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Autore: Roberto Turati    23/04/2019    0 recensioni
[ARK: Survival Evolved + Horizon Zero Dawn]
 
Una collaborazione tra me e Manon, mia buona amica e grande appassionata di Horizon Zero Dawn, autrice su Wattpad.
 
Dopo aver salvato il mondo da ADE, Aloy può finalmente rilassarsi pensando ad alcune faccende marginali come esplorare, partecipare alle cacce della Loggia, sbloccare nuovi override nei Calderoni eccetera. Ed è proprio in uno dei Calderoni che, per incidente, scopre un progetto segreto e abbandonato che gli Antichi avevano inizialmente preso in considerazione come un'alternativa a Zero Dawn, prima di decidere che quest'ultimo era un'idea migliore. Così l'amazzone Nora scoprirà un posto che non avrebbe mai immaginato, ma dovrà suo malgrado salvarlo da alcune Macchine che vi hanno acceduto assieme a lei...
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Dimenticando quello che stava facendo prima, Aloy aveva seguito a ritroso le tracce della creatura, il tirannosauro, per vedere se la sua paura era fondata. Si era accorta comunque, voltandosi un secondo, che anche il rappresentante Nora della loggia aveva visto l’animale dall’alto della sua postazione ed era rimasto di sasso per qualche secondo, per poi correre via, terrorizzato. La ragazza seguì la pista evidenziata dal suo focus per sei lunghe ore e, alla fine, arrivò ad una cascata nella giungla a Sud di Meridiana: era l’uscita naturale della caverna in cui si trovava il Calderone Xi, il penultimo che aveva perlustrato. Entrò e finì subito nella camera di assemblaggio. Sgomenta, vide che la grande forgia era ripartita. E c’era anche un’apertura segreta che la volta prima non aveva scoperto, in cui c’era… un grande portale viola simile ad una nuvola. Non solo: su un’altra parete c’era l’ologramma della mappa del mondo a lei conosciuto, su cui erano segnati quattro calderoni con la scritta:

TELETRASPORTATORI ATTIVI

Dunque aveva ragione: il Calderone Zeta aveva fatto aprire altri portali in altri quattro punti: i Calderoni Xi, Rho, Sigma ed Epsilon. Sotto quell’ologramma, ce n’era un altro, di un posto che non riconosceva, ma che riconobbe perché accanto ne era riportato il nome e il luogo in cui si trovava, all’interno di una frase:

TRASPORTO INTER-DIMENSIONALE DA: COLORADO, DIMENSIONE 8214, A: ISOLA DI ARK, DIMENSIONE 11611

Infine, dulcis in fundo, rilevò le tracce del tirannosauro che uscivano dal portale… e quelle di un Celermorso che entravano.

“Dannazione… devo rimediare a tutto questo!” pensò.

Le sarebbe bastato girare gli interruttori dei quattro portali e farla finita, ma si sarebbe sentita in colpa a lasciare gli abitanti di ARK soli contro esseri che non conoscevano… e poi aveva ancora voglia di esplorare quel posto… questa scusa e la sua determinazione le fecero fare una scelta.

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Prima di partire alla nuova avventura, decise di scansionare e duplicare quei due ologrammi-mappa col focus per poter sempre sapere dove si trovava lei e dove fossero gli altri portali su ARK. A quel punto, raccolto tutto il suo coraggio, inserì la lancia nel pulsante girevole nel pavimento e lo ruotò, per poi buttarsi di testa nel portale, poco prima che si chiudesse. E fu così che si ritrovò improvvisamente immersa nell’acqua sporca e salmastra fino alla vita. Si guardò intorno, spaesata: era in una foresta di mangrovie, in quella che era chiaramente una palude. Dall’acqua, resa verdognola dalle micro-alghe, uscivano dei miasmi dello stesso colore e che puzzavano di uovo marcio, per cui Aloy ebbe la nausea per quasi un minuto, essendo passata dalla brezza pungente di un calderone a quel tanfo pesante e soffocante.

“Allora, inizia il mio suicidio in terra straniera…” pensò, una volta evidenziata nuovamente la pista del Celermorso.

