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Autore: kurojulia_    04/04/2019    2 recensioni
Yuki ringhiò, stringendo i denti in una morsa dolorosa. Dannazione. L'unica cosa che potevano fare – l'unica che avesse un po' di senso, per lo meno – era quella di levare le tende. Eppure, la sola idea di lasciarli continuare a vivere, impuniti, la faceva impazzire come il più spregevole dei demoni. Se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta nella neve fin quando essa non le avesse raggiunto le ginocchia, e avrebbe continuato ad ucciderli. Fino all'ultimo.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NOTA:
Ragazzi, ci siamo. L'ultimo capitolo. Ho scritto la nota qui sopra perché sono particolarmente emozionata e in hype [?] quindi perdonatami se stona, proprio qua sopra, e... niente. Spero che vi piacerà. (vi consiglio l'ascolto di If you say so di Lea Michele)

 


 

 

21.

 

La carrozza si fermò a qualche metro dal piccolo orticello, alle spalle della casa, e l'uomo alla guida – un demone decisamente di poche parole – attese un paio di minuti prima di congedarsi; si assicurò che tutti furono scesi, diede una revisione veloce al veicolo e poi tornò al suo posto.
Oseroth si avvicinò all'uomo, mettendogli in mano un pesante sacchetto di tela. L'uomo lo ringraziò e dopo un veloce saluto, ripartì celere.

 

Oseroth osservò la carrozza allontanarsi e fece un piccolo sospiro.
Tornò dagli altri tre e nel farlo si soffermò ad osservare la figlia, avvolta da un giaccone nero che le calzava decisamente grande. Il ragazzo dai capelli bruni la stringeva a sé con un braccio attorno alle spalle, guardandola con occhi attenti, premurosi, vivi. Tetsuya, affianco a loro, teneva gli arti incrociati al petto in attesa, e circospetto ispezionava la boscaglia.
Con la mano sinistra, l'albina chiudeva il giaccone sul petto. Al suo anulare sinistro, Oseroth notò un luccichio.

Non che sia una sorpresa, pensò.

 

«Tetsuya», disse il demone, una volta che gli fu davanti. «e anche tu, Takeshi Katugawa. Vi invito a pernottare a casa nostra, per stanotte. Lo stesso vale per la ragazza umana».

Yuki sollevò la fronte, increspando leggermente la fronte.

«Ma no», rispose subito Takeshi. «Vi arrecherei solo disturbo».

«No, non hai compreso. Hai appena sconvolto i piani di un potente e odioso nemico. Direi proprio che non ti conviene passeggiare per la città in piena notte».

«Sono le due di notte», disse Tetsuya, adocchiando l'orologio del cellulare. «Indubbiamente, non ti conviene».

«... già. Ripensandoci, accetto volentieri l'invito».

Oseroth, in via del tutto eccezionale, sorrise. Era un sorriso talmente leggero da sembrare un miraggio. «Entriamo in casa», disse, velocemente, facendo sparire quella curva.

 

 

Ben volentieri, seguirono il consiglio di Oseroth, e si avviarono verso la porta d'ingresso. Calpestarono l'erba bagnata dalla rugiada, che scricchiolava sotto le scarpe, e girarono l'angolo svoltando a sinistra, arrivando dunque alla porta. Oseroth infilò la chiave nella toppa, composto come al solito, e quando sentì lo scatto secco della serratura fece per aprire la porta – quando venne letteralmente travolto da qualcosa.

O meglio, da qualcuno.
Kazumi era apparsa, così all'improvviso da generare scompiglio nel demone, con al seguito Ai e qualche metro prima Sayumi, che le raggiungeva affannata. La donna aveva letteralmente sovrastato il marito, gettandosi fra le sue braccia con un'energia unica, stringendolo forte. «Siete tornati», esclamò, soffocando il viso nella spalla del marito – del tutto impreparato a una forma d'affetto così... onesta.

Goffamente, le cinse le spalle e la vita, accarezzandole la testa con una mano. «Siamo a casa, Kazumi», fece una pausa, alzando gli occhi al cielo. «Sarebbe il caso se salutassi anche nostra figlia».

«Ma certo!». Con un nuovo e altrettanto vivace scatto, Kazumi si allontanò di fretta in furia da Oseroth, sorpassando i due ragazzi per arrivare all'amata figlia - con dolcezza, le prese il viso fra le mani, sollevandolo per guardarla negli occhi oro. «Figlia mia», sussurrò, lo sguardo ansioso. «Sei tornata da noi... ».

Ma a quale prezzo?

 

 

Intorno a lei, i suoi cari si abbracciavano e a tratti si consolavano; Sayumi aveva le lacrime agli occhi, voleva salutare la sua amica, ma stava aspettando, per non rovinare il momento tra madre e figlia. Ai era corsa al padre e l'uomo l'aveva rassicurata, chinandosi ad abbracciarla.
Stavano tutti bene. E lei era tornata a casa sana e salva.
Ma, ancora, a quale prezzo?
Quei due erano morti per farla scappare. Con un pugnale al cuore, fianco a fianco. Se si chiudeva in se stessa, riusciva a vedere nitidamente il loro sguardo spegnersi. Vacuo, grigio.

 

«Tesoro? Stai bene?», chiese Kazumi.

