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Autore: AdhoMu    04/04/2019    6 recensioni
SOSPESA
[Lee Jordan/Gwenog Jones]
Dice l'Oracolo:
“Se sei un amante sfegatato di Pluffe e Boccini e il tuo sogno è quello di diventare il più grande cronista di tutti i tempi, esistono grandi possibilità che tu perda la testa per una stella del Quidditch.
Attenzione, però: se la stella in questione è una battitrice del calibro di Gwenog Jones la testa, oltre che metaforicamente, rischi di perderla anche in modo piuttosto... letterale”.
Una storia d'amore a colpi di mazza, di reggae e di Gossip sportivi.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwenog Jones, Lee Jordan, Ludovic Bagman
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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6. Stir It Up!
(rigorosamente nell’Original Album Version)

 
It's been a long long time 
Since I've got you on my mind (uh uh uh uuuh)
And now you are here
I say it's so clear
To see what we can do, baby, just me and you!

 
Londra, ottobre 1996
Questo era ciò che Gwenog Jones portava al di sotto delle sue tute da Quidditch color giallo zafferano: una fascia elastica.
Una fascia elastica particolarmente stretta che Lee, con estremo zelo, l'aveva aiutata a svolgere facendola ruotare velocemente su se stessa e che lei usava per tenere compresso il seno, evitando così che questo le desse fastidio in campo. Lo stesso seno che il neo-diciassettenne Ziggy aveva sbirciato di sfuggita la sera del Ballo del Ceppo attraverso la scollatura dell'abito nero per nulla morigerato (chiedendosi, in effetti, dove lo tenesse nascosto di solito), e sul quale la mano del ragazzo, in quella notte ottobrina di musica e di baci, posava a riposo.
La loro serata danzante al Cataboo era finita in modo assolutamente prevedibile per due giovani sentimentalmente liberi e reciprocamente attratti; dalla pista da ballo del locale caraibico alle bianche lenzuola di lino del letto di Gwen, conservando come unica costante il fatto di trovarsi, seppure in diverse modalità, l'uno fra le braccia dell'altra.
"Niente scandali, Gwen" si era detta la ragazza, sforzandosi di mantenere fermi i suoi propositi. "Te ne sei appena tirata fuori".
Poi però, un'occhiata qua, un bacio là e, soprattutto, la logorante tortura dei loro lenti strusciamenti a ritmo di reggae le avevano fatto irrimediabilmente perdere la bussola; quella bussola che dal canto suo Lee, per quanto stoico, aveva già perso da un pezzo ma la cui assenza, aggrappandosi tenacemente al suo animo cavalleresco, il ragazzo aveva visto bene di ignorare. 
Ma tant'è: quando si hanno una ventina d'anni di media e, come nel caso di Gwenog, si staziona da troppo tempo in uno stato di autoimposta dieta forzata, certe derive sono inevitabili.
Cosicché dopo un po', mandate bellamente al diavolo tutte le sue buone intenzioni, la battitrice gallese aveva infine rantolato una specie di ringhioso:
-  Oh, al diavolo. Andiamocene.
- Awwh. D-dove...?
- Da me. Ora o mai più.
- Oh, che Godric sia lodato.
In men che non so dica erano quindi usciti di corsa dal locale, si erano Smaterializzati sulla soglia dell'appartamentino londinese di Gwenog e, una volta all'interno, si erano letteralmente divorati a vicenda.
"Forse un po' troppo in fretta, in effetti" riuscì a cogitare l'esigua parte attiva del cervello un po'annebbiato di Lee, il cui restante 96,2% circa sonnecchiava ancora piuttosto inebetito.
Il ragazzo si mosse appena e si stiracchiò piano piano, ancora succube di un torpore denso come colla a caldo. Il suo movimento, seppure lieve, funse da geolocalizzatore, facendogli ritrovare a poco a poco la percezione del luogo in cui si trovava.
Sdraiato su un fianco, col petto accostato alla pelle ambrata di una schiena tiepida e profumata di soave cera d'api (quella che lei usava per lucidare il manico della sua strabiliante Firebolt Celtic); lunghi capelli scuri a solleticargli le narici; un avambraccio snello premuto sul suo polso; la sua mano scura posata su una superficie tondeggiante, calda e morbida, dell'esatta consistenza di un...
"Oh, Merlino caro".
La coscienza ritornò indietro tutta in una volta, riversandoglisi fragorosamente nella testa mentre il suo corpo, decisamente più propenso della sua mente all'elaborazione di certi concetti, inevitabilmente reagiva inducendo anche Gwenog a riscuotersi dal suo stato di beato dormiveglia. 
La sentì che si irrigidiva impercettibilmente contro di lui, sfiorandogli la pelle con la sua. A quel contatto Lee si spinse d'impulso in avanti, andando ad affondare il viso nella massa scarmigliata dei suoi capelli e strofinando il naso contro al suo collo sensibile; e la sentì sbuffare piano e inarcarsi di lieve quando con la mano, guidata dal puro istinto, si mosse per carezzarla lentamente, dapprima con delicati movimenti circolari e poi, piano piano, giù verso il basso lungo il suo addome piatto da atleta.
La sentì fremere deliziosamente al suo tocco; dischiudere appena le cosce per indurlo a proseguire e poi, improvvisa e irruente, se la sentì ruotare fra le braccia mentre Gwen si girava di scatto verso di lui, spingendolo per fargli perdere l'equilibrio ed inchiodarlo con le spalle sul materasso, lungo e disteso sotto di sé.
Ed era bella, Gwen, così bella che Lee dovette sbattere un paio di volte le palpebre per convincersi di essere del tutto sveglio (e no, non aveva fumato: era dai tempi della scuola che non lo faceva); e poi proprio non seppe trattenere una risata, da tanto era felice di trovarsi lì, in quel momento: lì insieme a lei.
E mentre Gwen si curvava in avanti per avvicinarglisi, sulle sue labbra troppo spesso serrate in una stretta severa (ed ora inequivocabilmente piegate all'insù), Lee riconobbe il suo stesso sorriso; tese allora le braccia per stringerla a sé, un po' abbagliato dalla bellezza data dal contrasto fra i loro toni di pelle; le carezzò la schiena, i fianchi snelli e i bei glutei rotondi mentre lei, impaziente come suo solito, si muoveva sopra di lui e lo cercava, catturandolo infine in maniera così intensa e vigorosa da fargli quasi perdere il senno.
E così qualche volta, per qualche strana ragione, una seconda volta riesce a rivelarsi ancor più speciale ed indimenticabile della prima; e nel caso di Gwen e Ziggy, per l'appunto, quella loro meravigliosa seconda volta, vissuta al tempo stesso con furore e lentezza, fu la scintilla della consapevolezza da parte di entrambi (fintanto appena sospettata) di essere nati l'una per l'altro.
 
