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Autore: Emmastory    07/04/2019    3 recensioni
Come sappiamo, le avventure della fata Kaleia non si sono certo concluse, e come in una sorta di piccolo intermezzo, si nota che le tradizioni natalizie hanno fatto il loro ingresso nel mondo delle fate. Forse ne hanno sempre fatto parte, o forse tale cambiamento è dato dalla loro vicinanza con la comunità umana, ma comunque sia, godetevi la lettura.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Human-traditions-in-the-Fairy-Woods
 
 
Capitolo XIX
 
Il viaggio dei sentimenti
 
Una bianca busta da lettere ermeticamente chiusa con della ceralacca rossa. Marisa non stringeva in mano nulla di diverso, e nel silenzio di quella mattina d'inverno, sedeva sul divano di casa rifiutandosi di aprirla. Insicura sulla vera identità del mittente, attendeva ed esitava a farlo, e tutto mentre rifletteva sulle proprie possibilità. Ad essere sincera, non aveva idea di chi potesse avergliela mandata, anche se alcune idee le galleggiavano nella mente come bollicine. Poteva essere stata la madre, e forse era vero, ma in quel caso, lei non l'avrebbe neanche guardata. Anche se da poco, la ragazza aveva cambiato casa. Non avrebbe voluto, ovvio, ma ricordava ancora il modo in cui quella vecchia megera le aveva rovinato il Natale, e anche di come aveva fatto lo stesso con la sua cara gatta Willow, maltrattando fino a renderla pelle e ossa. Debole ed emaciata, la poverina non riusciva quasi più a muoversi nè a miagolare, e per quanto strano potesse sembrare, stava così male che essere accarezzata non le provocava più piacere, ma anzi, dolore. Per sua fortuna, Marisa non aveva mai sofferto la fame come lei, ma soltanto guardandola, poteva capire. Passarle una mano sul pelo bastava a sentire le ossa appena sotto, quando in condizioni normali non avrebbe dovuto sfiorare altro che quella cupa morbidezza. Le condizioni della gatta erano solo uno dei motivi per cui litigavano, e se si aggiungevano anche gli altri, fra cui figurava anche la strana abitudine della donna di chiudersi a chiave nella propria stanza, al buio, a recitare incantesimi su incantesimi uno dopo l'altro, circondata da candele accese e asfissiante odore d'incenso, allora si raggiungeva un vero punto di rottura. Era per questo che ora ringraziava la cara amica Kaleia, che provando pena per la gatta, aveva accettato di prenderla con sè. Almeno ora stava molto meglio e aveva trovato un equilibrio e una vita migliori in una casa che non fosse infestata non da spiriti ma da altri tipi di malvagità, e pensandoci, la ragazza non poteva che esserne felice. A quel solo ricordo, la ragazza sorrise, e solo allora, le sue dita scivolarono sulla busta. Decisa, provò ad aprirla e a tentare la sorte, e solo allora riuscì a capire ogni cosa. "Cara Marisa, sei cordialmente invitata a passare con noi un'intera settimana bianca nella nostra isola nel bianco. Estendiamo l'invito anche a tua madre, e speriamo di vedervi presto entrambe. A presto, e con tanto affetto, Chris e Kaleia." Poche parole scritte in nero e impresse nella bianca carta di quella lettera. Parole che lei lesse in silenzio, e che anche se per un solo attimo, la spinsero a riflettere. Passare del tempo con i due amici le sarebbe piaciuto, ma voleva davvero parlarne alla madre? Desiderava veramente riallacciare i rapporti con lei dopo tutto quello che era successo? Dopo aver scoperto quanto l'amica fata e il suo dolce protettore avessero sofferto a causa sua? Ovvio era che in cuor suo cercasse di far rispettare le leggi del bosco e al contempo aiutarli, ma una parte di lei non ci aveva mai creduto. Per quanto ne sapeva, sua madre era davvero una donna senza scrupoli nè cuore, che godeva a vedere la sofferenza sui volti e nei cuori delle persone. Ad