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Autore: Luana89    05/04/2019    0 recensioni
Non fu la sua bellezza a colpirmi: bensì l’assenza d’espressione sul suo viso. Il mio occhio fissava attraverso l’obiettivo, poco prima di scattare la prima foto del mio anno scolastico. Lo sconosciuto sembrò quasi sentire il lavorio dei miei pensieri, sollevò di scattò il capo guardando tra la folla, e i suoi occhi si poggiarono su di me per una manciata di secondi che valsero un’intera vita. C’era qualcosa in lui, qualcosa di assolutamente inspiegabile. Lo capii poco prima che sparisse all’interno della struttura: le persone attorno a quel ragazzo sembravano scostarsi al suo passaggio, come se quel singolo essere umano fosse in grado di domare la forza di gravità e il baricentro spostandoli a suo piacimento. Mi persi per un istante.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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XXIII.



«A volte mi sono sentito come spezzato, come se la mia mente fosse una casa abbandonata e io girovagassi in solitudine..» le nostre dita si intrecciarono tra le lenzuola e i nostri occhi si incatenarono.
«Non sei da solo, ci sono io con te in quella casa, ti basterebbe solo guardare meglio per vedermi.» Sorrise chiudendo le palpebre, quasi confortato da quelle parole mentre i suoi lineamenti divenivano via via più distesi scivolando nell’incoscienza del sonno.
«Lo so, ho smesso di girarci dentro dopo aver trovato te, Josh.»

 
Mi svegliai di colpo restando immobile sul letto, accaldato e sudato fissai le ombre sul soffitto venendo trascinato nuovamente nella realtà. Mi capitava spesso di fare quei sogni, ritornare a determinati momenti che avevamo condiviso. A volte pensavo fosse la mia stessa mente a mandarmi dei messaggi subliminali, cercando di sbattermi in faccia quella verità che mi rifiutavo di accettare, troppo spaventato dalle conseguenze e dalla portata della mia sofferenza.
Era passata quasi una settimana da quella famosa notte insieme, all’alba lo avevo lasciato nudo sul mio letto scappando come un ladro, senza il coraggio di affrontarlo una volta sveglio. Che avrei dovuto dirgli? Che era stata la notte più bella della mia vita, che mi mancava come mancherebbe il respiro a qualsiasi persona costretta sott’acqua? Mi mossi tra le lenzuola abbracciando il cuscino accanto a me fissando la parete, perché era tutto così complicato? Perché non riuscivo a sbloccarmi e correre da lui semplicemente?
Enoch comunque non aveva fatto una piega, continuava a girarmi attorno e venire ovunque fossi, a lavoro o a casa o persino agli aperitivi con Sean, lui arrivava si sedeva e il mio mondo tornava ad acquistare colore. A volte avevo come l’impressione che quelle sue comparse volessero dirmi: ‘’lo vedi? Sono qui, non voglio sparire di nuovo’’. Potevo fidarmi? Ma soprattutto che razza di relazione pensavo di ricominciare senza la fiducia? Io che di lui mi sarei fidato a occhi chiusi tempo fa, gli avrei donato la mia vita tra le mani se solo me lo avesse chiesto. E forse lo avevo fatto davvero, gli avevo consegnato il mio cuore e quando era sparito sentivo come se l’avesse calpestato senza pietà.
«Stasera uscirò con Peter.» Continuai a scrivere con solerzia gli appunti di lavoro, come se non avessi detto nulla di importante.
«Ah.. e come mai?» Sean non sembrava molto felice della notizia, come biasimarlo? Lavorava per il ‘’nemico’’.
«Penso di dovergli parlare, non si rassegnerà così facilmente..» sollevai il capo fissandolo con severità.
«Quindi non è un appuntamento ‘’romantico’’?» virgolettò la parola con le dita facendomi sbuffare.
