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Autore: Amantea    02/04/2019    17 recensioni
Ogni tanto torno alle origini , al mio amore per Loro.
Una Giornata qualunque della loro vita, descritta da André.
"[...]Scroscia forte la pioggia.
Batte sui vetri dell'armeria con un fragore d'inverno che non ricordavamo.
Ti sei fermata un attimo ad ascoltarla. Hai guardato oltre il vetro, nel buio del cielo mai schiaritosi, massaggiandoti un polso con le dita.
Mi sono sempre chiesto come impugnare la spada non te li abbia mai spezzati, quei polsi bianchi e sottili.[...]"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Una giornata qualunque



UNA GIORNATA QUALUNQUE

"Adesso che ci penso, trovo che era molto bella. Tutto dipende da come uno pensa a qualcuno."
(La vita davanti a sé, Romain Gary)



Sei nervosa oggi, perché piove.
Il tono di voce che usi di consueto ha una sfumatura aspra, che probabilmente agli altri non arriva, o non giunge diversa.
Paulette ti si è inchinata come le hanno insegnato, sfiorandoti appena con uno sguardo ossequioso e distratto. Si è pulita le mani al grembiale candido allacciato dietro la schiena, e con la solita alacrità ha dato aria alla tua stanza, ha raccolto i teli usati lasciati sul pavimento di fronte alla toeletta, per poi arieggiare le lenzuola e ricomporre ad arte il tuo letto con cuscini e coperte, annodando con cura i teli del baldacchino.
Lo so, e il resto lo immagino, perché io ti aspetto sempre sul corridoio, qualche passo indietro dalla porta aperta della tua stanza, uno spicchio da cui vedo la figura
indaffarata di Paulette, un lembo della sua gonna che passa rigonfio sotto al passo, la cuffietta bianca che si china senza sosta, mentre pulisce. E la tua figura slanciata e ferma, che dà gli ordini giornalieri, che saluta educatamente, e poi esce rapida.
I tuoi occhi sono su di me solo un istante.
"Andiamo, André". 
Dici sempre così.
Il giorno che non lo dirai mi preoccuperò.
E' una battuta che ti fa sorridere ogni volta.
Credo davvero che non possa succedere. Che non possa succedere che una mattina io non ti aspetti nel corridoio, intendo.
Se anche tu cambiassi disposizioni, sarebbe nel cortile che mi troveresti. O nelle scuderie. O al cancello, con César per le briglie, scalpitante.
Ecco. Credo davvero che nell'infinità di luoghi dove potresti essere tu, ci sarei io ad attenderti. O tu a volere che io ti aspetti.

Ma oggi una pioggia insistente cade fitta da prima dell'alba.
Mi sono svegliato presto, e l'ho sentita.
E' stato un evento imprevisto.
Ieri era una tiepida e soleggiata giornata. Una giornata come si presume che sia una giornata di settembre. Non c'erano nuvole al tramonto. Gli andavamo incontro, mentre rientravamo a Palazzo.
"E' un tramoto magnifico, André", hai detto.
Ho annuito. Se hai detto una cosa del genere è solo perché lo pensi veramente. La maggiorparte delle volte i tramonti sono ordinari, per te, e non meritano commenti.
Non hai tutti i torti. Conosciamo bene i colori che assume il cielo la sera: sono quelli, non altri. Ne abbiamo visti a migliaia.
E' che ogni sera per me è diverso: anche se non te ne parlo, avrei molte cose da descrivere e da farti notare. Una nuvola, una sbavatura di colore, un uccello in volo, un'ombra.
Credo che la tua ammirazione ieri sera fosse tutta per il rosso acceso che infuocava il cielo, e digradava in viola man mano che il sole calava, tingendo di blu e di scuro le colline e il paesaggio, tutt'intorno.
Raramente ti va di chiacchierare al ritorno da Parigi. Ho l'impressione che la tua testa, a sera, sia una scacchiera impazzita di pedine, ognuna da ricollocare al suo posto. 
Mi precedi di qualche passo, e se non mi fai cenno di affiancarti resto dove sono. E' tutta la vita che ti obbedisco. E conosco bene la tua urgenza di silenzio.
Ti guardo da dietro, leggermente spostato alla tua destra. Almeno lungo la strada occupo il posto che compete ad un uomo.
Intuisco la tua stanchezza dal modo in cui tieni le spalle. A volte ti forzi così tanto a restare diritta che raduni le redini in una mano e lasci l'altro braccio libero di ondeggiare. E' la tua unica ammissione di cedimento.
La tua andatura culla il mio sguardo.
Non c'è tramonto che valga la tua bellezza, Oscar.
So che è il mio pensarti a renderti tale ai miei occhi.
Perché non c'è istante in cui io non ti trovi bellissima. Neanche un poco storta sulla sella, o con il fango attaccato agli stivali, fino alle cosce, e la divisa impolverata.

