Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |       
Autore: Khailea    25/04/2019    0 recensioni
Raccolta dei miei personaggi che utilizzo per il gioco di ruolo D&D. Ciascuna storia racconta del loro inizio e non è collegata
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Gaerys





Nel regno di Fiore, ben conosciuto per la sua popolazione possedente una grande forza magica, convivono un gran numero di creature assieme agli esseri umani, i quali possiedono a loro volta alcuni tipi di magia, chi più chi meno.
A sua volta tale regno è diviso in varie zone, ciascuna delle quali con la propria storia e culture frammentate al suo interno, la più misteriosa però potrebbe facilmente essere quella del regno dell'Ovest, il cui intero territorio è nascosto dietro un muro d'alberi cresciuti lungo i suoi confini.
Motivo del mistero di tale luogo è il fatto al suo interno vivono moltissime creature magiche, alcune delle quali raramente vogliono mostrarsi a degli sconosciuti.
Tra tali creature v'era la tribù dei Sérhendit, figure aventi il busto, la testa e le braccia umane mentre le gambe erano quelle di un grifone, e di tale creatura possedevano anche delle splendide ali poste poco sotto le braccia.
Erano un popolo nomade, che si spostava spesso soprattutto tra le foreste e le montagne seguendo l'andamento delle prede delle loro battute di caccia oppure il soffio del vento che muoveva i loro cuori.
Al contrario di molti altri non seguivano il credo di una divinità, in quanto consideravano ogni creatura pari alle altre, sostenendo che tutto appartenesse al grande disegno della natura e della vita stessa. 
Anche per tale motivo quando uno di loro moriva non ne soffrivano molto, in quanto ciò apparteneva a quel disegno più grande di cui loro facevano parte. 
Era quindi solo finita la storia del singolo, ma gli riservavano comunque una degna cerimonia lasciando il corpo, o ciò che ne restava, in una radura in modo che i suoi resti potessero offrire da mangiare ad una qualche altra creatura, nel cui disegno di vita v'era scritto sarebbe giunta in quel punto nutrendosi proprio del "dono" fatto.
La loro tribù era molto tradizionale, i maschi forti ed abili si occupavano della caccia utilizzando in particolare archi e frecce costruite utilizzando il legno dei pini, mentre le donne incantevoli e gentili si prendevano cura dei figli e si dilettavano nell'arte del canto.
Se una cosa infatti era degna d'esser ricordata veniva trasmessa attraverso le canzoni, non v'era bisogno di scritture o simili fino a quando si aveva la voce.
Era comunque possibile trovare delle femmine che prediligevano l'arte della caccia e dei maschi che accudivano i figli nelle proprie dimore, ma erano comunque abbastanza rari, non per questo comunque scherniti.
I Sérhendit avevano dei lineamenti molto fini e dei corpi magri, nonostante soprattutto negli uomini si potessero trovare dei muscoli tonici questi non erano mai esagerati nelle dimensioni. 
All'età di tredici anni i bambini venivano introdotti nel mondo della caccia, in quanto considerati ormai adulti, e come prima cosa veniva insegnato loro il rispetto per ogni forma vivente, uso comune era addirittura non sprecare un solo pezzo di carne degli animali uccisi come forma di stima del loro sacrificio.
Nonostante fossero di indole nomade erano anche abili costruttori, e visto i loro edifici spesso si trovavano tra i rami più forti delle querce oppure lungo le sporgenze delle montagne le fabbricavano in modo fossero sia resistenti ad ogni tipo di intemperie che semplici da demolire in vista della loro partenza.
La tribù era guidata da una coppia di grifoni, la quale si era tramandata da generazioni tale compito.
La femmina si chiamava Ildra, possedeva dei meravigliosi capelli biondo platino che le arrivavano poco sopra le spalle, morbidi come le nuvole e lisci come la seta e tra i quali comparivano due canine orecchie  bianche dal pelo interno giallo. I suoi occhi possedevano una tonalità d'arancione richiamante al tramonto, così caldi e dolci che ci si poteva perdere per ore intere percependo perfino il calore del sole in essi.
Dettaglio che la rendeva ancor più adorabile erano delle vivaci lentiggini sul suo viso del color del latte.
