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Autore: Sanae77    25/04/2019    7 recensioni
Li abbiamo lasciati con un segreto da custorire e un patto da rispettare.
Saranno in grado di reggere tutto il castello di carte che hanno costruito?
Il tempo passa, i figli crescono e le voci di corridoio si fanno sempre più insistenti.
I ficcanaso sempre più agguerriti.
Tra divorzi, coming out e scoop vedremo come in questi otto anni la Golden Combi vivrà il loro amore nascosto.
Come potranno i nostri campioni arrivare ai mondiali del Quatar nel 2022 e nel Nord America del 2026 senza farsi scoprire?
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(questa storia non può essere letta se prima non è stata letta Russia 2018)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Daichi Ozora, Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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Agosto 2020
 
 
Taro guardò di sottecchi il compagno che, per l’ennesima volta, si passava l’intera mano sul volto. Sullo sfondo notò dall’oblò dell’aereo che avevano iniziato la discesa verso Narita.
“Ehi, tutto bene?” chiese preoccupato.
Quella era la prima uscita ufficiale dove Tsubasa non era in compagnia di Sanae. Lei era arrivata in anticipo, visto che i bambini avevano finito prima di lui gli impegni calcistici e scolastici, quindi erano tornati in Giappone per stare un po’ con i nonni prima dell’evento mondano del secolo, il matrimonio del portierone.

Oltretutto Tsubasa ancora non aveva affrontato i suoi genitori. Mentre Taro era riuscito a parlare con suo padre, che per lo shock non lo aveva chiamato per una settimana per poi scusarsi di non essersi fatto sentire. Il capitano aveva deciso che la questione non era affrontabile per telefono. Spesso aveva fatto in modo che alle video chiamate fosse presente anche Taro, visto che vivevano praticamente insieme aveva deciso di abituare i suoi almeno alla presenza del compagno con varie scuse.

La madre solo una volta se n’era uscita con una battuta del tipo: “ho visto più volte Taro in queste videochiamate che Sanae.

Tutti avevano riso di quella battuta, ma nessuna replica era stata fatta a tale evidenza. Sperava Tsubasa, in cuor suo, che la madre si fosse quantomeno immaginata qualcosa; e ora che mancavano poche ore a doverla vedere era intrattabile.
“No, non va tutto bene per più motivi: primo – disse sollevando il pollice per indicare il numero – sarà la prima festa senza Sanae al mio fianco e con fotografi ovunque; ergo dovrò prestare la massima attenzione a NON guardarti, ché tanto sono un pessimo attore. Secondo – anche l’indice passò di fronte al volto di Misaki come era avvenuto poco prima per il pollice – mia madre. Terzo – disse mostrando ancora un dito – ma non ultimo: Daichi. Sì, sono davvero preoccupato Taro.”
Dopo esser scivolato sul sedile, e scomparso in esso, rilasciò andare tutta l’aria accumulata durante il tragitto. La tensione era alle stelle.
“Tua madre puoi affrontarla un’altra volta, Tsubasa, se non te la senti.” Tentò di rassicurarlo il compagno stringendogli un gomito.
“No! Passerà del tempo prima che torniamo in Giappone, e questa è un’ottima occasione, visto che ci sei anche tu. Non che tu abbia bisogno di presentazioni, sa perfettamente chi sei, ci conosciamo da una vita… ma, credo sia giusto e doveroso che i miei genitori vengano informati dal sottoscritto. Senza considerare che dovrò informare quel pazzo di mio fratello. Secondo te ci possiamo fidare di un quindicenne?”
“Sappiamo poco di tuo fratello, Tsubasa, siamo stati tanto fuori casa, praticamente è cresciuto come figlio unico, quindi forse è meglio se prima senti tua madre… dopo che si sarà ripresa dalla notizia.”
“Già, credo che abbiamo fatto bene ad anticipare di un paio di giorni il nostro arrivo. Oltretutto Sanae dorme dai suoi con i gemelli e noi abbiamo tutto il tempo di parlare con i miei genitori. Mi dispiace solo che dormiremo separati, già ci vediamo così poco che almeno questi giorni speravo…”
“Avremo occasione di stare ugualmente insieme, un paio di notti non cambiano nulla non temere.”
Il capitano sorrise stancamente e voltandosi verso il finestrino mormorò: “Due anni che stiamo nascondendo questa relazione, Taro, non è facile, avevo ampiamente sottovalutato la cosa.”
“Già, al ritiro in Russia facevi sembrare tutto così facile…”
Il capitano si voltò di scatto ricordando quanto quella mattina avesse semplificato i fatti accaduti. In quel momento aveva creduto che mantenere una relazione clandestina fosse la soluzione migliore per tutti. Per non ferire nessuno e continuare come se nulla fosse. Poi c’era stata la lontananza, le difficoltà, l’amore prepotente da cui era stato travolto e la scoperta delle loro mogli. Scoperta che, a distanza di tempo, aveva benedetto. In due mesi di clandestinità c’era uscito pazzo, non osava immaginare due anni, lo avrebbero ricoverato, ne era certo. Senza considerare che lo spauracchio degli incubi era sempre latente. Il sonno aveva ridotto notevolmente le sue prestazioni in campo; e lui, questo pessimo rendimento, non se lo poteva permettere.
“Al ritiro in Russia non avevo capito un cavolo. Quindi come vedi non sono né realistico, né affidabile.”

