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Autore: PaleMagnolia    21/07/2009    1 recensioni
Avete mai pensato che Dirk, Summer, Al e compagnia bella fossero (anche se in buona fede! XD) decisamente, inequivocabilmente e senza possibilità alcuna di redenzione, una gran massa di allegre Mary Sue (sì, anche gli uomini)?
Io, con tutto il bene che voglio a Clive e ai suoi personaggi, l'ho sempre sospettato, in fondo in fondo (sapete, giusto quando parla, ehm, dei capelli più rossi del fuoco, degli occhi più verdi del mare, delle chiappe alte come montagne e sode come marmo, delle notti di passione selvaggia - unghie che si conficcano, sudore che scorre a fiumi, ormoni che girano in ciabatte per la stanza - del coraggio sovrumano e dei muscoli guizzanti); e, con la presunzione e le manie di grandezza che mi contraddistinguono, ho autonomamente deciso che qualcuno dovrà fargli abbassare le penne. E quel 'qualcuno' sarà proprio...
Genere: Parodia, Demenziale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo un po' più lungo del solito, ma non illudetevi. Non è più intelligente dei precedenti. Nè meno idiota, malfatto o ridicolmente privo di logica.

Nel caso non si fosse capito, io Rudi Gunn lo amo male.



“Ti andrebbe di lasciar perdere per un po’ il lavoro d’ufficio e accompagnare me e Darla a controllare l’andamento del nostro

“Ti andrebbe di lasciar perdere per un po’ il lavoro d’ufficio e accompagnare me e Darla a controllare l’andamento del nostro progetto oceanografico nel Sud del Pacifico?”

 

Summer avrebbe dovuto sapere che c’era qualcosa di losco sotto a quell’offerta.

Continuava a ripeterselo.

Come avrebbe dovuto notare la gomitata che Gunn aveva rifilato a Darla, a metà della frase, quando lei aveva provato a interromperlo con un ma che diavolo...?;

Per tacere del fuoco incrociato di occhiate che si erano scambiati quei due.

“Non vorrai che quella venga davvero con noi?!”, diceva l’occhiataccia di Darla.

“Non essere ridicola!”, diceva l’occhiata ancora più truce di Gunn.

“E allora perchè diavolo le stai chiedendo di venire?”, diceva il sopracciglio alzato di Darla.

“Aspetta e vedrai”, diceva l’impercettibile scatto delle sopracciglia di Gunn.

“Oh. Ok.”, diceva il fatto che lei improvvisamente aveva smesso di protestare.

 

Ma tutto questo Summer non l’aveva colto.

Mentre i due comunicavano con gli occhi come due piccole spie russe, lei aveva solo pensato, con un senso di euforia: non vedrò più la fotocopiatrice.

Mai più.

Ma più più più.

Evvai.

 

E aveva visualizzato, come da copione, le spiagge bianche e assolate delle Hawaii, un mare più azzurro dei capelli della Fata Turchina, mojito che pioveva dal cielo e noci di cocco che si aprivano da sole al suo passaggio...

E, naturalmente, se stessa, sdraiata su un’amaca, che si rosolava per benino al sole tropicale.

E che, vestita solo di uno striminzito bikini rosso fuoco, un enorme cappello di paglia, un paio di occhiali da sole firmati (firmati da un qualche stilista italiano gay, s’intende: gli stilisti italiani gay a-do-ra-no mandare campioni gratuiti delle loro collezioni a persone come lei), e di un fiore della passione fra i capelli, sorseggiava margaritas all’ombra di una palma.
Mentre due muscolosi autoctoni in perizoma, unti da capo a piedi d’olio di cocco profumato, le massaggiavano i piedi.

Gratuitamente, s’intende.

Solo perchè avevano voglia di farlo.

Gli indigeni unti non sono lì apposta?

 

Summer aveva fatto un grosso, grosso, grosso errore di valutazione.

Ed era per questo che, in quel momento, invece di bere Blue Hawaii all’ombra degli indigeni unti, aiutava due ricercatori mingherlini a scaricare casse di costosissima attrezzatura scientifica dalla Last Attempt, vestita di uno striminzito bikini rosso fuoco... E una tuta blu cielo di due taglie troppo grande, con scritto NUMA in lettere bianche sulla schiena.