Possedeva un corpo molto minuto ed era solita indossare solamente un tessuto azzurro per nascondere i piccoli seni ed una piccola coroncina di fili di rame al capo, la quale possedeva una gemma azzurra alla fronte.
Le sue ali non erano particolarmente grandi, e dal piumaggio di una tenue tonalità color crema, ma erano adatti a voli di grande abilità e non s'appesantivano durante i giorni di pioggia. 
Dall'ombelico partiva poi un folto pelo azzurro che arrivava fino alle gambe animalesche, dello stesso colore di quest'ultimo e che andava a sbiadirsi solo una volta raggiunta la meravigliosa coda. Lunga e sinuosa era, come per caratteristica comune, dotata di un pelo molto folto ed a grandi ciocche.
Il maschio invece si chiamava Daunir ed aveva dei capelli neri come la notte che gli arrivavano leggermente sotto le orecchie, ma incredibilmente ribelli visti i ciuffi che andavano in ogni direzione, e del cui stesso colore erano oltretutto anche le orecchie aventi però all'interno del pelo bianco, mentre gli occhi erano color rosso rubino.
Durante la notte di fronte al focolare li si poteva vedere perfino brillare, ed erano capaci sia di incantare che di pietrificare, soprattutto nei momenti in cui si doveva mostrare maggiormente severo.
Era dotato di robuste spalle e braccia forti, le quali però avevano numerose cicatrici bianche, purtroppo visibili nonostante la pelle chiara ma non per questo disonorevoli.
Anzi, avere delle cicatrici significava che si era dei sopravvissuti, ed a giudicare dal numero che possedeva si poteva subito intuire fosse qualcuno di grande valore. Una di queste gli tagliava anche l'occhio destro, rimasto fortunatamente intatto dalla battaglia passata.
A sua volta aveva una sottile corona quasi identica a quella della compagna, se non per un leggero cambiamento nella forma visto sembrava un intreccio di due fili.
Le sue ali al contrario della compagna erano molto grandi e soprattutto di una notevole lunghezza, quasi completamente nere se non per delle sfumature grigie lungo le estremità inferiori.
Non indossava alcun indumento ma non ve n'era uno stretto bisogno, visto in generale gli organi intimi erano nascosti sotto il pelo che dall'ombelico arrivava fino alla coda unendosi ad essa. Nel suo caso il colore d'esso era grigiastro con delle sfumature blu scuro, che arrivavano fino alle zampe dalle unghie affilate.
La coda invece era più piccola del normale, ma ciascuno poteva decidere se trarre vantaggio o meno dalla fisionomia del proprio corpo.
Ildra possedeva un animo buono e gentile, provvedeva soprattutto alla gestione dei raccolti, i quali dovevano avvenire in maniera rapida, ed assisteva le altre femmine durante le nascite oppure nelle malattie. Tramandava oltretutto gesta ricche di significato che stupivano chiunque. 
La sua voce era tra le più belle si fossero mai sentite.
Era capace sì di cacciare, soprattutto con l'arco, ma contribuiva in essa solo nei periodi di crisi.
Chiunque poteva vedere in lei una seconda madre, giusta e capace di vedere i buono in ogni cosa.
 Daunir invece era un animo calmo e coscienzioso, che si preoccupava prima della sua tribù che per se stesso. La sua dedizione lo portava a procacciare quanto più cibo necessario nel massimo della sicurezza e ad affrontare le creature peggiori per difendere la sua gente.
Si mostrava imparziale nelle decisioni preservando l'armonia creata nel clan, senza far distinzioni tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato, attribuendo quindi sempre le giuste punizioni, ma ciò non accadeva molto spesso.
La sua lealtà l'aveva portato ad ottenere grande fiducia da parte di tutti.
In linea di discendenza diretta era Ildra la figlia del precedente capo clan, ed aveva scelto proprio Daunir durante il periodo dell'accoppiamento in quanto l'aveva reputato come l'esemplare più nobile ed adatto.
Durante tale rito i maschi dovevano portare alle femmine la preda più grande che potessero trovare, in modo da dimostrare che potevano occuparsi di una famiglia, mentre le femmine dovevano cantare per giorni e giorni attirandoli.