ogni modo, la donna era comunque sua madre, e provando un'improvvisa e strana stretta al petto, si decise. Infilando il cappotto, si preparò ad uscire di casa, non dimenticando di portare con sè quell'ormai famosa lettera. Chi lo sapeva, forse leggerla avrebbe potuto aiutare la strega a ragionare, e un tentativo non avrebbe certo fatto male a nessuno. In fondo, provare non costava nulla, giusto? "Giusto?" si disse Marisa, intascando quel foglio e violando l'uscio di casa. Di lì a poco, si ritrovò immersa nel verde del bosco, e giunta al confine, rivide la sua vecchia casa, ora esclusivamente appartenuta alla madre. A passi lenti, raggiunse l'uscio, e giunta davanti alla porta, esitò ancora, traendo nel farlo  un grosso respiro. "Puoi farcela, Marisa. Si tratta solo di una settimana, avanti." Pensò, parlando con sè stessa e sollevando un pugno, ormai pronta a bussare. Attimi più tardi, non udì altro che il suono della sua mano contro il legno, poi più nulla. Sforzandosi di restare calma, attese, e dopo un tempo che non fu in grado di definire, eccola. Sua madre. Sempre alta e slanciata, ma resa goffa dal suo problema di vista. La cecità non deponeva certo a suo favore, e anche se parziale, la costringeva a camminare lentamente e a piccoli passi, trascinandosi dietro un bastone bianco. "Sei tornata, vedo. Che è successo stavolta?" le chiese semplicemente, guardando la figlia con l'unico occhio ancora salvo. "Christopher e Kaleia mi hanno mandato questa. Leggila, c'è anche il tuo nome." Le spiegò Marisa, parlando con calma e studiando la strana espressione di curiosità che nel leggere aveva dipinta in volto. "Il mio nome, dici? Fa vedere." Rispose subito la donna, togliendole quel foglio di mano e iniziando la lettura. Un'attività per altri semplice, che le richiese però più tempo del normale. A lavoro finito, la strega alzò gli occhi per incontrare quelli della figlia, ma il suo volto rimase di pietra, sgombro da qualsiasi emozione. "E così i due innamorati passeranno una vacanza insieme, vero? Peccato, non ho voglia di aggregarmi alla loro combriccola di fuorilegge." Disse poi, fredda come l'inverno e la neve alle loro spalle. A quelle parole, Marisa ebbe un sussulto. "Cosa? Come puoi dire una cosa del genere? Sai che si amano!" la riprese, arrabbiatissima. "Hai ragione, cara, ma il loro amore va oltre le leggi di queste terre." Continuò la donna, seria e ferma nelle sue posizioni. "Leggi di queste terre? Ma non hanno senso! Il loro è amore, proprio come quello che c'era fra me e Willow!" le fece allora eco la figlia, sentendo il corpo scaldarsi e il sangue ribollirle nelle vene. "Willow? Hai per caso detto Willow? Non ci credo. Non sei più una bambina, eppure sei ancora attaccata a quella gatta. Dimmi, cos'hai mai fatto per te?" replicò la madre, insolitamente calma e malefica al tempo stesso. Ascoltandola parlare, Marisa non riusciva a credere alle sue orecchie. Come si permetteva? Con che coraggio offendeva prima i suoi amici e poi la gatta di cui aveva promesso di prendersi cura? Oltraggiata, si preparò a risponderle, poi, mordendosi la lingua, ci ripensò. Promesso. Che parola grossa per una donna come lei. Certo, dirlo era forse un'esagerazione, ma per come la pensava, quella piccola palla di pelo nero era stata la sua più grande amica fino al giorno in cui era stata praticamente costretta a darla via. In cuor suo non avrebbe  voluto, ma a giudicare dalle condizioni in cui versava in quella vecchia casa, aveva visto nel cederla all'amica l'unica possibile soluzione. Seccata, strinse i denti come per calmarsi, e sbuffando, decise di mettere la parola fine a quella conversazione. "Sai una cosa, mamma? Ti ho sentito. Tu non vuoi aggregarti a loro, ma io sì, perciò... addio." Le rispose soltanto, scottata e scontenta dal suo