Dalla ricostruzione datale dal dispositivo, la Macchina aveva girato in cerchi concentrici tutto attorno alla secca su cui si era formato al portale per via dell’iniziale disorientamento. Poi, ad un certo punto, sembrava essersi deciso a prendere una direzione a caso: aveva tagliato improvvisamente verso Sud. Così, afferrata la lancia, iniziò ad avanzare a falcate nell’acqua verdastra. Più di una volta, il Celermorso si era fermato per divorare dei pesci (e lo si capiva anche dai celacanti o dai salmoni-vampiro tranciati a metà che galleggiavano in giro) o per combattere contro qualche creatura: trovò, incastrata fra le radici contorte di una mangrovia, la carcassa di un esile coccodrillo dagli arti lunghi e sottili e lungo tre metri. Incuriosita, Aloy volle scansionarla:

NOME COMUNE: kaprosuco
NOME SCIENTIFICO: Kaprosuchus paludentium
PERIODO: Cretaceo superiore
DIETA: carnivora

TEMPERAMENTO: aggressivo

Non ancora soddisfatta, Aloy si inginocchiò accanto al kaprosuco morto ed osservò i molti segni lasciati dal Celermorso: tre profondi buchi conici lungo i fianchi indicavano un morso inferto con uno spigolo della mandibola metallica, già letale di suo; inoltre, la testa della malcapitata creatura era coperta da uno strato di ghiaccio: il Celermorso doveva averlo colpito con un proiettile di Gelo. Molto probabilmente, il congelamento del cervello l’aveva ucciso prima del dissanguamento.

«Be’, condoglianze – disse Aloy, ironicamente – Non ricordo che dèi avete qui o se ne avete, quindi… ti auguro buona visita alla Madre in ogni caso. Addio!»

Ma, nel momento in cui si alzò, si sentì inquietantemente osservata. Si girò di scatto e vide una lunga increspatura a forma di V nell’acqua, che si muoveva allungandosi alla velocità di un fulmine… verso di lei. Aloy spinse la punta della lancia in avanti appena in tempo per infilzare la bocca rosa spalancata di un enorme serpente che stava schizzando su di lei per farne un boccone. Col cervello trafitto, il serpente fu preso da una serie di convulsioni, prima di accasciarsi nel fango. Sconvolta, Aloy si mise seduta per un attimo per riprendersi dallo spavento. Il focus rivelò che il serpente gigante era un titanoboa. Dopo un lungo sospiro e sforzandosi di non pentirsi di essere andata su ARK, Aloy si rialzò e tornò all’inseguimento del Celermorso…

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Alocin non avrebbe pensato di trovare la creatura di ferro descritta da Osnofla, mentre col suo tapejara sorvolava la palude. Invece lo trovò eccome: prima vide una sagoma grigia e lucente a forma di coccodrillo sotto l’acqua, poi due bagliori rossi simili ad occhi ed infine gli fu scagliata contro una velocissima palla di ghiaccio. Il tapejara la evitò per un soffio, ma il movimento fu così scattoso che Alocin non riuscì a mantenere l’equilibrio e cadde. Dopo essere emerso quasi traumatizzato, vide la creatura metallica avanzare verso di lui a bocca spalancata e rotolò via un attimo prima di essere tagliato in due.

“Per gli spiriti, che ho fatto di male per meritare questo?!” pensò.

Prese la balestra e preparò una freccia in ossidiana. Evitò una sferzata della coda rotolando e osservò la Macchina in cerca di punti in cui colpire avrebbe potuto servire. Guardando bene, fra un attacco schivato per miracolo e un altro, gli venne in mente che forse gli spazi snodabili fra le placche d’acciaio che rivestivano quella cosa fossero un po’ più delicate. Anche i suoi abbaglianti occhi di vetro e l’interno della bocca davano quell’impressione.

“Che cazzo, tentare non nuoce!” si disse, per farsi coraggio.

Per fare una prova, attese che il sarcosuco di ferro aprisse ancora la mandibola e caricasse, per poi scagliare la prima freccia dritto nella sua gola. Effettivamente, l’essere fu scosso da un sussulto e una pioggia di scintille iniziò a sgorgare dalla sua bocca. Speranzoso, Alocin continuò a girare in tondo per la secca su cui si trovavano, cercando di non diventare un bersaglio troppo facile, e a colpire dove vedeva delle aperture. A quella cosa non piacevano affatto le frecciate nelle giunture degli arti. Ad un certo punto, la Macchina si spazientì e si preparò a lanciare una palla di ghiaccio. Alocin si buttò in acqua, ma l’onda d’urto di quel proiettile ghiacciato lo sbalzò via, lasciandolo spaesato quando atterrò. Trascinandosi a riva, vide la creatura correre verso di lui e capì che non sarebbe riuscito a salvarsi… però, d’un tratto, una velocissima freccia che emanava un vapore bianco e freddo fu tirato da dietro la Macchina e si conficcò in uno dei serbatoi che aveva sulla schiena. Una potente esplosione rimbombò, fumo bianco e gelido si sparse in giro e l’animale di ferro si immobilizzò, intrappolato in una crosta di ghiaccio. Un velo di brina si era formato sulle mangrovie circostanti.

“Ma che…” pensò Alocin, confuso.

Infine, una ragazza coi capelli rossi apparve brandendo una lancia di ferro e, rapida quanto le sue frecce, trafisse il cranio di quella cosa, che si appiattì al suolo senza “vita”, emettendo flebili scariche elettriche miste a fumo nero.

