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Autore: AdhoMu    01/04/2019    6 recensioni
SOSPESA
[Lee Jordan/Gwenog Jones]
Dice l'Oracolo:
“Se sei un amante sfegatato di Pluffe e Boccini e il tuo sogno è quello di diventare il più grande cronista di tutti i tempi, esistono grandi possibilità che tu perda la testa per una stella del Quidditch.
Attenzione, però: se la stella in questione è una battitrice del calibro di Gwenog Jones la testa, oltre che metaforicamente, rischi di perderla anche in modo piuttosto... letterale”.
Una storia d'amore a colpi di mazza, di reggae e di Gossip sportivi.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwenog Jones, Lee Jordan, Ludovic Bagman
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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5. Turn Your Lights Down Low.
 
Notizie dal fronte Londra-Pontwelly (dicembre 1994 – giugno 1995)
L’anno e mezzo trascorso dalla Vigilia di Natale 1994 era stato tutt’altro che facile per Gwenog Jones.
Di tutte queste cose Lee non era al corrente perché, oltre ad avere disdetto l’abbonamento a Tuttoquidditch subito dopo Pasqua 1995, il ragazzo aveva visto bene di farsi apporre da Angelina, che era bravissima con gli Incantesimi, un Muffliato Puntuale (o Incantesimo di Udito Selettivo, che permette di mantenere fuori dalla mente ciò che non vuoi sentire) e di maneggiare materiale quiddistico come riviste e simili solo ed esclusivamente indossando un paio di Seleziocchi, speciali occhiali in sperimentazione presso la Tiri Vispi Weasley che ti fanno leggere solo quello che ti va di sapere (Fred e George li stavano mettendo a punto per risparmiare agli studenti i dettagli pallosi dei libri di testo, come le note a pié di pagina e le didascalie delle tabelle, ma supplirono più che bene anche ai propositi del risolutissimo Ziggy).
Cosicché, deciso a mantenersi all’oscuro dalle vicende che vedevano coinvolta colei che gli aveva (quasi) spezzato il cuore, Lee aveva finito per perdersi la trafila di scandali e sventure che l’avevano vista protagonista.
 
Gwen aveva lasciato Hogwarts passando dal camino della Sala Comune di Tassorosso cui lei, in qualità di ex studente, aveva ancora accesso; era filata direttamente a casa dei genitori e, incurante dell’espressione sbigottita che si era dipinta sul volto di sua madre quando questa l’aveva vista riemergere dal focolare domestico con le scarpe in mano, il rossetto sbavato e più scarmigliata che non al termine di una partita contro i Falmouth Falcons, era andata a stramazzare nel suo vecchio letto.
Inutile dire che, come regalo di Natale, la campionessa gallese aveva ricevuto un buon numero di insistenti richieste di intervista da parte di tabloid e rotocalchi scandalistici ingolositi dalla succulenta notizia che Gwenog Jones era stata vista baciare platealmente uno studente di Hogwarts forse ancora minorenne. Lei, ingrugnita (“Smettila di scocciare, ma’! Il tipo ha compiuto diciassette anni all’inizio del mese!” “Tu ti sei bevuta il cervello, Gwen!” “Ah, tutta colpa dei Bolidi che si becca in testa...” “Piantala anche tu, babbo!”), aveva rifiutato qualsiasi contatto e così, piccati, i magigiornalisti c’erano andati giù pesante pubblicando una serie di articoli che avrebbero fatto drizzare i capelli anche agli esponenti più liberal del Mondo Magico.
Tutto questo polverone, giocoforza, finì per agitare le acque al punto che la signora Jones, stufa di farsi quasi incendiare il salotto a causa delle Strillettere ignorate, dovette sigillare casa sua con un Fidelius rinforzato, il che però non impedì agli ufficiali giudiziari inviati dal Wizengamot per verificare l’eventuale "abuso su minore" di rintracciare Gwen alla sede centrale delle Harpies, cosa che fece imbestialire oltremodo la direzione del Club.
Insomma: se non si fosse trattato di una giocatrice eccezionalmente brava, Gwenog sarebbe probabilmente stata buttata fuori. Visto che però si trattava, per l’appunto, di un talento fuori dal comune, la sua “bravata” venne archiviata al prezzo di una ramanzina e di un paio di sbuffi malcelati.
Ma il Ballo del Ceppo e gli inghippi ad esso connessi erano stati soltanto l’inizio.
La situazione era rimasta in stallo all’incirca fino a Pasqua (periodo che era coinciso con l’auto-estraniamento da parte di Lee), per poi precipitare in maniera assolutamente allarmante nel decorso della primavera. I mesi di aprile e di maggio erano trascorsi in una sequenza di gravi sanzioni amministrative da parte della Federazione Magiarbitri ai danni di Gwen che, durante gli incontri, aveva spesso ecceduto in comportamenti aggressivi e antisportivi guadagnandosi anche un paio di espulsioni. Alla fine, per evitare la sua assenza per squalifica in finale di Campionato (nonostante i casini, le Harpies ambivano nuovamente al titolo), l’allenatrice McCormak aveva stabilito che Gwen non avrebbe partecipato a nessuna delle partite disputate nel mese di giugno.
Per una giocatrice sanguigna come lei, ovviamente, rimanere in panchina era stata una vera tortura, e più di una volta le colleghe in riserva avevano dovuto impedirle di avventarsi in campo armata di mazza.
 
