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Autore: _Agrifoglio_    24/04/2019    16 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’intrigo
 
Arrivò novembre che portò molte novità nelle vite dei nostri personaggi.
Nacque, a novembre, Grégoire Henri de Girodel, il primogenito del Colonnello Victor Clément e della moglie, Madame Henriette Lutgarde, uno splendido bambino dai capelli castani e dagli occhi marrone chiaro, screziati di verde oro. Ne fu universalmente riconosciuta la bellezza dai numerosi visitatori che affollarono Palazzo Girodel, fra i quali figurarono anche Oscar – il cui stato era, ormai, visibile – e André mentre il nonno, il vecchio Conte, abbandonata la scontrosità del passato, faceva gli onori di casa, decantando le molteplici virtù della nuora.
Sempre a novembre, Maximilien de Robespierre fu nominato Ministro di Giustizia.
Il Conte di Mirabeau era riuscito a illustrare con estrema arguzia la sua proposta a Maria Antonietta che, reputandosi molto forte dopo l’arrivo del contingente militare austriaco inviatole dal fratello, si sentiva in grado di fronteggiare non uno, ma dieci Guardasigilli di tal fatta.
Fra la Reggente e il Ministro, fu antipatia a prima vista, perché lei considerava lui mancante di empatia mentre lui, di rimando, reputava lei priva di tutto. Madame Deficit: nessun soprannome, secondo l’uomo di Arras, era mai stato coniato con maggiore avvedutezza. Tanto lei era istintiva, calorosa, loquace e diretta, quanto lui era freddo, sfuggente, nervoso e spregiatore della confusione, soprattutto di quella provocata dalle donne. La prematura scomparsa della madre, le assidue letture di Rousseau, la chiusura caratteriale e una certa propensione alla paranoia avevano favorito il consolidarsi, in lui, di una misoginia di fondo, imperniata su una concezione della donna vista come creatura infantile, tendenzialmente immorale, incapace di disciplinarsi e sostanzialmente inferiore all’uomo. Più opposti di così i due non sarebbero potuti essere e nessuno spiraglio di composizione del conflitto si intravedeva all’orizzonte, perché Maria Antonietta rabbrividiva al solo vedere Robespierre mentre lui la disprezzava.
A novembre, Diane de Soisson era, ormai, convinta che Sua Grazia la Duchessa Aglaé de Gramont et de Guiche la onorasse della sua amicizia.
Le due giovani donne si erano incontrate una domenica mattina, all’uscita dalla messa. La figlia della Contessa di Polignac, resa edotta dagli informatori della madre della chiesa frequentata da Diane, un giorno di settembre, vi si era recata pure lei. La giovane aristocratica aveva finto viva sorpresa nell’imbattersi in Diane e aveva giurato e spergiurato di averla riconosciuta subito, essendo rimasta colpita, nei giardini della reggia, dalla grazia del portamento di lei e dalla ricercatezza dell’abito che aveva indossato. Quel completo riuniva, nella sua semplicità, raffinatezza e freschezza e Diane avrebbe dovuto assolutamente dirle in quale sartoria si era servita e accompagnarcela al più presto. Tale era stata l’espressione di genuino stupore che la Duchessa aveva assunto nell’apprendere che il vestito era una creazione della stessa Diane, da non lasciare adito, nell’ingenua ragazza, al sospetto della malafede dell’interlocutrice. Aglaé de Gramont et de Guiche aveva monopolizzato la conversazione, affermando di essersi recata in quella chiesa perché era in visita a una zia della madre che viveva nelle vicinanze e che immenso era stato il sollievo di potere scambiare due parole con una quasi coetanea, in una giornata altrimenti destinata alla frequentazione di gente anziana. Si era, quindi, congedata, con la promessa di rivedersi al più presto.
Nel mese di settembre, Diane stava attraversando un periodo morto nel quale non aveva ancora iniziato a lavorare per Henri Beauregard, ma durante il quale stava avvertendo la nostalgia dell’ambiente raffinato di Palazzo Jarjayes e, soprattutto, il rimpianto per ciò che non era mai accaduto con André. A seguito delle rivelazioni udite dalla bocca di Tristan de Monmorency, la giovane aveva maledetto la propria inesperienza, convinta del fatto che, se avesse conosciuto meglio il mondo, avrebbe avuto un comportamento più adeguato e meno biasimevole. L’opportunità di frequentare quella giovane dama le era giunta, quindi, come un’autentica benedizione. In compagnia della Duchessa, avrebbe avvicinato l’alta società, si sarebbe affrancata dal suo infantilismo di fondo e, cosa che l’anfratto più segreto del cuore non osava confessare alla mente, avrebbe continuato a mantenere un piede negli ambienti familiari al Conte di Lille. Troppo sprovveduta e bendisposta era Diane per chiedersi se fosse verosimile che una grande aristocratica avesse parenti in un quartiere centrale, ma, pur sempre, medio-basso e, soprattutto, se fosse plausibile che quella stessa dama, abituata a ben altre compagnie e a più intensi stimoli mondani, potesse trovare piacevole lei e ricercato l’abitino che le aveva visto indosso. Fatto sta che, nel giro di poche settimane, Aglaé de Gramont et de Guiche e Diane de Soisson erano diventate piuttosto assidue, incontrandosi in una delle case parigine della prima o in alcuni caffè alla moda, dove, ovviamente, era sempre la Duchessa a pagare, affermando che mai avrebbe accettato soluzioni diverse. A novembre, Diane era, pertanto, convinta di essere diventata l’amica preferita della giovane aristocratica.
Novembre fu anche testimone del primo litigio coniugale intervenuto fra Oscar e André.
Assopiti i malumori dell’uomo, provocati dal soggiorno francese dell’Arciduchessa Maria Cristina di Sassonia Teschen, erano, invece, proseguiti i disagi di Oscar legati alla gravidanza. Non avendo ancora un figlio da tenere fra le braccia, la donna doveva fronteggiare i lati scomodi del suo stato senza godere di quelli belli. Quella creatura viva e sensiente, ma minuscola e, soprattutto, silenziosa e invisibile, era, per Oscar, l’idea astratta di un figlio, ma non ancora un essere umano unico e insostituibile, a lei legato da vincoli profondi e da una lunga consuetudine di vita.
Dopo un’intera esistenza trascorsa a comportarsi come un uomo, scalpitava, si sentiva strana e stentava a convivere con i suoi nuovi limiti. Si vedeva goffa e appesantita, imprigionata in un corpo nel quale non si riconosceva, stretta in una divisa che doveva sostituire sempre più spesso e sorretta da due gambe gonfie che quasi scoppiavano negli stivali che erano diventati delle morse. A tratti, la stanchezza la obnubilava e l’agitazione, provocata dagli ormoni in subbuglio, esplodeva, inducendola, sotto l’impulso di una forza ancestrale e irrefrenabile, a solcare la stanza in lungo e in largo, come un animale in gabbia, con costernazione della vecchia Marie e preoccupazione di André.
A parte questi momenti di spaesamento, la donna portava ostinatamente avanti la sua vita di sempre, tanto che, una mattina, era scattata all’inseguimento di uno zingaro che si era intrufolato nei giardini della reggia e che aveva derubato una dama. Lo aveva acciuffato per la casacca, scaraventato a terra e tenuto sotto tiro finché due guardie, sopraggiunte sul posto, lo avevano messo in catene. André aveva assistito all’intera scena e, quando erano rimasti soli, aveva dato sfogo al suo disappunto, rimproverando la moglie per l’incoscienza e la sconsideratezza del gesto. Lei non aveva fiatato, ma lo aveva dardeggiato coi suoi occhi di fuoco, per, poi, fare dietrofront e allontanarsi.
 
