Serie TV > Da Vinci's Demons
Segui la storia  |       
Autore: Amy W Gildeary    27/03/2019    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 15 - La Giustizia

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta della Giustizia rappresenta la conseguenza logica di ogni azione, poiché è ordine e armonia che scaturiscono dalla natura, alla cui base sta una giustizia universale. Indica integrità morale e spirituale che determinano onestà, disciplina e libertà di spirito. È regola ferrea, è conseguenza di errori. Può significare il giudice, il ministro, l’uomo di legge.
Può anche voler dire resa dei conti, verifica, prova superata, virtù.

 

 

 

Se davvero esisteva un Signore Iddio, un Gesù Cristo portatore della parola divina o uno Spirito Santo, quello era un buon momento per assistere ad una manifestazione terrena del potere della fede.

Nonostante le imposizioni che gravavano su di lei, per via dei suoi legami di sangue con il Santo Padre, Gemma credeva in Dio ed era cresciuta rivolgendogli la sua fede e le sue preghiere.

Sebbene la vita l’avesse messa a dura prova, più e più volte, si era rifugiata nella preghiera e aveva trovato conforto nella speranza che ci fosse un potere molto più grande di tutta l’umanità, una forza inspiegabile che potesse permetterle di dire Tutto accade per una ragione.

Le lunghe e affusolate dita delle sue mani avevano spesso stretto le perle del rosario, in molte preghiere silenziose e condotte nella solitudine che a volte riusciva a ritagliarsi.

Quando il peso del suo ruolo diventava troppo gravoso per poter essere sopportato, Gemma si nascondeva sotto pesanti mantelli di velluto e di broccato e fuggiva via, lontano da Castel Sant’Angelo e da San Pietro, per rifugiarsi in una piccola e anonima chiesa di Roma, una qualsiasi dove nessuno avrebbe pensato di cercarla.

In alcuni momenti di calma in Vaticano, papa Sisto la esonerava temporaneamente dai suoi incarichi e la esiliava a Imola, a governare la città. Per la contessa Riario, però, quelle non erano punizioni, ma preziosi momenti di pace in cui poteva tentare di illudersi di avere una vita normale, di essere solo una nobildonna, una delle poche donne a governare una città.

Anche in quei momenti, la fede era per lei un rifugio sicuro, in cui poteva nascondersi per tentare di scappare dalla realtà.

Da qualche giorno, però, Gemma si era ritrovata più e più volte ad alzare gli occhi al cielo e a chiedersi quale preghiera avrebbe dovuto invocare per essere aiutata dal suo Signore Iddio.

Leonardo era letteralmente scomparso da Firenze, senza lasciare traccia. Da un giorno all’altro, il geniale artista si era dileguato e, dopo aver setacciato ogni angolo della Repubblica fiorentina, i soldati della contessa erano giunti alla conclusione che da Vinci si fosse recato altrove, al di fuori del loro raggio d’azione.

Tuttavia, Gemma non si era persa d’animo. Afferrata una cartina e stesa sul tavolo del suo studio, aveva tentato di pensare come Leonardo e aveva individuato alcuni punti in cui proseguire la sua ricerca; un minuto dopo, dozzine di soldati e agenti del Vaticano erano stati sguinzagliati secondo le direttive della contessa Riario.

Fortunatamente, papa Sisto era troppo impegnato a inveire contro Lupo Mercuri e a maledire in modo molto colorito il Magnifico, per via della sua missione diplomatica a Urbino, per potersi accorgere della momentanea sparizione dell’ingegnere bellico di Lorenzo. E soprattutto, per accorgersi del fallimento di Gemma nel sorvegliarlo e nel convincerlo a prostrarsi al servizio della Santa Chiesa.

Ciò nonostante, la pazienza della giovane donna era stata messa a dura prova già molte volte negli ultimi mesi, e continuava a sfumare ogni volta che un suo agente metteva piede nel suo studio per portarle cattive notizie.

Quel pomeriggio, però, sembrava promettere una svolta. Alcune guardie svizzere avevano iniziato a parlare di un certo artista catturato in territorio francese, e in breve tempo la notizia era giunta alle orecchie di Gemma e del suo fedele braccio destro, Grunwald. Sollecitati a parlare, alcuni soldati le avevano promesso una conferma da lì a poche ore, seguita subito dopo dall’arrivo di Leonardo alle porte di Castel Sant’Angelo, legato e prostrato ai suoi piedi.

