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Autore: Ryo13    11/04/2019    2 recensioni
Verso la fine della Seconda Guerra mondiale una giovane donna fugge dal lager di Dachau. Viene soccorsa da un medico tedesco da sempre innamorato di lei che la nasconde in casa propria.
❈❈❈Seconda classificata e vincitrice del premio speciale "Sliding Doors" al contest "Coincidenze perdute, appuntamenti mancati, scelte difficili: Sliding Doors Contest" indetto da missredlights e Shilyss sul forum di EFP❈❈❈
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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6. Voci di cacciatori

Novembre, 1938

Il rumore del cristallo che si infrangeva svegliò gli Haller a notte fonda.

Albert saltò fuori dal letto, impugnando un bastone che, sin dalla notte del 9 Novembre aveva preparato e tenuto vicino a sé, quasi in ogni momento.

La notizia delle violenze contro i suoi fratelli di fede lo aveva profondamente scosso. Non lo avrebbe mai immaginato possibile in un regno che era sempre stato esempio di tolleranza e rispetto. Eppure lo Stato aveva profondamente cambiato il proprio modo di pensare, anzi, aveva istigato i propri cittadini alla discriminazione e alla violenza.

A Ulm la brutalità non aveva ancora toccato i livelli massimi, era per questo che, nonostante tutto, aveva scelto di non abbandonare la propria casa e la bottega per cercare rifugio altrove: spostare la sua famiglia avrebbe avuto un costo che non poteva permettersi.

Mentre una morsa di panico lo afferrava allo stomaco, pensò che forse sarebbe stato meglio agire anziché attendere l’inevitabile: aveva sentito di centinaia di persone che erano partite nei giorni precedenti. 

Toccò la spalla di Cecilie, indicandole che non si muovesse dalla loro camera.

La donna indossò una vestaglia e scivolò fuori per andare da Hannah. La trovò sveglia ma confusa e la trascinò con sé in un luogo che fosse al riparo.

Albert, nel frattempo, vedendole relativamente al sicuro, si decise finalmente a scendere le scale che portavano al negozio, da cui aveva sentito provenire il rumore.

Udì presto delle voci concitate chiamare il suo nome con epiteti impronunciabili. Gli uomini  — ragazzi, si accorse — erano in cinque e tenevano in mano delle torce.

Ne vide ciondolare un paio e capì che dovevano avere bevuto un po’ troppo.

Cercò di non mostrarsi intimorito, ma un cattivo presagio gli faceva desiderare di prendere la propria famiglia e scappare.

Uno dei ragazzi lo vide e si affrettò a indicarlo ai compagni.

Fu inutile tentare di parlare per ricondurre quegli sbandati alla ragione: lo accerchiarono presto e, come una branco di iene, cominciarono a schernirlo e a spintonarlo.

«Anche noi faremo la nostra parte per liberare il Paese da voi sporchi ebrei», ringhiò uno degli assalitori, il quale non poteva avere più di vent’anni. «Vi ammazzeremo tutti!»

Le voci di violenza divennero un vortice attorno all’uomo che, preso dalla confusione, non seppe difendersi. Quando però un colpo lo raggiunse al petto, mozzandogli il fiato, un istinto di sopravvivenza vecchio quanto il mondo lo spinse a reagire senza più considerare quelle persone dei ‘ragazzi’ ma come ‘nemici’.

Riuscì a ferirne qualcuno a legnate, i più pavidi barcollarono al di là del buco che avevano aperto, il vetro infranto scricchiolò sotto i piedi nella corsa. Quelli rimasti urlarono addosso ai compagni che li avevano abbandonati.

Dopo un tempo inquantificabile, Albert udì un gemito dal piano di sopra: le donne dovevano essersi rese conto di quanto grave fosse il pericolo. 

Hannah volò giù dalle scale per dare man forte al padre. Questi le urlò di andare via: vederla in pericolo lo sconvolgeva, la voleva lontana da quei pazzi furiosi.

Ma la ragazza non gli diede ascolto: raccolse un lungo pezzo di vetro e si scagliò contro uno degli uomini che stavano lottando contro di lui. Riuscì a ferirlo, ne udì il gemito, ma il vetro ferì lei pure e il sangue le fece perdere la presa sull’arma improvvisata. Ritrovandosi così disarmata, scansò quasi per caso l'attacco del ferito, il quale era in preda alla furia.

Nel frattempo, la baruffa aveva attirato l’attenzione dei vicini: qualcuno più coraggioso si affacciò con una lanterna e lanciò un grido.

