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Autore: BabaYagaIsBack    24/04/2019    1 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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39. Something has changed

Le prime cose che Joseph fece, una volta uscito dallo studio di Arwen, furono raccattare le proprie cose, mettersi addosso una tuta sgualcita e fuggire nel mezzo del nulla più assoluto, in un punto dove persino la linea telefonica faceva fatica a prendere. Corse per interminabili minuti, cercando di mettere più distanza possibile tra sé e la Tana, ma anche qualsiasi orecchio indiscreto che potesse udire le sue parole – anche se più che parlare, ciò che voleva fare era mandare un sms.
Dopo settimane di totale inutilizzo del proprio cellulare lo prese in mano con una certa estraneità, andando a cercare in mezzo ai vari contatti quello di Kyle. Era l'unica persona su cui potesse realmente fare affidamento e, attraverso lui, avrebbe informato il suo Alpha del piano del Duca. Anche se ancora non aveva idea di come e quando sarebbe avvenuto lo scambio, con il gps accesso avrebbe permesso ai suoi uomini di seguirlo ovunque e riconquistare l'oggetto di tanto interesse, il Pugnale.

"Faranno presto uno scambio, porteranno l'arma fuori dal loro quartier generale per consegnarlo agli uomini di quel Puro pidocchioso. Restate pronti ad agire, vi darò modo di trovarmi"

Fu conciso, dando pochi dettagli. In cuor suo, mentre premeva il tasto per l'invio, Joseph avvertì una sorta di fitta. Stava tradendo gli uomini di Arwen, che tanto erano stati gentili e umani con lui, per il proprio clan, per il sangue dei Menalcan che gli scorreva nelle vene – che bastardo! Eppure non poteva impedirsi di farlo.
Tra di loro la guerra andava avanti da anni, forse secoli e, nonostante tutto, i seguaci del Duca avevano più volte messo in ginocchio e umiliato i suoi confratelli: non poteva permettersi di essere clemente, nemmeno con gli uomini che Arwen Calhum gli avrebbe affiancato.
Nonostante la precaria stabilità della connessione, Kyle ci mise poco a rispondergli, rassicurandolo come solo lui sapeva fare. Lo avrebbe atteso fino all'ultimo, seguito, protetto e accompagnato nelle Lande Selvagge in qualsiasi momento, Joseph ne era certo e per questo non avrebbe avvertito nessun altro all'infuori di lui. Con pragmaticità, cancellò l'intera conversazione, tornando infine sui propri passi.
Purosangue era e tale sarebbe sempre rimasto, perché il suo sangue era più importante di qualsiasi altra cosa.

 

Aralyn scrutò fuori dalla finestra con una certa malinconia, facendo vagare lo sguardo tra le ombre della notte. Anche quell'anno, come ogni altro, era arrivato il suo giorno del suo compleanno, eppure tutto si poteva dire, tranne che ne fosse felice. In altre circostanze avrebbe accolto quel momento con un sorriso radioso e la voglia di festeggiare, ma, sfortunatamente, a differenza di qualsiasi altra volta precedente, la vicinanza con la nuova missione rendeva tutto più tetro – e se fosse stata l'ultima volta che si concedeva di soffiare su una manciata di candeline? E se non vi fossero stati altri compleanni da festeggiare, dopo quelle due settimane?
Non poteva negare che temesse il momento della partenza, così come non poteva negare di provare una sorta di riluttanza per quella missione; ma con che coraggio avrebbe potuto dire ad Arwen di non essere pronta? Di non voler partecipare allo scambio? Non poteva, perché il suo Alpha confidava in lei più di chiunque altro. Inoltre, era l'unica persona che potesse ancora mantenere viva la fama dei Calhum, l'ultima di loro che potesse dire di non essere morta o menomata.
Rifiutando il volere di suo fratello avrebbe portato disonore al Clan, spezzato il suo cuore e umiliato la sua figura – e la consapevolezza di ciò le fece venire le vertigini.

Alla sua età, dover fare i conti con tutte quelle responsabilità era nauseante. Eppure lo aveva sempre saputo. Dal giorno in cui i Menalcan avevano distrutto il glorioso sogno di Arwen di difendere gli Impuri, Aralyn aveva accettato quella condizione. Promettergli vendetta era equivalso a condannarsi.

D'un tratto, in mezzo a quei pensieri, si fece strada l'impellente desiderio di alcol. Doveva bere, affogare tutto quel malessere in mezzo a pozze di birra o qualsiasi altra cosa avesse trovato nella Tana; così si alzò di scatto dal pavimento, scivolando fuori dalla propria stanza. Alle tre del mattino, nel silenzio della settimana, nessuno si sarebbe accorto di lei, nemmeno i licantropi messi a sorvegliare il perimetro esterno: aveva ancora qualche ora prima del cambio della guardia.