«Oh, c’è mancato poco, eh?» commentò la ragazza, sorridente, aiutandolo ad alzarsi.

Poi, guardandolo, sembrò riconoscerlo, anche se lui non aveva idea di chi diamine fosse.

«Un momento… tu sei… ah, sì! Sei lo zio di quella ragazza che ho incontrato quando ho scoperto quest’isola! Come si chiamava? Al… Asi… Asile! Tu sei lo zio di Asile, giusto? Tu ti chiami… Alocin, giusto?»

«…e tu come lo sai? Chi sei? Cos’è quella cosa? Sapevi come ucciderla, quindi la conosci! Parla, straniera!»

«Cosa? Non capisco… che ti succede? Ho parlato con te come con lei, è stato la settimana scorsa! Sono Aloy! Sai, quella venuta da un altro mondo pieno di bestie meccaniche dette “Macchine” con una nuvola viola»

«Uhm… per caso mia nipote stava facendo pratica per la sua Prova?»

«La Prova per la Maturità? Sì! Ricordi?»

«Forse, ma devo pensarci bene: dovevo essere ubriaco, in quel momento…»

«Oh, lo eri eccome!»

Alocin fece appello a tutta la sua forza di volontà per pensare alla settimana precedente… e, finalmente, gli venne un'illuminazione:

«Ehi, ma certo! Tu sei quella venuta da un altro mondo pieno di bestie meccaniche dette “Macchine” con una nuvola viola! Ehm… Aloe, giusto?»

«Ehm… mi chiamo Aloy, ma sì» rispose la straniera, divertita.

«Ma… hai portato tu questo coso su ARK?»

«No, ma è colpa mia, sono venuta a rimediare. Ehi, visto che sai già qualcosa e mi serve qualcuno che conosca l’isola… mi aiuteresti? Se ti va, ovviamente»

«Non mi hai neanche pagato la cena! Hahahahahahahaha!»

«…eh?»

«Era una battuta, rilassati. Preferirei riposarmi a casa, adesso. Perché non vieni con me, così mi dici tutto e io do un senso alla cosa?»

«Oh… sì, volentieri! Hai ragione, in fondo. Anche a me servirebbe una pausa»

«Andata, Aloe! Mi sa che ad Asile piacerà rivederti…» disse Alocin, fischiando per chiamare il tapejara.

«Aloy!» lo corresse lei, mentre il volatile arrivava.

«Quello che è. Andiamo!»

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Aloy non aveva mai provato a volare, anche se sperava di farlo in seguito cavalcando uno Smeriglio o un Avistempesta. L’ultima cosa che si sarebbe mai aspettata nella vita era farlo per la prima volta sulla schiena di un grande rettile con braccia da pipistrello, un becco da tucano e una cresta sulla schiena. Il volo durò appena dieci minuti, ma bastò a farle provare più emozioni di quando si era fermata a riflettere sul fatto che aveva salvato un intero pianeta distruggendo un’IA. Atterrarono nel villaggio dei Teschi ridenti, accanto alla casa di Alocin. Aloy si guardò rapidamente in giro, osservando la gente mista a bizzarri animali andare qua e là, conversare e lavorare sui portici delle loro case in mattoni e legno a graticcio. Non c’era il tono di sfarzo ed esagerazione che si sentiva a Meridiana, ma l’idea di benessere era la stessa. Suppose che sarebbe stato lo stesso se fosse stata anche solo un’altra tribù del suo mondo, magari tutti capaci di controllare le Macchine.

«Ehi, non dovevi riposarti?» la chiamò Alocin, facendo per entrare.

«Sì, scusa, stavo guardando il villaggio. Non è male, dico sul serio! Il massimo che potresti trovare nel mio territorio di nascita è un mucchio di legno e sassi. Per fortuna, sono abituata al nomadismo»

«Buon per te. Se hai fame, ho qualcosa in dispensa, basta che non ne approfitti»

«Grazie! Rilassati, io mi sforzo sempre di non dare fastidio»

Dopo averle indicato la dispensa, Alocin buttò della legna nel focolare e la accese, per poi appoggiare la schiena al muro e iniziare un’altra bottiglia di sidro. Aloy tornò con una mela. Chiese se poteva sedersi su uno sgabello e ci si accomodò, con le gambe accavallate.

«Ti basta quella?»

«Che c’è? Ho provato a mangiare ancora meno nel giro di tre giorni!»

«Vabbè. Allora, spiegami tutto»

Aloy finì la mela e, rigirandosi il torsolo fra le mani, raccontò tutto, dal Calderone Zeta al suo ritorno su ARK.

«E così… ti aspetti che ti aiuti a distruggere tutte queste “Macchine” e chiudere i portali?»

