppioni perfetti che la fissavano dalla superficie vetrata. Un’ombra di disappunto le rabbuiò il viso; i lineamenti aggraziati s’indurirono all’istante. E la metafora del “cadere in basso”, per una come lei che fin da giovanissima si era abituata a vivere sospesa nell’aria e a sfiorare le nuvole con la punta delle dita, le parve particolarmente calzante, dura e dolorosa.
“Scema che non sei altro”.
Gwenog Jones era mortalmente delusa da se stessa. Volitiva ed orgogliosa com’era sempre stata (“una vera macchina da guerra” l’aveva definita ridendo il professor Lumacorno, suo vecchio insegnante di Pozioni, che l’adorava), la sola idea di abbassarsi a tali miseri sotterfugi la mortificava oltremodo.
Ma non aveva scelta.
Non ce l’avrebbe fatta a rimanersene tranquilla e serena in casa, quella sera, neanche se qualcuno l’avesse provvidenzialmente graziata con una Fattura Calmante. Doveva agire, accidenti; doveva fare qualcosa, o la tensione e il nervosismo l’avrebbero fatta esplodere come una pentola a pressione babbana rimasta sui fornelli per qualche ora di troppo.
E la prospettiva di una Gwenog Jones in procinto di deflagrare, si sa, non poteva essere sinonimo di nulla di buono.
Gwen sospirò.
Ludovic Bagman l’avrebbe fatta impazzire, ormai ne era certa.
Eppure all’inizio, quando si erano conosciuti, era stato capace di renderla così felice... la ragazza scosse la testa, rattristata dal ricordo dell’euforia che aveva provato quando lui, proprio lui, il più eccezionale battitore della storia del Quidditch contemporaneo, si era dichiarato colpito dalla sua bravura dopo averla vista all’opera sul campo d’allenamento delle Holyhead Harpies e poco dopo, complice la sua indiscussa esperienza, si era messo a corteggiarla con metodo.
E lei, che qualche flirt l’aveva anche avuto in passato ma che, fino a quel momento, aveva dedicato al Quidditch la stragrande maggioranza dei suoi pensieri, delle sue energie e del suo cuore, ci era cascata come una pollastra particolarmente ingenua.
E se ne rendeva perfettamente conto, Gwen; e tale consapevolezza rendeva la situazione ancor più drammatica.
Ma non poteva farci niente.
Dopo poco tempo che si frequentavano, Ludo si era fatto schivo, sfuggente.
Non solo evitava di farsi vedere in giro con lei, comportamento che lui giustificava allegando di farlo per il suo bene. Lo stridore di denti si intensificava quando lui scompariva per intere settimane lasciandola lì, in attesa come una sciocca fidanzatina, per poi rifarsi vivo di punto in bianco senza degnarsi di darle un brandello di spiegazione. Quando lei tentava di metterlo alle strette, con le buone o con le cattive, lui le sorrideva benevolo e la fissava con i tondi occhi chiari, complimentandosi con lei per la sua abilità durante l’ultima partita; e la baciava; e lei si sentiva come chi ha appena ricevuto una mazzata in testa, sospirando felice e, al tempo stesso, sentendosi una rammollita, sommamente irritata con se stessa.
La Finale dei Mondiali di Quidditch, tanto per citare uno dei peggiori esempi, era stata un disastro.
Dopo settimane di tira e molla a dir poco sfibranti, alla fine Gwen l’aveva convinto a lasciarla assistere alla partita insieme a lui.
- Ma sarò molto occupato – aveva tentato di svicolare lui, nascondendosi dietro il suo titolo di Direttore dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici. – Dovrò anche fare la cronaca della partita...
- Non me ne importa un purvincolo secco, Ludo – aveva tagliato corto lei, stringendo in denti in un modo che lo aveva indotto a capitolare. – Facciamo così, allora: ci vediamo subito dopo.
Cosa che, manco a dirlo, non era successa.
Al termine della Finale, Ludo si era praticamente volatilizzato; e a nulla era valso, all’ormai furibonda Gwenog, cercarlo rabbiosamente qua e là.