Taro sorrise; di uno di quei sorrisi che gli scaldava il cuore. Era comprensivo, caldo e sexy allo stesso tempo. E se non fossero stati su un aereo, dove non erano assolutamente da soli, lo avrebbe baciato lì: seduta stante. Ma loro queste effusioni non se le potevano permettere, non per il momento.
Il segnale delle cinture iniziò a lampeggiare interrompendo quello scambio fitto di opinioni e problemi passati e futuri. Entrambi allacciarono le cinghie e, come da consuetudine, Taro afferrò il braccio di Ozora per stritolarlo.

“Bene, e anche a questo giro giochiamo a spappola il braccio al tuo compagno.” Una smorfia di dolore si palesò sul bel volto.
“Scusa” bisbigliò il giocatore guardando fisso di fronte a sé.
“Te lo dico, Misaki, questa cosa va superata, vorrei mantenere intatto il mio braccio per i prossimi anni avvenire.”
“Sh, silenzio! Ché mi deconcentri.”
Il capitano arcuò le labbra e si voltò verso il finestrino mentre lasciava che il braccio restasse ostaggio del povero Taro. Era buffo, quella era l’unica fobia che il numero undici in tanti anni non era riuscito a superare. Alla fine si rese conto di amare anche quella.
 
 
 
Quando aprì la porta non credeva ai suoi occhi, finalmente dopo tanti mesi poteva riabbracciare suo figlio maggiore. I gemelli con la sua ex nuora erano passati da lei il giorno prima, aveva tentato di parlare con Sanae, ma come le aveva detto spesso per telefono preferiva che fosse l’ex marito a darle delle spiegazioni.
E finalmente il momento era arrivato, l’unico problema era Misaki che a fianco del figlio le stava regalando un sorriso affettuoso. Aveva sempre adorato l’altra metà della Golden Combi. Taro era proprio un bravo ragazzo che per anni aveva giocato con Tsubasa e che spesso e volentieri aveva accolto a casa loro quando il padre era in giro per lavoro. Immaginò che i due, condividendo il calcio, la gioventù e il lavoro, si stessero consolando a vicenda per il divorzio affrontato prima dal numero undici e dopo da Tsubasa. Li strinse a sé in un abbraccio poco convenzionale e poi li invitò ad accomodarsi.
“Accomodatevi pure in sala, vi preparo del te.”
“Grazie, signora Ozora.” Rispose Misaki dopo aver tolto le scarpe e imboccato la via indicatagli.
Non perse lo sguardo complice che si scambiarono i due. Sembrava quasi un tacito accordo il loro e ne ebbe conferma quando suo figlio gli disse: “Ti do una mano, mamma.”
Un sotterfugio per restare soli in cucina e poter parlare liberamente. Lo aveva capito immediatamente.
La donna afferrò il bollitore e lo riempì di acqua. Una volta colmo lo mise sulla fiamma per farla scaldare.
“Daichi?” Chiese il campione, guardandosi intorno.
“Indovina?” rispose la madre con un pizzico di ovvietà nella voce.
“Scommetto che è agli allenamenti.”
“Esatto! Degno di suo fratello; ma non temere, arriverà presto così potrai vederlo. Non te lo dirà mai ma stanotte non ha dormito dall’emozione di rivederti.”
“Ecco, mamma, visto che abbiamo poco tempo ti devo parlare del mio divorzio.”

La donna si sedette al tavolo della cucina come tante altre volte aveva fatto nel corso della vita per poter ascoltare i suoi figli.

