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Autore: Akame28    21/04/2019    0 recensioni
Questa raccolta partecipa a “Non dire gatto se...” a cura di Fanwriter.it!

Raccolta di One-shot su esseri umani alle prese con dei gatti, dei gatti, i danni che provocano, le loro fusa e i croccantini che esigono ogni giorno.
Genere: Comico, Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Numero parole: 1270
Prompt: «A deve partire e chiede a B di badare al suo gatto. “Cosa potrà mai succede?”. B imparerà a non sottovalutare un gatto. BONUS si troverà a chiedere aiuto a C.»

 

Il ragazzo tiene la cornetta del telefono alzata e non riesce a staccarla dall'orecchio. È come se, tutto a un tratto, qualcuno gli abbia lanciato un sortilegio e lui non sia più in grado di muovere un solo muscolo. Di certo, sarebbe un fatto assai strano, dal momento che, di magia, non ve n'è nemmeno l'ombra; ma partiamo con ordine.
Ventitré anni, single e con un paio di esami arretrati, Andrea non è mai stato il tipo di persona disposta ad aiutare il prossimo nei momenti di difficoltà, un po' per colpa del suo carattere, un po' per l'incidente avvenuto da piccolo. Il discorso cambia unicamente nel caso in cui è la sorellastra maggiore ad aver bisogno di una mano. Amanda, infatti, dopo la perdita della madre, era diventata uno dei suoi punti di riferimento oltre a il babbo, e questo è il motivo principale per cui non riesce mai a dirle di no. Nemmeno questa volta.
Anche se lo vorrebbe con tutto il cuore.
Tira un sospiro dopo quella che gli è sembrata a un'eternità. Deve stare calmo. Deve farsi ridire tutto daccapo, per vedere se ha davvero capito oppure no. Quindi inspira, apre la bocca e butta fuori le parole: «Scusami, puoi ripetere quello che hai detto? È che stavo... distratto e ho paura di non aver ben capito.»
Andrea sente la sorellastra sbuffare. Probabilmente è impaziente di chiudere la telefonata, poiché deve tornare a lavorare prima che il capo se ne accorga. E s'incazzi.
«Ti ho chiesto se potevi badare a Rogue per qualche giorno, non di più. Devo andare fuori città per un corso e ho bisogno di qualcuno in grado di prendersi cura di lui. Puoi?»
Ah, ma allora non aveva sentito male. Andrea sente crescergli in petto un senso di... disagio, forse; una parte di sé aveva sperato che si fosse sbagliato.
«Ah. Uhm... penso che... vada bene? Aspetta, però io non ho la minima idea di come ci si prenda cura di un gatto» sbotta alla fine, nel tentativo di arginare la faccenda. Perché no, no e no. Non vuole che un felino si aggiri nell'appartamento quando lui è via o mentre studia. Potrebbe benissimo provocargli dei danni a cui poi deve pensare a sue spese. Senza contare che lui li odia, i gatti. In generale. La sorella, però, non lo sa.
«Non preoccuparti, non è nulla di complicato. Basta che gli riempi le ciotoline una volta al giorno, una con i croccantini e l'altra con l'acqua. La sabbiera e la cuccetta te le do io. Inoltre, per qualsiasi cosa mi puoi chiamare.»
Sbuffa.
«Allora d'accordo.»
Andrea immagina la sorella sorridere dall'altra parte. È una sua abitudine sorridergli poco prima di salutarlo.
«Passo da te domani mattina alle otto. Non affaticarti troppo e stammi bene.»
Bip. Chiamata terminata.
Adesso può dirsi ufficialmente nella merda.