Alla fine, scornata, la ragazza si era imbattuta nelle sue sorelle che, a loro volta, l’avevano convinta ad unirsi ad un gruppo di studenti ed ex alunni di Hogwarts. E la serata, iniziata in modo tanto infausto, aveva poi preso una piega inaspettata... quasi piacevole si era detta Gwenog, un po’ stupita e, a onor del vero, perfino un po’imbarazzata all’idea di essersi lasciata andare ad effusioni con quello che, per quanto simpatico e belloccio e buon baciatore, aveva tutta l’aria di essere un ragazzino un po’ troppo giovane per lei.
A proposito: come diavolo le aveva detto di chiamarsi, costui?
Non riusciva proprio a ricordarlo, per tutti i Tassi della divina Tosca.
“Linn”, “Leon” o qualcosa di simile; un nome corto, in ogni caso, che lei aveva smarrito quasi subito nelle pieghe del cervello, annebbiato dall’aroma di erbe caraibiche di quella sigarettina lunga e sottile che lui le aveva offerto con un sorriso.
La pendola in anticamera batté le nove: la giovane donna riflessa nello specchio strinse gli occhi, nuovamente vigile e concentrata.
“Dannato, dannatissimo Ludo”.
Non gli avrebbe permesso di spassarsela ad un ballo come quello; un evento mondano dal quale lei, di regola, si sarebbe tenuta religiosamente lontana ma la cui prospettiva, in quelle circostanze, la metteva in allarme e la gettava nel più cupo sconforto.
Ludo non si era fatto sentire per mesi e, dopo che aveva preso servizio come membro della giuria al Torneo Tremaghi, era letteralmente svanito nel nulla.
Gwenog era stata messa al corrente del Ballo del Ceppo per puro caso, un pomeriggio in cui si era recata in visita a casa dei genitori. Vi aveva trovato sua madre ed Hestia che finivano di assemblare un grosso pacco da spedire a Megan, la sorellina minore che ancora studiava ad Hogwarts.
- È il vestito per il gran Ballo che si terrà la Vigilia di Natale – aveva commentato Hestia, rispondendo al muto interrogativo di Gwenog.
- Che ballo?
- A te farebbe vomitare, Gwen – aveva riso la sorella maggiore. – Per fortuna ti sei già diplomata, o Hogwarts rischierebbe di vivere una seconda Notte dei Cristalli!...
E le due donne erano scoppiate a ridere, immaginando la devastazione che Gwenog serabbe stata capace di produrre in Sala Grande.
A lei, però, quella notizia aveva fatto male; le aveva fatto ribollire le viscere di gelosia.
Ludo si sarebbe divertito quella sera, quasi sicuramente attorniato da tante signorine graziose e sorridenti. Era un pensiero che non risuciva a tollerare.
Gwenog era così furiosa (principalmente con se stessa, per quel suo comportamento da mocciosa isterica) che la sera stessa, durante la partita contro il Puddlemere United, aveva fatto strike di giocatori al puro scopo di sfogare la sua ira; e il suo comportamento in campo era stato così scorretto da procurarle, dopo appena mezz’ora di gioco, un’espulsione memorabile.
E il pensiero, nei giorni successivi, era andato avanti ad assillarla ad  oltranza.
Che fare?
Non poteva certo andare avanti così, ne andava della sua tanto preziosa carriera.
E così alla fine, grazie alle sue conoscenze (Gwenog era molto amica del chitarrista Kyrley Duke, figlio dell’allenatrice delle Harpies - nonché ex Cercatrice Catriona McCormak – e membro delle Sorelle Stravagarie, che quella sera avrebbero suonato alla festa) era riuscita a procurarsi un invito.
- Time to go – si disse la ragazza, lanciando un’ultima occhiata critica al suo riflesso nello specchio.
- Ma dove vai vestita come una banshee dalle tendenze vampireggianti?! – le domandò stupita sua madre seguendola con lo sguardo, mentre lei si dirigeva verso il camino con un’andatura che ricordava quella delle Furie Buie in procinto di attaccare. – Non potevi scegliere qualcosa di più... gioviale?
Lei fece spallucce, più cupa che mai, per poi gettare nelle braci una manciata di Polvere Volante.
No: definitivamente, niente giallo quella sera.
In occasione del Ballo del Ceppo, Gwenog Jones avrebbe indossato il nero, colore che più di qualunque altro si abbinava alle tinte fosche del suo stato d’animo intriso di rabbiosa amarezza.