La contessa non voleva gioire prima del dovuto, ma quella poteva essere la fine della sua missione e delle minacce di Sisto, per cui non poté fare a meno di rifugiarsi nel suo studio e di rivolgere una preghiera al Signore, implorandolo di porre fine a quell’agonia. Ogni suo errore poteva facilmente diventare l’ultimo, e vivere con quel terrore nel cuore non poteva chiamarsi vita.

Fece appena in tempo a riporre il rosario nello scrigno, quando Grunwald fece il suo ingresso nello studio.

            «Contessa Riario», la chiamò lui, con un cenno di riverenza del capo.

            «Capitano Grunwald», rispose lei, congiungendo le mani davanti a sé. «Prego, potete entrare».

Non avendo previsto alcun viaggio o uscita, quel giorno Gemma aveva congedato le sue servitrici prima del solito, senza permettere loro di concludere la sua acconciatura. Alcune morbide trecce le raccoglievano delle ciocche lontane dal viso, ma lasciavano il resto dei suoi capelli liberi da costrizioni e morbidi lungo la schiena.

Sul campo di battaglia o in missione, la giovane donna aveva bisogno di pettinature più pratiche e composte, ma in altre situazioni poteva concedersi qualche piccola libertà. E dopo anni al suo servizio, anche Grunwald avrebbe preferito per lei una vita più serena, una vita molto diversa da quella che doveva condurre l’arma più potente del Vaticano.

            «Il messaggero che state aspettando dovrebbe arrivare tra pochi minuti», le comunicò, sperando di vedere una scia di sollievo sul suo volto.

            «Molto bene», rispose Gemma. «Restate pure. Avute quelle informazioni, ci accorderemo sul da farsi».

Il capitano annuì e la raggiunse accanto al suo scrittoio, con una mano già pronta sull’impugnatura della spada. Che fosse solo la forza dell’abitudine o un celato desiderio di difenderla, non avrebbe saputo dirlo nemmeno lui.

Vista la portata delle notizie che dovevano giungere in Vaticano, Gemma si aspettava di sentir bussare alla sua porta in maniera forte e decisa, non così debole da essere a malapena udibile.

Per un attimo si rivolse a Grunwald con uno sguardo confuso e scettico, vedendo nel volto del soldato la stessa diffidenza.

            «Prego», disse lei con fermezza, e d’istinto strinse le mani l’una nell’altra, cercando di resistere all’impulso di afferrare un qualsiasi oggetto dalla sua scrivania per stringerlo bruscamente tra le mani.

Dovette attendere qualche altro secondo prima di vedere la porta aprirsi, secondi che non fecero altro che innervosirla ancora di più.

            «C-con-contessa Ri-ario…», balbettò intimorito il piccolo messaggero.

Era di bassa statura, pallido come un fantasma e con il viso imperlato di sudore: considerata la fresca temperatura nella stanza, di sicuro non era una conseguenza dovuta al clima.

Il valletto chiuse la porta alle sue spalle ma vi rimase così appresso da poter lasciare la sua sagoma impressa nel legno, e nel mentre le sue mani tremolanti corsero a togliersi i capelli dalla fronte.

            «Sono proprio io, in carne ed ossa», rispose Gemma, con il suo caratteristico tono tagliente. «La stanza è molto grande e poco affollata. Non c’è bisogno che vi castighiate in un angolo», aggiunse, con falsa gentilezza.

A sottolineare il velato ordine, lo convocò con un cenno della mano a raggiungerla davanti al suo scrittoio.

Sperando di non essere notato, il messaggero prese un lungo e profondo respiro prima di obbedire alla richiesta della contessa. Tuttavia, lasciò ancora qualche passo di distanza tra lui e una donna il cui desiderio di mettere mano allo stiletto era sempre più visibile in volto.

            «Sto aspettando», lo informò Gemma, e fu la sua ultima frase di cortesia prima di passare alle minacce.

            «E-ecco… d-da V-vin-ci…», iniziò lui, con un filo di voce. «E-ecco, l-lui…», ma fu interrotto dalla contessa.