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Era passata una settimana dal litigio e, fra Oscar e André, si era ristabilita una pace perennemente in bilico fra il nervosismo di lei e l’apprensione di lui. I due sposi avevano scherzato sull’accaduto, asserendo che l’alterco era stato provocato dalla maledizione dello zingaro, ma entrambi, pur amandosi, avvertivano che la loro serenità era precaria.
Quel giorno, si doveva riunire il Consiglio di Reggenza che, di mattina, sarebbe stato dedicato alla discussione interna fra i consiglieri mentre, di pomeriggio, sarebbe stato aperto a Mirabeau e a Robespierre che avrebbero riferito sulle rispettive attività.
Da quando Oscar era incinta, se gli impegni alla reggia si protraevano fino al tardo pomeriggio, lei e André non facevano ritorno a Palazzo Jarjayes, ma pernottavano negli appartamenti assegnati a Oscar e, anche quella notte, i due coniugi si sarebbero trattenuti nella reggia, perché avevano intuito che i lavori sarebbero terminati ben oltre il tramonto.
Una mano bussò, leggera, alla porta dell’ufficio di Oscar che invitò il visitatore a entrare. Jean, l’attendente quattordicenne della donna, fece capolino nella stanza e, col suo sorriso aperto e cordiale, avvertì i due coniugi che il Consiglio di Reggenza stava per riunirsi.
– Generale, Conte di Lille, è giunto un valletto della Regina e ha comunicato che il Consiglio di Reggenza aprirà i suoi lavori fra un quarto d’ora.
– Grazie, Jean. L’adunanza durerà fino a tardi e tu, come di consueto, al tramonto, potrai tornare a Palazzo Jarjayes.
– Vi ringrazio, Generale. A proposito, la chiave dei Vostri appartamenti è stata ritrovata…. Era seminascosta sotto la frangia del tappeto persiano e, precisamente, nell’angolo destro, quello vicino al camino…. E’ molto strano che mi sia caduta dalla tasca, ma, almeno, nessuno l’ha rubata….
– Grazie Jean, tutto è bene quel che finisce bene!
Il ragazzo si inchinò e, poi, uscì dalla stanza.
– Oscar, dopo la fine del Consiglio di Reggenza, non ti devo aspettare?
– No, André – rispose Oscar, portandosi accanto a lui e sfiorandogli il braccio con il suo mentre si avvicinavano alla porta – Come ti stavo dicendo prima dell’arrivo di Jean, questa mattina presto, una cameriera della Contessa di Polignac mi ha avvicinato e mi ha detto che, dopo la fine dei lavori del Consiglio di Reggenza, vorrebbe parlarmi. Pare che una delle Guardie Reali abbia tentato con lei degli approcci poco eleganti e, vista la delicatezza della situazione, vuole parlarne soltanto con me. Credo che ne avrò per circa un’ora. Finita la riunione, ritirati pure nei nostri appartamenti e io ti raggiungerò dopo che mi sarò liberata.
– Va bene, Oscar.
I due uscirono dall’ufficio e si incamminarono verso la sala delle riunioni.
 
