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Autore: Iridium Senet    31/03/2019    1 recensioni
La memoria è ciò che ci definisce.
I ricordi sono il nostro tesoro più prezioso.
E le storie sono ciò che da ad un popolo la sicurezza dell'esistenza su questo mondo.
Questa, signori miei, è la storia di come tutto incominciò, di come il Mondo che noi oggi conosciamo è nato... anzi rinato, come una fenice tra le ceneri.
Questa è la Leggenda di coloro che detenevano, e detengono ancora il sangue dei Draghi!
[YUAKI come se non ci fosse un domani]
(Forse il titolo cambierà...)
Genere: Fantasy, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aki/Akiza, Yusei Fudo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

* L’inizio è nella sua fine *

Era sospesa nel Nulla infinito.

Nero, oscuro e senza fine. Non aveva né sopra né sotto, né tempo né spazio; non aveva nulla.

Galleggiava senza peso, mentre l’unica cosa che aveva nella mente era solo… la sua morte.

Sapeva solo questo, non ricordava niente del perché e del come, tanto meno per quanto tempo lo fosse; potevano essere da due secondi oppure per secoli, non lo sapeva.

L’unica certezza che aveva era che fosse morta.

Oppure no? Ora che ci pensava non sapeva neanche quello.

Ma allora dove era? Cosa era successo?

Quando si fece queste domande, qualcosa dentro di lei si risvegliò. Era successo qualcosa, qualcosa di terribile, ma non riusciva a ricordarlo.

Perché non ricordava?

Cosa le era capitato?

Sapeva che doveva fare qualcosa di importante, ma non sapeva cosa.

Incominciò a farsi prendere dal panico.

Ma quando si è morti non si dovrebbe sentire solo la Pace?

Si guardò intorno, cercando una soluzione, mentre il terrore e l’ansia la stavano rodendo.

Se non era morta, allora dove si trovava? Cosa l’ha portata in quel luogo, se luogo si può definire?

Era importante ricordarlo, lo sapeva, ma più si sforzava più la verità le sfuggiva.

Cercò di muoversi, ma le membra erano pesanti come macigni e non rispondevano agli ordini del cervello.

Digrignò i denti, quasi ringhiando, ma nessun suono uscì dalle labbra.

Strinse i pugni con forza, mentre con non poca fatica riuscì a muovere una gamba, poi l’altra. E incominciò, lentamente, a muoversi.

Poco tempo dopo (o molto? Il tempo sembrava non avere senso in quel non luogo), una piccola luce si accese in quel nulla infinito. Sgranò gli occhi, mentre incominciò a muoversi più velocemente, verso quella piccola lucciola che rimaneva sospesa in quell’abisso.

Una speranza.

Più si avvicinava, più questa luce incominciò a prendere forma, divenendo solida. Quando arrivò nelle vicinanze, avanti a lei galleggiava una grande rosa fatta di piccoli soli dorati, che pulsavano leggermente, battendo come cuori.

Rimase a guardare, incantata, quel prodigio, per poi allungare con timore la mano, sentendo di dover toccare quel fiore lucente, quell’anomalia al centro di un immensità di cui non si comprendeva né il principio né la fine.

Appena sfiorò un petalo, la rosa aumentò la sua luminosità e una voce, dolce e potente al tempo stesso, le arrivò alle orecchie come un canto “Vedi la luce in mezzo alle tenebre, figlia della luna che illumina la notte.

 Ricorda, piccola Rosa, ricorda chi sei e troverai la tua forza. Ritrova ciò che ti è stato preso e combatti per la vita.

Ritrovati, figlia mia, ritrova te stessa e il mondo sarà salvato.

 Non dimenticare mai chi eri e che cosa hai portato!

La chiave della verità è in te racchiusa,

 ritrova le memorie e la guerra potrà essere conclusa ! 

Chiuse gli occhi, facendosi inondare da quel bagliore, caldo e avvolgente, mentre quel piccolo miracolo scoppiò, luminoso come una stella.

La luce aumentò, inondando di colori il nulla attorno, prendendone il posto, distruggendolo quasi con forza, e la circondò come una coperta.

Poi si sentì tirare verso l’alto con uno strattone, e incominciò ad essere difficile respirare.

Aspetta, ma prima stava respirando?

Poi, tutto ad un tratto, ogni cosa scomparì, e il dolore la percosse per tutto il corpo. Con un gemito, cercò di muovere una mano, ma si fermò subito, sentendo come una scarica elettrica che la scosse per tutto il braccio.

Prese dei grossi respiri, ma incominciò subito a tossire, sentendo i polmoni andare in fiamme. Quando l’attacco scemò lentamente, cercò di respirare più lentamente, mentre, pian piano, provò ad aprire gli occhi, che sembravano incollati. Li socchiuse leggermente, richiudendoli con un ringhio, sentendoli bruciare dalla luce a cui non era per niente abituata.

