Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Saruwatari_Asuka    18/04/2019    2 recensioni
La vita è una maschera, tu dici, e questo per te è fonte inesauribile di divertimento, e sei così abile che ancora non è riuscito a nessuno di smascherarti: poiché ogni manifestazione tua è sempre un inganno; solo in questo modo tu puoi respirare e far sì che la gente non si serri intorno a te e ostacoli la tua respirazione. In questo sta la tua attività, nel mantenere il tuo nascondiglio, e questo ti riesce, perché la tua maschera è la più misteriosa di tutte; infatti non sei nulla, e sei sempre soltanto in relazione con gli altri, e ciò che tu sei, lo sei per questa relazione. (...)
Non sai che arriverà la mezzanotte in cui ognuno dovrà smascherarsi? Credi che si possa sempre scherzare con la vita? Credi che si possa di nascosto sgattaiolar via un po’ prima della mezzanotte per sfuggirla?
(Søren Kierkegaard)
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aries Mu, Gold Saints, Leo Aiolia
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 4

 

 

 

Grecia. Santuario di Atene. 1973-77

 

Gli anni al Santuario senza suo fratello diventavano sempre più pesanti, più cresceva più si sentiva furioso e allo stesso tempo schiacciato dalla situazione che tutti loro stavano vivendo. Tutti, ma di cui lì dentro solo lui pareva essere cosciente del tutto.

Ed era inutile cercare di riferirlo a qualchedun’altro. Nessuno lo avrebbe ascoltato. E nessuno lo meritava neanche. Lì, tutti pronti a credere genuflessi a sua signoria il Gran Sacerdote, tutti ciechi, sordi alla realtà.

Neanche chi aveva conosciuto Aiolos mai aveva avuto un dubbio a sfiorarlo, mai si era posto un quesito.

Neanche chi era cresciuto con Aiolos si era fermato a pensare, prima di alzare la propria arma contro un uomo disarmato che cercava di fare il suo Sacro dovere; proteggere la Dea Athena.

E se dunque era quella la strada che tutti loro, stolti, avevano deciso di intraprendere, chinando il capo davanti ad un folle, chi era lui per fermarli.

Anche se solo, anche se i soldati semplici e gli allievi, ignorando il suo status di Cavaliere D'Oro, non facevano altro che sparlargli alle spalle, senza neanche preoccuparsi che non fosse effettivamente in grado di sentirli. Anche così, Aiolia aveva intenzione di andare avanti, e smascherarlo.

Da solo. Non era un problema. Non aveva paura.

No. Quando guardava il suo stesso riflesso, sapeva di non dover aver paura affatto.

Più cresceva, più gli somigliava. Quando si guardava allo specchio, e rivedeva a volte il volto del suo amato fratello, si rendeva conto di essere orgoglioso di essere fratello di Aiolos di Sagitter, eroe giusto e Gold Saint al servizio di Athena fino alla morte. L’unico che si meritava quel titolo, l’unico fra tutti loro.

Gli altri non meritavano null’altro che l’infamia di essere abbandonati dalle loro stesse armature, declassati a niente, sterpaglia. Proprio come stavano cercando di fare con lui.

Ma non era quello che l’avrebbe fatto cedere.

Mai in tutta la sua breve vita era stato così certo di qualcosa come in quel momento.

Non importava quanti anni avesse, non importava se per anni aveva avuto timore di essere troppo poco per l’armatura di Leo, se paragonato ad Aiolos.

Adesso non era più così.

Non c’era più Aiolos a cui paragonarsi, e dietro cui nascondersi.

Adesso toccava a lui, Aiolia di Leo, mostrare cosa significasse essere davvero un Cavaliere D’Oro.

Un vero Cavaliere d’oro.

Per questo continuava ad allenarsi, incessantemente, anche adesso che era solo, senza più gli insegnamenti di Aiolos ad indicargli la via. Non poteva essere certo avesse avuto i suoi giusti frutti, troppo difficile comprenderlo quando non aveva nessuno con cui confrontarsi, suo pari o meno che fosse.

Ma lui si sentiva più forte. Sicuro. Degno più che mai che Leo gli vibrasse addosso.