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Mentre Oscar e André erano in procinto di raggiungere gli altri componenti del Consiglio di Reggenza, negli appartamenti della Contessa di Polignac, madre e figlia mettevano a punto gli ultimi dettagli dell’intrigo da loro ordito.
– Questa è la copia della chiave degli appartamenti del Comandante de Jarjayes – disse la nobildonna alla figlia – E’ bastato che Paulette tenesse impegnato con quattro chiacchiere quel bamboccio di attendente, perché Christophe, da dietro, gli sfilasse la chiave di tasca. Quello scimmiotto ha un debole per Paulette ed è stato sufficiente che lei gli facesse due sorrisi vezzosi, per attaccare bottone per un paio di minuti – e rise allegramente.
– Bene, Madre. Le cose procedono a meraviglia, quindi, perché Diane de Soisson ha accettato il mio invito alla reggia e, nel tardo pomeriggio, verrà qui con una vettura a noleggio che io mi sono offerta di pagare per lei.
– Perfetto, Aglaé. Ricordati di non farti vedere da quella ragazza, quando sarà arrivata. Non averla incontrata avvalorerà le tue giustificazioni, allorché l’ordigno esploderà.
– Madre, non ci penso minimamente a farmi trovare…. Ho sopportato fin troppo a lungo quella stupidina….
Le due donne si guardarono divertite e, poi, scoppiarono a ridere.
 
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Il pomeriggio era, ormai, inoltrato, quando Mirabeau si apprestò a tirare le fila della relazione da lui esposta al Consiglio di Reggenza. L’uomo aveva illustrato con dovizia di particolari i progetti di riforma del sistema giudiziario e tributario e di eversione della feudalità.
– Queste riforme, Maestà, hanno suscitato l’entusiasmo dell’Assemblea Nazionale che, adesso, ha un’opinione più che positiva della Vostra Reggenza. E’ bene proseguire su questa linea, per non deludere le aspettative che si stanno creando – disse il politico, alzando lievemente gli occhi dal foglio di carta che reggeva in mano e guardando di sotto in su Maria Antonietta che lo fissava con fastidio misto a disapprovazione.
– La nobiltà, invece, non apprezza e trovo ingiusto che il secondo stato debba essere sacrificato soltanto perché inferiore di numero rispetto al terzo – ribatté la Regina con tono asciutto e per nulla conciliante.
– Queste riforme, a ben vedere, non hanno una portata devastante per l’aristocrazia. Le imposte, infatti, saranno applicate con un’aliquota contenuta e in proporzione a quanto posseduto, i titoli nobiliari saranno conservati e i feudi non saranno sottratti ai loro titolari, ma trasformati in proprietà private. Il terzo stato paga le imposte da sempre e, nel bene e nel male, è sopravvissuto.
– Dimenticate, Conte de Mirabeau, che i nobili non sono tutti ricchi e che alle imposte da pagare si aggiungerà l’aumento dei salari, visto che andranno remunerati anche coloro che, fino ad oggi, prestavano gratuitamente la loro attività.
– L’abolizione delle corvées gratuite è un atto di grande giustizia che non può più essere rimandato. Esse sono un inaccettabile retaggio della servitù della gleba, del tutto incompatibili con la coscienza moderna. E’ scritto anche nel Vangelo di San Luca che chi lavora ha diritto alla sua ricompensa – concluse l’uomo, nella speranza che la citazione evangelica rabbonisse la Reggente.
– I nobili sono esentati dal pagamento delle imposte in considerazione delle battaglie da loro combattute durante il medioevo e le corvées sono l’apporto che, sin da quell’epoca, i contadini danno alla gestione del territorio – rispose Maria Antonietta che di rabbonirsi non aveva la minima intenzione.
– Appunto, Maestà, dal medioevo…. Le cose sono cambiate da allora….
Conscio, però, del fatto che l’esacerbarsi di una contrapposizione ideologica non avrebbe fatto altro che mal disporre la Regina e ostacolare il cammino intrapreso, Mirabeau si giocò la carta che aveva conservato in fondo al mazzo, al fine di indorare la pillola.
– Consentitemi, infine, Maestà, di informarVi che l’operazione rivolta a sgominare la rete dei ribelli è già iniziata. I vari clubs giacobini, come sono stati recentemente denominati, sono diretti e coordinati da Robespierre in persona che, adesso, è totalmente assorbito dalle nuove funzioni di Guardasigilli. Sta, pertanto, delegando la gestione della rete dei clubs a Saint Just e a Desmoulins che, però, non sono troppo tagliati per un lavoro così metodico e burocratico. Abbiamo già iniziato a infiltrare i nostri uomini nei gangli di quelle organizzazioni, al fine di debellarle e di ridurle all’irrilevanza. Siamo agli esordi, ma bene organizzati e i risultati non tarderanno ad arrivare.
– E’ così, Maestà – intervenne Oscar, dopo avere represso l’agitazione, decisa a recare sostegno a Mirabeau, nel timore che l’eccessiva antipatia dimostratagli da Maria Antonietta potesse esasperarlo e indurlo ad andarsene, nullificando, così, i risultati tanto difficoltosamente ottenuti – L’arrivo in Francia del contingente militare inviatoci, a ottobre, dall’Imperatore Giuseppe II ci ha dato modo di impiegare parte delle nostre risorse militari nello svolgimento di attività di polizia, di spionaggio e di controspionaggio. Il Generale de Bouillé e il Colonnello d’Agout hanno riferito che sono già state raccolte diverse informazioni sulla rete dei ribelli, sul loro modus operandi, sugli obiettivi che si prefiggono e sulle tecniche impiegate per comunicare da una parte all’altra della Francia.
Udire che il trattato da lei stipulato stava già producendo i primi risultati calmò un poco Maria Antonietta che congedò Mirabeau. Quando il Conte se ne fu andato, la Regina, contenendo a stento un’espressione di disappunto, si preparò ad accogliere Robespierre che aveva il potere di metterla a disagio dall’inizio alla fine di qualsiasi conversazione.
– Abbiamo ascoltato il satiro, che entri, adesso, lo spettro.
Maria Antonietta aveva, come tutti, le sue simpatie e le sue antipatie, ma, a differenza di molti, lo dava chiaramente a vedere e ciò non agevolava l’instaurarsi di buoni rapporti con chi era troppo diverso da lei e per nulla intenzionato a farsela amica.
Robespierre era una di queste persone. Morigerato nello stile di vita, idealista fino al fanatismo e legato alla sua fama di incorruttibile, aveva vissuto l’intera esistenza all’insegna di un’irreprensibilità che spesso era latitata nella famiglia d’origine. Per nulla bramoso di prestigio e di denaro, aveva accettato l’incarico di Ministro di Giustizia non per soddisfare un’ambizione personale, ma per realizzare il benessere della Francia secondo la particolarissima concezione che egli ne aveva. Non essendo il desiderio di affermazione il motore di quell’uomo, era conseguenziale che egli non ricercasse la benevolenza e l’appoggio di persone che, seppure influenti, considerava un flagello e Maria Antonietta era, per lui, la peggiore delle iatture.
Un valletto in livrea aprì la porta della sala ove era riunito il Consiglio di Reggenza e, con voce impostata, annunciò:
– Sua Eccellenza il Ministro di Giustizia, Monsieur Maximilien François Marie Isidore de Robespierre.
 