Dopo un tramonto del genere la pioggia di stamani deve esserti sembrata un inqualificabile capriccio.
Avevi una giornata di riposo, e la pioggia ti costringe a rivedere i tuoi piani.
E' una delle cose che odi di più.
Tornare sui tuoi programmi, voglio dire.
"Andiamo, André".
Ti è uscito un suono disarmonico.
Ho sorriso. Non te ne sei accorta. Mi guardi qualche volta, Oscar? Mi guardi... veramente?
Hai indosso l'uniforme ugualmente.
Sorrido perché vorrei farti innervosire di più, ma non posso.
Anche io mi sono vestito come per uscire. Non so cosa tu abbia escogitato per oggi.
"Andiamo in armeria", dici.
Ecco. Sono perduto. Mi farai a fette. La pioggia e la tua rabbia, un connubio pericoloso.
L'armeria è fredda. E' uno stanzone con il soffitto a volta, nelle vetrine le armi di tuo padre, e di tuo nonno prima di lui. E poi le spade.
Me ne lanci una.
"Tieni".
Non devi aggiungere altro.
Sapessi quante cose penso, e non te le confido mai.
Penso che con la pioggia sarei rimasto volentieri a letto. Avrei cercato di riaddormentarmi ascoltando il ticchettio sul tetto, regolare, confortevole. Se fossimo stati bambini avremmo inventato storie al buio sotto una coperta per spaventarci a vicenda, nascosti da qualche parte. E poi la pioggia mi ispira altri desideri, Oscar, desideri, sai, che non ti potrò dire mai.

Mi affronti con la spada, ma non stai affrontando me.
Hai di fronte un nemico invisibile, e assieme un alleato perfetto per i tuoi allenamenti.
Perché io so esattamente cosa devo fare.
Devo prendere tutto molto, molto sul serio, anche se di allenarmi non ho alcuna voglia. Devo essere forte e preciso, perché non sopporteresti mai la verità che a volte ti faccio vincere. Devo essere credibile. E tuttavia non posso (e non voglio) ferirti. Credo che neanche tu lo faresti. Non volontariamente, almeno. Sarebbe un incidente, e in tanti anni non è mai successo.
Non tra di noi.
Tuo padre una volta ti fece uno bello strappo sulla camicia. Era la sua ennesima lezione. "Che sia l'ultima!" ti gridò.
Tu esitavi ad allenarti con lui. Forse per quella reverenza che gli porti per natura. Più lui ti voleva aggressiva e indomita, più tu ti trattenevi negli affondi. "Io non ho riguardi per te, Oscar. Non averne tu per me!" tuonò. Lo strappo fece il resto.
Riguardi non ne avesti più, ma lui dopo poco preferì affiancare me a te, dopo avermi personalmente istruito.
Eppure fra noi non è mai scorso sangue, neanche per errore.
Il tuo allenamento è un ripetere un teatro di mosse e posizioni dove l'annientamento dell'avversario non è previsto. 
O forse siamo così sincroni e preparati che finiamo sempre illesi. La mia spada vola via, a volte. Te lo concedo. E' un modo innocuo per farti ridere. E sapessi come sei bella quando lo fai. Come ti brillano gli occhi di malizia, come una bambina. Chissà cosa pensi di te stessa, Oscar. Cosa pensi della donna che sei diventata.  Della bambina che eri.
E di quello che siamo noi, adesso come allora, e non più come allora.