 
Hogwarts, stessa data
La Sala Grande scintillava come la vetrina di una pasticceria della Parigi Belle Epoque.
Studenti e studentesse, eccitatissimi, facevano capannello, bevevano, ballavano, flirtavano e si divertivano. L’amore, complice l’atmosfera ancor più fatata del solito, era nell’aria quella sera; si formavano coppie, crepitavano baci, zigzagavano occhiate.
Non tutti, però, erano presenti sul posto.
Tre elementi, infatti, mancavano all’appello.
Ziggy Jordan, Aussie Spinnet e Kitty (così era solito chiamarla Oliver Baston la cui assenza, quella sera, era percepibile ad un livello quasi fisico) Bell si trovavano all’esterno, nei Giardini del Castello, seduti sull’erba a ridosso di una folta siepe di bosso opportunamente rinfoltita tramite apposito incantesimo allo scopo di nasconderli meglio.
Chiacchieravano allegramente, i tre amici; si scambiavano battute, ridacchiavano e sfumacchiavano.
- Sarà ancora tutto intero? – domandò Alicia vagamente preoccupata, le iridi verdi attraversate da uno sprazzo di senso di colpa
- Ma sì – minimizzò Katie dando un tiro di sigarettina ricreativa, per poi ripassarla delicatamente a Lee. – Cormac se la cava sempre, ve lo dico io che lo conosco come le mie tasche.
- Per tutti i voodoo della bisnonna, però – commentò il ragazzo, assorto. – Cormac ha fegato, parola mia.
L’”incidente” di cui parlavano era avvenuto poco prima.
Lee e Alicia si erano accordati per andare al ballo insieme; e Katie, non potendo contare sulla presenza del fidanzato Oliver, aveva finito per andarci con Cormac il quale, guarda caso, non era riuscito ad aggiudicarsi uno straccio di accompagnatrice.
- Oliver non avrà nulla da ridire su di te – aveva concluso Katie alla luce dei rapporti fraterni che la legavano all’amico; e così, poco prima dell’inizio del ballo, i quattro ragazzi si erano ritrovati in Sala Comune per scendere assieme.
Nonostante le loro magre aspettative, il quartetto si era divertito.
Avevano mangiato, bevuto, accennato qualche passo di danza nonostante l’espressione critica di Alicia, avevano fatto commenti caustici sulle ragazzine infiocchettate che giravano per la sala con il piglio di principessine esaltate e avevano riso assai.
Nel complesso, ogni piccola cosa era andata bene.
Finché, ovviamente, la situazione non era precipitata da un secondo all’altro.
Uno studente di Durmstrang, un tizio dotato di un paio di scure sopracciglia irsute e visibilmente alticcio, si era avvicinato di soppiatto al gruppetto e aveva picchiettato sulla spalla di Katie.
- Ciao, pella – le aveva detto. – Me lo concedi un pallo?
- Grazie, no – aveva cinguettato lei, facendo ondeggiare soavemente la frangetta corvina in gesto d’inequivocabile diniego.
- Appunto, pollo – aveva rincarato Cormac. – Fuori dalle palle.
Quello gli aveva rivolto un’occhiataccia torva.
- Ke fuoi, tu?
- La lady è impegnata.
- Ooooh! – aveva strillato Katie, drammatica, alzando il polso per mantenere celata la bocca piegata in una risata irrefrenabile mentre Lee e Alicia, senza premurarsi minimamente di nasconderlo, già sghignazzavano di gusto  - Difendimi da questo bruto, mio impavido Highlander!...
- Hai sentito, barbaro dell’estremo Est?
- Ma kome permettiti?!!
E la zuffa era scoppiata.
Katie, Alicia e Lee erano sgattaiolati fuori dalla Sala Grande, tenendosi con le mani le pance scosse dall’eccesso di risa, e si erano diretti di corsa alla volta dei Giardini.
 
- Le ginocchia?!
- Oh sì – rispose seriamente Alicia, annuendo decisa e scacciando col palmo della mano una nuvoletta di fumo. – L’uomo perfetto deve possedere ginocchia su-bli-mi.
Lee ridacchiò, scuotendo la testa.