comportamento. Detto ciò, si voltò fino a darle le spalle, ed estraendo una piccola bussola da una delle tasche della giacca, indagò sul da farsi. Come sempre, il piccolo ago indicava il nord, e camminando, lei non osò voltarsi. Colpita, la donna cercò di richiamarla a sè, ma riducendosi al silenzio, tornò in casa. "Fa attenzione." Sussurrò appena, tenendo bassa la voce e sperando che quella  quasi muta preghiera raggiungesse il cielo. Già troppo lontana per sentirla davvero, Marisa continuò il suo viaggio, meravigliandosi di quanto bella potesse essere la bianca neve che aveva intorno. Un candido tappeto su cui lei stessa camminava, e che gli animali esploravano alla ricerca di tesori nascosti. Cibo nel caso di scoiattoli e passerotti infreddoliti, ma anche semplici ciottoli scintillanti per le famose, e fastidiose, gazze ladre. Pensandoci, soppresse una risata, e calciando una roccia per evitare di inciampare, diede un secondo sguardo alla bussola. Il percorso era quello giusto, e con il favore della luce del giorno, rimase concentrata, pregustando il sapore della felicità che avrebbe provato nel rivedere i suoi amici. Fra un passo e l'altro, si ritenne fortunata di avere addosso una giacca, anche ora che il freddo stava aumentando e diventando tiranno. Stava quasi congelando, ed era vero, ma l'orgoglio maturato nel tempo non le permetteva di ammetterlo. Cosa doveva fare? Tornare indietro e ammettere alla madre di aver fallito e di essersi sempre sbagliata? Iniziare a piangere e ritirarsi strisciando in quella che era la sua vecchia stanza? No, mai. Non le avrebbe dato quella soddisfazione. Stringendo ancora i denti, si fece coraggio, e nel silenzio della fredda stagione, continuò a camminare. Intanto, già nella loro piccola isola, Christopher e Kaleia si rilassavano stando seduti accanto al fuoco, e con loro anche Sky e Noah, sempre vicini al caminetto ma comodamente sdraiati sul tappeto. Alzando gli occhi, una guardava le fiamme ascoltandone il quieto crepitare, mentre l'altro le accarezzava i capelli con dolcezza, tirandoli giocosamente e attorcigliandoseli intorno alle dita. "Credi che verrà?" azzardò Christopher, rompendo il silenzio e accarezzando la mano della fidanzata tranquillamente seduta sulle sue ginocchia. "Non lo  so, ma spero di sì." Gli rispose Kaleia, per poi tacere e sorridere a quel tocco. "Forse non avreste dovuto invitare anche sua madre." Stavolta fu Sky a parlare, e pur senza guardarli, diede voce alla sua onesta opinione. "Tu dici?" Fu l'unica risposta di Kaleia, scettica. Non lo diceva, certo, ma contrariamente agli amici, credeva davvero nella redenzione. Sì, la donna aveva sbagliato, i suoi errori l'avevano fatta soffrire, e con lei anche il suo ragazzo, ma in fondo, molto in fondo, una parte di lei sperava di rivederla. Mantenendo il silenzio, Sky non fece che annuire, e voltandosi a guardarla, Noah la sorprese con un bacio. Lasciandolo fare, la ragazza sentì il cuore batterle furioso nel petto, e meri attimi più tardi, uno spiffero colse tutti di sorpresa. "Freddo..." disse Kaleia, sussurrando e sperando che nessuno la sentisse. Quasi leggendole nel pensiero, Christopher le cinse un braccio attorno alle spalle, poi le baciò delicatamente il collo. "Meglio, vero?" le chiese, preoccupato e innamorato al tempo stesso. "Meglio, custode mio, grazie." Rispose lei con dolcezza, non riuscendo a nascondere un sorriso e ricambiando quel bacio, avendo però come obiettivo le sue labbra. "Ragazzi..." li richiamò Sky, già esasperata. "Cosa? Chalet nostro, regole nostre." Le fece notare la sorella, nervosa quanto e forse più di lei. "Sarà... ma guardate là fuori. Che senso ha tapparci qui dentro se possiamo spassarcela nella neve?" replicò allora la stessa Sky, già annoiata dal ripetitivo spettacolo offerto dalle fiamme