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Autore: ElinaFD    05/04/2019    2 recensioni
Marsiglia 2016, finale del Grand Prix. I sei pattinatori più forti al mondo si sfidano per determinare chi sarà il campione di metà stagione. Tra questi c'è di nuovo Victor, tornato all'agonismo, insieme allo Yuuri giapponese e a quello russo. Non tutto però va a gonfie vele, per gli atleti. A volte è il corpo a tradirli; altre, invece, soltanto la testa...
Chi vincerà?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Otabek Altin, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Kintsugi, o l'arte delle preziose cicatrici'
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Marsiglia, venerdì 9 dicembre 2016, mattina.
 



Yuri si voltò nel letto con un mugugno infastidito. Non voleva alzarsi, quella mattina. A dire il vero avrebbe voluto dormire tutto il giorno fingendosi morto.

A leggere il feed delle notizie il programma corto della sera prima era stato una “gara brillante che ha tenuto tutti col fiato sospeso”. Testimonianza ne era la classifica provvisoria, “che vedeva i sei atleti racchiusi tutti nello scarto di dieci punti”. Per Yuri la situazione si traduceva più o meno così: tutti loro erano arrivati dignitosamente in fondo al programma, chi più chi meno, ma nessuno era riuscito a dare il meglio. Qualche sbavatura, qualche incertezza, qualche salto che perdeva rotazione li aveva tenuti tutti su punteggi al di sotto delle loro aspettative. Che poi fossero tutti racchiusi nello spazio di dieci punti non era così strepitoso. Erano solo sei, in teoria i più forti del momento (solo in teoria, perché la mente di Yuri persisteva nel sussurrargli che ci doveva essere stato qualche grosso errore nel processo di selezione), e dieci punti era più o meno quanto i loro risultati del corto fluttuavano da una gara all’altra. Se quel tabellone finale significava qualcosa era che chi era arrivato in finale a grandi linee si eguagliava. Ora, questo poteva anche essere una gran soddisfazione per il pubblico pagante, che voleva qualche seria sorpresa fino alla fine, ma per Yuri significava solo che lui era diventato ordinario mentre i brocchi avevano eroso un altro po’ del suo vantaggio. Cazzo, come odiava quella finale!

Victor ora se ne stava al primo posto, con quella solita faccia quasi sorpresa di essere il più forte in circolazione ma il sorriso sbruffone di chi sapeva bene il contrario, tuttavia con un punteggio di 104.87 aveva davvero poco da ridere, perché il pubblico sapeva che Nikiforov significava almeno 110. JJ e Seung-gil seguivano, poi c’era Otabek, primo degli esclusi da un ipotetico podio. Katsudon languiva in quinta posizione dopo una gara non pessima, ma ben al di sotto le sue capacità. Alla fine si era portato a casa un decoroso 97.24, ma le sbavature e i tentennamenti erano stati davvero tanti e il giapponese stesso aveva accolto il punteggio con un guizzo di pura rabbia. La frustrazione doveva essere enorme, soprattutto visto che aveva avuto tempo di montare in quei due giorni di allenamenti col coreano. Il programma corto era sempre stato un punto forte, per Yuuri, e si era un po’ abituato a spiccare nella prima giornata di gare; proprio come l’anno precedente a Barcellona quel maledetto 97 tornava a tormentarlo. Yuri sperava sinceramente che non si desse per vinto, ma che ribaltasse la situazione con un libero di un certo livello. L’aveva visto allenarsi, dopotutto, sapeva che il programma era davvero forte.

Oh, Yuri, tra parentesi, occupava un’inaspettata sesta e ultima posizione. La cosa peggiore era che non era neppure andato così male! Yuri si conosceva, sapeva di poter andare anche molto, ma molto peggio, viste le ultime settimane. No, aveva pattinato come una mezza calzetta qualsiasi, portando a casa un programma tentennante e noioso, ma fondamentalmente integro, e adesso se ne stava a quota 94.36 (lui, che un anno fa aveva spostato in su l’asticella del record mondiale a 118 punti!) a mangiarsi il fegato. Giornalisti, opinionisti e cialtroni, d’altronde, non avevano perso tempo a ricoprire intere pagine web di pungenti commenti denigratori della sua performance e la frase “Plisetsky avviato al ritiro a solo un anno dall’oro di Barcellona?” era stata realmente pronunciata. Se avesse avuto quel demente tra le mani non ne sarebbero rimaste neanche le ossa.

