18/04/2019
1 recensioniDomenica 14 Aprile 2019.
A Kidou Yuuto.
Mi sfuggi dalle dita come sabbia incandescente, inafferrabile come rivoluzionario vento impetuoso.
Tanto tempo fa, i tuoi sorridenti occhi cremisi segnati da un indicibile, amaro dolore hanno spezzato lo scudo d’ottone dietro cui si celava il mio animo distrutto, frantumandolo in miliardi di pezzi: miliardi di schegge acuminate hanno perforato il mio animo ed io ho capito che eri tu. Sanguinai. Copiosamente. Il sangue, quel caldo, dolce sangue tramutatosi da tempo in ghiaccio, riprese il suo corso: cominciò a scorrere impetuoso nelle mie vene. Ero allo sbaraglio in un mare in tempesta, sul precipizio del burrone profondo della più acuta disperazione. Impossibilitato a muovermi, le mie membra parevano addormentate in un sonno profondo, il grigio sonno della morte. Come puoi descrivere a chi non ne ha mai fatto esperienza l’opprimente opacità che ti circonda e penetra ogni tuo centimetro di pelle fino a raggiungere il cuore delle ossa, quando neanche tu distingui più il grigio dal colore?
Mi sono ridotto a mero automa, alimentato da una rabbia dalle origini remote ormai quasi dimenticate, rabbia che è andata scemando nel tempo, lasciando spazio allo spazio... uno spazio vuoto, schiacciante, pesante che da tempo immemore mi soffocava, strozzava ogni mia parola trasformandola in fastidiosi singhiozzi.
Vissi secoli in tal modo, uomo perpetuamente frustrato ed impossibilitato a vivere, ma solo ad essere dannato, dannato, dannato. Dannato! dico. Solo quell’essere che voi tutti con tanta ingenua fede chiamate Dio sa cosa mi trattenne dal farmi divorare completamente dalle tenebre.
Ma quel caldo pomeriggio d’estate, in mezzo alla tetra oscurità aleggiante nel burrone perennemente innanzi a me, qualcosa si mosse. L’aria si fece meno pesante, il disgusto provato per la vita venne meno e un colore (finalmente un colore!) tinse di rosso il grigiore della mia esistenza.
Fu il profumato rosso cremisi dei tuoi occhi a salvarmi, Kidou, ed è per questo che ogni giorno grido, urlo, bestemmio, mi maledico per averti permesso di allontanarti da me.
Auguri, figlio mio.
Kageyama Reiji.
A Kidou Yuuto.
Mi sfuggi dalle dita come sabbia incandescente, inafferrabile come rivoluzionario vento impetuoso.
Tanto tempo fa, i tuoi sorridenti occhi cremisi segnati da un indicibile, amaro dolore hanno spezzato lo scudo d’ottone dietro cui si celava il mio animo distrutto, frantumandolo in miliardi di pezzi: miliardi di schegge acuminate hanno perforato il mio animo ed io ho capito che eri tu. Sanguinai. Copiosamente. Il sangue, quel caldo, dolce sangue tramutatosi da tempo in ghiaccio, riprese il suo corso: cominciò a scorrere impetuoso nelle mie vene. Ero allo sbaraglio in un mare in tempesta, sul precipizio del burrone profondo della più acuta disperazione. Impossibilitato a muovermi, le mie membra parevano addormentate in un sonno profondo, il grigio sonno della morte. Come puoi descrivere a chi non ne ha mai fatto esperienza l’opprimente opacità che ti circonda e penetra ogni tuo centimetro di pelle fino a raggiungere il cuore delle ossa, quando neanche tu distingui più il grigio dal colore?
Mi sono ridotto a mero automa, alimentato da una rabbia dalle origini remote ormai quasi dimenticate, rabbia che è andata scemando nel tempo, lasciando spazio allo spazio... uno spazio vuoto, schiacciante, pesante che da tempo immemore mi soffocava, strozzava ogni mia parola trasformandola in fastidiosi singhiozzi.
Vissi secoli in tal modo, uomo perpetuamente frustrato ed impossibilitato a vivere, ma solo ad essere dannato, dannato, dannato. Dannato! dico. Solo quell’essere che voi tutti con tanta ingenua fede chiamate Dio sa cosa mi trattenne dal farmi divorare completamente dalle tenebre.
Ma quel caldo pomeriggio d’estate, in mezzo alla tetra oscurità aleggiante nel burrone perennemente innanzi a me, qualcosa si mosse. L’aria si fece meno pesante, il disgusto provato per la vita venne meno e un colore (finalmente un colore!) tinse di rosso il grigiore della mia esistenza.
Fu il profumato rosso cremisi dei tuoi occhi a salvarmi, Kidou, ed è per questo che ogni giorno grido, urlo, bestemmio, mi maledico per averti permesso di allontanarti da me.
Auguri, figlio mio.
Kageyama Reiji.