Daunir  avrebbe potuto facilmente portare alla femmina, per la quale provava una naturale ammirazione in quanto la più bella e generosa tra tutte, la bestia più grande di tutti gli altri, ma durante la caccia un suo compagno  venne ferito dalla bestia scelta e lui per salvarlo sacrificò il proprio trofeo, rinunciando alla possibilità di unirsi alla compagna tanto desiderata pur di salvare un amico.
Tale gesto era bastato a far interessare Ildra, e dalla loro unione nacquero ben tre figli.
La maggiore si chiamava Thatié. Possedeva gli stessi occhi arancioni della madre ed i capelli neri nel padre, ma li teneva sciolti fin sotto le spalle con solo una treccia che le circondava il capo partendo dalla fronte. Aveva ereditato il corpo sottile della madre e così anche le sue ali color crema, mentre le zampe partivano con una sfumatura di blu profondo per poi terminare nell'azzurro.
Era indubbiamente una cucciola molto vivace, che tuttavia non provava interesse nella caccia e che per questo non s'era dilettata nell'arte dell'arco, anche se in parte l'aveva fatto con la lancia.
Amava cantare ed inventare storie e la sua voce animava gli animi di chiunque.
Il secondogenito si chiamava invece Gaerys, ed era nato quando Thatié aveva sei anni.
Il ragazzo aveva ereditato un colore degli occhi che si poteva definire un misto tra quello dei due genitori.  Era infatti prevalentemente rosso ma vi si trovavano le gentili sfumature arancioni della madre, e di lei aveva oltretutto ereditato non solo la pelle chiarissima ma anche le sue simpatiche lentiggini.
Aveva anche i suoi capelli biondo platino ma erano ribelli quanto quelli del padre, ed ogni ciocca aveva alla punta delle sfumature nerastre. Di tale colore erano anche le sue orecchie dal pelo interno bianco.
Non aveva un corpo robusto ma anche le ali avevano caratteristiche simili a quelle di entrambi i genitori.
Di colore erano tendenti al bianco ma da circa il centro era presente una striscia di piume nere attorno alle quali ne erano cresciute varie di azzurro, il primo dei due colori però era nettamente dominante alla base. Le ali di grandezza erano piccole quanto quelle della madre ma la lunghezza eguagliava quelle del padre, soprattutto alle ultime e lunghe piume.
Il pelo che partiva dalla pancia era azzurro bruciato ma la coda era nella parte esterna completamente bianca mentre l'interno era nero, con solo pochi ciuffi quasi azzurri.
Le zampe invece possedevano partendo dalle cosce tale colore ma poi dei polpacci si scurivano fino a diventare blu, ed infine quasi nere.
Il suo viso ispirava una grande tenerezza visti i lineamenti morbidi che possedeva, sembrava quasi un dono dal cielo.
Tuttavia il suo animo era a dir poco...ambiguo, rispetto al resto dei cuccioli.
Aveva indubbiamente una delle voci più cristalline e melodiose mai sentite ma narravano di vicende macabre come lo sgozzamento o lo spellamento degli animali, ed arrivavano perfino a far piangere i più piccoli.
A tale gesto le uniche sue reazioni erano delle vivaci risate, troppo belle per poter derivare da qualcosa di così brutto.
Trovava poi grande divertimento nell'infastidire chiunque con scherzi non sempre molto leggeri, come ad esempio incollare con del catrame delle piume di cacciatori adulti ai loro giacigli, oppure immergere i giocattoli dei bambini nel sangue animale preparato in delle bacinelle.
Approfittava oltretutto del suo titolo di figlio dei capi clan per comandare i giovani pretendendo da loro le razioni migliori di cibo.
Naturalmente entrambi i genitori avevano tentato di correggere tali suoi atteggiamenti, sia con parole nelle quali si potevano leggere accenni di comprensione che con metodi più duri, ma il tempo non aveva cambiato le sue attitudini.
Non per questo però aveva un cattivo rapporto con la sua famiglia, amava infatti sua madre ed ogni sera desiderava ascoltarla cantare prima di dormire, mentre rispettava gli ordini del padre e lo ammirava entusiasta ogni volta portava del cibo nella loro dimora. Perfino con la sorella andava d'accordo, infatti spesso la seguiva durante le giornate volando assieme a lei e portandole varie volte dei fiori.