L’unica cosa positiva della sera precedente era stata la cena. Avendo una giornata di pausa prima del libero, erano andati tutti insieme in un ristorante locale e lì avevano assaggiato uno dei piatti forti marsigliesi: la bouillabaisse alla marsigliese, una specie di zuppa di pesce piccante, che l’aveva esaltato. Forse era semplicemente la fame, o forse erano anche i due bicchieri di vino bianco che era riuscito a scucire di nascosto ai suoi commensali, nonostante fosse ancora minorenne. Secondo lui, comunque, era il minimo che potessero fare per tenerlo buono.

Victor da solo, nell’euforia post-gara, se ne era scolato una bottiglia. Poi nei fumi dell’alcool si era messo a polemizzare sulla scelta del vino, perché per quanto buonissimo lui avrebbe voluto un rosé locale, e aveva lanciato via social qualche frecciatina in direzione di Seung-gil, che nonostante fosse stato invitato a cena era rimasto a macerarsi nella propria solitaria camera d’albergo. Yuri non si era dunque sorpreso quando quello aveva replicato (in pubblica piazza, a pieno sputtanamento mondiale) che il suo atteggiamento era molto cavalleresco, ma se Katsudon non aveva testa per gareggiare poteva anche ritirarsi. Che quella in fin dei conti era una guerra. La faccia del giapponese di fronte a quel commento, che peraltro ammetteva in modo abbastanza palese la sua volontà di provocare Yuuri in quei giorni, era stata impagabile.

Quella mattina si sentiva anche vagamente a disagio nei confronti di Victor e di Katsudon. Durante la cena si era lasciato andare a qualche commento acido sulla loro nauseante appiccicosità che aveva messo in imbarazzo Yuuri. Forse aveva esagerato un po’, forse non si dilungavano davvero così tanto in amoreggiamenti a bordo pista. Però bastava quel poco che vedeva a fargli intendere tutto il resto e questo gli dava fastidio. Lo metteva in difficoltà. Non sapeva perché e non voleva trovare una risposta, ma non voleva sapere nulla della loro relazione, nulla che non fosse il pattinaggio. E tuttavia si sentiva in colpa perché quando Katsudon era a disagio diventava più freddo e taciturno e questo inevitabilmente aveva fatto incupire anche Victor. Victor che la sera prima era stato davvero carino con lui.

Porco schifo, definire Victor carino era rivoltante, eppure gli riusciva difficile trovare un altro termine per ciò che aveva fatto. Perché poco prima dell’inizio del corto maschile, mentre si stavano scaldando, Victor l’aveva trascinato in bagno (ok, gliel’aveva chiesto, prima, ma lui l’aveva ignorato), fatto sedere sul ripiano dei lavandini e l’aveva truccato. O meglio, ci aveva provato, perché lui aveva opposto resistenza, se “Che cazzo pensi di fare?” urlato in faccia si poteva definire tale. Ma Victor aveva proseguito senza battere ciglio e dopo aver trafficato per qualche secondo con un paio di tubetti gli aveva applicato qualcosa sulla fronte con un dito.

“Sta’ fermo,” gli aveva detto, concentrato nel proprio lavoro. “Siamo fortunati, abbiamo più o meno la stessa carnagione.”

“Che stai facendo?” aveva mugugnato lui, senza più ribellarsi.

“Ti copro i brufoli,” aveva spiegato Victor atono. “Non ci fa caso nessuno, ma sembra che tu ne stia facendo una tragedia, per cui…”

“Ma così si vedrà che sono truccato!” aveva obiettato. “Si scioglierà col sudore!”