Okay.
Puoi anche essere prossimo ai diciannove e ritenerti in gran forma ma alla lunga, onestamente, un incontro romantico con una battitrice professionista, una che passa ore ed ore ad allenarsi incurante di qualsivoglia condizione atmosferica e che, definitivamente, non si stanca, può rivelarsi un filino sfiancante.
E difatti, il mattino dopo, Lee Jordan si sentiva alquanto spossato (“a pezzi” le disse ridendo, cosa che le strappò una risata bassa e assai ghiotta), ma anche assurdamente felice. Soprattutto visto e considerando il fatto che, essendo la domenica mattina di un finesettimana senza partite di Campionato in programma, lui e Gwen avrebbero potuto trascorrere insieme l’intera giornata.
Cosicché si alzarono tutti allegri, si docciarono (“Ma ciascuno per conto suo, per pietà, o potrei non sopravvivere” la pregò Lee, facendola ridere a crepapelle) e sedettero in cucina per fare colazione.
Il raggi del sole autunnale filtravano dalle tendine leggermente scostate della portafinestra, illuminando le piastrelle esagonali del pavimento in un arabesco di riflessi morbidi e caldi. Laggiù, al pianterreno, gli alberi del giardino avevano già cominciato a colorirsi di mille screziature gialle, rosse e marroni che Gwen, a Lee che l'ascoltava interessato, raccontò di apprezzare moltissimo.
Mentre i due imburravano e spennellavano di marmellata un intero plotone di toast (“Ho bisogno di calorie, bello!” “Oh, anch’io!”), la ragazza accese con un colpo di bacchetta la radio, sintonizzata su una Magistazione solitamente dedita a notiziole di poco conto e musica leggera. Quel mattino, però, una voce eccitata stava proclamando in tono stridulo una notizia apparentemente imperdibile.
“...ci troviamo ancora qui a Kensington, all’esterno dell’appartamento della battitrice gallese Gwenog Jones, star indiscussa delle Holyhead Harpies e personaggio arcinoto all’interno della Lega Anglo-Irlandese di Quidditch. Bene: stando a quanto riportato da fonti sicure, nella tarda serata di ieri la Jones sarebbe rincasata in compagnia di un soggetto sconosciuto, con il quale avrebbe passato la notte”.
Impietriti coi cucchiaini a mezz’aria, Gwen e Lee si scambiarono un’occhiata allibita mentre la speaker proseguiva a ruota libera.
“Implicata in gravi scandali fuori e dentro dai campi durante tutta la primavera 1995, la Jones conduce da più di un anno un’esistenza che potremmo definire monastica, interamente dedicata alle sue attività di quiddista professionista. Potrete capire, quindi, quanto prema al nostro pubblico l’idea di rivederla impegnata con qualcosa di ben più succulento di una mazza e di un paio di bolidi, se mi passate l’allusione forse poco elegante...”
- Merlino santissimo! – si lasciò sfuggire Lee, inorridito dalla pessima metafora.
“Eccoci qui, pertanto: accampati davanti alla residenza della controversa giocatrice e in fervida attesa di carpire notizie più precise da passare a tutti voi!”
- Oh, merda.
Gwen si era avvicinata di soppiatto alla finestra e aveva dato una sbirciata; e il risultato, evidentemente, non le era piaciuto.
- Sono... sono là sotto?! – le chiese Lee, titubante.
- Puoi scommeterci – rispose lei (e la sua voce suonò più bassa e graffiante che mai). - Loro e un’altra trentina di paparazzi.
- Oh, ma per tutti gli elefanti d’Etiopia.
Gwen tornò sui suoi passi, si lasciò ricadere pesantemente su una sedia e, con un gesto rabbioso, allontanò da sé il piatto ancora pieno.
- Mi hanno fatto passare la fame – ringhiò, cupa.
Lee la fissò per un lungo attimo; poi, curvatosi in avanti, le prese le mani.
- Eddài, Gwen... è il prezzo della notorietà... Chissà quante volte ti è capitato!... – le diede una lieve stretta e fece per tirarsi su. – Finisco il mio toast e levo le tende via Metropolvere, dai, così la smettono di scocciarti.
- Non fraintendermi, Lee – si affrettò a replicare lei, stringendogli le dita intorno ai polsi per impedirgli di alzarsi. – Io non ho alcun problema a farmi vedere in giro con te.
- E quindi que pasa, girlie?
- Beh, per prima cosa mi dà sui nervi l’idea che comincino a fare la posta anche a te – borbottò lei, sbuffando irritata. Aveva capito che Lee, nonostante il carattere aperto e gioviale, era un tipo piuttosto riservato: le dispiaceva renderlo un bersaglio per le malelingue. – Io ci sono abituata, oramai, ma tu...
- Sì, effettivamente è una cosa odiosa, ma credo di potercela fare  – convenne lui stringendo le labbra e facendole cenno di proseguire. – E poi?
- E poi boh, mi ero illusa che oggi avremmo trascorso una bella giornata facendoci i fatti nostri – sul bel viso di Gwen, un misto di fastidio e amarezza. – Ma loro non ce lo permetteranno: ci daranno la caccia in ogni dove, pur di accaparrarsi lo scoop!
Lee rimase in silenzio per qualche secondo, immerso nei suoi pensieri; poco dopo, però, sul suo viso passò il lampo allegro di chi ha appena avuto una grande idea.
- Non riusciranno a rovinarci la giornata, se non sanno dove cercarci!
 