“Ti ascolto, Tsubasa. Ho provato a parlare con Sanae, ma non ha voluto dirmi niente, preferiva che affrontassi direttamente con te questa cosa.”
“Sì, eravamo d’accordo che ognuno avrebbe parlato con i propri genitori, perché la situazione è delicata e ci sono i bambini di mezzo.”
La donna annuì posando le braccia sul tavolo e incrociando le dita delle mani, non riusciva a tenerle ferme ma non voleva farsi vedere nervosa da lui.
Tsubasa si sedette di fronte alla madre e le afferrò le mani agitate. Non sapeva che parole usare, non sapeva come affrontare quella questione tanto difficile, non sapeva assolutamente come lei l’avrebbe digerita.
Prendendo un gran respiro ripensò alle parole dell’amato: “È tua madre, Tsubasa, quella che ti ha permesso di andare in Brasile con Roberto in tenera età… se non è lei di ampie vedute non so davvero chi potrebbe esserlo.”
“È così difficile, mamma: non so davvero da dove iniziare.”
La donna inclinò leggermente la testa guardandolo con amore e occhi colmi di comprensione e desiderosi di chiarimento.
“Non so cosa può esserci di tanto complicato per una mamma che ha accettato di far uscire il figlio di casa e cambiare continente all’età di quindici anni…”
“La stessa cosa che ha ipotizzato Taro…” e gli era venuta così quella risposta; dal cuore, senza pensare minimamente che la strada per introdurre l’argomento fosse spianata e il rendersene conto nel medesimo istante lo fece arrossire come a quattordici anni.
La donna lo guardò sorpresa, ma pronta ad approfondire, se lo sentiva che era la strada giusta. Tsubasa arrossiva spesso da giovane e che lo avesse fatto in quell’istante le diede conferma della direzione.
“Vedo che Taro ti sta molto vicino ultimamente.”
“Sì, come sempre, ma c’è altro mamma…”
“Ti vedi con qualcun’altra, Tsubasa?”
“In realtà già conviviamo.” Una cosa alla volta si era detto. Ma tutto stava andando a casaccio, tutti i discorsi mentali che si era preparto non erano serviti a nulla. E che conviveva con Misaki doveva essere l’ultimo dei suoi discorsi e invece… era diventato quasi il primo. Che disastro!
“Cosa?” Chiese la madre, schizzando in piedi. Le mani intrecciate tuttora a quelle del figlio.
“Ti prego siediti, non è ancora la parte più difficile.”

La donna si liberò dalla stretta del figlio e iniziò a percorrere la cucina avanti e indietro.

“Tsubasa, non ti riconosco! Hai due figli, ti sei appena separato e già convivi con un'altra persona.”
Il tono arrendevole della madre lo colpì in pieno. Il campione seguì, con lo sguardo, la madre girovagare per la cucina, poi si fece coraggio e iniziò a parlare: “Mamma, ho passato dei momenti difficili che hanno influito anche sulle mie prestazioni in campo, non riuscivo più a dormire, non riuscivo più a vivere. E Sanae non meritava di essere trattata male… di non essere amata come dovevo.”
“Capisco, ma non credi che sia presto per una convivenza?” Era tornata alla sedia e una volta seduta aveva nuovamente fissato il figlio negli occhi.
“Nessuno sa che conviviamo, eccetto Sanae, Genzo e Azumi. Mamma non ce la faccio a vivere lontano da lui, entrambi abbiamo allenamenti continui e possiamo vederci pochissimo, comprare un appartamento e stare insieme per i pochi attimi liberi era l’unica soluzione.”
La madre sgranò gli occhi incredula. “Aspetta, aspetta – replicò agitando le mani – stai parlando di un ragazzo? Vuoi dirmi che stai con un uomo, Tsubasa?”
“Sì, mamma.”
E in quel momento tutto le fu chiaro. Le video telefonate in cui compariva sempre Taro, i continui spostamenti fatti insieme e il rossore precedente che si era fatto spazio sulle guance grazie al solo nome. Tutte le domande trovarono risposta in un solo nome: Taro Misaki.
“È Taro, vero?”
Il capitano la guardò negli occhi e con un gesto di assenso della testa gli diede conferma dei suoi pensieri.
“Ora capisco perché Sanae non me ne voleva parlare. Come avete intenzione di fare con i bambini? Con il lavoro?”
“Taro puoi venire di qua, per favore?”
Misaki non tardò ad arrivare in cucina richiamato dal compagno. La scena che trovò di fronte era estremamente tenera. Natsuko che fissava il figlio sbalordita e con bocca spalancata si voltò lentamente verso di lui, incredula.
Forse era la prima volta che vedeva una faccia tanto sorpresa in vita sua. Non era né arrabbiata, né sconvolta, ma sorpresa all’inverosimile.
E fu così che, una volta seduti al tavolo, i due campioni raccontarono alla donna i loro progetti. Ozora era estremamente sollevato nel vedere la madre in totale ascolto. Misaki era un buon osservatore e non si era sbagliato su di lei: stava accettando il tutto senza troppi problemi. Certo, le domande non erano mancate; anche imbarazzanti, ma ne avevano sorriso insieme e deciso come affrontare il resto dei parenti. Sua madre gli aveva assicurato che Dachi avrebbe accettato la notizia senza alcun problema, per due motivi: il primo che stravedeva per Taro; il secondo era che nel 2020 l’omosessualità non era più uno scandalo per lui. Nella sua classe c’erano un paio di coppie e ne aveva sempre parlato con entusiasmo.
 