            «…è qui fuori e attende solo che voi lo annunciate prima di essere portato davanti a me in catene?», chiese lei, retoricamente. Quello stampato sul suo viso era il più falso dei sorrisi, ma fu ben compensato dallo sguardo truce che Grunwald rivolse al valletto; giusto in caso il piccoletto fosse lento di comprendonio.

            «…l-lui», tentò di nuovo il messaggero, ma prima di poter esitare ancora vide gli angoli della bocca di Gemma abbassarsi sempre di più, e il suo istinto di sopravvivenza gli strappò le parole di bocca. «…n-non è stato trovato, mia Signora», mormorò flebile.

Quel silenzio parve durare in eterno.

Grunwald rimase immobile al suo posto, pronto ad eseguire all’istante qualsiasi ordine; il valletto invece non osò alzare lo sguardo dai suoi piedi, neanche per un secondo.

Il mondo poteva anche essersi fermato, per quello che potevano saperne i presenti in quella stanza. Nemmeno la natura, appena fuori dalla finestra, parve azzardarsi a fare rumore.

            «Come, prego?», domandò Gemma infine, la voce calma e pacata.

Non sentendo tracce di ira, l’ultimo arrivato parve ritrovare un po’ del suo coraggio e rialzò lo sguardo verso la contessa. La vide serena, i lineamenti distesi, e quello che poteva tranquillamente essere un accenno di sorriso.

            «Ecco… la soffiata su da Vinci in territorio francese… si è rivelata falsa», rispose lui, concludendo la frase con un leggero inchino di scuse. «…non lo abbiamo trovato».

Seguirono altri istanti di silenzio.

Se prima quell’accenno di sorriso era stato di rassicurazione, ora iniziava a diventare vagamente inquietante, come un presagio di sventure. Il piccoletto cercò di trovare una via di fuga spostando lo sguardo sul capitano, ma vide solo un’espressione molto minacciosa che lo convinse a scegliere di guardare di nuovo il pavimento.

Era già pronto a pregare e a supplicare per avere salva la vita, quando accadde l’inaspettato.

Gemma rise.

Scoppiò a ridere come se si trovasse nel mezzo di un’amichevole conversazione con altre dame di corte, tutte troppo disinibite da qualche bicchiere di vino in più per poter rammentare le regole dell’etichetta.

            «Come avete detto?», domandò la giovane romana, ridendo. «Non lo avete trovato?»

Cercando di vincere la paura suscitatagli da quell’improvviso cambiamento d’umore, il valletto scosse la testa.

            «P-purtroppo no, contessa», balbettò con incertezza. «Non… non sappiamo dove si sia recato».

            «Nemmeno una vaga idea?», domandò di nuovo Gemma, con un tono dispiaciuto che fu presto sostituito da un’altra risata, mentre si alzava in piedi.

            «Sono… s-siamo, contessa. Siamo…», si corresse il messaggero. «…tutti mortificati per questo… fallimento», e quell’ultima parola uscì dalla sua bocca come una sentenza di morte.

Gemma finalmente calmò la sua risata e si limitò ad un largo sorriso sul suo volto.

            «Mortificati», ripeté tra sé e sé, abbassando lo sguardo. «Mortificati…», mormorò di nuovo, e lasciò calare il silenzio.

Il pugno che tirò sullo scrittoio fu così forte che scosse perfino Grunwald. Il giovane valletto invece non tentò neanche di soffocare un urlo di terrore.

            «Mortificati?!», gridò Gemma, con una tale rabbia nella voce che il piccoletto indietreggiò subito verso la porta. «I miei soldati falliscono di nuovo così miseramente, ed è questo tutto quello che riuscite a dirmi?!»

            «Contessa…», tentò di avvicinarla Grunwald, ma lei lo distanziò immediatamente con un secco gesto della mano.

            «Giorni e giorni di ricerche e di spedizioni, e venite a dirmi che un artista da quattro soldi è riuscito a lasciare l’Italia senza battere ciglio?»

Per la rabbia, Gemma tirò un secondo schiaffo contro lo scrittoio, ma non sentì nemmeno una punta di dolore superare la rabbia che le stava bruciando in corpo.