Rare erano state in quegli anni le occasioni che l’avevano portato a spingersi ad abbassarsi al livello di quegli inetti, parlando, discutendo o litigando con loro. Poteva accettare che la gente continuasse ad accusarlo di tradimento, di essere della stessa pasta di Aiolos, perché era ovvio che nessuno di quelle pecore avesse idea di quale fosse la verità né che il Patriarca fosse un impostore che li stava ingannando. Quello che non accettava, però, era che si screditasse tutto quello che Aiolos era stato prima di quella dannata notte.

Non suo fratello, che era sempre stato giusto e buono. Quello non poteva accettarlo. Nessuno doveva permettersi, mai, nessuno, tantomeno un branco di sciocchi che parlava solo perché si sentivano protetti. Solo perché secondo loro non poteva toccarli. E chi mai glielo impediva? Shura forse, che di tanto in tanto nelle sue ronde gli passava accanto e lo ammoniva con un'occhiata furiosa?

No di certo. Non aveva paura di Shura. Se avesse potuto, si sarebbe preso la sua giusta vendetta, e un giorno l'avrebbe fatto. Avrebbe dato all'assassino di suo fratello quello che meritava: la morte con un giusto duello. Equilibrato, non come aveva fatto l'altro.

Perché per quanto furioso il Leone aveva un orgoglio da difendere.

Voleva uno scontro, e solo lì l'avrebbe ucciso.

Ma non ora, non a rischio che anche quello passasse in cattiva luce. No, sarebbe accaduto dopo, dopo lo smascheramento dell’impostore, dopo che tutti loro avessero ammesso che Aiolos non era un traditore. Dopo averli sentiti scusarsi tutti, prostrarsi davanti alla sua tomba.

Dopo il giusto funerale che Aiolos meritava.

Solo allora avrebbe puntato il dito contro Shura, chiedendogli quello che era suo di diritto: la vendetta.

E se la sarebbe presa, riscattando e spolverando un’ultima volta l’onore di suo fratello.

Non prima.

 

Dopo neanche un anno dalla morte di Aiolos, la voce che la neonata Athena fosse stata ritrovata e tratta in salvo, e riportata lì al Santuario, al sicuro fra le braccia del Patriarca, si era sparsa in tutto il Santuario.

Tutti ci credettero fin da subito, a nessuno sfiorò mai il dubbio che fosse strano, sospetto. Che se Aiolos fosse stato davvero un traditore non ci sarebbe più stata un’Athena viva da riportare al Grande Tempio. L’avrebbe uccisa subito, o strada facendo.

Ma no. A nessuno venne nessun dubbio.

Non è possibile,” gli disse Mu quando glielo riferì, appena possibile. Era sempre Mu a contattarlo telepaticamente, di rado e per pochissimo tempo.

Solo per sapere come stava, se era vivo. Mai di più. Perché era pericoloso.

Lo penso anche io. E’ una bugia.”

Senz’alcun dubbio. Come vanno da te le cose, Aiolia?

Come devono. Non ti preoccupare per me, Mu.”

Okay. Stai attento.”

Annuiva sempre, ogni volta che Mu glielo rammentava.

Attento, non fare follie. Mantieni un profilo basso, non fare colpi di testa.

Ma non c’erano rischi. A malapena si avvicinava agli altri, Aiolia. E il Gran Sacerdote non l’aveva ancora mai richiamato al suo cospetto, quindi non aveva neanche più avuto modo di vedere la sua faccia. La sua maschera, anzi, letteralmente parlando.

 

Ebbe il dispiacere di doversi di nuovo genuflettere al suo cospetto solo tre anni dopo, quando gli diede il compito di occuparsi di una ragazzina giapponese venuta fin lì per tentare di ottenere la Silver Cloth dell’Aquila.

Marin, si chiamava.

Aiolia acconsentì con appena un cenno del capo, frustrato dal fatto che avessero dato un compito simile a lui. Era un uomo, era un Gold Saint. Non era lui che doveva occuparsi di addestrare una ragazza. Le donne lo facevano per conto loro, fra di loro, in un campo d’allenamento per altro isolato.

Se voleva sbeffeggiarlo, umiliarlo o declassarlo pur senza potergli togliere l’armatura d’Oro, quello era il modo peggiore con cui potesse farlo. Ma non importava.

Se allenarla era quello che doveva fare, se così facendo pensava di fargli perdere tempo, o pazienza, o chissà che altro, l’avrebbe fatto comunque.

Sarebbe diventata una Silver Saint migliore di tutti quei boriosi sciocchi che vagavano senza una vera meta per il Santuario.