«Non lo so, potrebbe diventarlo.» Mi divertii a punzecchiarlo picchiettando la penna sulla superficie liscia della scrivania, accolse la mia provocazione annuendo con sguardo arcigno.
«E dove andrete?»
«‘’Lotus of siam’’, hai presente? Credo sia il suo locale preferito..» scrollai il capo con noncuranza, non mi importava moltissimo di quali fossero o non fossero i suoi gusti in fatto di cibo. Diedi le spalle a Sean tornando a concentrarmi sul mio lavoro, di recente mi era balzata alla mente l’idea di licenziarmi e prendere in seria considerazione il mio master a Parigi. Mi bloccai a quel pensiero guardando la mia calligrafia disordinata da mancino impenitente, le lettere divennero improvvisamente sfocate mentre mi perdevo nei meandri delle mie paure. Enoch non si era posto alcun problema a partire e lasciarmi per due anni, senza neppure dirmi dove fosse. Io sarei andato a Parigi per un anno invece, l’avrei fatto alla luce del sole laddove avrebbe potuto trovarmi sempre. C’era una sostanziale quanto decisiva differenza.
 
*
 
Quante probabilità potevano esserci che fosse una coincidenza il fatto che di fronte al ristorante prenotato da quella merda si ergesse un albergo? Entrai al suo interno guardandomi attorno con attenzione, ignorando le voci smorzate e l’atmosfera orientale concentrandomi piuttosto sui commensali. Due per la precisione. Li trovai al tavolo più lontano dall’ingresso, la loro cena era appena iniziata e io ero lì per portarla alla fine il più in fretta possibile.
«Quale fortuita coincidenza.» Il fatto che il mio tono esprimesse il contrario di ciò che avevo detto non era di sicuro imputabile alla mia incapacità di mentire. Anzi, in quello ero abbastanza bravo e Josh avrebbe confermato senza tentennare. Mi fissarono entrambi sbigottiti, Peter di più mentre mi osservava prendere posto al loro stesso tavolo.
«Che ci fai qui?» Guardai il mio fidanzato sorridendo in maniera armoniosa, anche se a giudicare dal suo sguardo la mia fu probabilmente una smorfia grottesca e spaventosa.
«Ero curioso di provare il cibo, è buono?» Mi rivolsi a Peter in maniera colloquiale, mi scrutava come fossi un insetto sgradito e indesiderato, forse non capiva che l’unico a essere ‘’in più’’ a quel tavolo era proprio lui. Ma non me ne preoccupai, avrei fatto di tutto affinché lo recepisse entro pochi minuti. Se Joshua pensava avessi desistito mi conosceva molto poco, più mi rifiutava e si allontanava e più io mi avvicinavo a lui mostrandogli tutto ciò che eravamo stati e che continuavamo a essere a prescindere dalle sue paure. Volevo rimediare ai miei errori, volevo avere un’ultima occasione con lui e stavolta non l’avrei sprecata. Non ero tornato per noia o per semplice mancanza, io ero tornato per riprendermi ciò che mi apparteneva e che era stato messo al mondo appositamente per me: Joshua.
«Questo è un piatto un po’ piccante, non ti consiglio di prenderlo..» l’aria paterna e saccente di Peter mi provocò un mezzo conato di vomito.
«Joshua ama il piccante, metterebbe il peperoncino persino nelle sue tisane se potesse.» Infransi le sue convinzioni con immenso piacere sorridendo serafico, il mio nano preferito mi scoccò un’occhiata in tralice sbuffando.
«Non preoccuparti Peter, lo mangerò con gusto.» La mia gaiezza scemò del tutto quando lo vidi parlargli con tono pacato e dolce, perché quando si rivolgeva a me sembrava il figlio incazzato di Satana? Gli lanciai uno sguardo al vetriolo che incassò diplomaticamente, stava diventando bravo dovevo ammetterlo. Mi sentivo quasi fiero di lui, se non fosse stato per il piccolo particolare che quella bravura la rivoltava contro di me.