Motivo di tanto disagio – anche se, a conti fatti, a collegare i fatti erano stati davvero in pochi - era stato l’annuncio pubblico, a metà marzo, dell’imminente matrimonio di Ludovic Bagman, che in estate sarebbe convolato a nozze con una certa Minnie Bobbins, presentata alla stampa nelle vesti di “fidanzata storica rimasta nell’ombra per motivi di riservatezza”.
Gwenog l’aveva appreso direttamente dai giornali e, quando l’aveva saputo, era letteralmente andata fuori di testa; e per fortuna che, quel giorno, sua sorella Hestia (una delle poche persone al mondo capaci di tenerla a bada) si trovava con lei. La reazione di Gwen aveva fatto sudare sette camicie alla stoica e coraggiosa Auror che, alla fine, era pure stata costretta ad impastoiarla per evitare la completa distruzione di un intero settore di Londra. Cosicché inevitabilmente, a fare le spese di tanta furia, erano stati gli sfortunati membri del Puddlemere United che, il giorno dopo, erano scesi in campo per affrontare le Harpies.
“Quella Jones è da rinchiudere” aveva dichiarato a fine partita Oliver Baston, il Portiere riserva della squadra gialloblu. “Mi sa che, vista la frattura scomposta ed esposta che ha procurato a Ritter, nella prossima partita agli anelli dovrò esserci io”.
Il tracollo definitivo era avvenuto a fine giugno, in occasione dalla Finale.
Da qualche giorno, inspiegabilmente, Ludo si era rifatto vivo e, con una certa insistenza, tentava di riallacciare i ponti con Gwen inviandole fiori, biglietti e regali (carissimi, ovviamente, come si confaceva ad un astro della sua portata). Lei però, per quanto disturbata e annebbiata, non era affatto una stupida e così, decisa a vederci chiaro, aveva finto di abboccare all’amo e l’aveva invitato nel suo piccolo appartamento londinese.
C’era però una cosa che Ludo non sapeva di lei, e cioé il fatto che Gwen era stata un’alunna molto brava in Pozioni: fatto che, unito alla sua più recente fama di Regina dei Bolidi, le aveva procurato un posto speciale nel cuore dell’ormai anziano professor Horace Lumacorno. E proprio a lui si era rivolta la ragazza alla vigilia dell’incontro con il suo ex affair; e dalla casa di costui, Gwen era uscita stringendo fra le dita un’ampollina di apparentemente innocente liquido chiaro.
- Accomodati Ludo – aveva sorriso Gwenog quando l’ex Battitore degli Wasps aveva fatto capolino dal suo caminetto decorato con ceramiche giallo zafferano.
Lui aveva fatto qualche passo, guardandosi intorno tutto sicuro di sé; aveva accettato il bicchiere di acqua fresca che Gwen gli porgeva e poi aveva notato la confezione di Cioccolatini Premium inviatale un paio di giorni prima, che ancora giaceva intatta sul tavolinetto del soggiorno.
- Credevo fossero i tuoi preferiti – aveva balbettato, un po’ a disagio.
- Oh, lo sono – aveva risposto lei stringendo appena gli occhi. – Ma domani gioco, sai com’è...
- Beh, ma almeno uno... che male potrà mai fare?...
Gwen gli si era avvicinata; lui aveva percepito una sottile sensazione di pericolo.
- Per-ché – aveva allora sillabato lei – vuoi tanto che io li mangi?
L’avava visto tossire e annaspare, nel vano tentativo di trattenere le parole che il Veritaserum gli spingeva letteralmente su per la laringe.
- Ho... ho... sco-sco-scommesso...
- Che cosa hai scommesso? – l’aveva incalzato Gwenog, gelida.
- Che... che... che le Harpies pe-pe-perderanno la pa-pa-partita – aveva biscicato Bagman, tentando disperatamente di tapparsi la bocca con le mani. – Ma con te in campo...
- Che cosa ci hai messo?
Il tono di Gwen ricordava quello della carta vetrata passata su una porta di vetro smerigliato: faceva accapponare la pelle.
- Infuso di Confondella! – aveva urlato lui saltando in piedi.
Gwen gli si era parata davanti, un’espressione terribile dipinta sul volto.
- Che cosa?! Come hai potuto, brutto bastardo...?!
- Ma... l’effetto sarebbe durato solo due giorni, massimo tre... – Ludo Bagman tremava e la fissava con i tondi occhi azzurri, disperato. – Ti prego, Gwen, cerca di capire... ce li ho addosso tutti... il Torneo Tremaghi... non è andato come doveva andare!... Ho un debito che...
Il pover (!) uomo non aveva avuto il tempo di finire la frase.
Un secondo dopo, Ludo Bagman giaceva col naso rotto sul tappeto del salotto di Gwenog Jones che, all’apice dell’ira, gli aveva appioppato un manorovescio dalla letalità catalogabile come XXXX.
Il giorno dopo, in campo, la battitrice gallese aveva dato il meglio di sé e le Harpies si erano aggiudicate la Coppa.
Lei, però, non aveva festeggiato con il resto della squadra.
Si era trascinata stancamente fuori dal campo, lontano dei flash e dai riflettori, ed era andata a sedersi sulla panca nello spogliatoio. Le sue compagne, rientrate dopo il giro trionfale dello stadio, l’avevano trovata riversa sul pavimento, scossa da brividi e semiaffogata in un lago di lacrime.
Gwenog Jones, povera ragazza, era ufficialmente esaurita.
 