La mezzosangue si riscosse con un sussulto. La vampira dai capelli rossi era, se possibile, ancora più impensierita. «S-sì, sono solo stanchissima», si attraversò i capelli con una mano, un sorriso storto. «Mi dispiace che ti sia... preoccupata, tu e... tutti quanti».

«Non importa. E poi, non è stata colpa tua, ma... », la donna sospirò. «È... assurdo... doverlo dire, ma è stata solo colpa di Alyon»

«Ti ha fatto del male?». Yuki scostò lo sguardo, puntandolo su Sayumi, una mano sul petto. Aveva gli occhi rossi e lucidi e sembrava combattere con il sonno e la stanchezza. Anche lei, come l'albina, aveva ancora indosso quella stupida divisa scolastica. «Ti ha... ferito?».
L'albina scosse il capo, sorridendo mestamente, e si avvicinò a Sayumi. Le braccia la circondarono, tremanti.

 

«In un certo senso, lo ha fatto».

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il letto a baldacchino della mezzosangue era grande, molto grande, per cui poteva ospitare facilmente due persone adulte. Yuki, sebbene fosse stanca morta, aveva trovato la forza di farsi un bagno; aveva polvere sui vestiti, nei capelli e negli occhi, disgustosi residui di ragnatele e soprattutto di battaglia. Le ferite si erano rimarginate già da un po', lasciando qualche macchia di sangue e il suo tipico odore acre e ferroso – trattandosi solo di graffi e tagli, era stato un processo veloce e indolore. Allo stesso modo si erano comportati tutti gli altri e, anche se si erano sentiti parecchio a disagio, anche Takeshi e Sayumi non avevano resistito al richiamo della vasca da bagno e ad un sacco di schiuma.

Finalmente, l'albina poteva disfarsi della divisa e lasciarsi cadere nel letto.

Era felice che Sayumi le avrebbe fatto compagnia, quella notte – o meglio, essendo quasi le tre, si parlava di mattina.

 

Tutte e due si erano messe sotto le coperte, testa sul cuscino, stringendosi la mano senza parlare. Sayumi aveva spezzato quel silenzio complice.

 

 

«Ehy», sussurrò Sayumi, piano piano. «Sei ancora sveglia?».

Yuki mosse leggermente le palpebre, senza aprirle. «Sì, sono sveglia», rispose, con voce altrettanto bassa. Restò ancora qualche secondo con gli occhi chiusi e dopo un po', si decise ad aprirli. «Non hai sonno?».

«Sto morendo».

L'altra sorrise. «Allora perché non ti vedo dormire?».

Sayumi restò in silenzio, sollevando i due occhioni blu verso la testata del letto, come se lì ci fosse la risposta a qualsiasi dubbio – ovviamente, per quanto antica potesse essere quella casa, non c'era nessun sacro sapere. «Ho decisamente sonno», disse, muovendo appena le labbra. «Talmente tanto che potrei cadere a terra come un sacco di patate. Ma non voglio dormire. Ho paura che se chiudo gli occhi, al mio risveglio tu sarai sparita. E... », si fermò, riportando lo sguardo – calmo, concentrato – sull'amica. «... ho il presentimento che, da un momento all'altro, dovrà succedere qualcosa di ancora più brutto».

Yuki schiuse le labbra: aveva lo stesso presentimento. «Io non... », inspirò, quindi cacciò un sospiro. «Io non ho tutto questo ottimismo da pensare che nient'altro accadrà, da ora in poi. Non posso pensare una cosa del genere». Non che in genere avesse mai provato ad essere ottimista. Nossignore, non era nelle sue corde. «Tuttavia... se dovesse davvero succedere qualcosa, qualcosa di brutto», le teneva la mano, più forte, più coraggiosamente. «te lo giuro: vi proteggerò al costo della vita. Non lascerò mai che vi succeda niente. Mai».

Ma non era ciò che voleva Sayumi. Il suo sguardo si fece ansioso, piegato sotto la paura di perderla. «Io... », era così spaventata. Lo era stato per tutto il tempo, da quando l'aveva vista sparire oltre quel muretto. «Non voglio che tu ti faccia male. Non voglio che tu vada più da nessuna parte».

«Yumi... ».

«Quando ero molto piccola, mi successe una cosa. Una cosa che mi ha portato via i miei genitori, e mi ha lasciato da sola, completamente da sola, in un posto sconosciuto. Così è stato per anni e pensavo... », la voce le si ruppe per un istante. «Pensavo che non ne sarei uscita viva. Pensavo che sarei morta, l'ho pensato notte e giorno, l'ho pensato con rassegnazione – la paura era passata in secondo piano. E invece, eccomi qui, in carne ed ossa, a parlare con la mia migliore amica alle tre di notte, sotto le coperte in un letto caldo. Ad un certo punto, ho smesso di pensare. Non pensavo a niente, se non a sopravvivere. Ma poi, alla fine, sono stata salvata, e sono tornata a vivere». Si fermò. Se per un attimo si era sentita incapace di continuare, adesso le parole fluivano come un torrente in piena, e non voleva più fermarsi. «È a causa di ciò che successe a quel tempo che ho tinto i miei capelli di questo colore», disse infine, abbozzando una risatina.