Come amava era anche amato da loro, ma i suoi comportamenti non potevano non portare del dolore nei cuori dei cari, anche se non sembrava capirlo.
All'età di tredici anni divenne a sua volta un cacciatore dimostrando un particolare interesse nell'arco. Purtroppo però, pur seguendo il credo di non sprecare nemmeno una parte del cibo, uccideva le creature innocenti anche solo per divertimento e non per necessità.
Durante quello stesso anno la madre diede alla luce il loro terzogenito, un bambino sanissimo dai capelli neri e le punte bianche, dalle ali quasi completamente azzurre salvo alcune sfumature bianche e le zampe dello stesso colore del padre.
I suoi occhi erano arancioni proprio come la sorella maggiore, ma aveva ereditato anche delle piccolissime lentiggini attorno al naso. Il suo nome era Vhair, e sia Thatié che Gaerys provarono nei suoi confronti fin da subito un grande affetto. 
Lei lo esprimeva cantandogli delle dolci ninne-nanne, lui invece portandogli dei giocattoli, anche se di altri bambini, e cantando di stelle che precipitavano sul terreno o simili.
Fortunatamente il bambino era troppo piccolo per capire e si limitava a ridere di quelle canzoni tanto catastrofiche, visto i toni usati, ma la madre aveva cercato più volte di far smettere il maggiore.
Nonostante il carattere particolare del giovane cucciolo i provvedimenti non erano mai stati estremi, forse appunto per l'immenso amore dei genitori, e perfino gli altri per senso di solidarietà faticavano a far molto, cercando di spronarlo a migliorarsi.
Il vero punto di rottura tuttavia arrivò durante i suoi quattordici anni, il giorno in cui la tribù incontrò un celestiale...
Avvenne durante l'inizio della primavera, quando la tribù  dei Sérhendit si spostò dalla montagna verso le foreste. Solitamente i loro spostamenti potevano prevedere sia viaggi ad alte altezze oppure precise camminate seguendo dei rigorosi sentieri percorsi da generazioni e generazioni di loro.
Le femmine camminavano al centro del gruppo, in modo che in caso d'attacco fossero protette assieme ai bambini.
Si era deciso di prendere quest'ultimo percorso in modo da poter, con le loro abilità, individuare già le tane di future prede, ma qualcosa attirò l'attenzione di Ildra Daunir.
Era una figura femminile che si trovava a non molti metri da loro, che camminava con grande serenità tra i giganteschi alberi dalle foglie verdi.
In un primo momento sarebbe potuta sembrare un essere appartenente alla loro specie per via di due gigantesche ali gialle, piegate in modo da non esser d'ostacolo durante il cammino, ma con una seconda occhiata era evidente il corpo fosse unicamente quello di un essere umano.
I suoi ondulati capelli arancioni le arrivavano quasi ai fianchi, e dal capo partiva una particolare corona dorata avente come una grande ruota dalle punte leggermente affilate dalla parte delle spalle. Era vestita con due strati, il primo composto da una toga bianca mentre la seconda era un'armatura in argento con rifiniture dorate, formata da un bustino senza braccia e dei lunghi stivali che partivano da metà coscia.
Tra le mani teneva una lancia in oro dalla punta completamente bianca, ma nonostante l'arma non incuteva alcun timore. Aveva oltretutto con sé una sacca che sembrava contenere qualcosa di pesante...ma non fu chiaro esattamente cosa.
In un primo momento l'istinto dei capi fu quello di aggirare la sconosciuta, non sapendo se fosse pericolosa o meno non intendevano correre rischi, ma visto il loro numero l'azione fu alquanto fallimentare a causa del poco preavviso e la figura, volgendo lo sguardo nella loro direzione, iniziò a camminare a passo calmo raggiungendoli.
Daunir si schierò davanti a lei chiedendole cosa il motivo della sua presenza tra gli alberi, e la donna, intuendo fosse il capo, rispose dopo un breve inchino che si trovava in pellegrinaggio, spiegando fosse una creatura celestiale.