Sede delle Holyhead Harpies, agosto 1996
“Lee Jordan” fu il suo primo pensiero al vederlo entrare nel salone al seguito della Johnson, la sua nuova collega. “Ma posso chiamarlo Ziggy”.
Gwenog Jones sorrise fra sé e sé, un po’ stupita dal fatto di ricordare simili dettagli. Eppure quello era proprio Lee Jordan detto Ziggy: l’aveva riconosciuto subito.
Lui non ci aveva messo molto ad accorgersi della sua presenza; anzi, in un certo senso sembrava quasi che fosse stata sua precisa intenzione cercarla. Gwen ebbe quell’impressione perché, una volta che lo sguardo vivace del ragazzo aveva incontrato il suo, non se n’era più spostato.
Senza muoversi dalla sua postazione, la ragazza lo osservò con un interesse e una curiosità che, per una persona che aveva trascorso tutto l’ultimo anno ostinatamente sintonizzata sulle sole frequenze del Quidditch, avevano un che di quasi miracoloso.
“È cresciuto” fu il suo secondo pensiero, subito seguito da un terzo pensiero che la fece sentire un po’ sciocca, ma che Gwen non poté proprio fare a meno di formulare.
“Ma che gran bel sorriso, per Tosca”.
Già.
Lee Jordan aveva proprio un bel sorriso, con quei suoi denti bianchi come la neve che spiccavano alla perfezione sulla pelle color del caramello, messa in risalto dai colori vivaci dei suoi abiti; e guardando bene, di bello, Gwenog si avvide che il ragazzo aveva molt’altro: gli occhi sorridenti, il profilo affilato, le mani dalle dita affusolate, le proporzioni del corpo alto e sottile, la corona di soffici dreadlocks annodati alti sul capo. Era assolutamente incantevole, tutto quanto, ohibò.
Il quarto, il quinto e il sesto pensiero la raggiunsero impietosi, scuotendola  con violenza dal suo rarefatto stato di muta ammirazione.
“Gli ho dato il due di picche”.
“È qua con la Johnson”.
Game over”.
Ad impedire lo scoperchiamento definitivo del suo flusso di coscienza, però, ci pensò Lee stesso. Il quale, dopo avere ricambiato il suo sguardo senza accennare ad abbassare gli occhi, si mosse dalla sua postazione e si diresse verso di lei con la sollecitudine di chi, per una volta, vuole trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
 