Quando furono in minoranza, il gruppo dei ragazzi si diede alla fuga, spintonando via quelli che si frapponevano nella  strada.

Cecilie raggiunse il marito e scoppiò in pianto. Gli passò le mani sul viso sudato e insanguinato a causa di un taglio sulla fronte: si spaventò immediatamente ma quando riuscì a esaminarlo con più attenzione, accendendo la luce, si costrinse a restare calma e si mise all’opera per essere di aiuto.

Anche Hannah venne medicata. Tremava. Sentendosi improvvisamente mancare, scivolò per terra, sconvolta dalla lotta; nella mani permaneva la sensazione di avere stretto un’arma con l’intento di nuocere.

«Cecilie, tesoro… non… non possiamo più restare.»

La moglie lo guardò affranta, trattenendo a stento una nuova ondata di lacrime ma acconsentì prontamente: non avrebbero mai più vissuto un’altra notte come quella. Dopo quanto accaduto, avrebbero convinto Hans e Joshua a seguirli con le rispettive famiglie. 

 

Non sapevano ancora che non avrebbero fatto in tempo.

La violenza sarebbe tornata come la risacca del mare, ogni volta più potente, e avrebbe trascinato via tutti: prima Albert, poi i suoi figli; infine Cecilie. 

Solo Hannah sarebbe rimasta testimone dell’orrore che stava per sommergere il mondo come il Diluvio.

 

Dicembre, 1944

Ezra capì che qualcosa non andava quando il rumore di pesanti colpi alla porta lo fece svegliare. 

Hannah non era più accanto a lui. Si voltò con frenesia, cercandola attorno mentre, di sotto, la voce di un soldato comandava che si aprisse la porta alla squadra del Tenente Sievers che aveva ordinato un’ispezione.

L’uomo si passò una mano tra i capelli arruffati, ricordando che non aveva chiuso la botola.

Si infilò un paio di pantaloni senza preoccuparsi di abbottonarli più del necessario e si precipitò di sotto dove Tom e Paul, i domestici, si guardavano spauriti, incerti sul da farsi.

Quando lo videro comparire, tirarono un sospiro si sollievo: ricevettero il comando di prendere i fucili dagli armadi e di sistemarsi presso di lui, davanti alla porta.

Quando l’aprì, Ezra sperò con tutto il cuore che Hannah si fosse messa al sicuro, quantomeno che fosse ben nascosta da qualche parte. Se le cose fossero volte al peggio, avrebbero anche potuto scoprirla, condannandolo a un’aspra punizione; forse persino alla morte.

Si trovò faccia a faccia con German, il quale lo fissava con un sorrisetto storto che non faceva presagire nulla di buono.

«Finalmente. Potrei quasi accusarti di ostacolo alla giustizia per il ritardo che hai portato nell’aprire la porta a un presidio della polizia.»

«Non sono certo io quello che si presenta a casa delle persone a un’ora così improbabile», ribatté con calma.

Incredibilmente, German non rispose, limitandosi a esprimere il proprio divertimento sbuffando dal naso.

«Fatti da parte. Siamo qui per controllare che sia tutto regolare.»

Ma Ezra non si mosse. «Mi pare che lo abbiate già fatto, per ben due volte. Questa che perori si definisce persecuzione.»

«Si sente perseguitato colui che ha qualcosa da nascondere, Kruger. Hai forse qualcosa da confessare?»

Egli lo fissò impassibilmente. «È perseguitato qualsiasi cittadino nel pieno dei propri diritti che vede ripetutamente invasa la propria abitazione da un Tenente, il cui compito sarebbe solamente di garantire l’ordine» disse. «Con quale scusa, dunque, ti presenti nuovamente in casa mia?»

German per un momento perse la propria compostezza, davanti l’insolenza del dottore.

«Nessuna scusa, Kruger. Faccio solo il mio lavoro. E adesso spostati.»

Fece forza sulla porta, cercando di scavalcare Ezra, ma si trovò puntati contro due fucili a canne mozze.

«Cosa significa tutto questo?», esclamò rosso di rabbia.

Ezra tirò fuori un pezzo di carta e lo aprì per aria, mostrandolo al Tenente.

«Ho qui il documento firmato dal magistrato: limita temporaneamente la tua ingerenza nella mia vita. Dopo la tua seconda visita ho inoltrato le mie lamentele all’onorevole Ziegler: ha convenuto con me che due perquisizioni in meno di un mese fossero un po’ troppe. È un caro e vecchio amico di famiglia, come saprai, non avrebbe potuto ignorare una simile irregolarità.»