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Mentre il sole stava tramontando e Robespierre faceva il suo ingresso nella sala ove era insediato il Consiglio di Reggenza, la vettura a noleggio mandata a prendere Diane aveva varcato i cancelli della reggia e condotto la giovinetta davanti all’ingresso riservato ai visitatori.
Un valletto ventenne, che camuffava tracotanza e presunzione dietro una maschera di fredda cortesia e di ostentata raffinatezza, accolse la ragazza e, degnandola a stento di attenzione, la accompagnò negli appartamenti di Aglaé de Gramont et de Guiche. Quando furono arrivati, la invitò a sedersi su un divano e, subito dopo, si dileguò. La giovane fu lasciata sola per oltre mezz’ora, finché non fu raggiunta da una giovane cameriera dallo sguardo sfrontato e dal piglio deciso che salutò Diane con artefatta gaiezza.
– Buonasera, Mademoiselle de Soisson, io sono Mariette, la cameriera personale della Duchessa de Gramont et de Guiche. Sua Grazia si scusa con Voi, ma potrà raggiungerVi soltanto fra un’ora, perché impegni improrogabili di corte l’hanno trattenuta. Siccome intende presentarVi ad altre quattro dame e farVi partecipare a una serata in maschera, Vi prega di seguirmi in un’altra ala del palazzo più adatta allo scopo.
Diane seguì la vivace cameriera attraverso un dedalo di corridoi e di salette, finché non arrivò davanti a una porta doppia che Mariette aprì, svelando agli occhi ammirati di lei un ambiente arredato con ricercata e sobria eleganza. Attraversate tre grandi stanze disposte in sequenza, le due giovani donne giunsero in una quarta camera dove c’erano un grande letto a baldacchino e alcuni mobili di squisita fattura. Appena entrata, la ragazza fu investita da un intenso e inebriante odore di essenze esotiche, arse in raffinati bracieri di bronzo dorato mentre l’occhio di lei si posava su un tavolino rotondo, elegantemente apparecchiato, su cui facevano bella mostra delicati piattini di porcellana di Sèvres, colmi di ostriche e di spicchi di limone e alcune coppette d’argento cesellato, traboccanti di fragole e di crema. Completavano l’insieme due calici di cristallo di Boemia nei quali era già stato versato dello champagne.
– La Duchessa ha pensato a tutto – cinguettò l’ammiccante Mariette, dopo essersi accorta che Diane fissava il tavolino.
– Ma perché ci sono soltanto due calici, se saremo in sei?
– Perché l’invito è stato esteso alle altre quattro dame appena un’ora fa. Correggerò subito l’errore, ma, prima, Vi farò indossare il Vostro travestimento…. Voi sarete Lucrezia Borgia nel boudoir!
Mentre parlava, la cameriera sollevò da una poltrona una nuvola scarlatta di veli, sete, piume e pizzi e, accortasi della perplessità di Diane, si mise a sollecitarla:
– ToglieteVi il Vostro abito, vite, vite!
Diane obbedì e, seppure con riluttanza, si sfilò la gonna e il corpetto, arrossendo impacciata. Provenendo da una famiglia modesta, era abituata a vestirsi da sola e, per lei, il pudore era sacro anche fra donne.
– Bene, mia cara, ma non basta! Sfilatevi anche la camicia e liberate le calze dalle giarrettiere!
Diane era diventata rossa fino alla radice dei capelli ed esitava a obbedire. Mariette, allora, le si accostò e le tolse la camicia mentre la ragazza, estremamente a disagio, incrociava le braccia sui seni nudi. Mariette completò l’opera di svestizione e, poi, sciolse i capelli di Diane. Subito dopo, la avvolse in una camicia da notte di seta e di veli scarlatti, adorna di pizzi e di merletti neri. Sopra di essa, adagiò una veste da camera di voile, i cui bordi svolazzavano di piume. Tutto l’insieme ricordava “l’abbigliamento da lavoro” di un’entraîneuse.
– Ma quest’abito è completamente trasparente! – protestò Diane – Si intravedono i seni e anche….
– E cosa ve ne importa? Sarete fra donne!
Mentre tentava di rassicurarla, le truccava il volto in modo esageratamente vistoso. Terminata anche la fase del trucco, le inanellò alcune ciocche di capelli con un ferro rovente e, subito dopo, annodò, in ordine sparso, sulla folta chioma corvina di lei, una decina di orchidee purpuree, appena recise.
– Ecco, adesso siete pronta e, oserei dire, perfetta! Sedetevi su quella sedia e, fra poco, la Duchessa e le sue amiche vi raggiungeranno!
Detto questo, sparì dietro la porta, lasciando da sola un’imbarazzatissima Diane, divenuta scarlatta quasi quanto gli indumenti che indossava mentre i sensi di lei si annebbiavano fra l’odore voluttuoso e intenso delle essenze esotiche e il crepitare del fuoco nel camino.
 