 

Yuki la ascoltò senza interromperla, religiosamente, guardandola negli occhi – forse cercando un motivo per preoccuparsi? Non lo sapeva bene. Quando concluse, prendendo fra le dita una ciocca rosa, l'albina sorrise dolcemente. «Sei stata forte», bisbigliò. «Sei stata forte. Lo sei tutt'oggi. È per questo che mi fido di te, e mi fiderò sempre di te. Grazie».

Sayumi si sciolse in una risata, i bordi degli occhi umidi.. «Prego, non c'è di ché».

 

 

 

 

***

 

 

 

 

«Take, sei qui?».

 

Takeshi stava allacciando la cintura dei jeans quando l'albina aveva aperto la porta, in modo molto noncurante – fra l'altro. Si era, per lo meno, premurata di bussare un paio di volte prima di fare il suo ingresso nella camera degli ospiti. Peccato che aveva aperto senza aspettare la sua risposta.

Il ragazzo aveva vistosamente sussultato, più per lo spavento che per l'imbarazzo. «Con il corpo sì, ma non posso dire lo stesso per il mio spirito», rispose, infilando la cintura nel passante dei jeans. Ruotò i piedi verso l'albina, sulla soglia della camera, e incrociò le braccia al petto. Ogni volta che faceva così, i bicipiti e i tricipiti alle braccia si gonfiavano piacevolmente. «Tanto vale aprire la porta con un ariete, che dici?», disse, sorridendo, e inclinando la testa obliquamente.

«Scusa tanto», replicò lei, raggiungendolo con qualche passo. Quando fu di fronte a lui, gli appoggiò le dita sugli avambracci, emulandone l'espressione. «È che ho sempre voluto farti prendere uno spavento».

«Tu sì che sei strana».

«Ti crea qualche problema?».

«Mi crea più problemi della tua natura di vampiro-demone», alzò un sopracciglio. «Pensa un po'».

Yuki ridacchiò, allungando il collo per appoggiare le labbra su quelle di Takeshi. Il ragazzo si inclinò verso l'albina, accogliendo il bacio.

 

 

Erano le dieci del mattino e in casa Akawa c'era più movimento del solito; un po' perché stava ospitando tre persone in più del solito, un po' perché camerieri e maggiordomi erano felici di rivedere la loro padrona viva e vegeta ed erano allegri. Quando Kukuri aveva visto l'albina, non era riuscita a trattenersi e l'aveva travolta tra lacrime e abbracci, mentre Sebastian le aveva dato una pacca rassicurante sulla spalla – un po' di contegno ci voleva.

«Allora siete sicuri di non voler restare ancora?», chiese ancora la mezzosangue. «Non dobbiamo neanche andare a scuola, oggi». Poi però guardò il ragazzo in viso e si sentì avvampare. «C-cioè, non lo sto dicendo perché voglio stare con voi. Lo dico perché mi sembra pericoloso gironzolare da soli, credo sia logico, no?».

Le labbra carnose di Takeshi si piegarono verso l'alto, un angolo della sua bocca in particolare, dando vita ad una piccola fossetta. «Dillo pure che ti mancheremo. O meglio, che ti mancherò». Abbassò il viso verso il suo, proiettandoci un'ombra calda. Così vicino, Yuki riusciva a vedere le lunghe ciglia sugli occhi scuri, puntellati dalle svariate tonalità marroni. «Ne sarei felice».

Ogni volta che lui faceva così – che improvvisamente annullava la distanza fra di loro – lei tornava ragazzina. Lo stomaco si attorcigliava, le gambe diventavano di gelatina e un forte calore affluiva alle guance.

Era bello. Si sentiva spensierata. «Takeshi», disse, contro le sue labbra.

Lui le sorrideva con gli occhi, affettuoso. «Mh?»

«Li ha uccisi».

Takeshi non rispose. La guardò, per qualche secondo, senza dire nulla. Alla fine, annuì lentamente.

«Non è giusto. Non sarebbe dovuta finire così». Per un istante, Yuki aveva sentito la propria voce incrinarsi, la tentazione di piangere. Tuttavia, aveva stretto le labbra in una linea e le pupille sottili come lame su Takeshi – e invece no.
Invece, non avrebbe pianto. «Ho preso una decisione. Ho intenzione di vendicarli, entrambi. Voglio... », socchiuse le palpebre, espirando. «Ringraziarli».

 

 

Takeshi sollevò la mano destra, posandola sulla sua guancia, accarezzando i capelli argentei. «Non potevo aspettarmi diversamente da te», il suo viso si accese in un sorriso, più caldo del sole, più luminoso della luce. «Penso che sarebbero felici di sapere che tieni a loro, ma... non mettere a repentaglio la tua vita più di quanto già non fai. Ricordati che qui, da questa parte, c'è qualcuno che ti aspetta ogni giorno».

Lei annuì. «Non lo dimenticherò», rispose. «Te lo prometto».

Lui le sfiorò l'angolo dell'occhio con il pollice, pian piano. Poi si piegò verso di lei, baciandola sulle labbra, godendosi quel minuto di intesa. Nella loro bolla.