A muoversi per i corridoi deserti, in completo silenzio, si sentì come un'ombra. Nonostante la pesantezza della mente avvertiva il corpo leggero, inconsistente. Era un fantasma che cercava redenzione e, per trovarla, avrebbe dovuto scendere fino alle cucine. 
In punta di piedi percorse la strada che dal piano superiore l'avrebbe condotta in mezzo alle leccornie nascoste tra credenze e frigoriferi e, solo quando fu lì, si concesse un sospiro.
Con tutto quello che aveva combinato in quell'ultimo mezzo anno si sarebbe dovuta dire fortunata a essere ancora viva, ma per quanto avrebbe potuto definirsi tale? Era entrata nel quartier generale dei nemici, li aveva uccisi e gli aveva rubato l'oggetto più prezioso che potessero vantare; settimane dopo aveva aggredito un loro membro uscendone illesa e, nello stesso periodo, aveva dovuto fare i conti con Dominik e il passato che aveva cercato di dimenticare – credeva ancora che il fato sarebbe stato dalla sua parte? Avrebbe voluto sperarci, ma non ne era capace.

Svelta allungò una mano verso le casse di birra che qualcuno aveva sapientemente impilato in un angolo e, compiendo un mezzo brindisi solitario, prese a bere. Non voleva più pensare a nulla, se ne fosse stata in grado si sarebbe strappata quei ragionamenti dalle sinapsi, ma non potendo, pregò che i fumi dell'alcol ne assopissero l'intensità.
Bevve una bottiglia dietro l'altra e, quando arrivò alla quarta, percepì su di sé una sensazione fastidiosa che però non seppe definire.
Non si trattava di nausea, né di capogiri; era piuttosto qualcosa che si trovava al di fuori del suo corpo, qualcosa che stava venendo prodotta da un'altra entità, così si volse alla ricerca di uno sguardo.

Con la coda dell'occhio intravide una figura acquattata nell'oscurità e, seppur malferma sulle gambe, provò ad aggredirla. Non voleva che nessuno la vedesse in quello stato, men che meno desiderava essere interrotta e, se per mantenere l'intimità di quel momento avrebbe dovuto aggredire uno dei suoi confratelli, non si sarebbe tirata indietro.
Le unghie appuntite, innaturalmente allungate a causa di un principio di mutazione, si andarono a premere leggermente sulla giugulare del malcapitato, ma prima che potesse dire o fare qualsiasi altra cosa, fu investita dal profumo familiare di suo fratello.

La ragazza si scansò dal corpo dell'Alpha, ritraendo zanne e artigli: «Mi hai allarmata» si scusò, velando però all'interno del tono una sorta di rimprovero. Arwen aveva l'incredibile, quanto snervante abilità di prenderla sempre alla sprovvista, sia quando si trattava di questioni umane, sia quando si parlava di licantropia.

L'uomo si lasciò sfuggire una risata sottile, staccando la schiena dalla parete su cui si era ritrovato schiacciato dopo l'aggressione. Con un'infinita dolcezza osservò la ragazza tornare verso il pianale su cui aveva abbandonato le birre: «L'alcol e l'insonnia giocano brutti scherzi, Ara. Come mai sveglia?»

«Esattamente tre ore fa ho compiuto gli anni e la prospettiva di vita che mi resta non è certo delle migliori. Direi che sono sveglia per festeggiare, cosa non lo so...» confessò, lasciando che il luppolo parlasse al suo posto. Forse, se fosse stata più lucida, avrebbe usato altre parole per confessare a suo fratello il disagio che aveva preso a logorarla dentro.
Lui le si fece vicino, seguendo i suoi passi fino all'isola nel centro della stanza. Nonostante tutto, i piedi scalzi dell'Alpha non ruppero troppo il silenzio e Aralyn si accorse della sua presenza alle spalle solo per via dell'ombra sulle piastrelle.
Involontariamente sentì i muscoli contrarsi – una strana tensione aveva preso possesso del suo corpo e, per un attimo, temette ciò che avrebbe potuto seguire.
«Vuoi che ti dia un motivo?» con una delicatezza che difficilmente si sarebbe potuta associare alla figura di Arwen, quest'ultimo prese a giocare con le punte pallide dei capelli della ragazza. Il susseguirsi di movimenti procurò alla ragazza un inaspettato piacere, nonostante qualcosa in lei le dicesse di non abbassare completamente la guardia, soprattutto perché si trattava pur sempre del suo Alpha.