“Fidati, no?” gli aveva detto Victor, facendogli l’occhiolino. “Avrò un po’ di esperienza.” Si era avvicinato a guardare la sua fronte da vicino, mettendolo estremamente in imbarazzo, poi si era allontanato ad ammirare il risultato del proprio lavoro. “Là, perfetto. È solo un po’ di correttore e ne ho messo pochissimo. Non si vede nemmeno. Però migliora un po’ l’effetto generale. Guardati,” lo aveva incoraggiato poi, sciacquandosi le mani.

Yuri si era guardato e…Victor aveva ragione. I brufoli erano ancora lì, non se n’erano andati, ma il colorito era più uniforme e, anche osservandosi da vicino, non si notava praticamente nulla. Era una magia. Come avesse fatto rimaneva un mistero.

Yuri non sapeva perché Victor avesse fatto una cosa del genere. Aveva preso le sue cose e se n’era andato senza aggiungere altro e Yuri era rimasto lì a guardarsi nello specchio con sospetto, senza nemmeno ringraziarlo. Quel gesto insignificante e inaspettato l’aveva fatto sentire indescrivibilmente meglio. Per questo quasi si stava pentendo di aver mostrato tanta aggressività nei suoi confronti, più tardi.

Yuri si rivoltò nel letto, sospirando. Perché doveva sentire così tante emozioni contrastanti? Perché non poteva tornare a quando le cose erano facili, quando sapeva di essere il migliore e di poter vincere a occhi chiusi? Due anni prima era il campione Junior e non aveva nemmeno dovuto allenarsi tanto duramente per diventarlo. Era stato divertente. Poi un anno nei Senior, un anno di sudore, dolore e piccole umiliazioni, ma un anno in cui aveva mostrato di essere ancora al top, anche contro persone che avevano quasi il doppio della sua età. E ora di colpo questo. Otabek però aveva ragione, non era da lui piangersi addosso. Non gli si addiceva. Non lo faceva nemmeno stare meglio; tutt’al più lo faceva incazzare maggiormente. Non era Katsudon, che si chiudeva in bagno a piangere come un deficiente. Doveva reagire. Lo doveva a se stesso.

Si mise a sedere, sfregandosi con una mano i capelli arruffati. Doveva darsi un tono. Doveva fare qualcosa per svagarsi. Prese il cellulare e buttò giù velocemente un messaggio. Quando uscì dal bagno la risposta lampeggiava sullo schermo. Sarebbe andato a vedere gli allenamenti mattutini delle altre categorie, avrebbe preso un po’ in giro Mila in previsione del corto di quella sera e poi Otabek l’avrebbe portato a fare un giro. Sarebbe stata una bella giornata. Però prima doveva guardare i video del corto per accertarsi che il trucco non si vedesse.



 
 
Victor uscì dal bagno con gli occhi ancora semichiusi, cercando di capire se la testa gli pulsasse per la fame o il vino della sera prima.

“Buongiorno, dolcezza,” biascicò comunque con un sorriso smielato, passando un braccio attorno alla vita del suo fidanzato. Fidanzato che, con la grazia di un’anguilla, si sottrasse al suo abbraccio e si scostò da lui.

“Ti è passata la sbornia?” gli chiese Yuuri con un tono seccato che risvegliò subito Victor del tutto. Il compagno lo guardava con occhi duri e i lineamenti del viso rigidi di rabbia repressa.

“Che c’è?” domandò sorpreso, mostrando la sua miglior espressione innocente. In tutta sincerità non ricordava di aver fatto niente che avrebbe potuto far arrabbiare Yuuri. Almeno niente a cui Yuuri non fosse già abituato.

Per tutta risposta l’altro afferrò il cellulare che era rimasto abbandonato sul letto e glielo mise davanti al naso.

“Che diavolo ti è saltato in mente?” gli chiese, la voce tesa come una corda di violino.

Victor non capiva.

“Che ha il mio cellulare?”

Yuuri sbuffò. “Non dirmi che non ti ricordi…”

Victor prese in mano il telefono, lo sbloccò e diede un’occhiata alle notifiche. Lentamente un sospetto iniziò a far capolino nel suo cervello.

“Per caso ti stai riferendo alla mia scaramuccia online con Seung-gil?” tentò, speranzoso.