            «P-poss-possiamo…», tentò di dire il valletto, probabilmente per proporle una nuova spedizione, ma il capitano lo fulminò con lo sguardo e il giovane non proferì altro.

            «La totalità delle mie risorse e del mio tempo investita in questa ricerca, per tornare qui con un pugno di mosche? Vi sembra forse accettabile?», esclamò di nuovo la nipote del Papa, la voce così spezzata dalla collera da farle male in gola.

            «Contessa, possiamo tentare di nuovo», le disse Grunwald, nel tono più fermo possibile.

            «No!», gridò Gemma, voltandosi di scatto verso di lui. «No, io non tollererò alcun tentativo, non più. Io voglio risposte, voglio risultati, e li voglio adesso!», sibilò, puntando il dito contro la superficie lignea ad ogni parola.

Approfittando di quel breve margine d’azione, il povero messaggero dimenticò completamente l’etichetta e fuggì via dallo studio senza pensarci due volte. La contessa lo degnò appena di uno sguardo infastidito, prima di tornare a pensare alla missione.

Era stato tutto inutile. Tante ricerche, tanti tentativi per capire quale direzione avesse preso da Vinci, tante energie, eppure erano di nuovo al punto di partenza. E tutto per colpa di quel surrogato di giullare armato di pennelli.

            «Miserabile sciagurato…», sibilò lei, rivedendo davanti a sé quel ghigno di soddisfazione che era la sua firma.

            «Contessa Riario», tentò di nuovo Grunwald, facendo appello ai titoli per richiamare la sua attenzione.

            «Io non lo accetto», mormorò Gemma, a voce così bassa che il capitano fece fatica a sentirla. «Io non posso accettarlo», disse di nuovo, a voce più alta. «Non posso, e non lo farò».

            «…contessa?», provò lui, ancora, avvicinandosi di qualche passo.

            «Devo trovarlo», si ripeté, annuendo, come se stesse seguendo un discorso tutto suo. «Devo trovarlo, e costringerlo alla resa, a qualsiasi costo».

A quel punto, Grunwald lasciò perdere i limiti del consono e si spinse oltre un confine che molto raramente si concedeva di superare.

            «…Gemma?», la chiamò, usando volutamente il suo nome.

Il piano parve funzionare, e per un attimo la giovane donna si sentì distratta dal suo monologo e la sua attenzione fu finalmente catturata.

Grunwald la vide voltarsi verso di lui, ma ciò che vide in lei non fu solo rabbia e determinazione. Non vide la forza che distingueva Gemma da tutti gli altri, non vide quel fuoco bruciante che la rendeva semplicemente unica agli occhi altrui.

Vide paura.

Data la reputazione di Sisto IV, era una reazione comprensibile dopo aver ricevuto la notizia di un altro fallimento da parte dell’esercito romano e della sua guida.

Ma Grunwald conosceva il terrore che Gemma provava nei confronti del Santo Padre, e non era quello il caso.

Lei invece temeva di aver capito qual era la paura che le stava stringendo il cuore. Ben poche cose potevano spiegare quel sentimento angosciante e straziante che sentiva stringerle il petto.

Era paura verso tutt’altro.

Paura di provare qualcosa. Di nuovo.

            «Devo vincere», mormorò la contessa, con un filo di voce. «Non posso permettermi altrimenti».

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Dopo lo smarrimento di Leonardo, lontano da Firenze e da Gemma, era il turno della nostra contessa di trovarsi faccia a faccia con la situazione, senza un certo artista dalla mente geniale da minacciare di persona.

L’idea iniziale per questo capitolo era un po’ diversa, ma poi ci ho visto una bella occasione di approfondire la storia di Grunwald e il rapporto tra lui e l’arma preferita di papa Sisto, e devo dire che mi è piaciuto molto questo rapido passaggio ‘impazienza-risata isterica-rabbia fuoriosa’ di lei per l’imprevisto dato dalla partenza di Leonardo.

E con i due piccioncini divisi e lontani l’uno dall’altra, vi do appuntamento non fra due ma fra tre settimane. Diciamo che per rispettare la solita cadenza umm… dovrei litigare un po’ con… il fuso orario.

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Da Vinci's Demons / Vai alla pagina dell'autore: Amy W Gildeary