 
 
“Mamma, sono tornatooooo!” era così che Daichi era fiondato in casa come un uragano, le scarpe lanciate sulla soglia e borsone a terra. Il tonfo sordo era un suono inconfondibile per la stella del Barcellona.
Natsuko sorrise guardando Tsubasa, lui questi atteggiamenti scomposti non li aveva mai avuti. Avevano lo stesso talento calcistico, anche nel disordine: talentuosi al massimo! Ma sul carattere aveva fatto due figli agli antipodi; per quanto Tsubasa fosse riservato e timido, Daichi era sfrontato ed estroverso.
“Siamo in cucina, vieni” lo invitò la madre.
“Siamo? Vuoi dire che è arrivato mio fratello?” ed è correndo che aveva superato la soglia della porta e si era fiondato tra le braccia di Tsubasa.
“Quanto diavolo sei cresciuto, Daichi?” domandò il campione dopo averlo afferrato per le spalle e scosso con affetto. Misaki al loro fianco gli scompigliò i capelli come era solito fare.
“Taro…” lo chiamò Dachi strizzando un occhio in direzione dell’amico di suo fratello, divenuto ‘zio’ da quando era stato capace di parlare.
Misaki contraccambiò l’occhiolino e l’attesa con una proposta: “Daichi, che ne dici di due tiri?”
“Dico che hai sempre delle ottime idee” e neppure aveva finito di pronunciare la frase che già era sparito e tornato dal corridoio con il pallone in mano.
 
Insieme quindi scesero in giardino per massacrare quel povero muro, che i due Ozora avevano messo a dura prova con il trascorrere degli anni.
“Mamma, hai già parlato con Daichi della mia proposta?”
Tsubasa alla finestra guardava le evoluzioni di suo fratello, era migliorato e Taro faceva fatica a stargli dietro.
La madre lo raggiuse, mettendosi a guardare dalla finestra anche lei.
“No, ho preferito che fossi tu a dargli la bella notizia.”
“E tu?”
“Cosa vuoi che ti dica, Tsubasa? Meglio con te in Spagna che in Brasile.” La donna sollevò le spalle in un gesto arrendevole.
“Se supera il provino per il Barcellona, avrà vitto e alloggio, comunque la mia casa è sempre aperta…”
“E con Taro?”
“Taro adora mio fratello non c’è nessun problema.”
“Bene, allora direi che è giunta l’ora di dare la bella notizia a quel folle…”
“È ancora così agitato?”
La madre gli batté una mano sulla spalla. “Confido nel fatto che avere un allenatore, un campus e un fratello più presente possano mettere un po’ di tranquillità in quell’argento vivo che ha addosso.”
“Sono certo che dopo gli allenamenti del Barcellona, avrà poca voglia di divertirsi.”
“Credo anch’io” aggiunse la madre sorridendo mentre a lenti passi varcava la soglia per il giardino. Daichi non sapeva ancora del suo futuro nelle giovanili del Barcellona e lei non voleva assolutamente perdersi la faccia felice che di lì a poco ci sarebbe stata.
 