Scroscia forte la pioggia.
Batte sui vetri dell'armeria con un fragore d'inverno che non ricordavamo.
Ti sei fermata un attimo ad ascoltarla. Hai guardato oltre il vetro, nel buio del cielo mai schiaritosi, massaggiandoti un polso con le dita.
Mi sono sempre chiesto come impugnare la spada non te li abbia mai spezzati, quei polsi bianchi e sottili.
E' la tenacia saldata ai nervi che ti ha irrobustito le braccia.
L'onta del disonore, il piglio marziale dei Jarjayes. Se mai un giorno tuo padre ordinerà un tuo ritratto, è come Ares che ti raffigurerà, ne sono certo.
La sua figlia guerriera...
Ti dolevano talmente le braccia da bambina che a tavola non riuscivi neanche a spezzare il pane. E ingoiavi lacrime e molliche, pur di non chiedere a qualcuno di spezzartelo in bocconi.
Figuriamoci sollevare il cucchiaio.
E quando poi in cucina mia nonna ti faceva trovare la cioccolata coi suoi biscotti riquadrati, a misura delle nostre bocche, avevi anche il piglio di dire: "Sono già sazia, grazie", con un sorriso crudo che parlava di tuo padre, e non di te.
Mia nonna ti faceva portare tutto in stanza ugualmente. Perché ti conosceva bene, più di quanto potessi ancora conoscerti io. Non vista da nessuno, n
ella tua camera potevi piangere e mangiare, e anche imprecare se mai avessi saputo come farlo.
Sono la tua ombra, ma non posso esserlo sempre. Le nostre vite si dividono oltre il legno delle tue stanze, e della mia.
Chi sei quando nessuno ti vede, Oscar?

Quando lanci gli stivali ai piedi del letto, e ti togli la divisa. Quando ti pettini i capelli prima di andare a letto, contro lo specchio. Neanche Paulette può assisterti la sera. La tua stanza diventa il tuo regno irrangiungibile, fino all'alba. E non parlo di quando eravamo bambini. Allora sapevo bene chi eri. Chi era la bambina bionda che mi dormiva rannicchiata contro, nelle notti più fredde, con la bocca e le dita sporche di cioccolata, e la camiciola lunga fino ai piedi.
Chi sei quando nessuno ti vede, Oscar?


Quando hai ritenuto che l'allenamento fosse durato abbastanza, mi hai detto: "Bene, per oggi può bastare, André".
Hai sorriso, l'attimo che mi hai guardato.
Non ti soffermi mai a guardarmi. Perché?
Sono contento che tu ne abbia abbastanza. Ho la camicia incollata addosso dal sudore. Eri una furia. Te ne sei accorta?
Sono anche inciampato per non farmi infilzare, e ti sei messa a ridere.
"Dovrò cambiare compagno di allenamenti, André", mi hai detto, con un sorrisetto poco rassicurante, che non ti ha incurvato le labbra, ma ti ha stretto gli occhi a due linee blu.
"Beh, se preferisci allenarti con quel capellone di Girodel...", ho ribattuto.
Mi è uscito così. Per non portare mai la parrucca, ha dei capelli molto lunghi. E un po' ti assomiglia. Lungo, esile, dai lineamenti delicati. Una coppia in uniforme bellissima quanto stonata: tu che vuoi fare l'uomo, e lui che sembra quasi... Non farmi dire cose sgradevoli. Ne sento già troppe di voci nelle scuderie della Guardia Reale su di voi.
A partire da quel primo duello, lui che ti voleva fregare e tu che fra poco gli facevi volare via una mano.
Hai riso ancora. Sì, lo faccio di proposito. Un po' il buffone. Ci sono riuscito, me ne dò il merito: il nervosismo di stamattina è sfumato altrove.
Anche tu sei tutta sudata. Se non ti cambi quella camicia ti prenderai un malanno. Mia nonna ti ammonirebbe così.
In tanti anni di sudate e armeria non ti sei mai ammalata.