Aralyn rubò un altro sorso dalla bottiglia che aveva aperto poco prima: «Ne avresti uno?» domandò poi, conscia di quale pericolo stesse andando incontro. Solo qualche mese prima avrebbe gioito ineluttabilmente per ciò che sarebbe potuto succedere in simile momento, ma ora, dopo ciò che era accaduto in quell'ultimo periodo, tutto ciò che desiderava era evitare a se stessa, ma soprattutto Josh, di far irritare il capoclan. Sì, perché quella sua sorta di maliziosa sfida, la riluttanza nello stare troppo vicina a suo fratello, altro non erano che effetti collaterali di un invaghimento che non si sarebbe mai aspettata riuscisse a soggiogarla. Inoltre, sapeva da sé, Arwen non era tipo da condividere le proprie cose – e lei era il suo tesoro più prezioso. A dimostrazione di ciò c'era il fatto che le avesse proposto d'andare in sposa a un altro capo branco, ma che poi non avesse mai più accennato alla questione, lasciandola perdere nel dimenticatoio di cose giuste da fare, ma non realmente desiderate.
Insomma, continuare a flirtare con suo fratello gli avrebbe impedito di vedere in lei il lento perire del sentimento che aveva nutrito nei suoi confronti per anni.

L'uomo a quel punto interruppe le carezze, afferrando, al posto dei capelli, il polso della ragazza e trascinandola a sé. Aralyn sentì il terreno sotto ai piedi farsi instabile, mentre costretta dalla forza di lui si ritrovò improvvisamente tra le sue braccia. Come mai era capitato prima, Arwen la teneva imprigionata tra le braccia e il proprio petto, fissandola con un'intensità che parve penetrarle gli occhi e arrivare dritta tra i pensieri.
Il cuore della lupa iniziò a battere con forza e più ella si rendeva conto che a quella distanza nulla sarebbe sfuggito al capoclan, più accelerava. La motivazione che le avrebbe dato era ormai chiara, solo che lei non si sentiva più pronta – ma come fermare un maschio Alpha?

Arwen si chinò senza far complimenti e, del tutto privo di inibizioni o remore, schiuse le labbra su quelle di lei, prendendosi il loro primo bacio.
La strinse sempre più, cercando d'impedirle qualsiasi resistenza e, in quel gesto, Aralyn vi trovò solo annichilante tenerezza. Aveva atteso quel momento per anni e ora che finalmente era arrivato, qualcosa in lei aveva smesso di desiderarlo; forse non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma sperò fino all'ultimo che una volta aperti gli occhi, al posto di suo fratello, ci fosse Josh – e le venne naturale paragonare il bacio d'ora, con quello che aveva scambiato con lui nel bosco.

Quando Arwen allontanò il proprio viso da quello di lei, si concesse una confessione: «Questo è il mio motivo. Tu e io che combattiamo per un futuro in cui nulla ci sarà più vietato» e un nodo le si andò a formare in gola, impedendole di trovare una qualsiasi risposta. Suo fratello amava lei e ciò per cui stavano combattendo nello stesso modo: senza esclusioni – e la cosa la fece sentire in colpa.

Il naso dell'Alpha sfiorò la punta del suo: «Ma fino ad allora, nulla di ciò che è successo stasera dovrà mai trapelare» annotò con una certa autorità, allentando la presa. Forse stava cercando di convincersi a lasciarla andare, o forse voleva solo godersi per qualche istante ancora il suo calore.
A farli sussultare e poi separare però, ci pensò qualcun altro.

Schiarendosi la gola, Garrel comparve dalla porta, lanciando loro un'occhiata tutt'altro che rassicurante: «Avresti dovuto pensarci prima di farlo nel pieno del nostro quartier generale» rimproverò Arwen.

Con fare nervoso si avvicinò, prese una bottiglia e rimise tra sé e i Calhum distanza.
«Ci sono limiti che non dovreste superare» bevve un sorso, mentre il cuore di Aralyn parve quasi fermarsi. Cosa sarebbe successo, ora? Garrel li avrebbe guardati in modo diverso da quel momento in poi? Li trovava ripugnanti, malati o altro? Oppure avrebbe capito? 
«Farò finta di non aver visto nulla, ma non azzardatevi più a fare o pensare una cosa simile. Forse non vi è chiaro, ma se vi avessero visti gli occhi sbagliati, avreste dovuto iniziare a temere per la vostra incolumità. Il Concilio non è clemente con i meticci» e a quel punto, quasi colta da un improvviso timore, Aralyn trovò la forza per spingersi via dal corpo dell'Alpha. Appena le mani di lui si furono staccate dal suo corpo, la ragazza si volse in direzione della propria camera, sparendo veloce tra le ombre della Tana.

 


 
   
 
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