I celestiali erano esseri puri votati al bene, aventi sì la possibilità di morire ma molto più forti delle comuni razze, e per questo motivo non videro in lei alcun segno di pericolo.
La celestiale disse oltretutto d'essere in cammino da molti giorni, e con garbo domandò un sorso d'acqua per potersi dissetare.
Non essendo una razza meschina, seppur schiva, Daunir acconsentì alla sua richiesta, scoprendo poco dopo il suo nome, Inyhé.
I bambini più curiosi, tra cui anche Gaerys che fuggì dalle braccia della sorella, si avvicinarono facendole domande sulla lancia che portava, mostrando a loro volta le proprie.
Inyhé rispose a tutti loro con sorrisi pieni di tenerezza, e siccome stava ormai calando la sera lungo la foresta Ildra le propose di unirsi a loro per la notte, onde evitare spiacevoli incontri, e l'altra acconsentì felice di poter avere un po' di compagnia.
Quella notte la tribù si esibì in delle magnifiche canzoni all'insegna delle più belle gesta dei loro avi, solo per poter dimostrare il loro valore di fronte ad un essere celestiale. Banchettarono anche con le prede cacciate giorni prima, dormendo infine sotto il dolce cielo stellato...tutti ad eccezione di Gaerys.
Non aveva mai tolto gli occhi di dosso dall'arma della creatura, e come prima cosa non appena la vide dormiente si avvicinò per prendergliela, inciampando tuttavia nella sacca che questa aveva lasciato incustodita.
Cadendo il giovane aveva fatto uscire una parte del contenuto, che si rivelò essere uno spesso libro dalla copertina in cuoio, avente i bordi gialli ed una chiave incastonata al centro.
La loro tribù non era dedita alla scrittura, ma non per questo non la conoscevano, altrimenti sarebbe stata dura l'incontro anche con altre razze, ma si limitavano ad una conoscenza basilare.
Per un lettore accanito Gaerys sarebbe stato tutto tranne che qualcuno interessato ad un libro, ma il ragazzo ancora non ne aveva mai visto uno, e così il suo interesse passò dalla lancia a quell'oggetto.
Grazie alle stelle non gli fu difficile vedere i dettagli, e con grande silenzio lo prese sedendosi vicino aprendolo, così in caso qualcuno si fosse svegliato avrebbe potuto rimetterlo subito al proprio posto.
Per un qualche scherzo del destino, oppure per l'incoraggiamento nella fortuna di chissà quale divinità, il libro era scritto proprio in quella lingua comune che poteva comprendere, ed oltretutto aveva anche un gran numero di figure dettagliate che semplificavano la cosa.
Il tema principale erano le divinità, forse non tutte ma comunque un bel numero.
Alcune erano completamente dedite al bene ed alla salvezza dell'equilibrio, altre invece si dimostravano più neutrali ma con un alto codice morale.
Nessuna di loro comunque attirò grande interesse da parte del lettore, tutte ad eccezione di una che gli fece spalancare gli occhi.
Il primo impatto venne dall'immagine di un gigantesco squalo dalle ruvide scaglie nere piene di profondissime cicatrici, ciascuna poi talmente affilata da sembrare un coltello. Le sue pinne possedevano poi degli artigli gialli, alcuni molto lunghi soprattutto in punta mentre altri più sottili.
Il muso presentava poi dei piccolissimi occhi neri dalle pupille rosse, le quali incantarono per un po' il ragazzo, come se al loro interno vedesse chissà quale grande forza e potenza.
Le sue fauci poi avevano file e fila di denti affilatissimi che lo fecero quasi rabbrividire, essendo ancora così piccolo, ma che aumentarono comunque lo stupore e l'interesse.
Il nome recitato in cima a quell'immagine era Sekolah.
Con scrittura sottile v'era descritto come fosse un potente diavolo e divinità principale adorata dalla razza sahuagin. Il suo animale sacro era lo squalo, ed il simbolo sacro  uno squalo bianco o una pinna dorsale che sale dall'acqua. A quanto pare poteva essere trovato normalmente a caccia di calamari giganti e altre prede che trova opportunamente impegnative. Il grande squalo permetteva ai sahuagin di formare patti temporanei con altre divinità malvagie; importava poco finché continua a ricevere regolarmente dei sacrifici. Sekolah rappresentava la forza impotente e la brutalità. È anche un dio della fertilità.