“C’è altro per cui dovrei essere così arrabbiato?” ribatté Yuuri, e l’ombra di un dubbio parve attraversargli davvero gli occhi.

“No… Cioè, non capisco nemmeno perché sei così arrabbiato per questo. È una cretinata…”

Di nuovo il compagno sbuffò, un sospiro di pura frustrazione, poi si voltò e si andò a sedere sul letto, lo sguardo perso fuori dalla finestra.

Victor lo fissò in silenzio, il malumore che gli cresceva dentro di minuto in minuto.

“Non mi sembra di aver fatto niente di male,” disse infine. “Semmai ti ho difeso.”

“Appunto!” esclamò Yuuri, tornando a guardarlo di colpo, gli occhi brucianti.

Un silenzio pesante e scomodo tornò a calare nella stanza. Alla lunga Victor scosse la testa piano, incapace di dare un senso a tutta quella conversazione.

“No,” mormorò soltanto, “non capisco. Se hai intenzione di litigare dovrai dirmi le cose in faccia, perché non ti capisco.”

Yuuri afferrò il proprio telefono e si mise a cercare qualcosa.

Che cavaliere!; Non toccate Katsuki o Nikiforov vi mozza la mano!; Ma povero Yuuri, gli serve la mamma!; Pattinatori gay ne abbiamo?”, lesse, scandendo con cura le parole. “#PrinceCharming, #PrincessInDistress, #thegayest.” Alzò gli occhi dal display su Victor, che lo aveva ascoltato con un misto di ilarità e fastidio. “Continuo?”

“No, mi sono fatto un’idea.”

Yuuri alzò gli occhi, alla ricerca delle parole per esprimere ciò che provava, probabilmente.

“Questa cosa mi fa sentire così…ridicolo.”

Victor si passò una mano dietro al collo, accarezzandosi i capelli sulla nuca.

“Non pensavo ti mettesse a disagio il fatto che la nostra relazione fosse pubblica,” biascicò. Sinceramente, che a Yuuri questa cosa pesasse lo feriva persino un po’. Non avevano parlato di sposarsi due giorni prima? Di farlo prima delle Olimpiadi? Poteva aver male interpretato e scoprire solo ora che Yuuri voleva insabbiare il tutto il più possibile?

“Non me ne frega niente se tutto il mondo sa che stiamo insieme!” sbottò il compagno.

Victor sbatté le palpebre.

“E allora…?”

“Non ho bisogno di essere difeso. Soprattutto non su internet!” Inspirò a fondo, stringendo le labbra. “Una volta mi hai detto che io non sono un debole. Che nessuno dei miei amici pensa che lo sia, e nemmeno tu.”

“È vero,” confermò di slancio Victor. “Non l’ho mai pensato.”

“Eppure è così che mi hai fatto sentire,” recriminò Yuuri. “Debole. Un incapace.”

Victor lo osservò per qualche secondo in silenzio. Ora capiva, ricordava bene il discorso a cui si riferiva Yuuri e sapeva quanto avesse significato, quell’aprirsi a lui, quella confidenza, per l’inizio della loro relazione. Però sentiva anche un senso di fastidio, di frustrazione, che iniziava a trasformarsi in rabbia.

“Quindi cosa ti aspettavi che facessi?” ribatté, la voce più dura. “Che stessi a guardare mentre ti piangevi addosso?”

Gli occhi di Yuuri si dilatarono. Colpito e affondato, pensò Victor, dispiacendosene un istante dopo, ma ormai il dado era tratto.

“Non penso che tu sia debole, né tantomeno un incapace, ma da quando Seung-gil ha iniziato a provocarti tu non sei più riuscito a mettere insieme un programma decente. Cos’avrei dovuto fare?”

“Niente!” esclamò Yuuri. “Ti avevo detto niente scenate.”