«Sì. Dopodiché avrò anche da cercare le creature di quest’isola che sono entrate nel mio mondo e uccidere anche loro, così sarà davvero tutto finito. Ma lì posso cavarmela da sola, conosco quei luoghi: non servirà più prenderti il disturbo»

Alocin avrebbe voluto sbattersene, come suo solito, eppure era incuriosito. Per una ragione che non sapeva spiegarsi, l’idea di fare qualcosa di diverso dalle solite commissioni più noiose che rigirarsi i pollici e gli indici da parte dei suoi pochi “amici” lo intrigava, e parecchio.

«Io cosa ci guadagnerei?» volle comunque metterla alla prova.

«Oh… io non… non credo che portarti oggetti dal mio mondo ti serva a qualcosa, quindi non saprei davvero… ma, come ho detto, non sei obbligato. Posso fare anche da me, solo che mi farebbe più comodo avere con me qualcuno che sappia come si fa qui…»

Ma Alocin, dopo aver svuotato la bottiglia in un sorso, si alzò e affermò, convinto:

«Sai una cosa? Non ti preoccupare, penso che accetterò l’offerta! E non solo perché mi sono ubriacato per sparare idiozie a caso»

«Davvero?»

«Sì, per gli spiriti! Nella mia vita tutto fa schifo, a parte mia nipote e il sidro, quindi perché mai non dovrei movimentarla un po’? Io ti faccio fare un giro turistico e tu mi fai vedere com’è cacciare animali di ferro coi poteri magici!»

«Oh, grazie infinite! In realtà la loro non è magia, ma non importa. Ci sto!»

«Stretta di mano?»

«…non so che significhi, ma va bene»

Si strinsero la mano come due colleghi di lavoro, ma poi Alocin gridò e, tenendosi una mano sul petto, si schiantò sul pavimento.

«AAAAAAHHH!!! Tutte le volte! Per gli dèi! ARGH!!!»

«Ehi! Che… cos’hai? Posso aiutarti? Vuoi alzarti?»

«In questo momento, l’infarto che sto avendo mi preoccupa più di… AAAAAHHHHH!!! Della posa!»

Sconvolta, Aloy accese il focus e vide con sgomento che era vero: il cuore di Alocin si stava fermando.

«Senti… c’è un sacchetto tinto di verde nella… ARGH!!! Nella cassetta accanto alla porta! Prendilo!»

Aloy si girò, vide la cassa e fece subito come le era stato ordinato. Gli portò il sacchetto. Lui lo afferrò, lo aprì, prese una manciata di una strana polvere gialla e se la buttò in bocca, impolverandosi dita e labbra. Cominciò a fare lunghi sospiri profondi e, infine, tornò normale.

«Che spavento! Cos’hai che non va?»

«Ah, diciamo che è colpa mia. Devo mangiare più verdura e passare al succo di mela… se non fossi stato in casa, sarei stato fuori senza medicina! Stavolta hai rischiato, bello!»

«Cos’è quella polvere?»

«Un miscuglio miracoloso che mi ha consigliato la farmacista degli Alberi Eterni, quelli nella foresta di sequoie. La si fa con fiori, funghi ed erbe, non sto a dirti tutto»

In quel momento, la porta si aprì ed apparve Asile. Appena vide suo zio appena ripresosi da un infarto e la straniera coi capelli rossi che aveva visto per un’ora la settimana prima, le sfuggì un “ma che…”

Aloy, arrossendo dall’imbarazzo, salutò e spiegò tutto, ripetendo la sua storia. Intanto, Alocin si pulì le labbra e uscì a prendere una boccata d’aria fresca. Appena sentì Aloy parlare della parte in cui ci sarebbe stato da cacciare i dinosauri nel suo mondo, Asile si emozionò e, in vena di novità e sfide a sua volta (era decisamente un vizio di famiglia), le chiese se poteva pensarci lei. Aloy, spiazzata, le chiese se era davvero sicura e le chiese se non sarebbe stato meglio lasciare il lavoro a lei, non volendo morti sulla coscienza. Asile ribatté dicendo che rischiare di morire era normale per un Arkiano, roba per cui si faceva esperienza tutti i giorni, in posti sempre più difficili. Non sapendo come opporsi, Aloy disse che andava bene, ma intonando la frase come se fosse una domanda per esprimere tutta la sua incertezza. Alocin, che aveva sentito, disse che a lui non faceva né caldo né freddo perché era la vita di sua nipote, fingendo di non avere paura che lei morisse per sembrare più forte e determinato.

«Cosa?! La lasci fare così?» chiese Aloy.

«Non farci caso, è Alocin Ollednom: per quanto mi voglia bene, a lui conta sempre solo il suo piacere personale» rispose Asile, stringendosi nelle spalle.

«Be’… chi sono io, per fermarti?» disse allora Aloy, imbarazzata.

«Fantastico! Grazie!» esclamò Asile, ricomponendosi.

   
 
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