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Autore: Mary P_Stark    02/04/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Artemide – 1
 
 
 
Atena sbatté le palpebre con aria confusa, svegliandosi di soprassalto quando un camion scoppiettante giunse nelle vicinanze di casa, scalando le marce con un gran grattare e infine fermandosi con un brontolio fastidioso.

“Ma che diavolo…” brontolò la dea, levandosi da letto cercando di non fare troppo rumore.

Con un mezzo sorriso, lanciò un’occhiata al torso nudo di Érebos, sdraiato nel suo letto e ancora dormiente.

Le lunghe e lisce chiome corvine erano sparse sul cuscino come un cielo notturno e, irresistibile, le tornò il desiderio di affondare le mani in quei capelli favolosi.

Adorava farlo e, forse anche per questo, Érebos non li aveva mai tagliati.

Erano passati circa due anni da quando, con un viaggio infernale in tutte le sue declinazioni possibili, lei e suo figlio erano riusciti a uscire dall’Oltretomba, e tutto grazie ai buoni uffici del dio dell’oscurità.

Érebos si era impegnato anima e corpo per trovare una possibile scappatoia che permettesse ad Alekos di lasciare il regno di Ade, mettendo in quella ricerca tutto l’amore provato per Atena.

Da quel giorno così lieto per la dea – in cui aveva anche ricevuto la rassicurazione che i ricordi di Miguel non erano andati persi nelle acque del Lete – Érebos aveva fatto spesso visita a lei e al piccolo Alekos.

Per la dea era stato bello tornare a condividere la vita con qualcuno, e anche Alekos aveva trovato piacevole passare le sue giornate con la divinità Ctonia.

Érebos si era dimostrato, se mai ve ne fosse stato bisogno, un uomo paziente e generoso. I primi mesi da quel difficile viaggio erano infatti stati duri, per Atena, combattuta tra la gioia per aver liberato il figlio e la tristezza per aver lasciato sola l’anima di Miguel nell’Oltretomba.

Anche per questo, il dio si era più volte recato nei Campi Elisi alla ricerca dell’anima di Miguel, lasciando che ogni volta la nebbia lo trovasse per lui. Avendolo salvato dalle acque del Lete, il suo potere era in grado di riconoscerlo tra le migliaia di creature che affollavano l’Oltretomba.

A ogni incontro, Érebos raccontava all’anima coraggiosa le avventure di Atena e di Alekos, di come vivessero la loro vita nel mondo dei vivi e, pur non avendo più i suoi ricordi, Miguel sembrava lieto di sapere di loro.

Alle successive domande del dio riguardo ai suoi ricordi, però, Miguel aveva sempre preferito non ricevere nulla indietro, non ancora sicuro di voler riavere i suoi ricordi.

A questo, Érebos si era strettamente attenuto, promettendo comunque all’anima di custodire ad vitam aeternam l’ampolla con le sue rimembranze finché non le avesse rivolute per sé.

Per questo motivo, il prezioso monile si trovava nel mezzo del salotto della casa di Atena. Pur sapendo che era impossibile – era necessaria una mente, per immagazzinare ricordi – la divinità aveva sempre sperato, lasciandolo in quel luogo ricco di calore umano, che potesse raccogliere in qualche modo le sensazioni provate da Atena e Alekos.

Un mugolio proveniente dal letto fece riemergere Atena dai suoi pensieri e, sorridendo, attese che il dio riaprisse gli occhi dal suo sonno.

Atena era affascinata da quello sguardo, che sapeva inglobare tutte le stelle del cielo in iridi del colore della notte. Per quanto passasse il tempo, non si sarebbe mai abituata.

Agape…” mormorò lui, infine destandosi e aprendo i suoi fantastici occhi.

Atena sorrise e, nel sedersi sul bordo del letto, gli carezzò il viso, su cui era apparso un filo di barba.