Quando la vide la prima volta, ad Aiolia fece pena.

Abbandonata a se stessa e al fratello del traditore perché nessuno voleva avere a che fare con una giapponese venuta a rubare un’armatura che sarebbe dovuta rimanere per tradizione in terra di Grecia.

Ma non era così che funzionava.

Le armature andavano a chi era prescelto, a chi era meritevole. Non importava se eri greco o giapponese. La metà dei Gold Saint non lo era, greca, seppur obbligati a differenza degli altri a rimanere lì a presidiare ognuno la propria casa.

Le porse la mano e fu felice di non vedere tentennamenti nei suoi occhi castani.

“Sono Aiolia, Saint di Leo. Sarò il tuo maestro.”

Marin,” disse lei. Nient’altro.

Non una scintilla di paura o ripensamenti. Capiva a malapena il greco, ma era ovvio che fosse determinata.

Per la prima volta dopo anni, dopo la morte del fratello, Aiolia si aprì in un sorriso sincero.

“Bene, Marin. Conosci il Cosmo?”

Se il Patriarca voleva fargli un torto, aveva sbagliato senza neanche essere realmente consapevole del grosso fallo commesso.

Probabilmente gli aveva appena fatto conoscere l’unico appiglio di sanità all’interno del Tempio.

L’unica che non lo conosceva, che non aveva pregiudizi su di lui. Né odio né rancore. Pura, ancora, dall’influsso malevolo del Gran Sacerdote.

L’unica che poteva essergli amica.

 

Grecia. Santuario. Febbraio 1977.

 

Shura gli passò accanto anche quella mattina –come sempre, come tutte le volte che toccava a lui fare la ronda- e come sempre Aiolia lo fissò con odio e sgarbo. Non ricevette neanche un cenno dall'altro, solo una lunga occhiata che Aiolia interpretò come una sfida.

Non poteva sapere, non voleva immaginare, quanto Shura morisse dentro ogni giorno per quello che aveva fatto. Ora soprattutto, con AIolia alla soglia di quei quindici anni che Aiolos, per colpa sua, non aveva avuto la possibilità di raggiungere.

Ora che gli somigliava più che mai. Ad Aiolos, che a quattordici anni si era macchiato dell'onta del tradimento ed era stato condannato a morte, condanna eseguita per mano sua. Aiolos, che quella notte non si era difeso, che l'aveva guardato con rammarico, chiedendogli solo di risparmiare quella povera creatura che teneva fra le braccia.

"Se sei ancora il ragazzo che ho cresciuto, Shura...lei è innocente!"

E Shura, che non era stato in grado di capire, aveva fatto come gli era stato chiesto. Col cuore pesante, aveva colpito Aiolos e poi allontanato la bambina, lasciandola viva. Nessuno gli aveva ordinato di ucciderla. Shion, se era lui, gli aveva chiesto di riportarla indietro. Ma Shura non l'aveva fatto. Quando aveva visto Aiolos stringerla in quel modo, non aveva avuto cuore di separarli.

Era stato sciocco, ma non era riuscito a vedere Aiolos morire così, come un cane. Non ci era riuscito.

Sagitter era stato un fratello anche per lui, un maestro in un certo senso, aveva avuto fiducia nelle sue capacità quando neanche Shura stesso ne aveva. Lo aveva ripreso se v’era necessità, incoraggiato, guidato.

Non aveva potuto guardarlo così.

Non ce l’aveva fatta.

Ma quando era tornato a riprendere la bambina e magari a dare una se non degna quantomeno adeguata sepoltura all'amico...era sparito. La macchia di sangue a terra era stata l'unica cosa che aveva trovato. Il cadavere, perché che fosse morto era certo, e anche la bambina non c'erano più.

Una piccola parte di lui era stato sollevato perché forse questo implicava un motivo, una spiegazione a quel gesto così sconsiderato.

Così era tornato indietro, straziato e sconfitto a metà, senza il cadavere del traditore e senza la bambina. E con la piccola speranza nel cuore che un motivo dietro tutto quello doveva esserci, doveva.

Da allora aveva sempre vegliato su Aiolia, a distanza, roso dai sensi di colpa.

Ma glielo doveva, perché se era solo era anche colpa sua. Nell'attesa di poter sacrificare la sua vita per ripagare il debito che aveva col Leone, come si era ripromesso quel giorno.

E non importava se Aiolia lo odiava. Era giusto così.