Ci riprovò di nuovo, cercando di sbattere le palpebre, abituandoli con calma. Un cielo grigio pieno di fumo fu la prima cosa che riuscì a vedere, distesa supina sulla terra. Riprovò a muovere le mani, sentendo che il dolore era divenuto più sopportabile e, puntellandosi con circospezione, cercò di alzarsi a sedere.

Con non poca fatica riuscì a tirare su il busto, mentre si asciugò una lacrima di dolore che era scivolata senza che se ne rendesse conto. Quando la vista divenne più chiara, si guardò intorno, cercando di riconoscere il posto. Ma quello che vide la lasciò basita.

Si trovava al centro di un enorme cratere ancora fumante, circondato da creste molto alte e frastagliate, e, per quanto era profondo, non riusciva a vedere nient’altro. Si guardò intorno, cercando la fonte di quella conca, ma non trovò nulla.

Strano, di solito una formazione del genere può essersi creata solo grazie ad un corpo molto grosso che si schianta a terra, giusto?

Scosse la testa, mentre riguardò nuovamente la cima di quelle pareti. Prendendo coraggio si alzò lentamente sulle sue gambe traballanti, cercando di rimanere in equilibrio. Barcollò un attimo, sentendo un peso sulla schiena che non aveva messo in considerazione. Si guardò indietro, alzando un sopracciglio.

“Ali?” Sussurrò, sentendo la gola in fiamme. Tossì di nuovo, talmente forte da farle lacrimare gli occhi di nuovo.

Rimase interdetta, riprendendo fiato, ma poi, come un flash, ricordò. Ce le aveva da sempre. Quelle sue fide compagne, dalle grandi piume fatte di enormi petali di rosa, di un porpora acceso e bordate di nero pece. Le sfiorò con le mani, quasi a scusarsi per non essersi subito rammentata di questa conoscenza, per poi passarsele tra i lunghi capelli rossi, cercando di districare i nodi creati da quei fili dal colore dell’alba.

Con un sospirò, aiutata dalle immense appendici che aveva sulla schiena, si arrampicò sulla parete che circondava il cratere, cercando di comprendere un po’ quello che era successo. Quando arrivò in cima si asciugò il sangue che fuoriusciva dalle piccole ferite che si era fatta aggrappandosi alla pietra, prendendo fiato. Ma quando alzò lo sguardo, il respiro che stava facendo le si bloccò in gola.

Distruzione.

Ovunque i suoi occhi si posavano.

Intere foreste lacerate, dove ancora gli incendi continuavano a bruciare, disgregando quel poco che era rimasto. Rovine di una grossa città, interamente rasa al suolo, mentre in lontananza si potevano scorgere i monti, che facevano da barriera, spezzati, rotti, incredibilmente disintegrati.

Rimase con gli occhi sbarrati a guardare quell’orrore, mentre un odore acre, mischiato con il pulviscolo delle macerie e la cenere degli incendi, le arrivò alle narici, bloccandole quasi i polmoni, facendole contorcere le viscere.

Rabbrividì, mentre qualcosa dentro di lei urlava orrore e disperazione, mentre un coltello invisibile le pugnalò il cuore, facendolo sanguinare.

Cosa poteva aver fatto tutto questo? Nulla di questo mondo poteva causare una cosa del genere.

Una fitta alla testa la fece gemere, mentre tutto il corpo sembrò paralizzarsi. Sembrava che qualcosa le stesse graffiando dall’interno del suo cervello. Strinse con forza le tempie, accasciandosi a terra, mentre tutto ciò che aveva intorno a se, tutti i suoi sensi, incominciarono ad affievolirsi, scomparendo dentro una bolla di oscurità e dolore lancinante. In mezzo a tutto il caos riusciva a sentire urla e clangori di battaglia, ma, soprattutto, un ruggito che le era vagamente famigliare le fece tremare le membra. Un verso che, però, non riusciva a ricollegare in nessun modo, portando una sensazione di freddo vuoto nel suo petto.

Non seppe per quanto tempo si trovò prigioniera di quella visione dolorosa, ma, come era iniziato, il dolore si affievolì, poco a poco, facendola tornare a respirare, mentre tutti i suoi sensi ricominciarono a ritornare, riportandola alla realtà.

Cos’è successo?” pensò, massaggiandosi le tempie ancora pulsanti.

Le rispose solamente il rumore delle braci che scoppiavano.

 “Dove sono?” Si disse, con un sussurro, sentendo un macigno nel petto nel non sapere perché fosse in mezzo a quel caos.

Perché sentiva questa sensazione per un luogo che non riconosceva?

Un vento leggero sia alzò tra le case distrutte, ululando come un animale ferito, portandole il tanfo acre della morte. Si portò un braccio avanti alla bocca, trattenendo un conato per l’odore forte. Sapeva che, se si fosse incamminata verso l’origine di quel vento, avrebbe compreso un minimo cosa fosse successo a quella che sembrava una gloriosa ed enorme città.