Sayin' ooh, it's been a long, long (long, long, long, long) time
I kept this message for you, girl
But it seems I was never on time
Still I wanna get through to you, girlie
On time, on time!...
(1)
 
- Ehilà.
- Ciao, Leejordanchepossochiamareziggy.
Lee proruppe in una risata cristallina.
- Ti ricordi di me?!
- Evidentemente.
Gwenog odiava le domande ovvie, ma gli rivolse un mezzo sorriso cui lui rispose appellando un paio di bicchieri da un vassoio di passaggio.
- Diretta come un Bolide.
- Sempre e comunque.
- Ottimo. Posso offrirti da bere?
- Visto e considerato che sei ospite del mio Club, volentieri – replicò lei afferrando saldamente lo stelo per poi domandargli: – Dov’è andata Angelina?
Il suo messaggio era chiaro: “Attento. So che sei qui con una ragazza”. Lui, però, sembrò non dare peso alla cosa e le rispose con una trasparenza disarmante:
- Sta cercando di introdurre di straforo un Weasley di mia conoscenza.
- Weasley, dici? Gran Cercatore, quel Charles.
Lee scosse la testa.
- Non quel Weasley. Un altro. Battitore, come te.
- Interessante.
- Beh, non bravo come te, ovviamente.
Gwenog era abituata all’adulazione; quando sei una supercampionessa del più popolare sport del Mondo Magico, capita sempre che qualcuno si voglia accapararre il tuo benvolere per poi approfittarne. Le parole che Lee le aveva rivolto, però, erano suonate incredibilmente sincere; e la cosa, per tutti i Tassi di Tosca, non mancò di imbarazzarla leggermente.
- E tu? – gli disse allora, per cambiare argomento. – Sei entrato anche tu di straforo?
- No – le rispose lui, tirando fuori dal taschino della camicia il tesserino di riconoscimento. – Sono qui in qualità di addetto stampa.
Gwenog strinse gli occhi, sospettosa.
Il fatto di aver trascorso l’ultimo anno lontano dalle luci della ribalta, concentrandosi solo ed esclusivamente sul suo lavoro, non le impedì di provare un moto di insofferenza nei confronti della classe giornalistica che più di una volta in passato, con le sue penne sferzanti, le aveva fatto mandare giù un bel po’ di bocconi amari.
- Scrivo per Tuttoquidditch – si affrettò ad aggiungere Lee che, probabilmente, aveva percepito il suo irrigidimento e non voleva che lei lo ritenesse un giornalista da gossip. – Dovrei coprire il ricevimento inaugurale... ehm, dal punto di vista... tecnico, sai.
Il suo tentativo di apparire serio e professionale la fece sorridere.
- Tuttoquidditch è una testata seria – gli disse allora, gentilmente. – Devi essere molto in gamba se ti sei fatto assumere così... ehm, giovane.
- Beh, per la verità – ammise lui, sorvolando diplomaticamente sul “giovane” e spostando il peso da un piede all’altro – mi assumono solo se riesco a portare a termine il mio primo incarico.
Gwenog si lasciò sfuggire una risata bassa.
- Quel vecchio volpone di Dillinger... – e senza pensarci, a Lee, che le rivolgeva un’occhiata alla “eh, che cosa vuoi farci”, la più famosa Battitrice della Lega Irlandese e Britannica di Quidditch si ritrovò a proporre: - Ti do una mano io a mettere insieme l’articolo, se vuoi. Che cosa ti serve?
 