Le sembrava così strano poter avere un uomo ancora al suo fianco! Eppure, Érebos era lì, e la famiglia di Miguel non solo ne era al corrente, ma era ormai affezionata al dio Ctonio.

Era stato difficile, almeno per lei, presentare Érebos agli ex suoceri, a cui si era riavvicinata dopo anni di allontanamento forzato. Riaverli nella sua vita era stato bello e rinfrancante e, ora che almeno Alekos era nel mondo dei vivi, sarebbe stato crudele escluderli dalla sua vita.

Ma come spiegare la presenza di un altro uomo al suo fianco, anche se divinità?

Atena aveva vacillato, nel compiere quel primo passo, ma ogni sua paura era stata spazzata via dall’abbraccio di mamma Anita, che aveva rischiato di incrinare – per modo di dire – una costola a Érebos nel dargli il benvenuto.

Sia Anita che Carlos, il padre di Miguel, si erano dichiarati entusiasti di saperla con un uomo, e non più sola. Il fatto che fossero entrambi divinità, e il loro nipotino un semidio immortale, poco contava, per loro.

Fin dal primo momento in cui Miguel aveva ammesso con loro la verità, la famiglia intera aveva accettato la cosa come un dato di fatto. A loro era bastato che il figlio fosse felice.

Alla morte di Miguel, non avevano trovato strano l’allontanamento della dea e, parlandone con Anita, Atena aveva infine conosciuto i motivi del loro silenzio rispettoso.

“Vivendo in eterno, le tue emozioni sono dilatate in un periodo di tempo che io o Carlos non avremmo mai potuto capire, …perciò non solo abbiamo compreso il tuo bisogno di restare sola, ma lo abbiamo ritenuto l’ennesima riprova dei tuoi sentimenti per lui” le aveva detto la suocera, battendole affettuosamente una mano sul braccio.

Non avendo mai avuto una madre – nascere dalla mente di Zeus precludeva da simili piaceri – Atena aveva sempre ritenuto Anita una sostituta degna di tale nome, e anche per questo aveva molto temuto la presentazione di Érebos alla coppia.

Mai, per nulla al mondo, avrebbe voluto farli soffrire. Ma tutto era andato per il meglio e, anzi, il dio e il nipote erano spesso oggetto di affettuosi e calorosi saluti.

“Atena… ma cosa…” mormorò il dio, guardandola dubbioso.

“Scusa. Non volevo disturbarti” replicò lei, facendo spallucce prima di chinarsi verso di lui.

Dopo avergli dato un bacio leggero, disse: “Il rumore di un camion davvero vecchio – immagino – mi ha svegliato, così volevo capire chi fosse la causa di un simile fracasso la domenica mattina.”

Scostando le lenzuola di raso scuro, il dio si levò da letto in tutta la sua statuaria bellezza e, nell’afferrare la vestaglia, si offrì di accompagnarla e disse: “Non si sa mai. Magari dovrai affrontare un camionista grande e grosso… e io dovrò difenderlo dalla tua ira funesta.”

Atena ridacchiò divertita – Érebos trovava affascinanti le dinamiche umane, ed era diventato in breve tempo un assiduo frequentatore dei social network – e replicò: “Cercherò di contenere i miei istinti guerrieri, promesso.”

In quel mentre, anche Alekos uscì dalla sua stanza e, vedendoli in corridoio, decretò: “Ha svegliato anche voi, immagino.”

“Abbiamo tutti il sonno leggero, a quanto pare. Dovremmo parlare un po’ con Hypnos a tal proposito” chiosò Atena, circondando le spalle del suo tesoro di nove anni.

Alekos le sorrise allegro, saltellando a ogni passo e, quando i tre raggiunsero la porta, Atena aprì per curiosare all’esterno, già pronta a sfoderare il suo sorriso migliore… o la sua migliore interpretazione da donna infuriata. Avrebbe giudicato sul momento quale delle due opzioni scegliere.