E un paio di scarpe da tennis.

E una bandana rossa in testa annodata alla bell’e meglio. Giusto per evitare di cuocersi il cervello sotto quel sole caraibico.

Sotto la tuta blu, Summer sudava come un caprone.

“Sembri un po’ Rosie The Riveter”, le aveva detto Darla, con aria di sincero apprezzamento.

Summer si era passata il dorso della mano sulla fronte per togliere il sudore. “Sono sudata come un caprone”, disse, strizzando gli occhi controluce per guardare verso la collega.

Darla la guardò con rinnovato interesse. Stava pensando esattamente la stessa cosa. Che sotto quella massa di capelli rossi ci fosse un cervel...

“Dio, che voglia ho di farmi un bagno coi sali profumati Avocado Del Diavolo di Lush... Dici che ce l’avranno, una vasca idromassaggio, su questa maledetta nave?”

No, decisamente no.

Darla si ripromise di non farsi più domande così ingenue.

“Ehi”, chiamò Gunn dalla plancia.

Le due donne si girarono verso di lui, schermandosi gli occhi dal sole con la mano.

“Se vuoi darti una rinfrescata, c’è una doccia per il personale, sul ponte B”, disse all’indirizzo di Summer.

Lei lo guardò, diffidente.

“Sul serio. Ah, fossi in te, passerei dall’esterno, prendendo le scalette di servizio, non stare a perder tempo su e giù per i corridoi della nave”, aggiunse.

“Perchè?”

“Perchè dall’esterno ci arrivi in un secondo, dentro invece stanno facendo manutenzione e perderesti tempo.”, spiegò, paziente.

“Uhm”, fece Summer, poco convinta. Gunn sparì di nuovo all’interno.

Summer rivolse uno sguardo sospettoso al punto in cui era stato Gunn, poi si guardò intorno, guardinga.

Infine, dopo aver valutato attentamente la cosa, scelse di entrare e di raggiungere il ponte B dall’interno.

Non era mai stata più desiderosa di una doccia in vita sua. Si avviò trotterellando giù per un corridoio, cercando di abituare gli occhi all’improvvisa mancanza di luce. Rispetto al riverbero accecante che c’era all’aperto, l’interno della nave le sembrava buio.

Sfregandosi gli occhi, svoltò a passo spedito verso destra... E sbattè violentemente e dolorosamente il naso contro qualcosa di freddo, metallico, e davvero parecchio duro.

“Ahi”, fece appena in tempo a dire, prima di sentire un suono tintinnante di metallo che rotola, e ritrovarsi coperta di vernice antiruggine dalla testa ai piedi.

“Oh, Dio, mi dispiace, signorina! Tutto a posto?” si sentì chiedere.

“Oh, accidenti, lo sapevo che sarebbe successo, stando in mezzo al corridoio con la scala e con la gente che entra da quella porta abbacinata dal sole... Avevo chiesto al Comandante Gunn di dire a tutti di fare il giro dall’esterno per evitarlo, ma si sarà dimenticato...”

Summer si guardò. Il barattolo di antiruggine aveva prodotto un pirotecnico getto arancione fluorescente, che aveva compiuto una parabola perfetta atterrando sulla sua tuta, sulla sua faccia, sulle sue scarpe e sui suoi capelli.

“Ora ho davvero bisogno di una doccia.”

 

“... Sapere che sarebbe passata per quel corridoio?”

“Le ho detto di non passarci.”

Darla aprì la bocca per dire qualcosa. “Ma...”, iniziò. Richiuse la bocca. “Oh”, disse infine, con una certa dose di ammirazione.

Gunn si tolse il cappello bianco da comandante e fece un inchino. “Grazie, signore e signori, siete un pubblico meraviglioso”, disse, sventolando il cappello e rivolgendosi ad una immaginaria platea.

Darla ridacchiò perfidamente.

Gunn sogghignò, si rimise il cappello, e tornò in plancia, a godersi dall'alto lo spettacolo di una imbronciatissima ragazza striata di arancione che, seduta sul ponte, fissava da lontano le luci del festival di Oahu con aria avvilita.


Grazie a tutti coloro che hanno seguito fino ad ora questo scritto insensato. Amo male anche voi.
  
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