Serie TV > Squadra Speciale Cobra 11
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Autore: sophie97    07/04/2019    1 recensioni
“Ho subìto un danno. Le persone danneggiate sono pericolose. Sanno di poter sopravvivere... È la sopravvivenza che le rende tali... perché non hanno pietà. Sanno che gli altri possono sopravvivere, come loro.” (Il danno, 1992)
14 Novembre, Colonia, un giorno grigio come tanti.
Una storia che comincia come una storia qualsiasi, con un istante di vita. Rapporti incrinati, il riemergere di un passato che fa paura, una serie di piccoli, fatali errori compiuti uno dopo l’altro, fino alla rovina. Fino a quando non si smette di vivere, per iniziare a sopravvivere.
Storia che nulla ha a che fare con la mia serie ancora in corso; storia triste e drammatica, ne sono consapevole. Ma mi piacerebbe ugualmente condividerla con voi.
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andrea Schafer, Ben Jager, Nuovo personaggio, Semir Gerkan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dal capitolo precedente:

"Lei gli prese il viso tra le mani e gli accarezzò i capelli, dolcemente.
«Ben, fammi un sorriso. È mezzanotte. È Natale.».
Ben distolse lo sguardo, senza rispondere.
Tornò a guardare il plico di fogli che aveva sulle ginocchia e finalmente sollevò il cartoncino nero, scoprendo un foglio bianco sul quale troneggiava, al centro, una scritta in corsivo.
Il titolo.
Leggendolo, Ben sorrise.
“Sopravviviamo.”."

Per Lily

VENTI GIORNI DOPO – GIORNO 60.

Andrea oltrepassò la soglia dell’ospedale sulle proprie gambe e respirò l’aria fredda di Gennaio a pieni polmoni.
Era finita, finalmente.
Poi però i pensieri tornarono a scorrere nella sua mente e il suo volto si rabbuiò, di nuovo.
Non era vero, non era finita. Non sarebbe mai finita, mai più.
Guardò poco distante da lei sua madre che controllava Aida, seduta sull’altalena nel giardinetto che sorgeva di fronte al grande edificio: la stavano aspettando.
Armandosi nuovamente di sorriso, raggiunse la sua bambina e la abbracciò forte.

«Okay, direi che siamo a posto.» disse Ben tra sé e sé, controllando l’interno di un cassetto del comodino in quella stanza di ospedale.
Guardò il letto vuoto e le pareti bianche che lo circondavano e come sempre provò l’impulso irrefrenabile di scappare, di allontanarsi da quel posto per non rimetterci piede mai più.
Questa volta, però, sarebbe stato effettivamente così.
Era finita, non avrebbe più trascorso intere ore in quelle stanze asettiche, Semir e Andrea andavano a casa e lui ne era enormemente sollevato.
Uscendo nel corridoio, vide Semir sulla sua sedia a rotelle che parlava con Christopher Schneider e, vedendolo, il sollievo lo abbandonò del tutto.
Come sempre.
Li raggiunse con un sorriso stampato in volto, rivolgendo al medico un veloce cenno di saluto.
«Ben, ciao.» lo apostrofò Chris, con un sorriso «Ho già spiegato tutto all’ispettore Gerkhan, direi che dovete solo andare e tornare a casa al più presto.».
«Può anche non chiamarmi più “ispettore Gerkhan”, dottore.» puntualizzò Semir, con un sorriso amaro.
Il medico rimase in silenzio, visibilmente a disagio. Errori del genere con i pazienti non poteva permetterseli, non più.
Aprì la bocca per scusarsi, ma Ben lo precedette, facendo finta che quella frase non fosse stata mai pronunciata.
«Non ti preoccupare, Chris, andiamo dritti dritti a casa. Andrea è già giù con sua mamma e Aida.».
Schneider annuì, guardando il ragazzo ed evitando invece lo sguardo del suo paziente.
«Bene... ecco, lei...» balbettò, rivolgendosi nuovamente a Semir «Lei... lei e sua moglie dovrete assolutamente continuare a prendere i farmaci che vi ho prescritto e... e le visite, venite alle visite di controllo, va bene?».
Il turco annuì «Certo, va bene. Grazie di tutto.» fece, porgendogli la mano.
Il medico la strinse con vigore, guardandolo finalmente negli occhi.
«Ho fatto solo il mio lavoro. Buona fortuna.».
Semir accennò a un sorriso, poi distolse lo sguardo e cominciò a spingere la propria sedia verso l’ascensore, senza aspettare Ben, che invece rimase fermo ancora per qualche istante accanto al chirurgo.