«Cazzarola, quanto pesa 'sto coso qui.»
«“'Sto coso qui” è il trasportino del gatto con dentro il gatto. Attento a non scuoterlo troppo» lo rimprovera Amanda, di già vestita di tutto punto. È arrivata puntuale, come al solito, e Andrea è uscito ancora in pigiama, preso alla sprovvista. “La sveglia” presenta come scusa.
«Qui c'è tutto quello che ti serve,» gli dice, porgendogli una busta «in caso di bisogno, puoi chiamarmi, ma potrò risponderti solo dopo le sette di sera.»
«Mhn...» mugugna come risposta. Si sente ancora mezzo stordito dal sonno. «Fa buon viaggio.»
La sorella si siede al volante, ma non chiude la portiera subito. Gli sorride: «Certo. A presto.»
Andrea vede l'auto divenire sempre più piccola, fino a scomparire del tutto. Afferra la busta e il trasportino e si dirige nell'appartamento. «Quanto potrà essere difficile badare ad un gatto?» cerca di convincersi mentre varca la soglia.
Quanto si sbaglia.
Tempo di liberare il gatto e disporre il necessario in terrazza, che la piccola belva già si trova sul tavolo della cucina e con la piccola zampetta sposta il bicchiere mezzo vuoto verso il bordo del tavolo. Andrea per poco non perde un battito. Si lancia al centro della stanza e riesce ad afferrare al volo il piccolo oggetto per un pelo. Quindi si ritira su e guarda il felino negli occhi. «Noi due dobbiamo mettere in chiaro una cosa: io non sono la tua padrona, benché meno un amante dei gatti, quindi sei pregato di non darmi noie o disturbarmi più di quanto abbia fatto finora. Non ci metto molto a sbatterti fuori di qui e a riportarti a casa tua.»
Per tutta risposta, Rogue si lecca una zampa, incurante del padroncino temporaneo. «Mi sa tanto che adesso capisco il perché del nome» mormora lui tra i denti, prima di tornare a studiare. Ha il presentimento che quelli sarebbero stati dei giorni parecchio lunghi.

Non ce la può fare. Davvero, crede che le gambe possano cedergli da un momento all'altro.
Il tappeto in bagno è zuppo di uno strano liquido che emette un tanfo terribile e ci sono delle orme di gatto impregnate di quel liquido che vanno dal bagno al soggiorno, passando per il corridoio e la cucina. Come se non bastasse, lo stomaco gli si contrae ancora alla vista del gatto dormiente sul divano bianco latte. È un incubo. Che qualcuno mi svegli, quasi prega mentre si afferra i capelli ed emette un sospiro esasperato. Non sono nemmeno dodici ore che c'ha 'sta bestia in casa e quasta ha già fatto un casino che nemmeno un maiale sporco di fango nel Palazzo Reale.
Deve chiamare aiuto per ripulire 'sto schifo. Ma chi? No la sorella, di certo: son solo le cinque del pomeriggio e a lui serve una persona disponibile in quel preciso istante. D'un tratto, s'illumina. Ma sì, può provarci; dopotutto, che scelta ha?
Prende il cellulare e digita il numero.
«Pronto?» dice una voce.
«Oi, so' io. Senti, non è che mi puoi dare una mano per una faccenda?»
Silenzio.
«Mhn... di che si tratta?»
«Ho un problema... baffuto e peloso, ecco. Molto peloso. E dalle zampe puzzolenti.»
Altro minuto di silenzio. Andrea immagina la persona interdetta.
«Arrivo» finisce col dire, prima di agganciare.
Bingo.

«Cioè, fammi capire: tu mi hai chiamato per un gatto?»
«Non avevo altra scelta. Jack, davvero, ero in una situazione disperata: guarda come mi ha ridotto l'appartamento» obietta Andrea sotto lo sguardo infastidito di Jack. Lo conduce in bagno e Jack deve coprirsi il naso con il braccio per non perdere la sensibilità al naso, a dir poco. «Che stronzo. Dove l'hai preso?»
«È di mia sorella: me l'ha dato in custodia mentre è via.»
Pausa di riflessione. «Hai detto che si chiama Rogue? Certo che è un nome azzeccato» afferma, e sposta lo sguardo sul felino acciambellato sul divano, che a sua volta li guarda con astio: Andrea è riuscito – nemmeno lui sa come – a “pulire” le zampe del gatto con alcune salviette umidificate e Rogue non lo ha apprezzato molto.
«Fin troppo» risponde sarcastico e prende un vecchio straccio dalla dispensa. «Iniziamo, altrimenti se scoprono in che stato è quasto posto mi buttano fuori a calci. È ancora in affitto.»
Ci vogliono due ore affinché l'odore di morte – come Jack lo definisce – sparisca del tutto: i due devono aprire quasi tutte le finestre, in modo tale da creare corrente, e pulire il pavimento con tanto di alcol etilico e spray “profuma ambiente”. Quindi, a lavoro concluso, si lasciano andare sulle sedie della cucina sospirando stanchi.
«Voglio essere pagato... per questa cosa» riesce a dire Jack.
«Se vuoi ti do il gatto come ricompensa.»
Crash. I due si voltano, in direzione della camera da letto.
«No... non il bicchiere» si sente solo dire.

 

   
 
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