 

 

«Signorino Takeshi!».
Con un movimento fluido e naturale, il ragazzo si era allontanato dalla mezzosangue, lasciandole un'ultima fugace carezza vicino all'orecchio, tra le ciocche che scivolavano sulla guancia.
Subito dopo, Kukuri apparì sulla porta della stanza, gioviale e spensierata. «Oh, signorina», esclamò, alzando le sopracciglia. «Non pensavo foste insieme, vi... vi ho per caso interrotti?».

«Stavamo solo parlando, Kukuri-chan», disse Takeshi, accogliendola con un sorriso – aveva un ché di misterioso. «Gli altri sono pronti per andare?».

«Oh, sì, esatto! Sono venuta ad avvertirvi che il signorino Tetsuya e la signorina Sayumi stanno aspettando all'ingresso».

Mh? Però, quando sono arrivata, non ho sentito nessuno parlare, pensò Kukuri. Anche se non era sicura al 100%, la cameriera lasciò scivolare il pensiero, tornando al duo. «Vi sollecitano a “non metterci una vita come al solito”».

«D-di... nuovo? Ci stanno prendendo gusto», osservò il ragazzo.

 



Mentre Kukuri si occupava di rassettare la camera degli ospiti, i due ragazzi si avviarono verso le scale, percorrendo la solita passerella. Come aveva detto Kukuri, gli altri due erano già al centro dell'ampio ingresso, e stavano chiacchierando con tranquillità.
Il vampiro biondo reggeva nella mano destra una valigetta in pelle, molto familiare. A ben vedere, era la valigetta scolastica di Sayumi. Probabilmente lui gliela stava reggendo.

Entrambi – così come Takeshi – indossavano i vestiti della sera prima, ma erano lavati e ben stirati e sembravano uscire direttamente da una boutique. Yuki, invece, aveva approfittato della calma e si era cambiata, indossando un maglione rosa antico sopra ad una gonna nera pieghettata.

«Stavolta siete stati veloci», osservò Tetsuya, che aveva percepito la loro presenza da subito. «Bravi. Vuol dire che stavolta non eravate occupati a fare niente di importante».

«Quando la pianterai con questa storia?», ribatteva l'albina, mentre Sayumi scoppiava a ridere e Takeshi si sforzava di non imitarla.

«Oh, scusa. Ho ferito il tuo delicatissimo animo di principessa?».

«Stai scherzando con il fuoco– ».

«Il fulmine, semmai», intervenne Sayumi.

«Aahhhh! Basta!», esclamò Yuki, spazientita. «Non ne posso più! Ritiro ciò che ho detto, è meglio se ve ne tornate a casa vostra!».



«Stai dando spettacolo», irruppe un'altra voce, maschile.
Oseroth stava scendendo gli scalini retrostanti, con tutta la calma del mondo, il palmo della mano che scivolava lungo il mancorrente. Come sempre, l'uomo era elegante e senza un capello fuori posto. Il suo portamento era impeccabile e preciso, come quello di un aristocratico. «Alle volte faccio davvero fatica a crederti mia figlia».

Yuki si voltò, le sopracciglia inarcate sulle palpebre e il broncio pronto al suo posto. «Ah-ah».

«Signor Oseroth», esclamò Sayumi con tono stupito. «È venuto a salutarci?».

 

Il demone raggiunse il quartetto di fronte al portone, di qualche centimetro indietro rispetto all'albina, e fece una leggerissima smorfia con le labbra. «Diciamo di sì. Era mia moglie a volervi fare un saluto, ma doveva recarsi al Consiglio. Vi raccomanda di fare attenzione».

«La signora Kazumi è di una gentilezza senza pari», cantilenò Sayumi, allegramente. «E anche lei, grazie molte per averci ospitato».

Il demone scostò il viso. Di fronte a quella ragazza – al suo modo diretto, innocente ed onesto – Oseroth si sentiva un po' disarmato; non aveva un confronto così sincero con un essere umano da tempo immemore e, sinceramente, non si aspettava che sarebbe successo... proprio nel ventunesimo secolo. Ad aggiungerci, non si aspettava che sarebbe successo con un'amica della sua figlia maggiore.
Incrociò le braccia contro lo sterno, serio. «Non era niente di rilevante».

«Wow, che reazione affascinante», commentò Yuki.

«Signor Oseroth», disse Takeshi. «Devo ringraziarla anch'io, per avermi permesso di venire con voi, la scorsa notte».

Oseroth lo guardò con la coda dell'occhio, facendo un cenno con il capo. «Hai fatto un buon lavoro, malgrado la tua debolezza».

Tetsuya si issò la valigetta su una spalla, rivolgendosi ai due umani. «Direi che è arrivato il momento di andare», per poi salutare il demone. «Arrivederci, Oseroth».

«Sì, arrivederci».

 

 

I tre allora si diressero verso la porta, già aperta, mentre la mezzosangue li salutava sventolando la mano. Oseroth si protese in avanti, afferrando la parte superiore del braccio di Takeshi, tirandolo leggermente indietro. «Domani sera tornate qui. C'è una cosa importante di cui devo parlare con te... Takeshi».

Lui si voltò, sgranando gli occhi con stupore – qualcosa di importante? Cosa voleva dire quell'uomo? Proprio a lui...

 

Per quanto volesse tempestarlo di domande, il bruno si limitò ad un cenno veloce – l'albino allora gli lasciò il braccio e le loro strade, per il momento, si divisero.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Takeshi infilò la chiave nella serratura della porta di casa e l'aprì con uno sbadiglio.