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Robespierre entrò nella sala e l’incedere di lui fu accompagnato dal calare di una cappa di silenzio sui componenti del Consiglio di Reggenza.
L’Avvocato di Arras aveva un aspetto ordinato, una figura snella e distinta e un abbigliamento di foggia tradizionale, elegante, ma sobrio. Tutto, in lui, incuteva soggezione. La fronte era spaziosa, il naso dritto e minuto, le labbra sottili mentre il mento era un po’ prominente. Gli occhi chiari, freddi, inquieti e sospettosi erano sormontati da sopracciglia lunghe e arcuate. Il viso era spigoloso, punteggiato dalle cicatrici del vaiolo, ulcerato dalla sarcoidosi e immerso in un pallore del quale l’ampia parrucca incipriata pareva un’estensione. La stanchezza che lo affliggeva e i frequenti sanguinamenti provocati dalla malattia accentuavano l’aspetto malsano di quel volto, tormentato da vari tic nervosi e anche il corpo era scosso da numerosi spasmi.
Tutti i componenti del Consiglio di Reggenza, nel vederlo, si innervosirono mentre Maria Antonietta si sentì, addirittura, gelare il sangue nelle vene e, come sempre le accadeva quando era a disagio, iniziò a reagire facendo appello all’irriverenza e al sarcasmo. Aveva iniziato la sua difesa istintiva e un po’ infantile già qualche settimana addietro, gratificando Robespierre di un soprannome che usava alle spalle di lui e sferzandolo, appena poteva, con la sua lingua tagliente. L’altro rimaneva impassibile, congelato in un ostinato silenzio che urlava rancore represso.
Oscar era agitatissima, perché temeva Robespierre sin dai tempi della sua reclusione nella fortezza. Ricordava di quando Saint Just e Théroigne de Méricourt avevano proposto di linciarla e di come Robespierre, udendoli parlare, non avesse battuto ciglio. Per quanto riguardava, poi, l’ordine di sgozzarla nella cella dove era stata segregata, non ci voleva troppa immaginazione per capire da chi fosse stato impartito. Adesso, i destini della Francia erano appesi a un filo sottilissimo, rappresentato dall’equilibrio precario fra una Regina orgogliosa, reazionaria e poco disciplinata e un capopopolo fanatico e imprevedibile, il cui contegno silenzioso e quasi clericale infondeva lo stesso senso di sicurezza suscitato da un vulcano sonnacchioso e fumante. Maria Antonietta giocava col fuoco, agiva d’istinto, sulla base delle simpatie e delle antipatie e sembrava non rendersi conto di essere seduta su una polveriera. Bisognava impedire che gli equilibri faticosamente raggiunti andassero all’aria e, per ottenere ciò, occorreva fare da cuscinetto fra quei due. Oscar, pur essendo sempre stata una testa calda, meglio di Maria Antonietta capiva quando era opportuno fermarsi a riflettere e mai come allora gli accadimenti richiedevano prudenza.
Dopo una lunga e accurata relazione sui suoi esordi come Ministro di Giustizia, Robespierre sottolineò la necessità che si realizzasse una maggiore equità sociale e, affinché ciò avvenisse, sarebbe stato imprescindibile recuperare il senso di appartenenza allo Stato e l’innocenza dei costumi dell’antichità.
– Per questa ragione, occorrerà organizzare lo Stato ed educarne i cittadini secondo il modello delle πόλεις dell’antica Grecia e specialmente di Sparta – concluse, con enfasi, Robespierre.
– E il peplo intendete procurarcelo Voi, Monsieur le Ministre? – lo punzecchiò Maria Antonietta.
– Sono sicura, Maestà, che Sua Eccellenza il Ministro parlava in senso figurato – intervenne Oscar, intenzionata a placare gli animi, ma per nulla convinta di quanto aveva udito.
– Il primo passo per ottenere ciò – proseguì Robespierre senza scomporsi – è effettuare un drastico taglio delle uscite. Bisognerà risparmiare sulle spese di gestione della reggia e anche su quelle dell’incoronazione della prossima primavera.
– E dopo che avrete tagliato i fondi destinati a mandare avanti la Casa Reale, a organizzare l’incoronazione di mio figlio e ad altre inezie del genere, proporrete il licenziamento delle mie dame il cui lavoro potrà essere svolto dai miei cani?
– Credetemi, Madame, dagli animali potreste imparare molteplici lezioni, non ultima il rispetto degli altri e lo spirito di adattamento.
Il Duca d’Orléans increspò le labbra in un sorriso malevolo appena percettibile, avendo intuito che la situazione stava precipitando. Mai e poi mai la Regina avrebbe acconsentito che la dignità dell’incoronazione di Luigi XVII fosse appannata e ciò avrebbe portato all’acuirsi del contrasto fra lei e Robespierre, al rinfocolarsi dei disordini di piazza e al rovesciamento della Reggenza. Dopo di che, egli avrebbe preso in mano la situazione e si sarebbe sbarazzato sia dell’arrogante vedova del suo inetto cugino sia di quegli esaltati omuncoli rivoluzionari che, senza di lui, mai sarebbero esistiti.
– Vostra Eccellenza – si inserì André, contenendo magistralmente disagio e nervosismo mentre si rivolgeva a Robespierre – Non trascurate che l’incoronazione di Reims sarà un evento che attirerà molti visitatori, che alberghi e locande faranno il pieno e che lo Stato potrà incamerare molto denaro, mettendo in circolazione francobolli, dipinti, stampe e cartoline commemorativi e vendendo souvenirs. Un’incoronazione dai toni smorzati susciterebbe un interesse altrettanto modesto e impietose critiche da parte di tutta l’Europa.
Robespierre non ebbe alcunché da eccepire e la Regina si rasserenò mentre il Duca d’Orléans guardò con odio André che era riuscito a spegnere l’incendio sul nascere. Fu allora che il Duca stabilì che quell’uomo lo voleva morto.
Maria Antonietta dichiarò sciolta la seduta del Consiglio di Reggenza.
 
