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Autore: Ryo13    06/04/2019    4 recensioni
Verso la fine della Seconda Guerra mondiale una giovane donna fugge dal lager di Dachau. Viene soccorsa da un medico tedesco da sempre innamorato di lei che la nasconde in casa propria.
❈❈❈Seconda classificata e vincitrice del premio speciale "Sliding Doors" al contest "Coincidenze perdute, appuntamenti mancati, scelte difficili: Sliding Doors Contest" indetto da missredlights e Shilyss sul forum di EFP❈❈❈
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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4. Voci di madri e di padri

Agosto, 1919

Ada guardava fuori dalla finestra con aria preoccupata. Si rivolse all’unica cameriera che era rimasta al servizio della sua famiglia per dirle di sbrigarsi: tutto doveva essere perfetto prima del ritorno di Rupert.

«Dina, togli quelle macchie di sugo dal ripiano della cucina, presto.»

L’orologio suonò il rintocco delle diciotto.

«Dov’è Ezra? Dina, l’hai visto?»

«È fuori, in giardino, signora.»

«Cosa fa ancora lì a quest’ora, santo cielo? Non lo sa che suo padre sta per rientrare?»

Dina non diede risposta, sapeva che la sua padrona non ne voleva una. La vide correre verso la porta sul retro quindi tornò a ripulire il bancone. Raddrizzò i tovaglioli sulla tavola.

«Ezra! Ezra...» grigò Ada uscendo. L’anta della porta le scivolò di mano e, picchiando sul muro, la fece sussultare. «Oh, cielo, mi devo calmare...»

Quel pomeriggio la visita di Clara si era protratta più a lungo del solito e aveva sconvolto ogni suo programma. Ada non aveva trovato un modo per dirottarla via in tempo: alla signora Sievers nessuno diceva di no, poteva occupare a piacimento le abitazioni delle proprie amiche finché volesse. Quel pomeriggio, quando aveva finalmente deciso di andare via, si era fatto tardi: non c’era stato modo di eliminare le tracce dello scompiglio che comporta ricevere una persona in casa. Si stava affrettando a mettere tutto in ordine per l’arrivo del marito ma si sentiva piuttosto agitata.

Da un angolo lontano del giardino venne fuori un bimbo, i capelli ricci e biondi sporchi e appiccicati sulla fronte.

«Oh, Ez… sei completamente infangato! Perché non sei tornato prima? Tu padre arriva a momenti!»

Il bambino non rispose, scrollò appena le spalle. Sentendo nominare il padre si era incupito visibilmente.

«Vieni, presto. Dobbiamo darti una ripulita, prima che...»

Suonarono il campanello, un inconfondibile colpo secco: chi era alla porta non chiedeva di entrare, lo pretendeva.

«Oh, è qui!»

Ada afferrò la mano del figlio e lo trascinò dentro casa. Cercò di spingerlo per le scale e nasconderlo, ma Dina aveva aperto la porta e Rupert giunse mentre erano a metà percorso.

Non si prese la briga di chiedere cosa fosse tutta quella confusione: analizzò con occhi freddi la moglie, per poi studiare il figlio appeso alla sua mano; ne notò nettamente ogni particolare: dai capelli attaccati alla fronte, alle macchie di terra sulle mani e quelle di erba sui calzoncini corti.

Il viso gli si contrasse, mentre posava il cilindro sul ripiano del mobile. Fece un cenno al bambino che si mosse, tramando.

Ada, istintivamente, cercò di trattenerlo al suo fianco, ma un’occhiata imperiosa del marito la dissuase dal tentativo: temendo che potesse diventare più brutale, abbandonò la presa con un singhiozzo.

Rupert prese la cintura dall’armadio e lo raggiunse nel portico, dove notò la presenza di altre macchie di sporcizia.

Quando Ezra assunse la posizione, con le mani serrate sullo steccato di legno, il padre cominciò a colpirlo. Aveva sette anni Ezra, e sapeva benissimo cosa accadeva quando lo faceva arrabbiare, ciononostante qualcosa lo spingeva a provocarlo tutte le volte.

Ansimando per le percosse, sopportava l’arrivo della successiva grazie al pensiero che un giorno sarebbe stato abbastanza grande; allora avrebbe preso in mano la frusta per restituire ogni colpo.

Era per questo che contava: aveva cominciato a farlo con i lividi della mamma, poi coi propri. Suo padre era stato in guerra ed era bravo a non lasciare segni, anche se ogni tanto capitava anche a lui di sbagliare. A Ezra era rimasta qualche cicatrice come ricordo.

 

Ada era accasciata sulle scale, le mani tra i capelli. Dina cercava di consolarla cingendole le spalle con un braccio ma il tremore del suo corpo si trasmetteva alla ragazza, senza che riuscisse a fermarlo.