In casa sua regnava silenzio. Probabilmente tutti gli altri componenti della sua famiglia erano occupati fuori, in città.

 

In città... , pensò, impalato all'ingresso. Non si era nemmeno tolto le scarpe e aveva in mano la chiave che, come al solito, non aveva ancora unito insieme a tutte le altre, nonostante sua madre continuasse a ricordarglielo ogni santo giorno.
Adesso che era tornato alla normalità, si sentiva stordito, sballottato, e faceva fatica a concentrarsi su un unico pensiero – ma chissà per quanto?
Aveva passato la notte precedente a scontrarsi contro demoni e vampiri, sebbene a debita distanza.

Takeshi piegò il braccio verso la schiena ed estrasse l'arma bianca dai passanti della cintura. La lama era lucida e pulita, il sangue di Alyon era un vecchio ricordo – un vivido incubo, purtroppo. Aveva davvero accoltellato qualcuno. Non pensava che l'avrebbe mai usato... non ci aveva mai pensato, tanto meno quando l'aveva preso.

 

Ma la cosa che più mi preme, pensò, è quell'Oseroth.

Perché l'uomo voleva rivederlo? E non solo, aveva invitato a tornare anche Sayumi. Il bruno capiva perfettamente Tetsuya – era un vampiro e un amico di lunga data, d'altronde – ma loro due?

L'unica cosa che mi viene in mente è che voglia avvertirci, fu la sua riflessione mentre, finalmente, si decideva a sfilare le scarpe, oppure, minacciarci. Ormai ci siamo dentro fino al collo, specialmente dopo la scorsa notte.

 

 

E forse, al Re non faceva piacere.
Per Takeshi, l'intromissione di uno o due creature sovrannaturali nella sua vita non era un problema; ma sì, aveva messo parecchio pepe in più alla sua esistenza, lui stesso si sentiva rinato dalla testa ai piedi. Rischiava la vita quasi quotidianamente, ma c'era lei. C'era lei e questo era più che abbastanza – e quei due, Sayumi e Tetsuya, che erano diventati i suoi migliori amici senza che nemmeno ci facesse caso, senza che nemmeno facessero qualche sforzo.

Mentre Takeshi entrava in cucina e si versava un bicchiere d'acqua, il cellulare nella tasca posteriore vibrò. Lo estrasse, sbloccò lo schermo e sorrise di fronte a quella sorta di lettera digitale.

“Hai mantenuto la tua promessa e volevo dirti grazie. … Meno male, aggiungerei, non volevo proprio morire di crepacuore”.

 

Mandò giù l'ultimo sorso d'acqua – una gioia per la sua gola – e rispose al messaggio dell'amica, per poi lasciarsi sprofondare nella morbidezza del suo letto.


 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Takeshi digitò velocemente sul tastierino del cellulare, per poi portarselo all'orecchio, schiacciando l'orecchino color oro che pendeva un po' sotto l'elice con l'apparecchio – gli venne spontaneo sospirare, spostando il peso da un piede all'altro.
Mentre il cellulare squillava e lo lasciava ad attendere per infiniti secondi, il ragazzo richiamò alla mente quella stessa mattina; non credeva che l'avrebbe mai pensato – o detto – ma era stato bello tornare a scuola. In un posto che mai avrebbe considerato divertente o felice.
Aveva guardato i suoi compagni di classe, la fantomatica 2-C, chiedendosi se fossero anche solo lontanamente consapevoli di vampiri e demoni; certo, ogni adolescente, a meno che non avesse vissuto sotto un sasso, conosceva quelle creature.

Ne esistevano a bizzeffe di film, libri, serie tv, qualsiasi tipo di media aveva affrontato il tema.

Ciò che forse non sapevano, era il loro lato peggiore, quello che li spingeva ad uccidersi a vicenda, che fosse per istinto di sopravvivenza o per vere e proprie rivalità – e ciò che lui e Sayumi avevano scoperto, il loro lato migliore. In Juri e in Ryuu, lui aveva scorto il loro lato migliore, anche se per poco tempo.

 

 

«Ehy, Take!».

«Alla buon'ora», rispose il ragazzo. «La mano stava cominciando ad addormentarsi. Io sono di fronte al negozio, sei pronta per andare?».

«Quante storie», brontolò Sayumi. «Pensavo non fossi il tipo da lamentarsi dei ritardi. Mi devo ricredere», la ragazza ridacchiò quando sentì il lamento rassegnato del moro, per poi aggiungere: «Sto scendendo in questo istante. Arrivo».

 

La chiamata si chiuse.

Il ragazzo ripose il cellulare nella tasca dei jeans neri e nascose le mani nella giacca di pelle, con tanto di pelliccia intorno al cappuccio.

 

 

Tagliato dagli edifici, il disco arancione profilato all'orizzonte era sul punto di scomparire completamente. Erano passate le 18.00 da un pezzo e l'appuntamento a casa Akawa si faceva sempre più vicino – o incombente, come stava pensando Takeshi.
I dubbi che aveva provato il giorno prima non erano scomparsi né si erano affievoliti. Era una situazione troppo strana. Ad aumentare la sua irrequietezza, la strada in discesa era desolata come un deserto. Si sentiva il vento fischiare sottovoce, in compenso.