"Di logica dovresti provare a rivolgergli la parola, considerando che non fai altro che stargli dietro."

Shura si voltò appena, riconoscendo il suono di quella voce che adesso era cambiata, aveva assunto un timbro più profondo, virile, un qualcosa che Aphrodite aveva dimostrato di aberrare profondamente, ma in fondo erano ragazzi normali. E come era normale, erano cresciuti e cambiati.

"Non ne vedo il motivo," gli disse, voltando le spalle alla figura di Aiolia che, come ogni giorno, aveva raggiunto il campo d'addestramento femminile.

"Che cosa c'è, Aphrodite?"

Quello, per tutta risposta, storse le labbra appena lucide, "Beh, cos'è tutta questa freddezza, negli ultimi tempi?"

Shura chiuse gli occhi con fare stanco, poi si voltò di nuovo verso l'amico, "Niente di diverso dal solito. C'è un motivo se sei sceso dalla Dodicesima? Non lo fai mai."

"Magari avevo voglia di cambiare aria," fece con una scrollata di spalle, ma all'occhiata glaciale dell'altro sospirò, "Va bene, ammetto che non verrei qui se così fosse."

Ma era vero che Shura era cambiato, da quell'assassinio imposto. Era distaccato con tutti, manteneva le distanze, si ripeteva come un mantra che aveva fatto la cosa più giusta, che aveva eseguito gli ordini per salvare il Santuario e chi ci viveva, e forse anche il resto del mondo, liberandolo da quello che probabilmente sarebbe diventato un uomo pericoloso.

Ma non era vero, e Shura lo sapeva. Da quella notte, non aveva fatto altro che chiedersi se avrebbe dovuto dire di no, rifiutare gli ordini, disobbedire. Per la prima volta in vita sua. Non l'aveva fatto, ma se ne pentiva ogni singolo giorno.

Perché il Gran Sacerdote gli aveva chiesto di ucciderlo? Perché non di fermarlo, di riportarlo indietro come prigioniero, di catturarlo per sottoporlo a processo? Perché proprio la morte, data così, su due piedi? Lì per lì, Shura non aveva colto la stranezza di quell'ordine, l'autorità con cui era stato dato, quasi crudele. Era un bambino, shockato da quello che aveva appena scoperto...e una parte di lui, che si sentiva tradita personalmente, voleva vendetta.

Ma crescendo aveva avuto dei dubbi su quel gesto. Tanti, troppi dubbi.

Aiolos non l'avrebbe mai fatto, Shion non l'avrebbe mai fatto. Che cosa stava succedendo, al Santuario?

Vegliare su Aiolia era diventato un chiodo fisso, e non aveva certo perso tempo ad indagare su qualcosa che probabilmente vedeva solo lui, che non esisteva. Eppure...i suoi occhi potevano davvero ingannarlo fino a quel punto? La sua mente poteva giocargli uno scherzo simile?
E se c'era davvero qualcosa che lui non voleva vedere?

"C'è altro? Dovrei finire la mia ronda."

"Lo so. Quando hai finito, il Gran Sacerdote vuole parlarti."

Shura annuì, "Allora mi recherò subito da lui."

Aphrodite gli diede le spalle, mentre l'altro si allontanava, la rosa rossa appena materializzata fra le dita pallide, "Una cosa, Shura."

"Cosa?"

"Ricordati che è pur sempre il Gran Sacerdote."

Capricorn si girò di scatto, quasi fulminandolo, "Che vorresti dire?"

Aphrodite aggrottò le sopracciglia sottili, sospirando appena, "Anche se stai facendo pensieri al limite del legale e vorresti risposte...ricordati che quello è comunque il Sommo." Anche se non era Shion, era stato Deathmask a confermarglielo. Shura non reggerebbe la notizia, tienitela per te, così gli aveva detto. Lui era salito di gran carriera fino alle stanze private, spalancato la porta e urlato il nome di Saga. Non si era stupito più di tanto quando gli era comparso davanti mezzo nudo.

Ma era davvero Saga? Il colore di occhi e capelli era diverso, la postura e il modo di fare lo erano. Di Saga aveva a malapena l'aspetto esteriore.

"Che cazzo hai fatto?" era stato tutto quello che gli aveva chiesto. Non aveva idea di come Deathmask l'avesse scoperto, e forse non l'avrebbe saputo mai, ma non gli importava neanche. Quello che contava era la risposta, la minaccia, che gli aveva rifilato Saga alla sua domanda.