Brisbane, Australia, fine settembre 1996.
Il gruppetto di giocatori ambosessi si diresse verso l’uscita del Club.
Sulla parete alle spalle dei due addetti alla reception, una scritta a caratteri cubitali recitava: "Wallgong Warriors”.
Dopo aver lanciato un’occhiata distratta a giovani che passavano davanti al bancone, uno dei segretari si alzò in piedi;
- Spinnet.
La ragazza dai lunghi capelli del colore del grano ancora umidi di doccia si fermò.
- Mi dica, signor Reyner.
- C’è posta per lei – le rispose quello, allungandole un aeroplanino di carta plastificata dall’aspetto piuttosto malconcio.
Mentre afferrava il piccolo velivolo e lo riponeva con cura nel borsone, Alicia sorrise. Conosceva soltanto una persona che si avvaleva di quel tipo di mezzo per recapitare una lettera. Chissà che non vi fossero buone notizie in arrivo dall’emisfero Nord.
 
Cara Aussie,
prima di tutto sappi che mi aspetto una tua lettera di almeno 56 centimetri, contenente le tue prime impressioni sul tuo esordio in Campionato Oceanico. E non osare rispondermi con tre righe striminzite giustificandoti con un banalissimo “ho poco tempo” o con uno dei tuoi deprimenti “sono solo una riserva”, sennò m’incazzo.
Qui a Londra le cose vanno bene, molto bene: tieniti forte perché la notizia che ho da darti è boombastica... Ebbene sì: mi hanno preso!!! Assunto a tempo indetrminato a Tuttoquidditch, ci crederesti?!
Sono davvero al settimo cielo, Aussie, come ben potrai immaginare.
Il signor Dillinger ha molto apprezzato il mio articolo sulla ripresa del Campionato; pensa che ora, per “premiarmi”, mi ha riempito di lavoro. Ma io sono contentissimo, eh, ci mancherebbe altro. Soprattutto considerando il fatto che parte del merito lo devo ad una certa Gwenog di nostra conoscenza.
So che questo particolare accenderà la tua curiosità come la miccia di una di quelle diavolerie irlandesi del vecchio Seamus Finnigan, ma per ora non posso proprio sbottonarmi oltre. Ti racconterò tutto nella prossima lettera, promesso.
Nel frattempo ti mando un bacione, sperando che la brezza del Pacifico ti stia facendo bene. Lasciali perdere i damerini inamidati; procurati un bel battitore maori che è meglio. E non fare la brava.
Lee
PS. Mi manchi. Mi sembra un secolo che ci siamo salutati al Terminal Passaporte Intercontinentali.
 