del camino ancora acceso. "D'accordo, figlia del freddo, andiamo." Le rispose il fidanzato, rialzandosi da terra e offrendole la mano, che lei afferrò prontamente. Una volta in piedi, si strinse a lui in un abbraccio, e mano nella mano, lei e Noah furono i primi ad uscire. Spinti dalla curiosità, Christopher e Kaleia li seguirono, e ben presto, i quattro finsero di massacrarsi a palle di neve. Un gioco da bambini, certo, che almeno per allora li fece divertire e regredire ad un tempo ormai lontano. Persa e in una situazione che definire intricata era riduttivo, Marisa sperava ancora di rincontrare i propri amici, ma con il tempo che scorreva, la luce intorno diminuiva. In breve, il mattino si era trasformato in pomeriggio, e malgrado sapesse di poter approfittare di intere ore, si sentiva persa. Esatto, persa. Realmente e metaforicamente. Fredda e inesorabile, la neve continuava a cadere, e provata dal freddo, quasi non riusciva a muoversi. Fortunatamente non era svantaggiata da alcun difetto fisico come la madre, ma in quel momento, con la neve intorno e il freddo nelle ossa, era come se lo fosse. Infreddolita come non mai, continuava a stringersi nella giacca che portava, ma proprio come si aspettava, la situazione non cambiava di una virgola. Aveva sempre freddo, e forse la giacca sulle sue spalle era troppo leggera. Camminando, si sforzava di dominare il vento e la paura, ma senza successo. Continuava a controllare e seguire l'ago della sua bussola, ma con le sue stesse impronte coperte ogni volta da nuova neve fresca, le sembrava di camminare metaforicamente in cerchio. Non era vero, ovvio, ma la sensazione era esattamente quella. Chiudendo gli occhi, prese un ampio respiro, poi riprovò a guardarsi intorno. La sensazione che provò durò per appena un attimo, ma le parve di vedere e sentire qualcuno seguirla. Voltandosi, si guardò indietro, e fu allora che la verità la colpì in pieno volto. Lì, in mezzo alla neve e alla coltre di nebbia, una figura barcollante, che lei riconobbe subito. "Mamma! Cosa ci fai qui?" gridò, alzando la voce per farsi sentire. "Ero preoccupata! So che abbiamo i nostri dissapori, ma sei comunque mia figlia, aspetta!" le rispose la donna, barcollando nella neve fresca e faticando a muoversi senza il proprio bastone. A quanto sembrava, doveva averlo perso camminando, e ora si muoveva senza, con la stessa andatura di un pover'uomo annebbiato dai fumi dell'alcool. "No, non se ne parla!" le gridò in risposta, ricordando la loro lite e sentendo calde lacrime gridare e pregare per lasciare i suoi occhi. Nel farlo, le diede ancora le spalle, e ormai senza meta, corse. Corse da sola, a perdifiato, e soltanto per allontanarsi da quella che anche per lei era ora una vecchia strega. Decisa, la donna provò a seguirla, non sentendo altro che un tonfo di fronte a sè, notando poi, con la coda dell'unico occhio ancora in uso, il corpo della figlia disteso su quel freddo tappeto. "No." Soffiò appena, con il cuore in gola per la sorpresa. "No, non può essere... no." Continuò a ripetere, scioccata, mentre a passi lenti continuava ad avvicinarsi a quello che al momento le sembrava un cadavere. "Marisa..." chiamò, con voce flebile, provando in quell'istante la peggior sensazione della sua vita. Confusa dalla caduta, la ragazza rotolò nella neve, e ad occhi chiusi per sopportare meglio il dolore, mugolò e farfugliò parole prive di senso. "C-Cosa... Dove..." balbettò, incerta. "Sono qui, Misa, sono qui, tranquilla." Le rispose la madre, ora vicina e inginocchiata accanto a lei. A sentire quel nome, la ragazza sorrise, ricordando solo allora quel dolce nomignolo d'infanzia. "Mamma..." sussurrò appena, faticando ad alzarsi. Con uno sforzo, si sollevò da terra, e seduta nella neve, accettò la sua mano, stringendola. Nel farlo, si