Amesbury, ottobre 1996
- Che cosa diavolo...
L’espressione di Oliver Baston era talmente sbigottita che i due ragazzi dovettero trattenersi con tutte le loro forze per impedirsi di scoppiargli a ridere in faccia.
Il Portiere del Puddlemere United (titolare, ormai, fin dai tempi dell’infortunio del suo sfortunato collega Ritter), infilato in una vecchia tuta gialliblu piuttosto simile ad un pigiama, li fissava attonito dalla soglia del suo cottage dal tetto di paglia, immerso nella quiete delle campagne del Wiltshire. Gwenog, che era abituata a trovarselo davanti in ben altre vesti, notò immediatamente che Baston non aveva un bell’aspetto: e difatti, poco dopo, il ragazzo infilò il naso screpolato in un fazzoletto e starnutì fragorosamente.
- Fortuna nostra che sei in casa, amico – esclamò Lee tutto allegro, facendo un passo in avanti per stringere la mano dell’ex compagno di Casa. – Possiamo entrare?!
Mentre si scostava di lato per lasciarli passare, Oliver rivolse all’amico un’occhiata eloquente:
“Che cosa accidenti ci fa lei qui?!”
“Te lo spiego dopo” fu la muta risposta di Lee, riassunta in un’occhiata altrettanto espressiva subito seguita da una strizzatina d’occhio piuttosto esplicita.
 