A malincuore capii che Peter era un uomo pacato, aveva trent’anni e lavorava in borsa e da come parlava sembrava anche parecchio competente, eppure continuavo a detestarlo con tutte le mie forze. Il fatto che si mettesse tra me e Joshua, che rendesse così palese la sua attrazione per lui mi mandava fuori di testa; era una sensazione devastante, come se la mia pelle venisse ricoperta di bolle dolorose che esplodevano rendendomi cieco e sordo di dolore. Guardai il soggetto dei miei più profondi desideri, come potevo biasimare quel coglione accanto a me? Era bellissimo, e lo avevo pensato già dalla prima volta in cui i miei occhi si erano posati su di lui, con quell’aria spaurita e la macchina fotografica stretta tra le mani. Aveva le labbra a forma di 3 rovesciato, ricordo che quando glielo dissi la prima volta rise per due ore consecutive. A quel tempo rideva sempre grazie a me. Gli occhi dolci e profondi, il colore caldo delle foglie mature rendevano il suo sguardo comprensivo e seducente a seconda della situazione.. non potevo rinunciare a lui, mi sentivo morire al solo pensiero.
«Enoch?» mi ridestai osservando i loro visi intenti a scrutarmi.
«Ero sovrappensiero.» Sorrisi forzatamente e notai un luccichio preoccupato negli occhi del mio fidanzato. Perché si, lui era ancora il mio fidanzato e questo non sarebbe cambiato mai.
«Peter voleva sapere se gradivi il dolce..» la sua voce era come una musica melodiosa, simile al rumore dei ciottoli in fondo al fiume, o almeno io la vedevo così. Ma da quando ero diventato così fottutamente romantico?
«Non è il dolce ciò che voglio.» Da come lo guardai Joshua capì che mi riferivo a lui, bevvi un sorso di vino alzandomi. «Devo andare, la cena ve la offro io.» non staccai gli occhi dalla sua figura, augurandomi capisse ciò che cercavo di dirgli, e dopo averli lasciati piuttosto che dirigermi alla porta d’ingresso dirottai a quella del bagno.
 
*
 
Avevo capito bene? Aprii la porta con cautela guardandomi attorno senza che scorgessi un’anima lì dentro, camminai lentamente arrivando al centro dell’anticamera finché non sentii la sua presenza alle mie spalle, non mi voltai respirando profondamente.
«Perché sei venuto qui?»
«Non era ciò che volevi? Hai dato a Sean persino l’indirizzo, non desideravi forse che me lo dicesse?» Mi girò attorno piazzandosi di fronte a me, reclinai il capo per fissarlo in viso mordendomi le labbra. Le bugie non mi riuscivano ancora molto bene.
«Speravo ti dicesse l’altra parte del discorso, non che ti convincesse a venire qui. Peter ha capito..» non mi fece nemmeno finire il discorso colmando le distanze già esigue tra noi.
«Non me ne frega un cazzo di quello che Peter ha capito, se avesse capito sul serio a quest’ora sarebbe già andato via.» La sua voce bassa mi strappò un brivido, provai ad arretrare ma non me lo permise afferrandomi per i fianchi.
«Enoch, per favore..» mi divincolai senza successo, sentivo la mia voce tremare e non ero sicuro se fosse per l’eccitazione o la paura del luogo nella quale eravamo.
«Una volta quando dicevi ‘’Enoch, per favore’’ stavi nudo sul mio letto mentre mi accoglievi dentro di te.» Quei discorsi non erano umanamente sostenibili, gli afferrai il polso esercitando una pressione disperata affinché mi lasciasse andare.