"Non sei indispensabile. Ricordatelo, Pisces."

E se non era indispensabile lui, allora non lo era neanche Shura. La differenza stava nel modo di fare. Lui e Deathmask avevano avuto la decenza di abbassare il capo e decidere che non era un problema loro, che finché si manteneva un certo equilibrio, finché la forza era in grado di governare, anche se col pugno di ferro, andava bene. Loro erano dalla parte dei più forti, di chi poteva portarli in alto, mostrare agli altri quello che avevano sempre voluto mostrare.

Ma Shura non era mai stato come loro. Il suo senso di giustizia gli impediva e gli avrebbe sempre impedito di aiutare qualcuno che sapeva essere -probabilmente- dalla parte sbagliata.

E Saga aveva capito che Shura sospettava, che si stava ponendo delle domande.

"Perché mi stai parlando in maniera così ambigua, Aphrodite?"

"Io parlo sempre in maniera ambigua, mio caro," rispose Pisces, ricominciando a camminare nella direzione opposta da quella intrapresa dal Custode del Decimo Tempio.

"In che modo potrei dimenticarmi che quello è il Sommo?"

"In nessuno. Era solo per dire. Ci vediamo più tardi, Shura," e prima che l'altro potesse aggiungere qualcosa, era già andato via.

 

Durante la salita, Aphrodite si fermò alla Quarta Casa, quella del Cancro. Deathmask era fuori, proprio come se lo stesse aspettando, con la sigaretta fra i denti. Aveva iniziato a fumare dopo aver scoperto di Saga, neanche fosse lui quello che aveva motivo di essere sotto stress.

"Ci hai parlato?"

"Certo che ci ho parlato," berciò Aphrodite, "Sono sceso apposta, visto che sua signoria è troppo impegnato a nascondersi nel suo harem  per prendersi il disturbo di chiamare le guardie."

"Bah, tanto ci siamo io e te che non abbiamo un cazzo da fare, no?"

"Certo, proprio niente!" sbuffò lo svedese, prima di sederglisi accanto, "Non accendere quello schifo, che puzza."

"Che lagna! E' solo una sigaretta."

"Puzza uguale. Senti, invece, parlando di cose serie...secondo te vuole ucciderlo?"

Deathmask ispirò, aria pulita questa volta, e non nicotina, e la cosa lo fece quasi tossire. "Non credo che gli convenga," ammise.

"Eppure ha ammazzato Aiolos senza pensarci due volte."

"Appunto per questo. Mica può accopparci tutti. Se iniziasse a puntare il dito, dopo Sagitter, anche su Shura, magari Aiolia, se lo trova Mu...anche il più fedele dei fedeli inizierebbe ad insospettirsi. Anche se mi sa che Mu, se lo trova, lo ammazza sul serio."

"Lo pensavo anche io, ma Mu è l'unico riparatore d'armature al mondo, in un certo senso gli serve. Sempre che il vecchio abbia fatto in tempo ad insegnargli qualcosa di utile, s'intende."

"Vero anche questo."

Deathmask si rigirò di nuovo la sigaretta fra le dita, la portò alle labbra masticandone il filtro con i denti, tentato com'era di accenderla ugualmente, anche se sapeva che all'altro dava fastidio.  Ma alla fine desistette.

"Posso farti una domanda, Death?"

"Perché, se ti dico di no non me la fai?"

"Certo che te la faccio lo stesso."

Deathmask scoppiò a ridere, una risata graffiante e animalesca, ma per nulla divertita. Una di quelle fatte per spaventare l'avversario che si ha di fronte, perché di divertente non c'era un bel niente. Anche se Aphrodite non era un avversario, e di certo non si sarebbe spaventato così facilmente.

"Come lo hai capito? Di Saga, intendo."

"Come lo hai capito tu. Come lo sta capendo Shura. Forse come lo hanno capito anche i marmocchi, se non sono stupidi. Per quanto si sforzi, Saga non c'entra niente col vecchio, proprio niente."

E dopo era andato ad affrontarlo a muso duro, per essere sicuro, si era fatto la sua sana risata e aveva detto che, se non gli metteva i bastoni fra le ruote, poteva fare quello che gli pareva. Saga l'aveva mandato via apparentemente soddisfatto, nonostante tutto.