Londra, inizio ottobre 1996
- Ci siamo.
Lee si guardò alle specchio e alzò le mani; mentre con una teneva fermo il lungo rasta appena lavato, con l’altra faceva scivolare intorno ad esso uno spesso anellino d’argento brillante, l’ultimo di una serie di sette pezzi giunti il giorno prima a casa sua all’interno di un piccolo pacco proveniente dalla Giamaica.
“Sono nelle tue mani, nonnina” pensò il ragazzo, osservando il proprio riflesso con occhio critico. I sette anellini erano sistemati a regola d’arte; ora, tutti insieme, dovevano solo fare il loro lavoro.
“Ricordati, figlio mio” gli aveva scritto la bisnonna sul bigliettino inserito nella piccola scatola. “Tutti insieme fanno miracoli; sistemali bene”.
Aveva un disperato bisogno di sentirsi sicuro, Lee. Perché quella, proprio quella e nessun’altra, sarebbe stata la Serata della Svolta. E quindi, che la magia caraibica gli fosse complice, per Godric.
A fine agosto, come concordato, Gwenog lo aveva aiutato a comporre l’articolo che gli era valso l’assunzione; poi però, seppur esaurita quella scusa, entrambi si erano dati da fare per cercare altri pretesti e passare del tempo insieme.
- Credi che a Dillinger potrebbe interessare un trafiletto sul nuovo magiristorante macrobiotico appena aperto a Diagon Alley? – gli chiedeva lei, sprizzando un'ostentata professionalità da tutti i pori. – Gli sportivi lo adorano.
- Ma certo! – rispondeva serissimo lui, pur sapendo che il direttore di Tuttoquidditch l’avrebbe butatto fuori a calci se lui avesse osato proporgli un pezzo del genere. – Dobbiamo andarci assolutamente.
E così, calcando volutamente la mano al puro scopo di avere ogni giorno un motivo per vedersi, lui e Gwenog si erano frequentati per tutto il mese di settembre. Lee l’aveva seguita in lungo e in largo, sempre fingendo di prendere appunti su argomenti di cui non fregava niente a nessuno, e Gwen lo aveva trascinato incessantemente qua e là sforzandosi di scovare temi di cui, in realtà, non importava nulla neppure a lei ma che, in compagnia di Lee, riuscivano sempre a rivelare risvolti interessanti e divertenti.
Dai campi da gioco ai luoghi frequentati abitualmente dalle Sport Celebrities, l’inizio dell’autunno era stato per Lee il momento di toccare con mano quello che era, davvero, l’ambiente in cui si muovevano le superstar del Quidditch: un ambiente scintillante e patinato dove i Galeoni scorrevano a fiumi, e al tempo stesso un territorio insidioso e a tratti meschino.
Al seguito di Gwen, che lo presentava ai suoi famosissimi conoscenti come “il mio amico Ziggy di Tuttoquidditch”, il ragazzo ebbe modo di intrattenersi con alcuni dei più celebrati giocatori del momento e di aggiudicarsi interviste esclusive, che gli fecero guadagnare un sacco di punti agli occhi di Dillinger.
E Lee era felice, molto felice e professionalmente appagato; dall’altra parte, però, avvertiva la pungente mancanza di qualcosa; un qualcosa di sempre più urgente e pressante mano a mano che i giorni passavano.
Gwenog gli piaceva.
Al di sotto della sua scorza ruvida e dei suoi modi talvolta un po’ bruschi, che lui equilibrava alla perfezione con il suo pacato buonumore, Lee l’aveva scoperta simpatica e leale, sollecita e, a suo modo, anche affabile. E la trovava attraente, ovviamente, eccezionalmente attraente; soprattutto quando la vedeva indossare quelle belle tute da Quidditch un po’ aderenti e in grado di mettere in risalto il suo bel fisico sodo.
Oh sì, Gwen gli piaceva.
Gli piaceva da morire, in realtà; e la sua vicinanza costante non faceva altro che attizzargli instancabilmente il cuore e le membra. Aveva cominciato a desiderarla in maniera quasi intollerabile, e spesso e volentieri si perdeva via ad immaginare quali leggiadri capi di biancheria lei indossasse al di sotto delle sue tute elasticizzate del colore del sole.
Non aveva mai tentato nulla, però, e dopo un po’ aveva anche capito come mai.
Non era per paura di beccarsi un pacco. Non era uno stupido, Lee, e ormai lo aveva capito che, se non avesse nutrito un minimo di interesse nei suoi confronti, Gwenog non gli avrebbe mai dato corda. Si trattava più che altro del fatto che, in fondo, negli ambienti che frequentavano lui non riusciva a sentirsi del tutto a suo agio. Non era il suo mondo, quello. Aveva bisogno di trovarsi nel suo territorio per fare la prima mossa.
E così, risoluto, l’aveva invitata a trascorrere una serata in un posto dei suoi.
- Okay – aveva risposto semplicemente lei, annodandosi i capelli sulla testa. – Dove mi porti?
- Da Cataboo.
 