- Con tutte le cose che l’uomo ideale avrebbe da offrirti, tu stai a guardare le ginocchia?
- Certo. Sono una conditio sine qua non – sentenziò lei, in tono definitivo.
- Quelle di Cormac non sono male – osservò Katie, decisa ad argomentare in favore dell’amico. – Capi di vestiario come i kilt valorizzano parecchio certi dettagli.
- Non male, è vero – concordò Alicia, dando un tiro. – E fra parentesi, gli scozzesi non mi dispiacciono affatto, in realtà. Ma le ginocchia di Cormac, purtroppo, non sono abbastanza... eleganti.
Katie fece tanto d’occhi.
- Mi chiariresti il concetto di ginocchia eleganti?!
- E che ne so – la giovane australiana si alzò con un salto un po’traballante. – Quando finalmente ne vedrò un paio, te lo saprò dire. Nel frattempo – aggiunse poi, stiracchiandosi voluttuosamente - che ne dite di mettere qualcosa sotto i denti? Sto coso mi ha fatto venire una fame...
- Affare fatto – concordò Lee, alzandosi a sua volta in piedi ed aiutando Katie a tirarsi su. – La fame chimica va sempre assecondata, si sa.
Insieme alle due amiche, il ragazzo si diresse quindi verso una porta-finestra della Sala Grande che era stata lasciata aperta, del tutto ignaro del fatto che, nel giro di pochi secondi, si sarebbe imbattuto in un’imprevedibile sorpresa.
Non avevano dato neanche un passo all’interno del salone, infatti, che Aussie Spinnet si fermò di colpo. Gli altri due, che procedevano dietro di lei, le andarono quasi a sbattere addosso.
- Ma per Godric, Aussie!...
- Ho le traveggole – mormorò lei, strofinandosi gli occhi con il dorso delle mani. – Che cosa accidenti ci hai messo in quel benedettissimo affare, Jordan?!
- Ma che cosa diavolo stai... – incominciò lui, per poi zittirsi all’improvviso.
Seguendo distrattamente lo sguardo di Alicia, anche lui aveva alfine avvistato ciò che l’aveva lasciata tanto sbigottita; e la visione, troppo incredibile per non essere frutto delle erbette della bisnonna, gli aveva provocato l’effetto preciso di una capocciata contro ad un muro di pietra particolarmente dura.
A poca distanza da loro, infilata in un vestito nero tanto aderente e scollato da fargli immediatamente seccare la saliva, c’era lei.
Lei: Gwenog Jones, in tutto il suo cupo splendore.
 
- Wohaaa – fu il primo commento di Alicia, subito seguito da un incredulo: - Ripper, maaan!
E posizionatasi alle spalle di Lee, che era rimasto impietrito come una longilinea statua di sale, gli assestò una rude spinta in avanti.
- Datti da fare, spiffy guy!
- Calma-calma-calma – intervenne Kitty Bell, colta alla sprovvista. - Che cavolo sta succedendo?
- La Jones!... l’One Love di Ziggy!...
- Che cosa?! – urlò Katie, sbalordita. – La tipa misteriosa... era lei?!
- Adesso – esclamò allegramente Lee, reso spavaldo dalla seduta fumogena di poco prima – vado là e le parlo.
E sottolineò i suoi propositi con un'energica scrollata di rasta.
- Fatti sotto, Ziggy! – lo incitò Alicia, infervorata.
- No! – Katie, istantaneamente ricolma di una misteriosa dose di buonsenso scovata chissà dove e terrorizzata all’idea di una reazione violenta da parte della Jones, cercava invano di fermarlo, trattenendolo per la manica – Non sei in te, Lee!... Ci farai una figura di merda....
- Non rompere le uova nel paniere, Bell!...
Ma non ci fu bisogno che Lee desse neppure un passo.
Fu Gwenog Jones, il bel viso adormbrato da un’espressione indefinibile, a muoversi a passo di marcia nella loro direzione.
 
Era letteralmente fuori di sé, Gwenog.
Si era sentita ferita e umiliata come non mai quando tutto ciò che Ludo aveva visto bene di dirle, trovandosela davanti dopo mesi che non la vedeva, era stato:
- Gwen?! Ehi, tu non dovresti essere qui!...