Forse sto diventando troppo catastrofico?, pensò, guardando di sbieco il tramonto, socchiudendo le palpebre di fronte alla luce abbagliante del sole. Eppure...

 

«Eccomi qui! Pronta e carica!».
Il moro si voltò verso la vetrina del negozio di fiori Ichinomiya, incurvando le labbra carnose in un sorriso divertito. «Certo, ci hai messo solo venti minuti, d'altronde».

 

Sayumi si imbronciò, sporse il labbro e increspò la fronte. Sorpassò la soglia della porta, per poi voltarsi e chiudere per bene la porta del negozio; ancora in silenzio, la ragazza tornò da lui, raggiungendolo con due ampi passi. Poi, cogliendolo alla sprovvista, gli diede uno schiaffo sul petto, mettendoci parecchia forza. «Sei antipatico».

 

Takeshi sobbalzò per la sorpresa.

Si piegò improvvisamente, appoggiando una mano al ginocchio e l'altra contro il petto, annaspando come se stesse cercando di recuperare aria. Sayumi, a quella reazione, quasi si prese un infarto.

«Oddio», balbettò, piegandosi velocemente su di lui. «Oddio, scusa, non pensavo di... ti ho fatto male? Stai bene? Riesci a respirare–... ».

 

Per tutta risposta, il ragazzo ruotò il viso verso sinistra, sfiorando il naso di Sayumi con il proprio. Sulle labbra spiccava lo stesso sorriso di prima, stavolta più strafottente, ma tanto vivido – intenso.
«Sei dolce», disse, a bassa voce, perché a quella distanza non c'era alcun bisogno di alzare il tono. «a preoccuparti per me». Ma purtroppo per Sayumi, era troppo ben piazzato per soffrire per uno schiaffo come quello – ma niente gli poteva impedire di giocarle uno scherzetto, no?
«E fai bene, dopo uno schiaffo come quello», aggiunse.
Si risollevò, mettendo dritta la schiena e... constatò che la ragazza dai capelli rosa si era praticamente pietrificata. Con la faccia rossa come il fuoco.

«Yumi?».

«Cretino».

«... Scusa».

ma che ho fatto di male?

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Per fortuna, Sayumi non si era davvero arrabbiata per il suo scherzetto; a ripensarci, probabilmente si era solo imbarazzata, anche se non si spiegava perché.

Dopo che lei gli aveva fatto promettere di non farlo più – altrimenti gliela avrebbe fatta pagare molto cara – i due amici si erano diretti verso casa Akawa. Erano già abbastanza vicini quindi dopo una manciata di minuti avevano raggiunto il cancello di ferro, quell'inutilissimo aggeggio che bastava spingere per aprire.
«Yumi», disse Takeshi. «Cosa credi che vorrà dirci, Oseroth?».

«Non ne ho la più pallida idea. Spero solo che non sia niente di brutto... l'altro ieri è stato già abbastanza pesante», rispose la ragazza, stringendosi un po' nella giacca azzurra. Poi girò il capo verso il moro e sorrise raggiante, mentre intorno a loro calavano le tenebre più fitte. «Qualsiasi cosa sia, l'affronteremo tutti insieme, proprio come abbiamo sempre fatto».

Lui le sorrise a sua volta, annuendo.

 

Finito il percorso circondato dal bosco, erano arrivati di fronte al portone della residenza. Takeshi allungò un braccio e premette il campanello per un paio di secondi. Non aveva fatto nemmeno in tempo a staccare l'indice che la porta, di punto in bianco, era stata aperta.
Da Oseroth.
In cuor suo, il ragazzo si era appena beccato un infarto fulminante – allontanò immediatamente il dito dal campanello, e inforcò di nuovo le mani nelle tasche. Sayumi fece un inchino flettendo la schiena, imitata dal ragazzo, e poi sorrise allegra. «Signor Oseroth, buonasera!».

 

Oseroth Akawa, la mano destra al pomello, guardò Sayumi; le sopracciglia leggermente basse sulle palpebre e la bocca in una piccola piega, tutta seria. In parte, l'uomo sembrava in difficoltà, come se non sapesse... come comportarsi.
Restò in silenzio e spostò la sua attenzione su Takeshi, poi di nuovo su Sayumi. «Ben... ben arrivati», disse, non proprio sicuro. Sottovoce, al limite dell'udibile, aggiunse: «Sì, ho detto bene».

Con un grosso punto interrogativo sopra la testa, il duo ringraziò il demone, incerti a loro volta, e fecero il loro ingresso dentro la casa, lasciandosi l'aria fredda dell'esterno alle spalle.
Non appena misero piede dentro il grande salone ampiamente illuminato dal lampadario al soffitto, si ritrovarono Kukuri di fronte, apparsa dalla cucina con notevole velocità. «Buonasera», disse la ragazza dai capelli neri. «Prego, datemi pure il soprabito e la giacca».

«Ciao, Kukuri!», trillò Sayumi, mentre si spogliava del soprabito azzurro e lo consegnava alla cameriera. «Sei sempre così diligente».

«Ah, ma no. È che mi piace il mio lavoro, anche se non sono brava come... ».

Takeshi le gettò un'occhiata, ripetendo: «Come?».