Ho trascorso alcune ore da solo.
Ho aiutato mia nonna in certe incombenze, ne ho ricavato una fetta di torta. L'ho rubata che ancora era fumante, e poi sono corso via, prima che qualcosa battesse contro lo stipite invece che sulla mia schiena.
Povera nonna...
Sono adulto ormai, e ancora mi lancia contro i suoi arnesi di legno. Ancora crede di potermi raddrizzare.
Non sa che io so benissimo come comportarmi. Solo che non lo voglio fare. Se me ne stessi al mio posto come un valletto qualunque... ma io non sono un servitore qualunque. Lo sanno tutti, qui. Per quanto possa essere fuori da ogni etichetta, a Palazzo Jarjayes ho una libertà e dei privilegi di cui ancora molti non si capacitano. E non ho pagato nessun prezzo per averli.
Il figlio della cuoca se la ricorda ancora la mia risposta. Gli è rimasto il naso storto, da allora. Però è servito.
La stalla profuma di caldo e di fieno.
Ho ingrassato e sistemato tutti i finimenti, ho strigliato i cavalli, ho sistemato il fieno per la notte. Ho spalato quello che era da spalare, il garzone farà il resto.
Ascolto ancora la pioggia, qui dentro.
Batte sul tetto, e si modula sul legno, e la grondaia in rame.
La terra svapora umidità. E' satura di acqua. Forse il cielo finalmente si aprirà, e domani riavremo  il sole. Il fango, e il sole. E sarà inutile aver strigliato i cavalli e lucidato gli stivali.
Quante cose inutili facciamo, solo per il dovere di farle.

Mi sei venuta a cercare.
Non saprei come altro dirlo.
"Ah, sei qui André...".
Perché, in quanti altri posti mi hai cercato?
Hai la mantella carica di pioggia.
"Ho finito", ti rispondo.
Ripongo le ultime cose, mentre sei entrata al tepore della scuderia.
Non so tu cosa abbia fatto nel frattempo. Forse hai riposato, o hai letto qualcosa. Strano che tu abbia letto senza di me.
Tuo padre non c'è, ma forse ti aveva lasciato degli incartamenti da studiare. Ancora ti fa studiare strategia militare. O i diari di guerra di tuo nonno.
"Ti aspetto in biblioteca".
Allora no, non hai letto da sola.
Sorrido mentre ti dò le spalle. Vedo la tua ombra ritirarsi, sento i tuoi passi che tornano umidi, sul selciato.
E un calore si spande nel petto, mi toglie il respiro. E' così ogni volta. Ogni volta che evito di guadarti perché tu non veda quello che mi agita il petto. Non sono sicuro che comprenderesti.
Eppure, ci deve qualcosa dentro di te, che sfugge alla ragione, come in me.
Qualcosa di istintivo, e nudo. Io so che c'è. Quando scatti di rabbia, quando ammutolisci di fronte a un quadro, quando ti infiammi per un'ingiustizia.
So che il tuo cuore arde come il mio.
Potessero un giorno bruciare insieme, Oscar. Che uomo felice, sarei. Anzi... che uomo. Nient'altro che questo. Sarei uomo.