- La famiglia di Oliver discende dai druidi che, millenni fa, abitavano in questa regione – spiegò Lee mentre, in compagnia di Gwen, percorreva i sentierini spontanei che zigzagavano fra le imponenti steli di pietra di Stonehenge. Il ragazzo manteneva un tono di voce basso e confidenziale, per evitare di farsi sentire dai numerosi turisti babbani che sciamavano intorno a loro. – Sono loro che, tradizionalmente, si prendono cura del Circolo Magico.
Gwenog lo seguiva, curiosa e intrigata.
- I tatuaggi di Baston – osservò la ragazza alludendo alla miriade di simboli magici che disegnavano le braccia del Portiere gialloblu – ho notato che si tratta di rune e soggetti celtici...
- Esatto: sono tutti legati alla protezione di questo luogo.
- In Galles abbiamo alcuni Cerchi Magici, ma non grandiosi come questo – disse lei ammirata, accarezzando con il palmo della mano la superficie macchiata di licheni di una grossa pietra caduta.
- Questo posto è incredibile – convenne Lee, annuendo con la testa. – Ci sono venuto alcune volte durante l’estate, in compagnia di tutta la cricca – le raccontò, per poi correggersi subito: - Beh, non c’erano proprio tutti: Alicia era già partita.
- Ti riferisci ad Alicia Spinnet? – volle sapere Gwenog, che ricordava di aver disputato alcune partite contro la giovane Grifondoro australiana.
- Già.
- Siete... siete molto legati, tu e lei? – lo sguardo di Gwen aveva un che di vagamente inquisitore che lo fece sorridere fra sé e sé.
- Oh sì – le rispose semplicemente Lee – Ma non devi preoccuparti: Alicia è la mia sorella sbiadita. E poi – aggiunse con un sorriso – le mie ginocchia, per i suoi parametri, non sono abbastanza attraenti!
Gwenog non sapeva come interpretare la storia delle ginocchia, ma il tono del ragazzo non dava adito a dubbi. Era davvero eccezionale, Lee Jordan: così trasparente e veridico, capace di rassicurare chiunque con un unico sguardo.
- Beh, a me piacciono – gli disse allora, tendendo la mano per intrecciare le dita alle sue.
- Oh, benissimo – replicò lui con un bel sorriso candido. – Allora siamo a posto!
 