“Ma non puoi pretendere che me ne stia a guardare mentre butti via una finale!” ribatté Victor. Ora si stava davvero arrabbiando. “Non puoi aggirarti con quella faccia e chiuderti in camera a piangere e poi pretendere che chi ti sta vicino non faccia niente!” Victor vide la mascella di Yuuri serrarsi, i muscoli del suo viso distendersi in quella che era la sua più fredda espressione, quella formale e priva di emozioni, e si infuriò. Con tre passi raggiunse il compagno e gli si parò davanti. “Non ci provare neanche, non mi chiudere fuori. So perfettamente come fai: fingi di star bene, ti chiudi in te stesso, allontani tutti gli altri. Non te lo permetto.”

“Victor…”

“Se vuoi il mio parere, tutta questa storia è assurda. Seung-gil è un idiota e non dovresti nemmeno dedicargli un minuto dei tuoi pensieri. Se hai paura per la tua incolumità parlagli, digli di smetterla, ma se pensi che sia tutta scena allora ignoralo e pensa alla tua gara.”

Yuuri sembrò a corto di risposte, ma non del tutto convinto. D’altronde era più testardo di un mulo, quando ci si metteva. Victor si voltò e scrutò il grigio paesaggio urbano fuori dalla finestra della camera. Deprimente a dir poco.

“Si può sapere perché dobbiamo sempre litigare alla finale del Grand Prix?” domandò dopo un po’, la voce dolente. “È snervante.”

“Mi dispiace,” rispose la voce di uno a cui non dispiaceva per niente.

“Perché non puoi mai fare un passo indietro?” insisté Victor, voltandosi di nuovo a guardarlo.

“Senti, lasciamo perdere. Non è il momento. Domani c’è il libero, devi concentrarti su quello,” snocciolò Yuuri, la voce atona.

“E tu no?”

Non ottenne risposta. Yuuri tenne gli occhi bassi e si rinchiuse nel suo silenzio di tomba.

Victor trasse un profondo respiro, imponendosi la calma, e gli mise le mani sulle spalle, esortandolo ad alzare il viso.

“Colazione. Poi andiamo a fare un giro. C’è il mare, possiamo stare in silenzio a guardare i gabbiani e potrai odiarmi per il resto della giornata, se vorrai, ma mi rifiuto di passare le prossime 24 ore a fingere di non conoscerci. Sarebbe uno strazio. L’anno scorso mi ha insegnato almeno questo…”

Victor capiva cosa significasse sentirsi deboli meglio di quanto Yuuri potesse immaginare. Quando Yuuri lo guardava con quegli occhi grandi, brillanti, che gli occhiali non riuscivano a nascondere, Victor si sentiva in balia delle sue mille nevrosi, delle sue angosce, dei suoi silenzi, e allora si sentiva debole, perché anche se aveva ragione, alla fine era sempre lui a fare un passo indietro. Yuuri sarebbe tornato in sé, lo sapeva, perché quelle crisi erano passeggere, ma se c’era davvero qualcuno in comando, nella loro coppia, di certo non era Victor.

“È difficile,” mormorò dopo qualche secondo l’altro.

Victor annuì.

“Lo so.”

“Non sono in vena di fare la coppietta in gi–”

“Va bene così,” lo interruppe Victor. “Non ti ho chiesto niente. Soltanto di non tagliarmi fuori.”

Yuuri annuì.

“Se c’è una spiaggia…” biascicò, tentennante.

Victor piegò le labbra in un sorriso, per quanto fosse segnato dalla fatica.

“Cerchiamola.”

“Ok.”

Victor tirò un profondo respiro, lasciandosi poi cadere seduto di fianco al compagno.

“Più tardi però voglio andare al palazzetto, quando abbiamo il turno sulla pista secondaria,” fece Yuuri inaspettatamente, gli occhi bassi ma non più così distaccati. “Per scaldarci, almeno, fare un po’ di stretching. Devi tenerlo in allenamento, quel fianco, se domani non vuoi farti male.”

Victor sentì il cuore stringersi in modo quasi doloroso.

“Yuuri?” lo richiamò.

“Mh?”

Victor sorrise, dandosi mentalmente dello sciocco. Era proprio un caso senza speranza.

“Niente,” mormorò con voce dolce e prima che Yuuri potesse accorgersene gli posò un bacio all’angolo della bocca. “Scendiamo.”
   
 
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