Ed era stata incontenibile la gioia del ragazzo che, con un balzo, si era librato nell’aria e calciando il pallone in rovesciata aveva ammaccato il povero muro spolverandolo. Dopo aveva iniziato a correre per tutto il giardino, cantando l’inno spagnolo, tra lo sguardo sconvolto del numero undici e la grattata di testa perplessa del campione nipponico.
“Tu sei sicuro che l’allenatore delle giovanili prende uno così vero?” aveva domandato al compagno uno scettico Taro.
“Io ricordo che gli allenamenti erano estenuanti; quindi sono certo che tutta questa energia verrà convogliata nella giusta direzione.” Ammise soddisfatto e spalancando le braccia per accogliere il fratello che, di gran carriera, gli era letteralmente saltato addosso. Fu solo grazie a Misaki che, con una prontezza di riflessi invidiabile, gli aveva appoggiato una mano dietro le spalle quando lo aveva visto sbilanciarsi all’indietro affinché non cadesse. Se non fosse stato per lui una testata sul legno dell’engawa sarebbe stata assicurata.
 
Ora erano tutti e tre seduti sul bordo della veranda con le gambe penzoloni che fissavano il tramonto. Daichi si era calmato e dopo la notizia sconcertante ricevuta era rimasto a fissare l’orizzonte con i gomiti poggiati sulle ginocchia e le mani a sorreggere il volto… a sinistra suo fratello e a destra quello che aveva scoperto essere il suo compagno.
E doveva ammetterlo il colpo era stato duro, non tanto per l’omosessualità o per suo fratello. Il colpo era stato duro perché a lui quelle voci erano già arrivate da qualche mese, e se in un primo tempo aveva negato a oltranza, dopo il divorzio con Sanae aveva taciuto. Perché sapeva benissimo che in mezzo c’erano i suoi nipoti e che la situazione sarebbe stata delicatissima da gestire: era giovane e irruento, ma non stupido.
“Io lo sospettavo da qualche mese.” Fu così che Daichi, dopo aver sollevato il mento e rivolto il viso verso il sole dorato, aveva commentato la notizia ricevuta da suo fratello.
I due campioni si guardarono smarriti per un attimo, fu Taro a porre la domanda: “Perché lo sospettavi?”
“Un giornalista mi ha contattato tramite Messenger, e ha iniziato a farmi un sacco di domande su voi due e la vostra vita qua a Nankatsu. Su come vi siete conosciuti, di come siete diventati compagni di squadra. All’inizio ho risposto tranquillamente, poi sono iniziate le domande su Tsubasa e Sanae, e quando queste sono divenute troppo insistenti ho chiuso la conversazione e bloccato l’utente.”
“Hai fatto benissimo, mi fai vedere chi è questo giornalista?” chiese il capitano guardando preoccupato il fratello.
“Certo – disse estraendo il cellulare - ecco è lui.”
Entrambi si sporsero per osservare la foto del profilo dell’account incriminato.
“Lo sapevo, cazzo! È sempre lui!” esclamò Misaki impattando un pugno di una mano dentro il palmo dell’altra.
“Lo conoscete?” chiese il ragazzino spostando lo sguardo tra i due.
“Sì, è quello che ci segue ovunque e non fa altro che fare insinuazioni…”
“Beh, fratello a questo punto non sono solo insinuazioni giusto?”
“Daichi, lo sappiamo, e se non fosse per i nostri figli ti assicuro che la nostra relazione sarebbe già venuta allo scoperto. Ma dobbiamo aspettare che siano un pochino più grandi.”
Il giovane Ozora annuì consapevolmente poi riprese a parlare: “Allora state attenti perché da quello che ho capito sarà presente al matrimonio di Genzo.”
“Sì, lo sapevamo.” Puntualizzò Misaki.
“Ci sarò anch’io, con Sanae siamo d’accordo che sto un po’ con i miei nipotini, non li vedo mai.”
Taro allungò una mano e gli scompigliò i capelli per incoraggiarlo: “Il prossimo mese li vedrai anche troppo, e sono certo che sarai contento di rientrare in dormitorio con i tuoi compagni. I tuoi nipoti sono delle piccole anguille pestifere.”
“Cos’è, cognatino Taro, metti le mani avanti? Oh, vedi che sbagliavo a chiamarti ZIO?”
“Che idiota!” lo apostrofò Tsubasa allungando una mano e spingendolo malamente per una spalla.
“Cognatino adorato…” lo perculò Daichi mentre, alzandosi di scatto, si sottraeva alla mano di Taro che stava per raggiungerlo. E quella mano ne era certo che non prometteva nulla di buono. Adorava giocare con l’amico di suo fratello, lo aveva sempre adorato e ora che aveva scoperto questa tresca tra i due… beh, lo adorava ancora di più.
   
 
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