Una volta terminata la visita a Stonehenge, raggiunsero a piedi il villaggio di Amesbury e pranzarono in una piccola locanda affacciata sulla piazzetta principale; poi, giusto per mandare giù il lauto pasto a base di carne di montone intinta nel burro, si dedicarono a percorrere un’altra mezza dozzina di viottoli contornati da bassi muretti di pietra.
Nel tardo pomeriggio l’aria frizzante li convinse a fare ritorno al cottage, all’interno del quale si godeva di un piacevole tepore.
Oliver  aveva avuto il tempo di riprendersi un minimo e li aspettava con tre spesse caraffe di Burrobirra calda e densa, appena spillata, che appellò dalla cucina mentre loro si accomodavano sul divano trapuntato del salottino inondato di luce.
La compagnia si rivelò subito più piacevole del previsto: il Capitano e Gwen chiacchierarono (quasi) amabilmente del più e del meno, ora accanendosi contro i giornalisti impiccioni (“È per questo che ho messo il Fidelius su casa mia: sennò non mi lasciano vivere!”), ora speculando sulle probabilità delle rispettive squadre in Campionato. Lee, nel frattempo, li stava ad ascoltare in un raro silenzio intriso di contentezza, una mano stretta intorno al manico della caraffa e le dita dell’altra affondate nella coda di cavallo di quella che aveva già cominciato a considerare la sua ragazza.
- No, ci abito da solo – stava dicendo Oliver, rosso in viso a causa degli effetti coniugati della Burrobirra e del malanno. – I miei genitori, da qualche anno, si sono trasferiti nel sud della Francia. L’anno prossimo, però...
Con un cenno del capo, Oliver indicò il focolare. Dalla mensola sopra il camino, la foto di Katie Bell li osservava sorridendo, frangetta al vento, e faceva ruotare una Pluffa sulla punta dell’indice.
- È la tua ragazza?
- Sì: l’anno prossimo si trasferirà qui.
- Mi sembra di conoscerla...
- Si chiama Katie - rispose subito lui, un sorriso a trentadue denti ad illuminargli il viso. –Giocava (anzi, gioca) nella squadra di Grifondoro...
- Ma certo. Katie Bell, giusto? – Gwen la ricordava molto bene. – La tua Cacciatrice. Molto brava.
- Oh – rise Oliver, occhieggiando verso la fotografia con affetto. – Quando le riferirò il tuo commento, partirà per la tangente...
Lee gli indirizzò un’occhiata divertita. Era sempre la stessa storia: Baston era un duro ma, quando c’era in ballo Katie, l’eterno Capitano di Grifondoro diventava più tenero di una gelatina.
- Ah, l’amour...
- Oggi c’era in programma una gita ad Hogsmeade, sapete. – raccontò Oliver, la fronte aggrottata per il disappunto. - Avrei dovuto incontrarla là, ma sta stronza di un’influenza mi ha tarpato le ali...
Crack.
Un rumore di vetri infranti lo interruppe improvvisamente.
I tre ragazzi si girarono verso il camino, sorpresi, e si trovarono davanti una scena strana. Senza che nessuno (né mano umana, né zampa animale, né corrente d’aria) l’avesse toccata, la cornice contenente la foto di Katie aveva dapprima vacillato un paio di vole e poi, senza alcun preavviso, era precipitata dalla mensoletta.
- Oh, cribbio!...
Oliver si alzò di scatto e raggiunse il camino, facendo levitare con la bacchetta l’oggetto distrutto per evitare di tagliarsi con i cocci. Il vetro era andato in mille pezzi e la cornicetta di legno colorato era tutta scheggiata. Nulla che un buon Reparo non sarebbe stato in grado di rimediare, comunque; Lee e Gwenog, però, si accorsero che il ragazzo era sbiancato.
- Che succede, Ol?
- La foto – rispose quello in un sussurro incerto. – Non... non si muove più.
Rimasero tutti di sasso, perché mai era accaduto loro di imbattersi in una fotografia magica che aveva smesso di muoversi. Il fatto, pensò subito Lee, aveva dell’inquietante, ma nessuno di loro fu in grado di fornire una spiegazione plausibile.
Oliver, poveretto, sembrava molto scosso.
- Mando un gufo ad Hogwarts...
- Buona idea, Ollie – gli disse Lee, imponendosi di ignorare il brutto presentimento che aveva cominciato a pervaderlo. Gwenog, seduta accanto a lui, non diceva nulla, limitandosi ad osservare la fotografia inanimata. Poco dopo, la ragazza si alzò in piedi.
- Forse è meglio se togliamo il disturbo... – disse a Lee, che si affrettò as imitarla.
Oliver però rivolse loro un’occhiata un po’ sperduta, che li indusse a fermarsi.
- Non... non è che vorreste...
Era nervosissimo, e lo si vedeva. Forse non era il caso di lasciarlo solo. E poi, poverino, era anche ammalato.
Scambiatisi uno sguardo d'assenso, Lee e Gwenog decisero di rimanere al cottage per fargli compagnia. Sedettero di nuovo sul divano, uno accanto all’altra, in attesa di un gufo che non sarebbe mai arrivato.
 
Una scampanellata vigorosa li risvegliò di soprassalto. Si erano addormentati in salotto, tutti e tre. Oliver si alzò in fretta e raggiunse la porta incespicando, seguito a ruota da Gwenog e Lee.
- C-carbry?...
In piedi sulla soglia c’era un ragazzo alto, con grandi occhi grigi molto simili a quelli di Katie e gli stessi capelli scuri e lucidi un po’ spettinati. Indossava un kilt quadrettato e fra le dita della mano destra, che tremava leggermente, reggeva una sigaretta accesa.
Oliver non ebbe il tempo di procedere alle presentazioni che subito il giovane, il volto rabbuiato in un’espressione maledettamente seria, gli disse:
- È successa una disgrazia, Ol. Devi venire al San Mungo, subito.
 
Post-scriptum:
Bene, bene (circa).
La nostra coppietta è ormai assemblata ed ora, giusto per smuovere un po’ le acque, è tempo di introdurre qualche altro filo narrativo. Da parecchio tempo morivo dalla voglia di scrivere di nuovo di Oliver e Katie e così ho pensato di approfittare di questa storia per farlo. Partendo, ovviamente, da quello che immagino essere stato uno dei momenti più tragici della loro storia: la maledizione della collana di opali.
Spero davvero che al nostro intrepido Capitano non venga un coccolone...
   
 
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