Ma Kukuri non rispose. Poco più in là, Oseroth la osservava, gli occhi calmi.
La ragazza scosse leggermente il capo, scompigliando i capelli corti, chiudendosi nelle gracili spalle. «Chiamatemi se mai aveste bisogno di qualcosa!», disse, con le giacche imbraccio – dirigendosi in fretta verso l'armadio a muro.

 

Takeshi si voltò verso Sayumi e i due ragazzi si scambiarono un'occhiata dubbiosa. Era già la seconda persona a comportarsi in modo strano da quando erano arrivati, c'era forse qualcosa che non andava? Pieni di dubbi, sia lui che lei si rivolsero ad Oseroth, con l'intenzione di chiedergli cosa avrebbero fatto a quel punto, ma l'uomo si stava già incamminando su per le scale.

«Che... bizzarria», bisbigliò Sayumi.

«Forse sono sempre stati così. Di fronte a noi, invece, si sono comportati... diversamente». Aggrottando la fronte, il ragazzo si morse il labbro. «A questo punto, possiamo solo seguirlo». Ma proprio quando stavano per muovere un passo, ci fu una nuova apparizione, stavolta molto più rassicurante.

«Oh, Yuki-chan!».

 

 

La mezzosangue chiuse la porta della sua stanza dietro di sé, seguendo il movimento con gli occhi, ma al suono di quella voce si animò tutto d'un tratto. Con un piccolo scatto, si volse sporgendosi dal parapetto della passerella, con un grande sorriso a disegnarle le labbra sottili. «Ragazzi! Ma che ci fate... ?». L'iniziale tripudio , dopo qualche secondo di riflessione, fu sostituito dalla sorpresa e da un pizzico di confusione.
«Un attimo, arrivo!». Così dicendo, l'albina percorse velocemente la passerella e scese le scale, fino a raggiungerli di fronte al portone. «Cosa ci fate qui?», ripeté.

«Questo è il colmo», esclamò Sayumi, spalancando gli occhi. «Non sapevi che il signor Oseroth ci aveva invitati a venire qui, questa sera?».

 

Per tutta risposta, l'albina inarcò un sopracciglio, alzando l'altro – una bella smorfia a distorcere i bellissimi tratti del suo viso. «Stai scherzando?», balbettò, trattenendo un risolino. «Mio padre vi avrebbe invitati?».

«Così pare», rispose Takeshi. «Tetsuya non c'è? Dovrebbe esserci anche lui».

«Oh, Tetsuya... », Yuki si premette il labbro con l'indice, annuendo. «In effetti è qui. È nella Stanza delle Mappe con mio padre e mia madre, se ho ben capito. È arrivato dieci minuti fa e adesso stavo per raggiungerli, quando vi ho visti... », fece una pausa, pensierosa. «Quello là sta indubbiamente architettando qualcosa».

«Ho pensato lo stesso. In realtà, ho pensato a tante cose. Direi che è arrivato il momento della verità», mormorò il bruno, facendo un sorriso storto.

La mezzosangue sembrò soppesare le parole del ragazzo, stringendo le labbra, in apprensione. Forse – con ogni probabilità – Takeshi aveva pensato che il demone volesse separarli. Scrollò la testa con forza e afferrò le mani di entrambi, stringendole a sé. «Andiamo, okay?».

 

Tutti e tre si diressero verso la Stanza delle Mappe, il cuore che ballava nella gola.

«A proposito del signor Oseroth», proruppe Sayumi, rompendo la tensione. «Prima, quando è venuto ad aprirci la porta... ecco... sembrava un po' strano. Vero?».

«Già».

«In che senso?».

«Non saprei, però sembrava che stesse cercando di essere... socievole?».

«Oh, parli di quello», Yuki sorrise, socchiudendo le palpebre. «A quanto sembra, mia madre ha cercato di convincerlo a sciogliersi un po'. Gli ha detto, “di cosa ti preoccupi? Non è che possono farci del male, quindi diamogli una chance, cerchiamo di evolverci”. Lui, apparentemente, non era sicuro. Ma se mi state dicendo questo, allora... ».

«Allora», riprese Takeshi, un angolo della bocca alzato. «vuol dire che non dobbiamo preoccuparci».

 

Yuki annuì e Sayumi si illuminò, rassicurata.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Raggiunta la porta che dava nella spaziosa – e altrettanto misteriosa – Stanza delle Mappe, Yuki posò la mano sulla maniglia, artigliandola con un dito alla volta. Una leggera pressione, un sonoro clunk, e la porta era spalancata; in fondo alla camera, come aveva predetto, i tre si erano riuniti di fronte al camino parlando con voce bassa e calma, ma anche, in un certo senso, affiatata e felice.
Yuki li osservò, senza riuscire a muoversi da quel punto per un paio di secondi.
L'albino se ne stava in piedi, dietro di lui una poltrona di velluto rossa e la finestra, nella camicia bianca che spiccava dal lucido nero del suo panciotto. Accanto allo scoppiettante fuoco c'era Tetsuya, appoggiato con la spalla alla credenza del cammino, anche lui in piedi.
Kazumi, bella come un fiore, sedeva di fronte ai due uomini con le gambe accavallate, il gomito appoggiato al bracciolo e il mento sulla mano.

Sembravano un quadro.