E lei si era sentita sciocca, sciocca, sciocca; una vera e propria cretina per Tosca, un’illusa, una debole. E così, resistendo all’impulso di spaccargli seduta stante la faccia con un manorovescio dei suoi, la ragazza aveva girato sui tacchi e si era allontanata fra la folla.
- Gwen!...
Ludo, probabilmente accoprtosi della sua indelicatezza, l’aveva richiamata; ma lei aveva proseguito imperterrita, troppo orgogliosa per piangere e furente come non mai.
E mentre, travolgendo al suo passaggio ignare studentesse agghindate come damine settecentesche, percorreva a grandi falcate il pavimento lucido della Sala Grande, uno spiraglio fra la folla si era aperto davanti a lei.
E Gwenog l’aveva visto.
Alto e di bell’aspetto, abbigliato con un’ampia tunica dai vivaci colori africani; un sorriso bianco come la neve e naturalmente simpatico sul bel viso color del caramello; e infine, annodati alti sulla sommità del suo capo a formare una corona dall’aspetto regale, morbidi dreadlocks decorati da cerchietti d’argento e palline di legno colorate.
Gwen lo fissò per un secondo, indecisa.
Dove l’aveva...?
Oh.
Il tizio della Finale.
Il ragazzo le sorrise, un po’ stupito, e Gwenog ebbe la fugace e insipegabile impressione che stesse aspettando proprio lei (e in un certo senso era vero, anche se lei ancora non poteva saperlo).
Istintivamente, avanzò ancora di qualche passo e lo raggiunse.
- Gwenog.
La mano di Ludovic Bagman si strinse intorno al suo polso, arrestando il suo incedere.
- Che cosa accidenti vuoi?! – ringhiò lei facendo accapponare la pelle di Katie e Alicia, che osservavano la scena col fiato sospeso. – Sono impegnata.
Bagman socchiuse gli occhi chiari e le rivolse un’occhiata codiscendente che la fece andare fuori dai gangheri.
- Ah sì?
- Sì – rispose lei, digrignando i denti. – Con lui.
E prima che Lee avesse il tempo di dire buonasera gli si accostò, gli allacciò le dita dietro al collo per tirarlo giù e lo baciò davanti a tutti.
 
Ad evitare l’esplosione del pandemonio più bieco, inaspettatamente, intervennero Fred e George Weasley.
Erano mesi e mesi che i due davano la caccia a Bagman a causa dell’oro dei Lepricani con cui lui, alla finale dei Mondiali, aveva pagato il suo debito di gioco con loro; e destino volle che i ragazzi, quella sera, avvistassero Bagman proprio mentre questi, in piedi al centro del salone gremito di gente sbalordita, osservava basito la piacente battitrice delle Harpies che baciava con trasporto il loro comune amico Ziggy Jordan (il quale, per dovere di cronaca, aveva risposto egregiamente all’iniziativa dell’audace donzella e, stese in avanti le mani per cingerle la vita sottile, si stava dando da fare con impegno encomiabile).
Certo: la scena in sé sarebbe valsa mesi e mesi di speculazioni succose e variamente ispirate, ma si sa: gli affari sono affari. E così, messi da parte gli istinti pettegoli, i due gemelli si buttarono a pesce sull’ex battitore degli Wasps nel tentativo di recuperare il maltolto.
Quello, fu, il vero motivo del pandemonio che fece seguito al fattaccio.
E quello fu, parimenti, il motivo che diede occasione a Lee Jordan, strappato alle labbra di Gwenog Jones dalla bisticciata in corso fra i suoi amici e il riottoso Ludo, di distinguersi ancora una volta per la sua prontezza di spirito.
- Vieni con me – disse il giovane Grifondoro alla sua improbabile accompagnatrice, dopo essersi sciolto dal suo abbraccio ed averle afferrato la mano. – C’è troppo chiasso, qui.
Senza attendere un suo cenno di consenso, se la tirò dietro fra la folla.
 
Il panorama che si godeva dalla torre era superbo, tantopiù in una notte stellata bella come quella.
I due giovani, in piedi uno accanto all’altra con i gomiti appoggiati al parapetto della finestra, guardavano lontano scambiandosi ogni tanto qualche rapida battuta.