"Io non avevo compreso, invece, finché non me l'hai detto."

"Mi hai creduto subito, qualche dubbio t'era venuto."

"Qualcuno," ammise Aphrodite, chiudendo gli occhi, "Ma l'avevo visto solo un'altra volta prima di quella sera. Si tiene alla larga da noi, ancora di più da Shura. Avevo solo notato che alcune cose erano...diverse. Ma poteva essere dovuto a tante cose. Tipo la delusione verso Aiolos."

Deathmask scrollò le spalle, "Se non si tenesse a distanza, sarebbe davvero un cretino. Sono quasi sicuro che abbia mandato via gli altri anche per questo: non essere scoperto prima di avere un piano vero. Dopotutto, il bacucco aveva più di duecento anni ed era tipo una prugna secca ormai. Come lo imiti uno così? Devi inventarti una storia plausibile, altrimenti non sta in piedi."

Per un attimo, fra i due scese di nuovo il silenzio, poi Aphrodite si alzò, "Già, comunque mandare via gli altri non è stata una grande mossa. Ha solo tardato l'inevitabile."

"Suppongo speri che al loro ritorno abbiano così inculcata in testa la figura del Gran Sacerdote da non alzare più neanche la testa davanti a lui."

"Scemenze, non succederà mai. Piuttosto mi chiedo se non fosse un modo per isolare Leo."

"Non ha funzionato. Quello s'è fatto l'amichetta," sghignazzò Cancer, "Gli serviva solo tempo, Aphro," aggiunse poi. Tempo per pensare, tempo per architettare. Tempo per imparare.

"Tempo, tempo, lo hai detto anche prima. Ma anche così, quanto potrebbero cambiare le cose? Anche adesso che ha fatto girare la voce che Athena è di nuovo al Santuario, al sicuro...io non ci credo."

"Ovvio che è una balla."

"L'altro giorno mi ha parlato di una tecnica per il controllo mentale che cercava di perfezionare," fece dopo un po' Aphrodite, "Pensi ci sia riuscito?"

Deathmask morse di nuovo il filtro, "Saga ottiene sempre quello che vuole."

"Per questo mi chiedo cosa voglia ora! Una manica di zombie al posto dei Gold Saint? E vuole testarla proprio su Shura?"

"Chi lo sa? Può anche essere."

"Che piano di merda."

"Tutto quello che ha fatto fino ad ora è stato un po' una merda," ghignò Deathmask, "Ma non è affar mio. Non voglio certo farmi ammazzare, io mi sto divertendo! Che faccia quello che gli pare."

"Sei una merda pure tu, Deathmask," affermò Aphrodite, aspro, e fu l'ultima cosa che gli disse prima di riprendere la scalata fino alla sua Dimora.

Deathmask non aspettò neanche che terminasse quella del Tempio del Leone per accendersi la sigaretta, aspirandone subito una grossa boccata.

Sì, forse Aphrodite aveva ragione, ma che gli importava? Non voleva certo finire fra le mani di Gemini, lui. Gli andava benissimo così, non aveva niente in contrario. Anzi, se doveva essere onesto...si stava persino divertendo.

 

 

 

ANGOLINO AUTRICE:

Potrei aver vagamente peccato di troppa licenza poetica nel pezzo di Aiolia e Marin.
Ho pensato che Merin a, quanto, 16 anni mi pare? Fosse già degna di diventare la maestra di un futuro Cavaliere, quindi il suo, di maestro, doveva essere per forza importante, o quantomeno averle insegnato molto, e bene. Immagino che un Saint non possa allenare una Sacerdotessa, visto che la divisione fra uomo e donna al santuario è più che netta, fin troppo. Quindi per Aiolia sarebbe stata una sorta di punizione, ecco. Per altro non mi pare Kurumada abbia mai detto questa cosa e i due sono amici quindi...non so, ho pensato che fosse carino. Mi è piaciuta l’idea, e ce l’ho messa xD
Descrivere tutto il periodo di isolamento di Aiolia penso non serva, non nel dettaglio, quindi ho stringato nelle parti più importanti!
E poi ho adorato muovere Death e Aphro alla fine xD Sperando di non essere andata troppo fuori pg!
Per il resto, spero che questo capitolo possa essere di vostro gusto come gli altri!
Al prossimo, con il ritorno dei pargoletti dall’allenamento!
Un bacione,
Asu

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Saruwatari_Asuka