Con un pizzico di rammarico, Yuki aveva rotto quella calda atmosfera. «Allora? Che storia è questa?».

 

Tutti e tre si voltarono verso la porta, con differenti reazioni; Kazumi sorridente, Tetsuya rassegnato e Oseroth impassibile.

 

«Cosa fai, inviti i miei amici a casa nostra e non me lo dici neanche?», riprovò la ragazza.

Oseroth, le palpebre socchiuse, le fece un cenno con il mento. «Prima di tutto, venite qui».

 

Ormai erano in ballo e non si sarebbero tirati indietro. I tre attraversarono la moquette, e Takeshi e Sayumi si trovarono ad ammirare di nuovo il mistero che quelle pareti offrivano, sopprimendo a stento i versi di stupore. Superata la tavolata ricolma di testi di ogni tipo, strumenti geografici e mappe usurate dal tempo e dalla polvere, arrivarono in fondo, fino al piccolo salottino.
Yuki lanciò un'occhiata dubbiosa a Tetsuya, che le rispose con un sorriso ad occhi chiusi – ma tu guarda quel traditore.

Adesso, figlia e padre erano faccia a faccia. Alla sua sinistra e destra, Sayumi e Takeshi.

 

Il demone, nonostante l'aria determinata della figlia, non faceva una piega. Nei suoi occhi c'era la medesima luce – vivida, talmente concreta da poterla toccare. «Ho invitato i tuoi amici e Takeshi», fu la prima, emblematica frase che sussurrò.

«Che?».

«Ho la certezza matematica che questo ragazzo», e guardò il moro. «non è un tuo amico. E il tuo anulare sinistro non fa che aumentare la mia certezza».

 

Yuki ebbe un fremito alle spalle. Era ovvio. Non aveva fatto niente per nasconderlo, d'altro canto; suo padre non solo era un ottimo osservatore, ma era anche un demone, e niente gli sfuggiva. Tuttavia, sentirglielo dire a voce alta, in modo così diretto...

Ruotò il capo verso Takeshi. Aveva un espressione di pura risolutezza.

 

L'albina sentì un calore alla mano e a scoppio ritardato si rese conto che lui la stava stringendo. Le sue dita lunghe abbracciarono quelle più piccole della ragazza, avvolgendole e intrecciandosi.
Yuki si rivolse al padre. «Sì», disse. «È così. Io e Takeshi siamo fidanzati. Sia Sayumi che Tetsuya possono confermarlo».

«Yuki». Oseroth la guardò. «Ne sono felice».


Silenzio.

 

«Sono felice che tu stia insieme ad un umano come lui. Ha combattuto, ha dato tutto se stesso... per salvarti. Questo mi basta per capirlo», il Re albino aprì le labbra, quelle labbra che non si dispiegavano più in grandi sorrisi – ma stavolta lo fece, stavolta sorrise. «Avete la mia bene– ».

 

Un fischio, accompagnato da un fruscio. Oseroth si voltò di scatto verso la finestra – mentre questa si infrangeva in pezzi e una freccia lo trafiggeva.

 

Cough.

 

Un rivolo di sangue scivolò lungo il mento del demone. Flemmaticamente, Oseroth staccò la mano dal bracciolo e si toccò la bocca con le dita, sfumandola di rosso. Poi, con la stessa fiacca, guardò in basso, in direzione del suo sterno. La cuspide di una freccia di metallo spuntava dal suo petto, alla sinistra di quest'ultimo.

 

Plick.

 

Il sangue picchiettò sui pantaloni.

Una chiazza, frastagliata e scura, si allargò a macchia d'olio sulla camicia bianca. Con un colpo secco di tosse, Oseroth si piegò su se stesso, sfiorando la punta della freccia con il palmo della mano. Indietreggiò, barcollò – fino a che non raggiunse la poltrona.

«Cosa... ». Alla voce tremante della moglie, Oseroth girò il volto verso di lei. Pallido e imperlato di sudore, l'uomo la guardò con la bocca sporca di sangue. «Kazu–... ». Ma dalla gola arsa, uscì solo un respiro singhiozzato. Allora, le sorrise. Sorrise a lei e all'albina.



L'istante dopo, Oseroth Akawa era sparito, lasciando al suo posto un cumulo di polvere e cenere.

 

Il Re albino era stato spodestato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTA:
AH!!! SCHERZONE!! Pesce d'Aprile in ritardo. Ah ah. Ah.

Madonna ma perché sono così cogliona

Okay, torniamo un attimo seri, che qui la situazione è alquanto critica.
Sono in lutto. Ho fatto tutto io, ai fini della trama, ma sono in un lutto. Non ce la posso fare.

Ecco qua, il 21° capitolo, con tutta la sua angoscia. ;)
Ci ho messo un po' a finirlo, non riuscivo a proseguire, forse perché scrivere della sua morte era un vero dolore... e volevo descriverlo con il massimo impegno, al meglio. Spero solo di esserci riuscita, è davvero importante.

Oh, ovviamente Vampire Devil non è ancora finito! Manca ancora un bel po', quindi non abbandonatemi ancora!
Ci vediamo con il prossimo capitolo! ~

 

Ps. Potrei eventualmente tornare su questo capitolo per cambiare qualcosina, a livello narrativo.

   
 
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