Sentì Ezra gridare un’altra volta. Portò le mani alla bocca, nel tentativo di soffocare un gemito.

«Non ho fatto abbastanza, non ho fatto abbastanza...», sussurrava con voce spezzata.

Ogni colpo inferto al figlio era una ferita insopportabile al cuore: ma era impotente, non lo poteva salvare.

Settembre, 1924

Clara Sievers fissava le banconote sul tavolo del salottino, le mani incrociate sul petto, l’espressione torva e pensierosa sul viso. Se ne stava così da alcuni minuti.

Seduti a fare colazione c’erano i figli German e Constance. La bambina aprì la bocca e disse: «A cosa pensi, mammina?».

German le diede una gomitata di traverso, per indicargli che stesse zitta. Ma la bambina mandò fuori un urletto irritato e lo spinse via. «Ehi, sta’ fermo!»

Clara spostò lo sguardo truce sui bambini e ingiunse loro che stessero composti. «I miei nervi non ce la faranno a sopportarvi tutto il giorno se siete così rumorosi già al mattino!»

Sfarfallò le dita per liquidarli e tornò a fissare il denaro, sbuffando. Poi prese a borbottare tra sé: «È assurdo… tutto questo spreco di carta, e poi per cosa? Stresemann non aveva niente di meglio da fare. Prima il Papiermark, poi la  Rentenmark  e adesso la Reichsmark… Auf!».

«Che dici, mammina?» Constance, nonostante avesse solo quattro anni, aveva una mente vispa e il carattere della madre: non si lasciava mai sviare e, se voleva sapere qualcosa, la chiedeva fino allo sfinimento. 

German non la sopportava: non era solo l’atteggiamento insistente a infastidirlo ma anche il fatto che spingeva sistematicamente la madre a parlare; e German odiava starla ad ascoltare. Infatti, il più delle volte, quando apriva bocca, finiva sempre col rimproverarlo di pecche immaginarie: non importava da quale discorso cominciasse, finiva sempre per riportare la sua attenzione sul figlio perché doveva crescere “a modo” e non come un selvaggio, simile ai suoi coetanei in città.

German doveva essere perfetto, colto e intelligente: perché non poteva somigliare di più a Ezra, il figlio della sua amica Ada? Lui sì che era un ragazzino squisito! Così attento e silenzioso, non dava mai fastidio… non come German che saltellava dappertutto, senza alcun criterio. Ultimamente, poi, scoprendo i suoi ottimi voti a scuola, aveva passato l’intera settimana a rimproverare il figlio di non fare abbastanza per migliorare i suoi. E Dio non volesse che la facesse vergognare!

Clara amava definirsi una donna di polso. “L’Impero tedesco non è più quello di una volta”, era solita dire, ma non si riferiva al fatto che dal 1918 gli si fosse sostituita la Repubblica di Weimar: criticava la deplorevole situazione economica e sociale attribuendo equamente le colpe a chi di dovere. 

Le cose andavano tanto male perché le donne non potevano essere al potere, altrimenti avrebbe ben saputo raddrizzare la nazione! Dunque, nel frattempo, si dedicava a esercitare la sua influenza in casa, specie sui figli, i quali dovevano crescere per diventare persone importanti e “cambiare il mondo”.

In realtà, benché lei fosse convinta diversamente, non ne capiva poi molto di politica, men che meno di economia: quella mattina stava sfogandosi sulla novità delle ultime banconote varate, non comprendendo che servissero ad arrestare l'iperinflazione che stava paralizzando la società e l'economia tedesca.

Il marito, Karl, sempre poco presente, la lasciava parlare perché, dopo anni di convivenza, si era stancato di sforzarsi a metterle un po’ di sale in zucca; dopotutto, non avrebbe potuto creare danni se non nei salottini privati delle amiche che andava così spesso a trovare.

«German, oggi ti porto dal barbiere, hai i capelli troppo lunghi e sono tutti disordinati, non sta per nulla bene. Il figlio di Ada li ha tagliati corti: lui sì che si presenta sempre pulito e ordinato! Perché non sei un po’ più simile a lui? Sai che non fa mai indispettire sua madre? Anche tu dovresti imparare le buone maniere. Come pensi di poter lasciare un segno in questo mondo se ti presenti tutto arruffato?»

German strinse nel pugno il cucchiaio e si sforzò di non far trapelare la rabbia.

«L’immagine che diamo di noi stessi è tutto. È in base a come ci presentiamo che veniamo giudicati, German, ricordalo!»

Luglio, 1914

Il signor Albert Haller era a passeggio con la figlia Hannah. 

La giornata era calda ma non c’era molta gente per strada. Si avvertiva la tensione per l’attuale situazione politica che preoccupava: solo il mese prima era stato assassinato l'arciduca d'Asburgo-Este a Sarajevo e la notizia aveva percorso tutta l’Europa paralizzandola ed eccitandola insieme.