Secondo i miti e le leggende molto tempo prima, quando gli oceani erano privi di vita sapiente, Sekolah cacciava i primitivi leviatani degli abissi. Dopo una caccia particolarmente riuscita, il dio cantò una canzone della vittoria, una melodia inquietante che riecheggiava nella profonda trincea oceanica. Per la prima volta, le voci gli risposero, risonando dal vuoto dell'abisso acquoso. Incuriosito, Sekolah continuò la sua canzone, e lentamente una grande conchiglia si levò dall'oscurità. Il guscio si aprì per rivelare il primo sahuagin, che nuotò attorno a Colui che li aveva chiamati, cantando in armonia con l'aria trionfante di Sekolah. 
I Sahuagin sacrificano i nemici sconfitti ed i preziosi gioielli a Sekolah quando possibile. La chiesa di Sekolah segue una gerarchia rigida e tirannica in cui lo stato è determinato attraverso il combattimento rituale.
Ogni singola parola si insediò nella mente del giovane, stregato da tutto ciò.
Ritrovava nel mito del canto di Sekolah la tradizione della sua tribù nel narrare miti e grandi gesta, ed avrebbe tanto voluto poter ascoltare quella canzone. La brutalità delle sue azioni e di coloro che lo seguivano poi riempivano il suo petto con una sensazione nuova, mista all'eccitamento ed al desiderio di dimostrarsi altrettanto forte.
Voleva essere riconosciuto come un grande campione, soprattutto da parte della sua famiglia.
Se avesse dimostrato di non avere rivali, che poteva sconfiggere ogni genere di cosa, magari l'avrebbero visto come lui vedeva suo padre, e la parte della lettura a riguardo del combattimento come forma di rituale lo interessava particolarmente...
La sua lettura venne però interrotta dalla voce della sorella, che svegliatasi senza trovarlo vicino si era alzata raggiungendolo. Sussurrando lui le mostrò le immagini che aveva visto con fare carico di gioia, ma lei non sembrò altrettanto felice, e gli chiese di rimettere tutto al proprio posto per tornare a dormire.
Gaerys fece subito come gli era stato detto, ma quelle parole erano rimaste ben impresse nel proprio animo, sentendo che gli appartenevano completamente.
Avrebbe dimostrato il suo valore, proprio come aveva fatto Sekolah e i sahuagin...
La notte passò e così la creatura celestiale diede il suo addio alla tribù che proseguì durante il viaggio, fino a raggiungere una zona particolarmente fitta della foresta nella quale avrebbero potuto costruire in un solo giorno le loro abitazioni.
Fu proprio durante queste ore in cui il ragazzo decise di rendere realtà il pensiero nato giorni prima, ed individuò all'interno del clan un giovane rimasto per il momento in disparte.
Questo era leggermente più robusto di lui, con grandi ali arancioni dalle estremità inferiori gialle, gli occhi verdi ed i capelli color del grano. Arancioni erano anche le zampe mentre il pelo della coda era tendente al bianco.
Non conosceva il suo nome in quanto non aveva mai mostrato interesse per quelle cose, e senza tante cerimonie lo prese per il braccio trascinandolo lontano, dicendogli che essendo il figlio dei capi doveva fare come diceva.
Non appena furono abbastanza distanti Gaerys senza nemmeno spiegargli ciò che stava accadendo si voltò con uno scattò, aggredendolo graffiandogli il viso puntando agli occhi.
Il povero ragazzo naturalmente dalla sorpresa cadde a terra spaventato, tentando subito dopo di fuggire gridando aiuto, ma erano troppo lontani e l'altro saltandogli addosso iniziò a colpirlo con violenti pugni.
Iniziò così una breve lotta in cui anche l'altro provò a colpirlo per cacciarlo, riuscendoci anche spingendolo via, ma Gaerys non volendo deludere la sua famiglia afferrò una pietra dal terreno e gliela spaccò sulla testa. Il colpo non fu definitivo, e fu seguito da molti altri fino a quando il suo avversario non smise di muoversi coperto dal sangue, proprio come lo erano le sue mani, il viso ed il petto.