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Appena usciti dalla sala dove si erano svolti i lavori del Consiglio di Reggenza, Oscar e André si separarono.
– Bene André, io andrò ad ascoltare le rimostranze di quella cameriera mentre tu puoi tornare nei nostri alloggi e riposarti. Non occorre che mi aspetti qui.
– Va bene Oscar, ma fai presto, sei molto stanca.
André iniziò a percorrere i pavimenti marmorei in direzione degli alloggi di Oscar mentre lei raggiunse, a rapide falcate, il suo ufficio, dove aveva dato appuntamento alla cameriera.
Dopo circa cinque minuti dalla separazione da André, Oscar udì bussare alla porta e, data l’autorizzazione a entrare, si trovò di fronte la cameriera, titubante e imbarazzata che, senza neanche guardarla negli occhi e tormentandosi le mani, le disse:
– Generale, io…. Fate conto che, questa mattina, non Vi abbia detto niente…. Non voglio denunciare nessuno….
– Mademoiselle, dovete denunciare, invece! Simili episodi non devono restare impuniti. La guardia che Vi ha importunata deve essere severamente punita affinché le giovani come Voi possano attendere serenamente alle loro occupazioni e la reputazione delle Guardie Reali non sia guastata dalle mele marce!
– Generale, davvero…. Non voglio….
– Se temete delle ritorsioni, sappiate che ci sarò io a proteggerVi.
– Io…. Mi sono sbagliata….
E fuggì via, trepidante, con lo sguardo basso, senza mai averlo sollevato sul volto di Oscar.
La donna ebbe l’impulso di inseguire la ragazza, ma si arrestò subito, comprendendo che non avrebbe potuto costringerla a esporsi ulteriormente. Chiuse, quindi, la porta dell’ufficio e si diresse verso i suoi alloggi.
André, intanto, era giunto a destinazione e, aperta la porta degli appartamenti della moglie, vinto dalla stanchezza, si sfilò il giustacuore e lo adagiò su una poltroncina e altrettanto fece, subito dopo, col gilet e col jabot. Gli rimasero indosso soltanto le culottes e la camicia che, libera dal nodo del jabot, poté allargare sul torace, in cerca di un po’ di comodità. Desideroso di distendersi sul materasso e di concludere quella giornata pesante, si avvicinò alla camera da letto, in prossimità della quale fu investito da un forte odore di essenze orientali bruciate. Notando, poi, una luce soffusa provenire dagli interstizi della porta di una camera che, invece, sarebbe dovuta essere buia e inodore, fu colto da mille sospetti e, slanciatosi sui battenti, li spalancò.
Udito quel rumore, Diane scattò in piedi e, vedendo André dinanzi a sé, avvampò violentemente, ben conscia della propria nudità mentre gesticolava nervosamente, nel tentativo disperato di coprire, con le mani, ciò che le sete e i veli non nascondevano.
– Ma che sta succedendo? – fu la sola frase che André riuscì ad articolare mentre Diane tremava convulsamente ed era sul punto di scoppiare in lacrime.
Fu questione di un attimo e André, udito un fruscio, si voltò a destra e vide, con sgomento, che Oscar era lì, con gli occhi sgranati, fissi su Diane che se ne stava discinta nella loro camera da letto.
– André, che diavolo ci fa lei qui?!
– Oh, mio Dio, che vergogna!! – gemette Diane e, subito dopo, fuggì via, lasciandoli soli.
– André…. Che cosa ci faceva Diane qui?!
– Oscar, non è come sembra…. Ti giuro che sono rimasto sorpreso quanto te nel vederla qui….
La donna aveva il respiro spezzato e i sensi storditi dagli effluvi dei bracieri, dalla stanchezza, dalla gravidanza e dalla sorpresa di quella scoperta. Tornò in sé subito dopo e, in preda a uno dei suoi proverbiali attacchi d’ira, investì il marito con mille invettive.
Oscar, fai presto, sei molto stanca…. Non solo mi tradivi, ma ti prendevi pure gioco di me!!!! – urlò lei con la voce alterata dalla rabbia, il volto pallido e tesissimo e gli occhi da pazza – Te ne stavi qui, con la camicia slacciata e la tua amante seminuda nella nostra camera da letto mentre io sono così…. deformata!!!!
Detto questo, gli si avventò addosso, percuotendogli il torace con una miriade di pugni mentre lui ansimava e non sapeva cosa dire.
– Da quanto va avanti questa storia?!?! Lei ti corre dietro da almeno un anno…. Vi divertivate alle mie spalle…. Meglio giovane e sciocchina che matura e gravida…. Avevate calcolato tutto, ma non potevate di certo immaginare che la cameriera si sarebbe rifiutata di parlare, interrompendo la vostra ora di impudichi sollazzi!!!!
– Oscar, non dire sciocchezze! – articolò, a stento, André, riscuotendosi dalla sorpresa, afferrando i polsi della moglie e tenendoli ben serrati con le mani.
– No, tu non dire fandonie!! Anzi, non dire proprio niente, perché ogni tua parola è così falsa da fare allibire Giuda!!!! Non potevi vivere senza di me…. Mi amavi disperatamente sin dall’adolescenza…. E, intanto, ti portavi a letto la tua concubina!!!!
Liberate le mani dalla stretta di lui, gli assestò un sonoro schiaffo sulla gota e, subito dopo, con un movimento fulmineo e repentino, accompagnato da uno sguardo che avrebbe terrorizzato un demone dell’inferno, gli afferrò il lembo della camicia e, con un secco strattone, lo lacerò. André rimase di sasso all’udire il rumore della stoffa strappata mentre Oscar stringeva convulsamente il lembo lacero dell’indumento e, dopo esserselo portato, tremante, davanti al volto, lo scagliò, con un gesto nervoso, nel camino, dove le fiamme lo avvolsero rapidamente e lo divorarono.
Fu allora che il bambino ebbe un improvviso sussulto nel ventre materno e che Oscar lo sentì, per la prima volta, muoversi dentro di lei. In un attimo, la donna passò dalla foga della rabbia alla totale astenia e, incrociate le braccia sul petto, si incurvò un poco in avanti e scoppiò in un pianto dirotto. André le si accostò e, senza proferire parola, la strinse fra le braccia mentre lei gli appoggiava la fronte sul torace.
 