rimise in piedi, ma al primo passo, quasi cadde. "Tranquilla, sono con te." Le disse la madre, incoraggiandola e abbozzando un sorriso. "Grazie." Rispose appena lei, immensamente grata. Fermandosi a pensare, capì che ogni sua parola corrispondeva al vero. Litigavano, certo, ma quale figlio non lo faceva con i propri genitori? Nessuno, e lei non faceva certo eccezione. "Non riesco... a camminare." Biascicò, ancora stanca e indolenzita. "Credo sia la tua caviglia. Vieni, appoggiati a me." Continuò la donna, preoccupandosi come ogni madre. Annuendo, Marisa si lasciò guidare, e con l'imbrunire sempre più vicino, madre e figlia ripresero il viaggio. Insieme. Come entrambe si aspettavano, questo durò per altre lunghe ore, e con l'arrivo della notte, furono costrette a fermarsi. Non avendo altro rifugio, passarono quella notte all'addiaccio, addormentandosi e stringendosi in un abbraccio che scaldò i corpi e i cuori di entrambe. Stoiche, ripresero a camminare alle prime luci dell'alba, e proprio quando tutto parve perduto, con la nebbia onnipresente e la bussola ormai resa inutilizzabile dall'incidente, eccolo. Lo chalet, loro unica destinazione. Felice, Marisa non si staccò dalla madre, e appena un attimo dopo, i suoi occhi incontrarono quelli dell'amica fata e del suo caro protettore. "Ragazzi! Ci siamo! urlò, troppo felice per usare un tono più consono e normale. "Marisa!" rispose la ragazza, alzandosi dal piccolissimo scalino dove si era accomodata. Una volta in piedi, le corse incontro, e abbracciandola, le accarezzò la schiena come per confortarla. Soltanto sfiorandola si rese conto di quanto fredda fosse la sua pelle, e fu allora che capì. In quanto umana, non aveva certo la possibilità di volare come lei, ragion per cui il viaggio doveva essere stato lungo e difficile. Abbassando lo sguardo, notò la ferita e il gonfiore della sua caviglia, e offrendosi di accompagnarla, la guidò fin dentro al rifugio, lasciando che si sdraiasse sul piccolo ma comodo divano poco distante dal fuoco. "Mi dispiace, sai? Ma guarirai, non preoccuparti." Le disse, sollevandole lentamente una gamba senza farle male e posando un cuscino appena sotto. Ecco, come ti senti?" le chiese poi, sinceramente preoccupata. "Già meglio, grazie." Rispose appena l'amica, sorridendo debolmente. In quel preciso istante, Sky e Noah fecero il loro ingresso nella piccola casa, e con il pugno chiuso, la fata si avvicinò. "Ben arrivata. Questo... questo è per te." Disse dolcemente, aprendo la mano e mostrando un piccolo, grazioso e maestoso fiocco di neve. "Com'è possibile? azzardò la ragazza, confusa e stranita. "L'ho cristallizzato. L'ho scoperto da poco, ma a quanto pare, fa parte dei miei poteri." Spiegò Sky, riprendendo la parola e posandoglielo in mano, come a provare che non si sarebbe sciolto. Drizzandosi a sedere, Marisa abbassò lo sguardo, e con un solo movimento della mano, se lo appuntò alla giacca, sorridendo. "Grazie." Soffiò poi, con occhi pieni di meraviglia. Senza dire altro, la fata si limitò a sorriderle, e sedendosi accanto a lei, Red le leccò una mano. Lasciandolo fare, Marisa si lasciò sfuggire una risata, e nel silenzio che presto tornò a regnare, fu felice. Felice di essersi lasciata alle spalle il burrascoso passato con la madre, e felice di aver iniziato e concluso quel viaggio pieno di sentimenti.  
 
 
Salve, cari miei lettori! Giungiamo così a questa diciannovesima storia, che come avete visto  racchiude l'insegnamento a mio dire più importante di tutti. Nel bene e nel male, fidarsi sempre di chi si ama. Marisa e sua madre Zaria l'hanno fatto, e hanno avuto il loro lieto fine. Vi aspettavate che accadesse? Attendo di scoprirlo, ma grazie di tutto il vostro supporto, e a presto,
 
Emmastory :)
   
 
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