Il locale, che avevano raggiunto scendendo un paio di gradini dopo aver svoltato in un’anonima traversa di Diagon Alley, era piccolo e scuro, gremito di gente.
Il sottofondo di musica reggae era assordante e vagamente ipnotico.
Uno sguardo rapido tutt’intorno e Gwenog si era accorta che la maggior parte dei presenti usava ampi abiti colorati e grandi cuffie fatte a maglia, dalle quali spuntavano trecce rasta chilometriche. La comunità magica caraibica si ritrovava al Cataboo da tempi immemorabili e ciò era universalmente risaputo, ma lei non ci aveva mai messo piede.
Sorrisi bianchi lampeggiavano nella penombra, accompagnati da occhiate pungenti e un po’liquide; qualcuno la guardò con curiosità, qualcun altro sicuramente la riconobbe, ma nessuno si azzardò ad abbordarla. Le regole non scritte erano chiare: una signorina accompagnata, per quanto carina, non si tocca.
Gwen rivolse un’occhiata di sottecchi al suo, di accompagnatore.
Alto e di bell’aspetto, Lee faceva proprio una bella figura; i sette piccoli anelli d’argento scintillavano sul suo capo scuro, riflettendo la luce e catturando gli sguardi. E lui le indirizzò un sorriso caldo e poi, avvicinatosi per sovrastare il frastuono dei bassi che facevano rimbombare l’intero isolato, le disse:
- Questo brano è molto bello.
- Io non so ballare – replicò lei, completamente fuori contesto.
- Lo sospettavo – la rimbeccò lui, mettendosi a ridere in modo contagioso. - M
a io mica te l’ho chiesto, giusto?! 
Lei sorrise.
La vita condita col buonumore era, senza alcun dubbio, molto ma molto più interessante. Senza riflettere troppo, gli prese la mano e lo strattonò.
- Perché non mi insegni?
Gwen non avrebbe mai dimenticato lo sguardo che Lee le rivolse quando lei avanzò la sua proposta. Sentì che gli occhi del ragazzo la carezzavano per intero, facendola rabbrividire e desiderare di stringersi contro al suo corpo caldo, profumato di cacao, tabacco e vento di mare.
E lui si fece serio, si morse il labbro; poi le strinse la mano nella sua e, senza proferire parola, se la tirò dietro fino al centro della pista affollata.
 
Turn your lights down low
Never try to resist, oh no!
Oh, let my love come tumbling in
Into our life again!

 
Lentamente, al ritmo della musica, le prese le mani, una ad una, e se le posò sulle spalle. Le sue, di mani, le strinse invece intorno alla vita sottile di Gwenog avvicinandola a sé, aggiustandosi alle sue forme e guidandola delicatamente nel ballo.
Lee chiuse gli occhi e respirò fondo prima di abbassare leggermente il capo ed accostare la fronte a quella della ragazza. E poi piano piano, sempre lasciandosi condurre dalla voce profonda del basso, scivolò con il naso lungo quello di lei, mentre Gwen gli si stringeva contro più strettamente e gli infilava le dita nella morbida criniera per tirarlo giù, andando infine ad arrestare il suo incedere discendente nel momento il cui le loro labbra, dopo essersi dapprima sfiorate e riconosciute, si premevano con forza le une sulle altre.
 
Post-scriptum:
(1) Brano di Turn Your Lights Down Low, nella versione interpretata da Ziggy Marley.
Bene!
A questo punto direi che è fatta :) E bravo il nostro Buffalo Soldier che compatte il mondo a colpi di buonumore!
   
 
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