In compagnia di quel ragazzo così semplicemente simpatico e positivo, brillante senza volerlo essere a tutti i costi, Gwenog era finalmente riuscita a calmarsi. Fu proprio lei a riprendere la parola, dopo qualche minuto di silenzio. La sua voce, bassa e un po’ roca, venne subito assorbita dalla coltre di buio che li circondava.
- Ti chiedo scusa.
Lui si strinse nelle spalle e sorrise nell’ombra, consapevole del fatto che, ad una tipa tosta e orgogliosa come la Jones, una semplice richiesta di scuse come quella appena proferita doveva essere costata parecchio.
- Mica mi offendo, io – le rispose allegramente, cercando di sdrammatizzare. – Lee Jordan sarà sempre al tuo servizio, se in questo modo ti potrà essere utile.
Lei si voltò verso di lui, intrigata dalla sua simpatica spavalderia che, sotto sotto, la fece sorridere.
- Lee Jordan, hai detto?
Lui le rivolse un’occhiata corrucciata.
- Non... non lo sapevi?!
- No.
Diretta come un Bolide, per Godric.
- Fa niente. Adesso lo sai. E puoi anche chiamarmi Ziggy, se preferisci.
- Cercherò di ricordarmelo – gli rispose lei, socchiudendo gli occhi in una smorfia di sufficienza.
- Brava.
Lee aveva intuito che Gwenog non era un tipo con cui scherzare, ma averla lì ad un tiro di schioppo era un evento più unico che raro, un’occasione che non poteva permettersi il lusso di perdere. La luce della luna illuminava la pelle ambrata delle braccia e del decolletée della ragazza, mettendo in risalto le forme armoniose del suo bel corpo fasciato dall’abito scuro.
Lee, manco a dirlo, si sentiva sobbollire a fuoco lento.
Cosicché, spinto dalla sua coscienza in veste di mini-Aussie seduta sulla sua spalla, il ragazzo decise di osare.
Mal che la vada, mi becco uno scappellotto.
- Ti posso lasciare una Ricordella? – le chiese allora, a bruciapelo.
- No, grazie. Ho la brutta abitudine di frantumarle a colpi di mazza, sai com’è.
- Allora facciamo così – propose lui, staccandole i gomiti dal parapetto per inserirsi fra lei e la parete. – Te lo ricordo in un altro modo, se per te va bene.
Le sollevò il viso con delicatezza e la tirò a sé per farsela ricadere addosso; poi, chinatosi in avanti, premette con decisione le labbra sulle sue.
E Gwenog, andando oltre la più rosea delle previsioni, non se ne andò.
Lo baciò di rimando, invece, con quella furia un po’ brutale che gli faceva smarrire la lucidità spingendolo ad agire d’istinto; e gli si strinse contro, lasciandolo confuso ed infervorato. Quando però le mani del ragazzo, un po’ tremanti, si insinuarono sotto le spalline del suo abito del colore dell’ombra, Gwen si tirò indietro e si allontanò da lui.
- Dio, Gwen!... – boccheggiò Lee, tentando invano di trattenerla.
- No – lo freddò lei.
- Oh, ma per Godric... Non stavo...
Lei gli rivolse uno sguardo severo ma, sotto sotto, permeato di una (quasi impercettibile) vena di dolcezza.
- Sei un bravo ragazzo, Ziggy Jordan – gli disse, carezzandogli lentamente la guancia con due dita. – Fin troppo bravo, per me. E troppo giovane.
- Ma ho compiuto diciassette anni il cinque dicembre! – protestò lui, affannato e scompigliato come un polpo coi tentacoli in disordine.
Gwenog, però, non aggiunse altro; lanciatagli un’ultima occhiata si allontanò lungo il corridoio, trascinandosi dietro quella sua sbalorditiva silhouette ( troppo appetitosa per essere vera) mentre Lee, le lunghe dita infilate fra i rasta nel vano tentativo di darsi un tono, la osservava sbuffando fuori boccate di aria calda.
 
Post-scriptum.
Eppur si muove!... Sì, dai, qualcosa si smuove. Poco, ma si smuove.
Lee, invece, si smuove parecchio hehehe.
Dovevo approfittare di questi pochi giorni di stacco perché, fra poco, si riprende a pieno ritmo. Spero di riuscire a procedere quanto prima!...
   
 
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