Quando, però, scorse un camion scassato poco oltre il suo cancello d’ingresso e una smoccolante Artemide discenderne con tanto di capelli ritti in testa, la dea si chiese se fosse per caso finita in una dimensione parallela.

Érebos tappò immediatamente le orecchie ad Alekos e, sbattendo frettoloso le palpebre, borbottò: “E’ Artemide? O sto ancora dormendo?”

“No, purtroppo è lei” sbuffò Atena, esasperata.

Lanciato poi uno sguardo ai suoi due uomini, aggiunse: “Cominciate pure a preparare la colazione. Io vado a sentire cosa è passato per la mente a quella fulminata di mia sorella.”

Il dio ridacchiò divertito e, nel riaccompagnare Alekos in casa, promise al ragazzo pancake al caramello e spremuta fresca.

Chiudendosi la porta alle spalle, Atena avanzò quindi battagliera verso la divinità silvestre e, le mani sui fianchi e l’espressione bellicosa, ringhiò: “Arty, …ma che diavolo combini, a quest’ora del mattino?!”

La dea, sentendosi interpellare da una voce familiare, si passò una mano tra i corti capelli rosso fuoco – la sua ultima passione erano i tagli pixie – ed esclamò: “Atty! Ciao! Che bello vederti!”

Accigliandosi maggiormente, Atena avanzò ancora e borbottò a bassa voce: “Sorella, qui la gente dorme, di solito, la domenica mattina alle sette.”

La dea della caccia si guardò intorno confusa, scrutò le lame d’ombra prodotte dalle piante del viale come a controllare l’orario – non aveva un orologio? – e infine chiese: “Cos’è la domenica?”

“Oh, cielo!” gracchiò Atena, dandosi una gran manata sulla fronte prima di osservare disgustata il camion da cui la sorella era discesa, ormai pronto a morire in mezzo alla strada del suo nuovo quartiere.

Trasferitasi un anno addietro sulla 17 Miles Drive – ogni sei o sette anni, cambiava sempre zona per non insospettire troppo i vicini – Atena era fiera dei rapporti di buon vicinato che aveva instaurato.

L’arrivo della sorella, però, poteva vanificare in un colpo solo tutto il suo lavoro. La zona di Pescadero Point, sul lato opposto del promontorio su cui sorgeva Monterey, era molto tranquilla e silenziosa, e i fracassoni non erano graditi.

“Arty, toglimi una curiosità. Dove hai trovato questo reperto storico?” le domandò Atena, indicando il mezzo di trasporto arrugginito e dalle sospensioni cadenti che si trovava dinanzi a casa sua.

Battendosi un dito sul mento, Artemide replicò: “Dici che è per via della tua domenica, se non ho trovato cose migliori?”

“Decisamente sì” dichiarò la sorella, scuotendo il capo per l’esasperazione. “Senti, spegni quell’affare e poi spiegami dove hai dato la patente, visto che non mi sembra tu l’abbia mai avuta.”

Artemide sgranò leggermente gli occhi, arrossì suo malgrado e Atena, sibilando un’imprecazione tra i denti, ringhiò: “Vieni dentro, prima che qualcuno scopra che hai guidato fino a qui – non voglio sapere da dove – e senza avere il permesso di farlo.”

“Ma ho la patente, sorella! Davvero!” si lagnò Artemide, seguendola a grandi passi nella villa della dea della guerra mentre sventolava un tesserino patinato e fresco di conio.

“Quale, con esattezza?”

“Quella che hai tu, è ovvio!” si limitò a dire Arty, scrollando le spalle nel mostrarle la sua patente a mo’ di prova.

“Appunto…” sibilò Atena, chiudendo la porta d’ingresso per poi sospingere Artemide verso la cucina.