Eppure, sul suo viso non c'era altro che un sorriso.
Con il cuore pieno d'orgoglio si alzò abbandonando il cadavere, correndo subito urlando a squarciagola chiamando i suoi genitori, quando i vari membri della tribù lo videro coperto di sangue supposero si trattasse di quello di un animale, e così fecero anche i genitori, almeno fino a quando lui non disse d'aver superato la prova di forza di Sekolah.
Confusi gli chiesero spiegazioni, e lui raccontò per filo e per segno tutto ciò che aveva letto, ed infine ciò che aveva fatto. Ma mentre il suo viso era il dipinto della gioia quello dei famigliari divenne quello dell'orrore, ed il padre subito volò verso la zona dalla quale era venuto mentre la madre si inginocchiò a terra iniziando a piangere.
Confuso il figlio provò  a sorreggerla, ma ciò che vide nei suoi occhi fu solo un puro terrore e rimorso, mentre balbettava di come era per questo che non erano necessarie divinità, di come quei culti corrodessero la mente, ripetendo chiedendosi dove aveva sbagliato.
Perfino la sorella, che aveva sentito ogni cosa, sembrava terrorizzata e disgustata, soprattutto quando il padre arrivò con il cadavere del bambino ucciso...
Si udirono quindi le urla piene di dolore dei genitori, mentre il colpevole sembrava sempre più confuso, e cercando qualche segno da parte del padre trovò in lui una freddezza mai vista fino ad allora.
Per la prima volta quegli occhi rossi quasi lo spaventarono...
I secondi sembrarono durare in eterno, mentre finalmente il padre parlò, pronunciando parole che non avrebbe mai dimenticato.
Aveva disonorato la sua tribù, il suo onore ed il suo nome, macchiandosi di un crimine indicibile nei confronti dei suoi stessi simili, e per questo motivo sarebbe stato esiliato dal clan.
I singhiozzi della madre divennero l'unico suono udibile mentre il mondo sembrava crollare addosso al ragazzo, che perdendo il sorriso si avvicinò al genitore confuso.
Cosa aveva sbagliato?
Voleva solo renderlo orgoglioso, non era una bella cosa volergli assomigliare?
Non stava dicendo la verità, non l'avrebbero veramente cacciato?
Era il suo stesso figlio...ma tali parole non sembrarono arrivare all'uomo, che voltandogli le spalle diede l'ordine di portarlo via.
Due uomini afferrarono le braccia di Gaerys, che subito si divincolò spaventato, urlando aiuto alla madre ed alla sorella, chiedendo pietà al padre di non abbandonarlo, ma questo non lo guardava nemmeno.
La sua forza non era nulla di fronte a quella di due adulti, che subito volando lo portarono lontano da quel luogo, abbandonandolo vicino alle montagne ed allontanandosi quanto più velocemente possibile per evitare fossero seguiti.
Durante le notti a venire il ragazzo pianse nella solitudine, urlando aiuto a chiunque, che qualcuno venisse a portarlo a casa, ma nessuno arrivò.
Nemmeno la sua famiglia.
Per un cucciolo non era comunque semplice procurarsi da mangiare, soprattutto non avendo alcuna arma, e nelle ore di solitudine cercò il motivo per il quale tutto era andato in quella maniera, e fu solo una la soluzione che trovò.
Era tutta colpa di quella celestiale...se non fosse mai arrivata non avrebbe letto il libro, e non avrebbe fatto nulla per far arrabbiare suo padre.
Era solo colpa sua, ma lui aveva superato la prova di forza di Sekolah, e desiderava farla pagare a quella creatura, rendendosi disposto perfino ad uccidere suoi simili addossandole la colpa delle sue azioni come una forma di peccato di cui si sarebbe macchiata.
Giurò questo ideale quindi su Sekolah, quella divinità in cui ancora rivedeva il proprio essere e possibilità di diventare più forte.
Senza rendersi conto che l'unico ad avergli rovinato la vita era stato lui stesso con le proprie mani...



"Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici."
   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Khailea