Ben guardò l’amico avviarsi lungo il corridoio silenzioso e gli occhi gli divennero lucidi.
«Ehi, Ben, guardami.» fece Schneider, prendendogli le spalle e costringendolo a guardarlo negli occhi «Ben, non fare così, okay?».
Il giovane ispettore scosse leggermente il capo, si passò una mano sugli occhi.
«Guardalo, Chris. La sua vita è distrutta. È su una sedia a rotelle. Io... io sto male a vederlo così.».
«Lo so, Ben, lo so. Perché gli vuoi bene. Ma lui ha bisogno che tu sia forte, lo sai.».
Ben annuì, con un sospiro.
«Io non so come ringraziarti. Non sei stato solo il suo medico, tu hai aiutato tantissimo anche me, davvero.».
Schneider sorrise, guardando il ragazzo con un affetto quasi paterno «Lo ripeto anche a te, ho fatto solo il mio lavoro. Se avessi bisogno di qualcosa, di qualunque cosa, chiamami. Va bene?».
«Okay, grazie.».
«Ora raggiungi il tuo amico e uscite da questo dannato ospedale.».
Ben rise, rivolgendo un ultimo cenno di saluto al medico e avviandosi verso l’ascensore, ma l’uomo lo richiamò ancora una volta.
«Ben, aspetta, dimenticavo...» disse, estraendo dalla tasca un biglietto da visita e porgendoglielo «È di uno psicoterapeuta. Ora è anziano, ma è bravo, molto, lui mi ha... mi ha aiutato molto dopo quello che è successo, dieci anni fa. E credo che Semir e Andrea avranno bisogno di aiuto.».
Ben prese il biglietto e lo mise in tasca, senza leggere il nome che vi era scritto sopra.
«Vedi, Chris? Tu fai molto più del tuo lavoro. Grazie.» mormorò, allontanandosi e raggiungendo Semir davanti alle porte dell’ascensore.
Sarebbe rimasto grato a quell’uomo per sempre.

 

Ben fece scattare la serratura e aprì la porta di casa Gerkhan senza lasciare nemmeno per un attimo che il sorriso che si era stampato sul volto uscendo dall’ospedale potesse sparire dal proprio viso.
Tenne la porta aperta mentre Andrea varcava la soglia di casa, seguita da Aida che teneva stretta la mano della nonna.
Semir, invece, rimase indietro.
Ben corrugò appena la fronte non vedendolo entrare, ma poi lo notò fermo a pochi passi dalla soglia, sulla propria sedia a rotelle, girato verso il giardino antistante la villetta.
«Ehi socio... non entri?» gli domandò, appoggiandogli una mano sulla spalla e facendolo quasi sobbalzare.
«Arrivo.» mormorò il turco, con un sospiro.
Quindi girò la sedia  e varcò la soglia, senza degnarlo di uno sguardo.