«Potrebbe entrare chiunque, ti prego..» senza neppure rispondermi mi trascinò verso la porta che dava ai bagni veri e propri, entrando dentro il primo e portandomi con lui. All’interno di quello spazio ristretto riuscivo solo a fissare i suoi occhi, e le sue labbra che lentamente si avvicinarono alle mie. Possibile che non riuscissi mai a dirgli no? Che senso aveva tutto quello, che senso aveva il mio allontanarmi se poi tornavo comunque tra le sue braccia? Sembravo semplicemente un pazzo incoerente.
«Quello che abbiamo noi due, tu lo sai..» morse il mio labbro inferiore strappandomi un gemito, le sue dita sollevarono la mia camicia accarezzandomi l’addome piatto, sentii la pelle formicolarmi mentre mi abbandonavo a quelle carezze indecenti. La mia mente era in tilt, riuscivo solo a sentirlo sovrastarmi, a percepire la sua eccitazione che si fondeva con la mia mentre le mie dita tremanti sbottonavano i suoi jeans insinuandosi al suo interno. Lo sentii sospirare di piacere contro il mio orecchio, era una pazzia quella, c’era una persona che mi aspettava lì fuori e altre cento che sarebbero potute entrare eppure non riuscivo a fermarmi. Mi aprì la camicia accarezzandomi la clavicola, laddove vi era ancora il livido che lui stesso mi aveva procurato, senza fretta lo sentii scendere con le mani, afferrò le mie natiche attraverso la stoffa dei pantaloni fino a superarne la barriera, pelle contro pelle.
«Joshua?» Quella voce spezzò l’incantesimo nella quale ero caduto, provai a divincolarmi ma Enoch non me lo permise, anzi le sue carezze divennero più sfacciate e intime e io gemetti senza potermi trattenere. Peter aveva sentito? Era ancora lì? Era una situazione surreale. Fu Enoch stesso a lasciarmi andare poco dopo, mi fissò con gli occhi lucidi di desiderio.
«Non qui, andiamo via.» Si ricompose velocemente e io provai a fare la stessa cosa. «Saluta il tuo amico, ti aspetto fuori—» ci bloccammo entrambi quando arrivati in sala trovammo il tavolo vuoto. Mi pressai la fronte scuotendo il capo disperato.
«Ci avrà sentiti, dio santo.» La mia voce lamentosa lo irritò, mi scrollò per un braccio fissandomi.
«Ti interessa di lui?»
«Oh Enoch, come puoi essere sempre così ..egoista.» A quelle parole i suoi occhi tentennarono e la sua morsa divenne meno salda. «Non mi importa per quello che pensi tu, ma mettiti nei suoi panni..» mi scrollai dalla sua presa andando al tavolo per prendere il mio immancabile zaino, seguito a ruota da lui. Ormai uscire separatamente supponevo fosse inutile: mi sbagliavo, come ogni schifosissima volta.
Il cazzotto in faccia a Enoch arrivò così preciso e violento da fargli perdere l’equilibrio, urlai di spavento soffocandomi la bocca con una mano mentre fissavo un Peter decisamente poco composto e anche poco calmo.
«Chi cazzo ti credi di essere? Arrivi qui e fai ciò che ti pare sotto i miei occhi?» Non riconoscevo più la sua voce, dov’era finita la ‘’calma zen’’ che professava ogni volta che parlavamo? Il viso di Enoch si contorse e alterò mentre si asciugava il sangue dalle labbra.
«Pensavo fossi più furbo e avessi capito chi tra noi due è superfluo, evidentemente mi sono sbagliato.» Si scagliò contro Peter e io vidi la mia intera esistenza passarmi davanti.
«SMETTETELA, FERMI.» Urlai disperatamente provando a tirare Enoch per la maglietta ma sembrava inutile, il suo corpo era contratto e a me pareva di stare strattonando un muro di cemento armato. Mi infilai in mezzo gettandomi su di loro per allontanarli, ma proprio in quel momento mi arrivò un pugno dritto in faccia che mi fece perdere l’equilibrio e finire a terra. Restai senza fiato mentre vedevo le persone fermarsi e fissare quella scena pietosa, sentii gli occhi pungere e un dolore pressante allo zigomo, Enoch si bloccò fissandomi come pietrificato lo vidi protendersi verso di me e abbassare la guardia, Peter ne approfittò per dargli il secondo cazzotto della serata.