Gran parte del mobilio della vecchia casa era stato trasferito da Monterey a Pescadero Point, con l’ultimo trasloco. Nell’oltrepassare il corridoio d’ingresso, Arty quindi passò dinanzi alla foto del matrimonio della sorella e Miguel, oltre ad alcune altre che ritraevano il bel surfer su un’onda particolarmente impegnativa.

“Persefone ci stava chiacchierando giusto l’altro giorno, da quel che so. Érebos le ha insegnato come riconoscerlo” chiosò Artemide, indicando Miguel mentre passavano di fretta dinanzi alle foto.

Sorridendo appena, Atena assentì e disse: “Sì, lo so. Me l’ha detto. Gli piace sentir parlare di me e di Alekos, ma ancora non ha chiesto indietro i suoi ricordi. Credo sia più facile, per lui, ascoltare soltanto, senza provare il rimpianto di non essere con noi.”

“Così, almeno, non soffre di nostalgia ma può ascoltare dei racconti piacevoli” ne convenne Artemide, prima di salutare Alekos ed Érebos, già seduti a tavola. “Buongiorno a tutti!”

“Qual buon vento, Artemide?” domandò il dio dell’oscurità, sorridendole cordiale.

“A quanto pare, Arty ha deciso di traslocare” dichiarò Atena, scrollando le spalle.

La dea della caccia rise, di fronte allo sconcerto di Érebos e al sorriso estasiato del nipote e, poggiate le mani sui fianchi, esclamò: “Avrete compagnia, d’ora in poi!”

“Basta che non si trasferisca in toto l’Olimpo…” mugugnò Atena, scuotendo la testa per l’esasperazione.

Si era allontanata dalla Grecia anche per avere un po’ di pace e, per diversi decenni, era stata accontenta. Se in seguito ad Artemide, però, fosse giunto anche qualcun altro, avrebbe chiesto asilo politico a un altro Pantheon. Quello norreno le piaceva, e avrebbe potuto fare un bel dispetto al padre, facendo comunella con Odino.

“Oh, non fare la noiosa, Atty! Siamo una grande famiglia, e ci vogliamo tutti bene…” brontolò Artemide, dandole una pacca sulla spalla con una certa energia.

“Vallo a dire ad Afrodite… porta ancora i segni delle tue unghie sul fondoschiena. Ma le hai cavato la carne, quella volta?” le rammentò Atena, prima di fissarla con autentica curiosità.

Artemide ghignò fiera e disse: “Meritava una lavata di testa. Non mi si parla di Endimione come se fosse il primo uomo di passaggio.”

“Disse la dea femminista che non vuole essere messa in ombra da nessun uomo” sottolineò per contro Atena, facendola arrossire.

“Non ti ci mettere anche tu, Atty” la mise in guardia la dea della caccia, accigliandosi.

“Frena i bollori, cara. Sono in pace da secoli, e voglio continuare così. Dicevo soltanto che è opinabile il fatto che Afrodite avesse torto e tu no. Vi siete accapigliate per un uomo. Punto. E non è molto edificante… neppure per una dea quale tu sei.”

Artemide storse il naso, lanciò un’occhiata a Érebos chiedendosi se potesse o meno punzecchiare la sorella in merito al suo nuovo amante, ma infine si trattenne.

Dopotutto, Atena aveva già ampiamente dato, quanto a sofferenze, e non era il caso di farle battute idiote solo per avere l’ultima parola.

Era lieta che avesse un rapporto così sereno con il dio dell’oscurità, e che quest’ultimo non solo non fosse geloso di Miguel, ma che si prodigasse per dargli tutto ciò di cui avesse bisogno nell’Oltretomba.

Ben poche anime potevano vantare un simile trattamento di rispetto.

“Si lagna per un segno invisibile” chiosò quindi Arty, scrollando le spalle.

“Vallo a dire a lei. Anche l’altro giorno, su Instagram, si scusava per la mancanza di suoi nuovi selfie del lato B” la prese in giro Atena, facendo scoppiare a ridere i suoi due uomini.