********
 
Diane correva all’impazzata per gli angoli della reggia, non conscia di sé e di tutto ciò che la circondava, finché non giunse, come un fulmine cieco e scarlatto, nei giardini ormai immersi nelle tenebre, procedendo senza controllo e senza meta. Dopo alcuni minuti di frenetico e convulso vagare, si imbatté in sei balordi avvinazzati che, vedendo la fanciulla discinta e fuori di sé, le si avvicinarono schiamazzando mentre uno di loro la afferrava per un polso.
– Ehi, bellezza, dove te ne vai tutta nuda? Vieni con noi che ci divertiamo un po’…. Sei bella smaniosa, ma noi siamo in sei e possiamo soddisfarti….
Diane ebbe un sussulto e tentò di divincolarsi, ma il bruto se la strinse addosso, premendo le labbra ansanti e fetenti di vino su quelle gelide e quasi esanimi di lei mentre, con la mano laida, cercava di strapparle via i veli, unico effimero baluardo di un pudore già violato dalla crudeltà femminile e messo, ora, a rischio dalla foia maschile.
La giovinetta gemeva e supplicava, ma quello l’aveva già denudata dalla cintola in su e lei era sul punto di svenire, quando si udirono uno sparo fendere l’aria e la voce stentorea di un uomo che intimava la cessazione immediata dell’aggressione.
– Lasciatela andare, abominevoli scellerati, lurida vergogna del genere umano o farò di voi nutrimento per vermi!
– Ehi, idiota, taci e aspetta il tuo turno! – gli urlò quello più ubriaco di tutti.
La Guardia Reale gli si avventò addosso, gli fracassò la mascella col calcio del fucile e, poi, li mise tutti sotto tiro. Quelli fuggirono via e l’uomo, dovendo scegliere se inseguirli o recare soccorso alla loro vittima, non ci pensò due volte, li lasciò andare e si chinò sulla povera Diane che era stramazzata a terra, rialzandola e coprendola col suo pastrano. Lei, allora, sollevò lo sguardo e riconobbe, nel suo salvatore, Tristan de Montmorency che, a sua volta, distinse in lei il volto del suo antico amore.
– Voi…. – bisbigliò lui e, senza attendere risposta, la condusse nei suoi alloggi.
Giunti al sicuro negli appartamenti del Tenente, questi procurò alla povera fanciulla una camicia e una veste da camera e la rifocillò con una tazza di brodo caldo. Dopo che si fu ripresa, Diane gli raccontò, per sommi capi, l’accaduto e lui le disse che, l’indomani, l’avrebbe fatta riaccompagnare a casa, evitando ogni scandalo.
– Mi dispiace che le cose siano andate così fra di noi…. – disse lui, rievocando dolorosi ricordi – Non volevo recarVi dolore né farVi alcun male, soltanto che….
– Le cose non vanno sempre come ce le eravamo immaginate all’inizio e gli amori, a volte, finiscono – continuò lei, grata per quel chiarimento e stupita di provare, per la sua prima fiamma, soltanto riconoscenza e non più amore.
– Spero che stiate bene…. Sono sempre i più indifesi a subire le avversità della vita….
– Non preoccupateVi per me…. Sono una povera sciocca e ne pago il fio…. – sorrise, amaramente, la ragazza che, in quel momento, nulla più provava per lui né per André, ma sentiva soltanto crescerle dentro un’immensa rabbia contro se stessa e la propria vacuità.
– Se non c’è più niente che possa fare per Voi, coricateVi nel mio letto, Ve lo cedo volentieri. Io andrò a dormire nell’alloggio di un amico, ma, domani mattina, svegliateVi alle sette, perché, dopo quell’ora, arriveranno gli inservienti a fare le pulizie.
Detto ciò, si accomiatò da lei e la lasciò riposare.
 