«Finalmente, mi mancava la mia casa.» esclamò Aida, sprofondando sul divano e annusando l’aria come se non tornasse in quel luogo da anni «A te non mancava, mamma?».
«Ma certo che mi mancava, tesoro.» rispose Andrea, scompigliandole i capelli e poi lasciandole un tenero bacio sulla fronte «Ben, vuoi un caffè?».
Ben annuì, accettando volentieri.
Mentre Andrea faceva gli onori di casa, quasi come se dall’ultima volta che aveva preparato un caffè a Ben non fosse accaduto nulla di terribile, Helen Schäfer si dileguò, salutando la figlia con un bacio sulla guancia e scusandosi, dicendo che sarebbe andata a casa e che per qualsiasi problema sarebbe tornata immediatamente.
Ben guardò con tenerezza l’anziana signora, pensando a quanto anche lei avesse dovuto sopportare. La accompagnò alla porta, salutandola con affetto e aspettando che sparisse in fondo alla via prima di tornare in casa.
Quando richiuse la porta, Andrea era in cucina con Aida ad aspettare che il caffè fosse pronto, mentre Semir era rimasto immobile nell’ingresso, assorto nei propri pensieri.
La voce squillante della bambina arrivava dall’altra stanza e al ragazzo, nonostante tutto, metteva allegria.
Si avvicinò all’amico, con un sorriso.
«Socio...».
«Quando la pianterai di chiamarmi così, Ben?» lo interruppe Semir, bruscamente.
Il più giovane rimase di pietra, in silenzio.
«Non esiste più nessun socio, non lo capisci?» continuò l’altro, alzando la voce.
«Semir, dai, non dire così...».
«Non dire così, certo, che cosa dovrei dire?».
Ben non rispose.
Pensò ansiosamente a che cosa avrebbe potuto dire per tranquillizzare l’amico, per aiutarlo, ma la verità era che non sapeva come fare. E, peggio, lui non voleva essere aiutato.
«Non sarò mai più il tuo socio, Ben.» continuò Semir, con più calma, abbassando la voce «È tutto finito, non posso più fare niente. Vorresti sentirmi dire che sono felice di essere tornato a casa? Non lo sono... io non sono felice.».
«Lo so, socio. Ma io continuerò sempre a chiamarti così, perché per me socio non significa solo compagno di pattuglia.» fece Ben, sedendosi sul divano a pochi passi dall’amico «Il fatto che tu sia su una sedia a rotelle non significa che tu non possa più fare niente... devi reagire.».
«Non voglio reagire.» sillabò il turco, ora sottovoce.
«Ma devi farlo, Semir! Fallo per Andrea, per Aida... fallo per Lily...».
«Lascia perdere Lily.».
«Non lascio perdere Lily.» insistette il più giovane, guardando l’altro negli occhi «Non lascio perdere Lily, perché so che lei, una volta cresciuta, avrebbe desiderato che tu andassi avanti. Che tu continuassi a vivere!».
«Lily non crescerà mai perché è morta ed è morta per colpa mia.» sbottò Semir, alzando nuovamente la voce «E non dirmi di non sentirmi in colpa, Ben, perché è così, è stata colpa mia. E il fatto che io sia una sedia a rotelle è... io sarei dovuto morire.».
«Hai mai pensato che c’è un motivo se non sei morto, Semir? Lo hai mai pensato?» gridò a sua volta Ben, protendendosi in avanti.
«Perché evidentemente la mia condanna è quella di sopravvivere e lui lo aveva capito fin dall’inizio. Lui ha sempre avuto ragione.» replicò il turco, senza distogliere lo sguardo.
«Lui? Forza, pronuncialo il suo nome, Semir. Pronuncia quel nome, dannazione! È morto, è finita ormai, lui non c’è e non ci sarà mai più.».
«Quel vigliacco diceva di essere condannato a sopravvivere tanto quanto me, ma poi si è suicidato. Dimmi perché lui si è potuto arrogare questo diritto. Dimmi perché lui è morto e io invece devo essere ancora qui!».
«Perché lui non aveva altre ragioni per vivere.» esclamò Ben, accorgendosi solo in quel momento di quanto i loro toni si fossero accesi. Sicuramente, dall’altra stanza, Andrea aveva potuto udire tutta la conversazione.
«Lui non aveva altre ragioni per vivere.» ribadì l’ispettore, abbassando la voce «Tu le hai, Semir. Devi vivere per Lily.».
Semir aprì la bocca per ribattere, ma vide Andrea comparire sulla soglia della stanza e lasciò perdere.
La donna rimase ferma a fissarlo un momento, leggendo negli occhi del marito una disperazione che era anche la sua disperazione.
Poi abbozzò un sorriso e si rivolse a Ben «Il caffè è pronto, venite in cucina?».
Il giovane ispettore annuì, alzandosi dal divano.
Fece per raggiungere la sedia di Semir per spingerla fino alla stanza accanto, ma l’amico si era già mosso da solo.
Sospirò, lanciando ad Andrea un’occhiata preoccupata, ma lei diresse lo sguardo direttamente a terra.

N.d.A.
Eccoci qui, la famiglia Gerkhan finalmente a casa e noi a due capitoli dalla fine...
Grazie sempre, a presto!
Sophie

  
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