«Brutto pezzo di merda..» la sua voce sempre graffiante era adesso come veleno, a testa bassa lo colpì facendogli perdere l’equilibrio. Mi rialzai a fatica mettendomi nuovamente in mezzo, stavolta spinsi Peter con abbastanza forza fissandolo con occhi assassini.
«NON TOCCARLO MAI PIU’.» Mi sentivo tremare per la rabbia, nonostante fosse lui quello più malconcio sentivo di odiarlo in quel preciso momento. Come aveva potuto colpire Enoch? Chi diamine gli aveva fatto credere di avere quel diritto inalienabile su di me? Mi sembrò di rivedere Mattew di fronte la scuola, anche in quel frangente provai quella strana sensazione come di assurdità. Era assurdo litigare con un uomo che non fosse Enoch per me. Peter sembrò leggere i miei occhi e la sua furia sparì improvvisamente.
«Vieni via con me, parliamone da soli.» Mi tese la mano calcando sull’ultima parola, restai immobile a fissarlo e infine mi voltai.
«Andiamocene da qui..» Presi Enoch per mano trascinandomelo lontano dalla calca, lasciando così a Peter l’unico diritto inalienabile che avesse davvero mai avuto: comprendere chi avessi scelto.
 
Guidai io l’auto, il suo occhio continuava a lacrimare e non mi fidavo della sua vista al momento. Senza rendermene conto mi diressi a casa sua e quando lo feci era ormai troppo tardi per cambiare direzione, non c’eravamo detti nemmeno una parola lungo il tragitto, sentivo il suo corpo teso come se le vibrazioni riempissero l’intero abitacolo travolgendomi.
Accesi le luci e questo sembrò infastidirlo forse a causa dell’occhio che adesso aveva preso sfumature violacee facendomi preoccupare.
«Hai qualcosa per disinfettarti?» Mi fissò in silenzio annuendo, indicandomi il bagno dove mi diressi senza aspettare oltre. Quando tornai in camera lo trovai intento a spogliarsi, mi bloccai senza sapere bene cosa fare e dove guardare consapevole di come il suo corpo portasse ancora tracce della notte passata insieme solo una settimana prima.
«Mettiti la mia felpa per dormire..» aggrottai la fronte scuotendo il capo.
«Non resterò qui, non ti preoccupare, voglio solo disinfettarti il viso e..» mi fissò in maniera così severa che le parole si ricacciarono spontaneamente in gola.
«Non ho voglia di fare questo giochetto stasera, e non ho le forze per riaccompagnarti, quindi porca puttana cambiati.» Trasalii a quel tono alto e irruente annuendo a capo chino. Notavo con piacere che in quello non eravamo cambiati di una virgola, appena Enoch perdeva la pazienza io battevo in ritirata, detestavo saperlo di cattivo umore che fosse per causa mia o meno. Respirai profondamente sedendomi sul letto, facendogli cenno di avvicinarsi per controllare l’entità delle sue ferite: aveva il labbro spaccato e un occhio nero, tutto sommato poteva andargli peggio se consideravamo quanto stava messo male Peter quando l’avevamo mollato davanti al locale. Quando si sedette notai una smorfia formarsi sulle sue labbra, le mie dita corsero subito a sollevargli la maglia e vidi una macchia rossastra sul fianco, l’accarezzai e lui trasalì.
«Quando ti ha colpito qui?» Probabilmente parlai in maniera talmente sconfortata che persino lui non trovò la forza di ribattere.
«Non è niente, non mi fa nemmeno male..» che bugiardo, lo guardai e mi venne da ridere fuori controllo.