“Quella maniaca dell’autocompiacimento. Ma se ha un sedere perfetto!” brontolò Artemide, scuotendo il capo per l’esasperazione.

Atena rise sommessamente e, nell’invitare al tavolo della colazione la sorella, si fece spiegare come fosse riuscita a trovare quel catorcio su quattro ruote che, solo per caso, somigliava a un camion.
 
***

Spacchettando l’ennesimo cartone – colmo all’inverosimile e, con tutta probabilità, ritoccato magicamente per contenere più cose del pensabile – Atena scrutò soddisfatta l’ampia camera da letto della sorella e disse: “Beh, direi che è ben diversa dal tuo tempio sull’Olimpo. Somiglia più a una stanza in stile savana.”

“Era quello che volevo” assentì lieta Artemide, sedendosi sul bordo dell’enorme letto a tre piazze per poi aggiungere: “Sono stanca dei marmi e delle colonne doriche del palazzo.”

“E ...” la punzecchiò Atena, imitandola.

“Perché ci deve essere per forza un ‘e’, sorella?” mugugnò la dea, accigliandosi.

“Non sei vanesia come Afrodite, perciò dimmi; cos’è che realmente ti rode il fegato?”

Artemide sostenne lo sguardo ferreo della sorella per pochi secondi, prima di crollare e reclinare il viso, nascosto poi dalle sue mani aperte a ventaglio.

Sorpresa da quella reazione, Atena le sfiorò la spalla con una mano e le domandò: “Tesoro, che succede?”

“Mi mancavi” mormorò la dea, affondando maggiormente il viso tra le mani.

“Come?” esalò Atena, sgomenta.

Vagamente piccata, Artemide borbottò: “E’ così difficile da credere? Con Afrodite non vado d’accordo, Eos mi odia per via di Orione, Era non mi sopporta perché la mia faccia le ricorda mia madre Leto, Demetra ed Estia stanno sempre per i fatti loro e le Muse sono smorfiose, tutte a vantarsi dei loro doni. Percy esce solo sei mesi l’anno dall’Oltretomba e, quando è laggiù, è sempre cheek-to-cheek con Ade, da quando Alekos non c’è più. L’unica con cui andavo veramente d’accordo eri tu, ma sei scappata dall’Olimpo, e quindi…”

Atena sospirò leggermente, trovando quel discorso un tantino infantile ma, preferendo non litigare con lei, asserì: “Magari, se affrontassi un po’ meno di petto le persone, non ti troveresti sempre a litigare con chicchessia.”

“Io NON AFFRONTO LE PERSONE DI PETTO!” sbraitò Artemide prima di tapparsi la bocca, sgranare gli occhi e sospirare demoralizzata.

Fissandola con sufficienza, Atena replicò: “Questa come vogliamo chiamarla, se non aggressione verbale?”

Artemide grugnì, preferendo non rispondere e la sorella sorrise divertita, scuotendo la testa per l’esasperazione.

“Dovresti andare in uno di quegli incontri per il controllo della rabbia, sai?” chiosò infine la dea della guerra.

“E cosa dovrebbero essere, scusa?” sbuffò la sorella, accigliandosi.

“Quello che ho detto. Le persone si incontrano ed espongono ciò che pensano, oltre a tentare di capire perché hanno questi colpi di testa improvvisi. Sembra che aiuti” le spiegò Atena.

Artemide non parve molto convinta, ma il suono del campanello interruppe qualsiasi sua replica.

Levatesi in piedi con estrema grazia, le due dee raggiunsero la porta d’ingresso e lì, allegra e sorridente, Anita Rodriguez si presentò con un enorme vassoio colmo di nachos al formaggio appena fatti.