Stavolta sei tu che mi dai le spalle in biblioteca.
C'è il vino anche, immancabile.
E il camino acceso, perché l'umidità della giornata ha penetrato le ossa, e ti scaldi a ridosso delle pietre calde.
Hai scelto qualche libro dagli scaffali, li hai appoggiati su un tavolinetto basso.
Lo so perché mi hai chiamato qui.
Prima arriveranno le disposizioni per domani.
I tuoi capelli riflettono il baluginio delle fiamme. Anche il profilo del tuo corpo lo fa. Arde da fuori ciò che non posso veder ardere dentro.
"Domattina torniamo in caserma, André".
Ecco. Lo dici,  anche se non ce n'era bisogno. Oggi è stata una giornata di riposo, domani torna tutto come sempre. Le Guardie Reali, e il resto.
Non ti aspetti una risposta, e io, infatti, non rispondo.
Domattina sarò a due passi dalla tua porta aperta, e vedrò Paulette, e il grembiale bianco, e la cuffietta operosa, e tu mi dirai "Andiamo, André".
Sarà una giornata qualunque, come lo è stata oggi.
Una giornata qualunque della mia vita assieme a te.
Sai che penso spesso a cosa avrei fatto se mia nonna non mi avesse portato qui da piccolo?
Alle infinite sfumature che la mia vita avrebbe assunto se le cose fossero andate diversamente per me?
Tu sembri non pensare mai a niente di diverso da quello che fai e sei.
A testa bassa nel tuo ruolo, come un mulo. Non è superficialità. Non è civetteria. Non reciti. Attraversi le sale dorate di Versailles come se tu fossi l'unica cosa autentica là dentro, e il resto non ti toccasse.
Non so come ci riesci. A non farti contaminare. A partecipare alle conversazioni più fatue e oziose e uscirne integra e vergine. A farti amare e odiare di pari grado e lasciarti scivolare tutto addosso, come se invece di un'uniforme tu indossassi un'armatura. Un tempo non eri così. Forse si impara a dissimulare? Si impara a farsi scudo del proprio valore?
Ho nostalgia di mia madre, a volte. Quel poco che l'ho avuta, l'ho avuta tutta per me.
Tu tua madre non l'hai avuta mai. Non l'hai neanche adesso, che pure è ancora viva.

Ti volti e ti accomodi sulla tua sedia preferita.
So che prenderai il calice in mano, e piano piano lo svuoterai, socchiudendo gli occhi, lasciando scivolare i capelli di lato, la testa un poco arrovesciata.
Mentre io leggerò le tue poesie preferite, i poeti latini, e poi Aristofane.
E' per questo che mi hai chiamato qui.
E io provo un sottile piacere a leggere per te.
La lettura è arte, come un dipinto d'autore. Non c'è pudore, o malizia, che si frapponga fra noi. E' solo la mia voce, che legge per te. La mia voce, e il mio cuore tutto, che leggono per te.
"Leggi per me, André".
No, non c'è più nervosismo nella tua voce. E' tornata bassa, e roca, come la conosco io.
E allora prendo la mia posizione, accanto al camino, dove la luce è più chiara, e mi permette di vedere bene il carattere minuto delle pagine. Svuoto il mio bicchiere d'un sol sorso, così che la testa diventi leggera.
Inizio, per te.
So anche già come finirà.
Mi intercalerai con i tuoi commenti.
"Oh, sì, la mia preferita!"; "Leggila ancora!"; "Ancora una, ti prego, André".
Io ti dirò a un certo punto che sei stanca. Che si è fatto tardi. Che non ho più voce, anche se non è vero. Che dovresti mangiare qualcosa per cena, invece che riempirti solo di vino. No, questo lo penso solamente, non posso dirtelo. Però è così. Non mangi nulla. Mentre la bottiglia è già a metà.
Poi lascerai il calice sul tavolino, e mi chiederai l'ultima lettura.
Non la terminerò. Perché i capelli ti copriranno lentamente il volto, e il tuo respiro si farà lieve. Perché chiedi sempre troppo a te stessa, senza riguardo, anche in un giorno che poteva essere d'ozio.
Allora ti prenderò tra le braccia e ti porterò nella tua stanza.
Respirerò il tuo odore, così maledettamente vicino a me, avrò per un tempo che mi sembrerà troppo breve il tuo corpo sottile contro il mio.
Ti adagerò sul letto, togliendoti gli stivali. Sospirerò scostandoti una ciocca dagli occhi, su quel tuo viso così innocente e stanco. E non mi azzarderò a fare altro. Perché io sono il tuo André.
"Leggi per me, André", mi hai appena detto.
E io obbedisco, come ho sempre fatto.
Inizio a leggere. Con tutto l'amore che posso... per te.


**************
Ogni tanto torno alle origini. Al mio amore per Loro.
Grazie a chi passerà di qui.
Un abbraccio, con affetto...
Amantea

   
 
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