********
 
Oscar e André erano seduti sul divano degli appartamenti di lei. La donna si era calmata e aveva smesso di singhiozzare mentre lui si era ripreso dallo stupore e teneva delicatamente le mani della moglie fra le sue. Passati i primi momenti critici, in cui avevano preso il sopravvento la sorpresa e il dolore, la donna era tornata in sé e aveva capito che mai il marito avrebbe potuto tradirla. Avevano cercato di ricostruire insieme l’accaduto e, dopo avere razionalizzato, Oscar aveva incaricato una guardia di iniziare le ricerche di Diane, intuendo che la ragazza era, fra tutti loro, quella più compromessa. Svolte queste attività, gli sposi si erano seduti sul divano e avevano iniziato a parlare.
– Io non ti considero deforme – disse André alla moglie, accarezzandole il ventre – E, anzi, non ti ho mai vista così bella. La gravidanza ti turba, ti fa sentire strana, fuori posto e inadeguata ma, presto, finirà e tu ritornerai nel pieno delle tue forze e potrai stringere al seno nostro figlio.
– Oh, André, come ho fatto a dubitare di te? Sei sempre stato un punto fermo nella mia vita, l’unica persona che sia mai stata in grado di capirmi fino in fondo!
– Oscar, io ti amo più della mia anima e, senza di te, impazzirei, morirei, vorrei cessare di esistere. Nessun’altra c’è per me, mai c’è stata e mai ci sarà. Tu sei l’unica donna della mia vita.
– André, anch’io ti amo, ma provo anche tanta vergogna, perché, di fronte all’immensità del tuo amore, mi sento inadeguata e in perenne difetto….
– Oscar, hai fatto di me l’uomo più felice del mondo e  ringrazio sempre Nostro Signore che ti ha donata a me.
I due sposi si guardarono con infinita dolcezza e, subito dopo, lui le avvolse le spalle con un braccio e lei gli appoggiò la testa su una scapola mentre, con la mano destra, si reggeva il ventre.
La notte era di nuovo serena.
 
********
 
La mattina dopo, Oscar, ritrovata Diane negli appartamenti di Tristan de Montmorency, diede disposizioni affinché la giovane fosse convenientemente abbigliata e ricondotta a casa sua, senza scandali né clamori.
Furono avviate, con discrezione, alcune indagini, al termine delle quali non emersero il complotto ordito dalla Contessa di Polignac e dalla figlia di lei né il coinvolgimento delle due donne nella sottrazione della chiave degli appartamenti di Oscar e nella trasformazione degli stessi in un’alcova clandestina. Nessuno seppe mai che Mariette aveva pazientemente atteso che Jean lasciasse la reggia e prendesse la via di Palazzo Jarjayes, prima di prelevare Diane dall’alloggio della Duchessa e di trasferirla in quello di Oscar.
Aglaé de Gramont et de Guiche disse soltanto – e ciò fu confermato da tutti – che nessuna donna chiamata Mariette e rispondente alla descrizione fornita era mai stata al servizio di lei. Aggiunse, poi, che, il giorno in cui si era svolta la riunione del Consiglio di Reggenza, lei era stata attirata fuori dai suoi appartamenti con una scusa, rivelatasi, poi, pretestuosa e che, quando vi aveva fatto ritorno, aveva trovato tutto sottosopra e si era accorta che una collana di perle, brillanti e rubini era sparita dal portagioie dove lei la custodiva. I maligni insinuarono che si trattava della stessa collana che la Duchessa aveva perso al gioco un paio di mesi prima.
Un’altra vicenda oscura fu, così, archiviata.







Ho pubblicato anche questo capitolo, partito all’insegna di un nervosismo e di un disagio interiore che è, a poco a poco, cresciuto, contagiando vari personaggi e che, alla fine, è esploso in un finale concitatissimo, per, poi, acquietarsi nel ritorno alla quotidianità.
Nel prossimo capitolo, nascerà il/la figlio/a di Oscar e di André. Chi volesse recensire potrebbe tentare di indovinare il sesso e il nome del/la nascituro/a.
Buona lettura a tutti!
   
 
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