Trovandosi con le mani legate, German sfogò la sua frustrazione con un’espressione truce e un ringhio a pochi centimetri dal viso dell’avversario.

«Quel foglio non ti salverà dalla mia giustizia, Kruger. Presto avrai modo di rendertene conto!»

Ordinando seccamente ai suoi uomini la ritirata, gli voltò le spalle, sparendo dalla vista.

Ezra non ebbe il tempo di rilassarsi poiché doveva trovare Hannah.

Cercando di dissimulare la propria premura coi domestici, li indirizzò ognuno a compiti diversi e comandò loro che preparassero dei bagagli: non aveva più intenzione di restare in quella città, pronto per essere colpito da Siervers.

Quando non ci fu pericolo di essere visto, scese in cantina per controllare la botola.

Era chiusa.

Bussò dei colpi, poi si affrettò ad aprirla: dentro, rannicchiata nell’angolo più buio stava la ragazza.

«Quando sei tornata qui sotto?», le chiese. Ma mise da parte la domanda per questioni più urgenti. «Hannah, dobbiamo parlare. Sali.»

Quando l’ebbe fatta accomodare su una sedia imbottita le disse che non avrebbero più potuto restare a Ulm.

«È troppo pericoloso, Sievers ci sta addosso. Sono riuscito a impedirgli di entrare a perquisire ma tornerà presto. Dobbiamo lasciare la casa finché siamo in tempo.»

Lei lo guardava pallida, le mani artigliate all’orlo della veste.

Ezra si inginocchiò alla sua altezza, afferrandogli i palmi strettamente.

«Hannah», le disse, «ti ho detto che non permetterò a nessuno di portarti via da me.»

Lei aveva le pupille dilatate; nelle orecchie di nuovo il suono delle grida e dei pianti di centinaia di volti senza nome.

Non poteva sopportare nuovamente l’incubo del lager.

Ezra proseguì: «Ho un piano. Sono certo che Sievers abbia lasciato un sottoposto a controllare i miei movimenti. Cercherò di nasconderti su un carro e dirò a Tom di dirigersi al mercato a sbrigare una certa incombenza. Quando lo sentirai allontanarsi, dovrai scivolare fuori e confonderti tra le persone. Mi ascolti?»

Aveva ancora l’espressione esterrefatta e tramortita e la scosse con un po’ troppo forza.

«Devi assolutamente capire cosa fare. Lascia il carro appena possibile, confonditi tra la gente e raggiungi la stazione di Ulm. Ci troveremo là e prenderemo il treno. In questo modo, se anche mi seguissero, non ti vedrebbero e non avrebbero il tempo per fermarmi. Ci siamo capiti?»

«È tutto chiaro?», ripeté con urgenza, stringendole la mano.

Lentamente Hannah annuì.

Le spiegò che le avrebbe fatto indossare i vestiti della madre, insieme a un costoso cappotto foderato di pelliccia per proteggerla dal freddo invernale. Avrebbe preso quello meno vistoso per non dare nell’occhio, ma comunque di ottima fattura, in vista del viaggio. In breve tempo, già mentre parlava, l’aveva aiutata a cambiarsi.

Quando tutto fu pronto e non rimaneva che dare il comando agli ignari domestici, la spinse in un angolo, guardandola intensamente.

«Hai paura?», le chiese.

Hannah annuì ancora.

«Mi aspetterai paziente? Riuscirai a raggiungere la stazione?»

Il tempo si prolungò senza che Ezra ebbe risposta. Contrasse la mascella, fissandola negli occhi pieno d’ansia.

Hannah sapeva che quella sarebbe stata la sua occasione per decidere del suo futuro.

Quando si fosse trovata fuori —  finalmente libera — avrebbe preso il volo? Si sarebbe allontanata anche da colui il quale l'aveva salvata?

D’improvviso rammentò lo spatz, e gli sovvennero le parole del padre: “L’odio viene dal cuore, il disprezzo dalla testa. E nessuno dei due sentimenti è spesso sotto il nostro controllo. Ma Dio, con la sua Legge ci ha dato un comando, ha detto: «ama il prossimo tuo come te stesso». Quindi quando sarai tentata a odiare e a disprezzare l’altro, pensa sempre che lui è come te”.

Il ricordo del genitore la commosse. Gli occhi le si fecero lucidi: una lacrima solitaria si precipitò in corsa incontro al vuoto.

Sollevò una mano, toccando la guancia dell’uomo. Con un movimento incerto lo avvicinò al proprio viso e gli sfiorò le labbra.

Ezra trattenne il respiro, meravigliato da quel contatto: era la prima volta che lo toccava.

 

   
 
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