“I ragazzi mi hanno detto che eravate qui a sistemare le cose di tua sorella, così sono venuta a darle il benvenuto” le spiegò la donna, consegnando ad Atena il vassoio per poi abbracciare una sorpresa Artemide. “Bienvenida, mi querida… sono contenta che Atena abbia sua sorella nelle vicinanze. Un po’ di compagnia fa bene a tutti.”

“Oh, beh… grazie, signora” mormorò Artemide, prima di lanciare un ghigno soddisfatto all’indirizzo di Atena, che sbuffò contrariata. “E’ un vero piacere fare la sua conoscenza.”

“Dammi pure del tu, tesoro. Come fa il caro Érebos” la corresse subito Anita. “Posso aiutarvi in qualcosa, care?”

Artemide si aprì in un sorriso tutto fossette e chiosò: “E’ adorabile, sai, sorella?”

“Lo so” ammise Atena, avvolgendo con un braccio le spalle esili della donna.

“Mettiamoci al lavoro per far diventare uno splendore questa casa” dichiarò a quel punto Anita, avvolgendosi le maniche del maglioncino di cotone.

“E sia!” assentì Artemide, già pregustando un bel lavoro di gruppo.
 
***

“… e così, Miguel vi disse di Atena praticamente subito” mormorò sorpresa Artemide, appollaiata sul bancone del piano bar mentre mangiucchiava un nacho con gran diletto.

Sorridendo ad Atena, che stava riponendo in uno stipetto gli ultimi prodotti di pulizia rimasti in giro per casa, Anita assentì e disse: “Riteneva che fosse assurdo portarci a casa una donna come lei, senza farci sapere il suo segreto più grande. Come avremmo potuto amarla sinceramente, senza saperlo?”

Atena le sorrise e, nel carezzarle una spalla, asserì: “Ero in pensiero, lo ammetto, quando ve lo disse, perché non sono cose che ci si aspetta di sentire, oggigiorno.”

“Sarei più sorpresa di scoprire che esistono persone oneste in Parlamento, credimi” ironizzò Anita, facendo sorridere le due dee. “Noi messicani abbiamo un misticismo molto più profondo rispetto a molte popolazioni, e credere nell’esistenza del divino non è così difficile, per noi.”

Gli occhi le divennero liquidi, quando parlò nuovamente di Miguel e disse: “Ti amava così tanto, cara, e ha passato degli anni splendidi, con te.”

“Sapere che ha serbato di me dei bei ricordi, è l’unica cosa che mi consola” ammise Atena. “Ma non è giusto intristirci così, quando nella casa accanto stanno preparando un barbecue per noi!”

Anita assentì con piacere e replicò: “Ci sarà anche Felipe, oggi. E’ riuscito a prendersi un giorno libero, e così ha preso un aereo ed è venuto qui.”

“Che bello! Sono mesi che non lo vedo!” esclamò Atena, lieta della notizia.

Artemide la fissò dubbiosa e le domandò: “Scusa, ma Érebos che dirà, vedendoti così felice al pensiero di incontrare un altro uomo?”

Atena sospirò e, scuotendo il capo nell’accompagnare fuori una ridente Anita, borbottò: “Felipe è il mio ex cognato, sciocca.”

“Oh… cioè, quel gran pezzo di uomo di tuo marito, aveva un fratello?” esalò Artemide, prima di scoppiare a ridere per l’imbarazzo.

Atena sospirò nuovamente e, rivolgendosi ad Anita, brontolò: “Scusala. Sta più tempo con gli animali, che con le persone, e questo è il risultato.”

“Beh, ma cara… dimostra soltanto di aver gusto in fatto di uomini” ironizzò Anita, facendo scoppiare a ridere le due dee.


 


N.d.A. A sorpresa è arrivata Artemide, a rendere più pepata la vita di Atena. Che dite, combinerà dei guai come sull'Olimpo? E la storia tra Atena ed Erebos procederà senza inghippi, o la presenza della dea silvana porterà scompiglio anche tra di loro?
  
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