Il signor Haller sentiva che le cose stavano per cambiare, che sarebbero venuti momenti difficili. Ultimamente non dormiva più serenamente nel proprio letto: continuava a fare sogni strani. Si svegliava agitato, ricoperto da un sottile velo di sudore, e riusciva a calmarsi solamente guardando la figlia dormire placida nel suo lettino. Le accarezzava i capelli soffici che aveva ereditato da Cecilie, sua moglie.

«Il passero, papà!», esclamò Hannah con un sorriso indicando l’uccelletto della città.

Il padre sorrise, posandole il palmo sulla testa e lei gli chiese di raccontarle ancora una volta la sua storia.

«La leggenda narra che gli abitanti della città dovevano provvedere una grande trave per la costruzione della Cattedrale. Gli uomini non sapevano come fare perché la trave era talmente grande da non passare attraverso il cancello della città poiché, essendo legata di traverso, l'entrata non era abbastanza larga. Quando decisero di rompere le mura e il cancello per farla passare, ecco che gli abitanti videro uno spatz con un bastoncino nel becco: il passero oltrepassò una stretta apertura ruotandolo longitudinalmente e riuscì a costruire il suo nido. Così fecero anche gli abitanti e, seguendone l’esempio, ultimarono la costruzione della chiesa.»

«Che buffi che non ci avevano pensato da soli», rise la bambina.

«Vedi, tesoro... a volte gli uomini fanno le cose più strane perché incapaci di trovare soluzioni semplici che evitino maggiori danni», commentò amaramente.

Percependone l’umore, Hannah strinse con la sua piccola mano quella paterna.

«Per fortuna, allora, che la natura ci aiuta a capire i modi semplici per superare gli ostacoli, papà.»

Albert si voltò a fissare il visino serio della figlia. «Hai detto una cosa molto profonda, Hannah.»

Lei gli fece un piccolo sorriso che lo commosse.

Le si inginocchiò accanto, stringendosela brevemente al petto, mentre tornava a guardare lo spatz, stagliato sul cielo limpido. «Qui a Ulm, il passero è simbolo di libertà da secoli. Però a noi richiama anche la colomba della Genesi nel racconto di Noè. Ricordi cosa è scritto?»

La bambina rispose: «Noè mandò fuori la colomba che tornò all’arca fin quando l’acqua copriva la terra. Quando l’acqua si ritirò, andò fuori ma non tornò più».

«Giusto. Era finalmente libera.» Poi, fissandola negli occhi, le parlò sottovoce: «Ricordatelo quando verranno dei momenti difficili. Il mondo è turbolento oggi, e non si può prevedere quello che accadrà. Potrebbe cadere tutto nel caos, come un mondo sommerso dall’acqua, nella tempesta, ma Dio resta, tesoro, e restituisce all’uomo la propria libertà a tempo debito».

«Vuoi dire la guerra? Ho sentito che ne parlavi con la mamma dopo che avete letto il giornale.»

«Sì, Hannah. Il mondo sta entrando in guerra. Vedremo presto molte cose cambiare, ma tu non ti devi spaventare perché io sarò sempre con te.»

Hannah si turbò profondamente: non sapeva esattamente cosa fosse, né perché esistesse, ma aveva sentito che tante persone morivano e si uccidevano tra loro. Le sembrava una cosa orribile.

«Ma perché c’è? Perché gli uomini combattono?», proruppe, le manine strette nel palmo.

Albert venne colto di sorpresa: come poteva spiegare una faccenda così complessa alla sua bambina?

«È una domanda difficile», cominciò a dire lentamente. «Gli uomini sembrano avere difficoltà a vivere in pace tra loro. Nel profondo, abbiamo questo senso di predominio che vogliamo far valere. Ma il pericolo non è solo nella nostra natura… è soprattutto nella nostra testa. Ricordati sempre che l’odio viene dal cuore, il disprezzo dalla testa. E nessuno dei due sentimenti è spesso sotto il nostro controllo. Ma Dio, con la sua Legge ci ha dato un comando, ha detto: “ama il prossimo tuo come te stesso”. Quindi quando sarai tentata a odiare e a disprezzare l’altro, pensa sempre che lui è come te.»

«Cercherò di ricordarlo, papà», disse Hannah. Lo abbracciò poggiando il capo sulla sua spalla e fissò, con la coda dell’occhio, lo spatz che mimava il volo.


 

 
NOTE FINALI:
Gustav Stresemann era il leader del Partito Popolare Tedesco che introdusse il Rentenmark.
PapiermarkRentenmark Reichsmark furono valute tedesche. La prima venne completamente svalutata dopo la fine della Prima Guerra Mondiale; venne introdotta la seconda nel 1923 per frenare l’inflazione ma fu temporanea, e non ebbe valore legale; la terza entrò in vigore dal ‘’24 al ‘’48.
   
 
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