«Sei così assurdo, non cambi mai seriamente.» Scossi il capo iniziando a disinfettargli le ferite con attenzione, ero diventato esperto in quello dopo tutti gli anni passati a curare quelle sul mio corpo a causa del reverendo. Enoch lo sapeva, e per questo si sentiva sempre a disagio quando mi vedevo costretto a farlo ancora. Mi accarezzò lo zigomo e io mi scostai per il dolore.
«Non ci posso credere che ti abbia colpito..» nella sua voce tornò la fiamma della rabbia.
«Non l’ha fatto di proposito lo sai..» il fatto che provassi a giustificare Peter non sembrò piacergli molto a giudicare dal cipiglio irato.
«Non si è nemmeno preoccupato di vedere come stessi.» Su questo non potevo dargli torto e infatti tacqui finendo il mio compito di infermiere improvvisato.
«Mi raccomando metti la pomata ogni giorno..» annuì e io fui sicuro stesse mentendomi, come al solito. Evitai di intestardirmi, era comunque inutile, concentrandomi piuttosto sulla sua felpa che decisi di indossare nel bagno. Stavo giusto per andarmene ma la presa sul mio polso mi bloccò, ci fissammo qualche secondo di troppo.
«Cambiati qui, conosco il tuo corpo e so come sei fatto meglio di come potrebbe saperlo chiunque..» arrossii a quelle parole fin troppo vere guardandolo stendersi con un sospiro sul letto sfatto, continuando a scrutarmi alla luce della lampada. A occhi bassi mi cambiai davanti a lui, ero sicuro me lo avesse chiesto per osservare i segni sul mio corpo, segni che aveva lasciato lui stesso la sera della festa. Mi sembrava così lontana anche quella. Restai imbambolato ai piedi del letto senza sapere bene che fare, lo sentii sospirare e farmi cenno di avvicinarmi.
«Mi dispiace per stasera..» non sapevo bene perché mi stessi scusando, sentivo comunque di doverlo fare come se quel peso sulla coscienza altrimenti non se ne sarebbe andato. Quando mi stesi il suo braccio mi cinse attirandomi contro di lui, viso contro viso restammo in silenzio a scrutarci. Ancora un po’ e sarei riuscito a contare le pagliuzze celesti dentro le sue iridi, dolcemente gli toccai il viso, le labbra ferite e il livido sotto l’occhio.
«Sento come se adesso riuscissi a respirare..» il suo respiro solleticò le mie guance, non dissi nulla continuando a guardarlo. La mancanza provata in quei due anni mi piombò addosso come mai prima di allora, se fino a quel momento ero stato mediamente consapevole di come avessi reso misera la mia vita in sua assenza, adesso il peso di quella consapevolezza era insostenibile da sopportare. Se fosse andato via di nuovo non sarei sopravvissuto, ne ero certo. Che senso aveva rifiutarlo e rifiutarci, quando ormai era chiaro fossi rientrato nel meccanismo del passato? O meglio, vi ero mai uscito? Il suo ritorno era servito solo a ripristinare gli equilibri sballandoli allo stesso tempo.
«Io sento come se non riuscissi a respirare invece..» il magone ostruì la mia gola, mi sentivo sommerso dalla portata dei miei sentimenti , e mentre lo guardavo abbracciarmi e stringermi a se io persi ogni contatto con la realtà.
Quella notte accarezzai il suo corpo addormentato, o almeno questo era ciò che volevo credere nonostante il suo respiro disordinato mi facesse pensare fosse completamente sveglio. Furono le ore più brevi di tutta la nostra vita.
 

Sophia sorseggiò il suo frullato con gusto, era venuta a trovarmi e sbrigare alcune cose a Las Vegas prima di tornare a Yale. Alla fine com’era prevedibile il padre l’aveva perdonata, e adesso sembrava essere super cotta di uno studente della facoltà di legge.