Fece il primo passo, ed incominciò a muoversi.

Guardando attentamente dove metteva i piedi, sorpassando i detriti che trovava in ogni dove, camminò piano, riabituando le membra a quel movimento che sembrava non appartenerle più, mentre le ali venivano trascinate come uno strascico, troppo grandi per poterle allargare con ancora la poca forza che aveva in corpo.

Scavalcò un ultimo masso in mezzo a quella che, una volta, doveva essere una strada e sorpassò l’ultima casa distrutta. Quasi rischiò di cadere nello strapiombo che si materializzò avanti a lei, in quanto, a causa del vento e dall’ansia, aveva sempre guardato a terra e, dopo aver riacquistato l’equilibrio e attaccandosi ad un tronco mezzo bruciato, alzò lo sguardo lentamente.

E li, desiderò ardentemente che in quel cratere la falce nera si fosse abbattuta su di lei.

Cadde in ginocchio gemendo, ghiacciata.

Sotto di lei, oltre il rialzo in cui si trovava, si estendeva una immensa pianura.

Una pianura cosparsa di sangue e corpi mutilati. Corpi di persone come lei. Corpi di esseri come lei.

Grandi e piccoli, trasformati o no.

Morti.

Distrutti.

Freddi e inespressivi.

Tutti quanti.

Lasciati a marcire da chissà quanto tempo, mentre il tanfo orribile dei cadaveri le inondò le narici, facendola quasi svenire.

Quasi come un flash, seppe. Seppe che quelli che ora non avevano più un briciolo di vita, e ghiacciati nei loro ultimi momenti di dolore e angoscia, erano il suo popolo.

Il suo glorioso e potente popolo.

Lacrime di sangue caddero dai suoi occhi dorati, mentre tutto il suo corpo era percorso da spasimi di dolore. Si portò le braccia all’addome, stringendosi come a proteggersi, mentre si piegava verso la terra, senza, però, riuscire a distogliere lo sguardo da quello spettacolo orribile.

Erano tutti morti.

Tutti.

Artigliò la terra, trattenendo a stento un grido che proveniva dal profondo della sua anima.

Erano la sua vita e la sua gioia, erano i suoi fratelli, la sua famiglia. Erano il suo tesoro più prezioso.

Ed ora tutto quello che rimaneva era solo la morte.

Sentì uno a uno tutti i legami spezzati e ogni morte fu una pugnalata al suo cuore, lasciandolo lacerato e distrutto.

Avanti a sé aveva la certezza che tutto ciò che amava, tutto ciò che la rappresentava, non c’era più.

La rappresentava…

Sgranò, se fosse possibile, ancora più gli occhi, mentre portò lo sguardo alle sue mani.

Cosa rappresentava lei per la sua gente?

La sua gente?

Certo che erano la sua gente… o forse no.

I suoi occhi guizzarono, mentre sentì l’arrivo di un attacco di panico imminente.

Fu in quel momento che capì la gravità della situazione. Perché si rese conto solo in quell’istante di una cosa fondamentale.

“Chi sono io?” Si chiese, in un sussurro.

La sua mente spezzata rimase vuota.

E il grido disperato che aveva bloccato le graffiò la gola, facendole scoppiare il cuore ormai martoriato.

“CHI SONO IO?” Urlò più forte, ai quei corpi e a quella distruzione, sperando in una qualche risposta. Ciò che ricevette fu solamente il silenzio, il silenzio di un mondo scomparso.

Di una civiltà di cui lei era l’unica rimasta.

L’ultima di un popolo che lei non ricordava.

L’unica sopravvissuta di un glorioso regno dimenticato.

“Chi sono io…” Pianse.

Pianse la ragazza dalle ali di petali, pianse per quello che aveva perso…e che non rimembrava.

Pianse, senza sapere che gli ingranaggi che erano stati bloccati si erano messi in moto quando riaprì gli occhi alla vita.

Pianse, senza rendersi conto di quella stella che, caparbia, aveva illuminato il cielo coperto dalle nubi di fumo di una distruzione completa.

Pianse, ma la sua Storia aveva appena avuto Inizio.

Da quella che sembrò essere la sua Fine.





Il nido del drago di comodo (...sempre troppo comodo)

Saaaalve gente bella!

....

ok... giuro... ho fatto il più veloce che ho potuto!

Ora... non posso promettere nulla... ma forse entro altre tre settimane avremo il prossimo capito.. credo.. spero...

Ok.. non faccio promesse che è meglio.. mi conosco abbastanza bene da dire che probabilmente avrò un altro momento pigrizia ehehehe

Per il resto.. spero che questo capitolo vi sia piaciuto...e che incominciate a capire un pochettino cosa sta succedendo (Spero vivamente di no.. perchè ho tutta l'intenzione di confondervi ancora di più muahahah)

Per il resto.. 

Ci si sente!!!!

     Ir S

  
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