«Progressi con Enoch?» mi attaccai alla cannuccia del mio frappé rischiando di soffocarmi quasi per la foga messa.
«Non ne sono sicuro nemmeno io, dopo aver dormito insieme quella sera le cose sono un po’..» non trovavo termini adatti per descrivere come mi sentissi in sua presenza.
«Dovresti smetterla, e tornare da lui.» Chinai il capo in silenzio, non avevo nulla da dire al riguardo visto che in effetti era la cosa che volevo di più. «Tu lo hai perdonato? Ti fidi di lui?»
«Io lo amo..» mi sorrise con tenerezza accarezzandomi il dorso della mano, invogliandomi a proseguire. «Non posso pensare di passare la mia intera esistenza senza di lui, è come se non riuscissi a vivere al solo pensiero.»
«E che aspetti a dirglielo?» Già, che aspettavo in effetti? Forse le parole adatte, dopo tutto quello che avevamo passato e dopo tutte le cose che gli avevo detto, mi sentivo così stupido.
«E se fosse tardi?» Scoppiò a ridere divertita come se quel pensiero fosse la cosa più esilarante che avesse mai sentito, il problema era che non avevo notizie di Enoch da due giorni e la cosa mi preoccupava se consideravamo il microscopico dettaglio che in quel mese me l’ero ritrovato ovunque e ogni giorno.
«Enoch ti ama, non aspetta altro se non una tua parola. Non essere stupido Josh, la vita può avervi separato una volta, ma adesso la decisione spetta a entrambi. Siete voi gli artefici del vostro destino.» la guardai stupefatto.
«E tutta questa saggezza?»
«Che posso dirti, si cresce nella vita.» Scrollò le spalle con indolenza e io sorrisi divertito, mi sembravano passati decenni da quando mi aveva abbordato in caffetteria rifilandomi persino un lavoro.
Chiamai Enoch quel pomeriggio stesso, la sua voce sembrava strana quasi fiacca, gli chiesi con nervosismo se volesse venire a cena da me, restò in silenzio pochi secondi che aumentarono la mia ansia e alla fine disse semplicemente di si riattaccando.
Ero deciso a dirgli ciò che provavo, a rompere del tutto le barriere tra noi, a scusarmi anche per quel mese di sofferenza che gli avevo causato. Ero stato un emerito imbecille nei miei atteggiamenti, io sapevo che lui mi amava tanto quanto lo amavo io, non potevo rovinare tutto per le mie paure. Preparai la cena con attenzione, ricordando i suoi piatti preferiti ma quando il campanello suonò e me lo ritrovai davanti strabuzzai gli occhi.
«Che cos’hai..» pallido e con le occhiaie sembrava sudare freddo, mi sporsi verso di lui toccandogli la fronte con la mano: era bollente. Provò a sciogliersi da quella presa minimizzando.
«Non è niente, un po’ di febbre..» un po’? Aveva la stessa temperatura dei miei fornelli in cucina. Lo trascinai in camera mia costringendolo a stendersi.
«Come hai potuto venire in queste condizioni..» serrai le labbra e il cuore mi si strinse nel vederlo così indifeso, ricordai la notte al dormitorio quando lo vegliai in quelle medesime condizioni.
«Mi hai chiamato, come potevo non venire?» Sorrisi trattenendo le lacrime, sedendomi accanto a lui.
«Passerà non preoccuparti, starai meglio te lo prometto, ci sono io con te..» a quelle parole lo vidi rasserenarsi, e capii che ogni mio passo mi aveva semplicemente condotto all’inevitabile. Il termometro segnava 40 gradi, e mi spaventai temendo persino di non aver letto bene. Lo guardai di sottecchi facendo mente locale su ciò che avevo in casa e avrei potuto dargli. Non era di certo la cena che mi ero prefisso, ma avremmo avuto altre occasioni per chiarire e parlare. Ne ero assolutamente sicuro.

 
  
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