Film > Thor
Segui la storia  |       
Autore: shilyss    27/04/2019    27 recensioni
Archeologico AU!
1914: nell’Europa che si prepara a essere dilaniata dalla Grande Guerra, l’astuto e arrogante archeologo Loki Laufeyson è a caccia di un tesoro spettacolare che ricorda la perduta Asgard, la città degli dèi: quello raccontato nella Canzone di Reginn, un antico poema scaldico.
Affiancato dal compagno d’arme Thor e dalla sua devota assistente Sigyn, tenterà di riportare alla luce ciò che, forse, dovrebbe rimanere nascosto.
Protetto dalle quattro pareti del suo caotico studio, però, Loki Laufeyson abbandonava definitivamente la maschera del compassato e preciso studioso per rivelare la sua parte più selvaggia e, forse, sincera: ascoltandolo nella penombra di un pomeriggio inglese, Sigyn si ritrovò a pensare con un brivido che il confine tra un archeologo e un predatore di tesori per l’uomo fosse decisamente labile, forse persino troppo.
[ ♦ Storia Seconda Classificata al Contest “Lavoratori allo sbaraglio” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp. ♦ ]
[ ♦ Storia Prima Classificata al Contest “L’Antica Grecia al giorno d’oggi: vizi e virtù,” indetto da _Vintage_ sul forum di Efp ♦ ]
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Malekith, Odino, Sigyn, Thor
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

L’Oro del Reno

 

 

I couldn't find quiet

I went out in the rain

I was just soakin' my head to unrattle my brain

Somebody said you disappeared in a crowd

I didn't understand then

I don't understand now

[..] And everybody was gone

I was standing in the street 'cause I was trying not to crack

I was solid gold

I was in the fight

I was coming back from what seemed like a ruin

I couldn't see you coming so far

I just turn around and there you are

(The National, Pink rabbit)

 

 

Claudette si soffermava sempre sulle fotografie che decoravano la stanza di sua nonna. Sigyn era una donna sottile, con la schiena leggermente curva e l’ovale del viso segnato inesorabilmente dal tempo; la sua figura ispirava un senso di fragilità sempre maggiore, aumentato dalla facilità con cui il passato più recente le sfuggiva dalla mente. A volte era difficile e strano, per Claudette come per gli altri membri della sua famiglia, ricordare che l’anziana era stata una ragazza vivace e coraggiosa e bella, trasformatasi in una donna vitale e forte, capace persino di imporsi e brillare in un ambito accademico che aveva sempre favorito gli uomini e sopportare una vedovanza lunga decenni. A testimoniare il tempo lontano della giovinezza smarrita, c’erano molte fotografie in bianco e nero. Claudette ne amava una in particolare: nello scatto, sua nonna era a cavallo con i capelli raccolti in una lunga treccia spessa che le scendeva fin sul seno. Indossava stivali da cavallerizza e un paio di pantaloni su una camicia chiara. Accanto a lei, abbigliato praticamente nello stesso identico modo a eccezione delle calzature, c’era suo nonno. Loki Laufeyson portava un cappello a coprirgli parzialmente il viso, mentre una bandoliera tenuta ad armacollo spiccava sul torace ampio e largo. Non sorrideva all’obiettivo, anzi: fissava Sigyn con aria guardinga e il movimento del suo braccio pareva suggerire che stesse dando all’animale l’ordine di partire perlomeno al trotto.

La ragazza rivolse alla fotografia un sorriso dolce, di commiato, e tornò ad aprire cassetti, in cerca del regalo antico che la nonna aveva ricevuto dal nonno, sì, ma quando? Increspò le labbra in un’espressione di disappunto, perché era strano parlare di Loki Laufeyson in quei termini. Era e sarebbe stato sempre l’astuto membro della Resistenza fucilato in un piazzale, che aveva lasciato troppo presto la famiglia, eternamente giovane negli scatti in bianco e nero che lo ritraevano fiero e avevano catturato, ma solo in parte, lo spirito indomito e insolente del cacciatore di tesori.

Sovrappensiero, Claudette aprì un cassetto e vide una catenella spuntare da sotto dei foulard di seta ben impilati.

“Nonna, è questa?” domandò tirando fuori il grazioso oggetto.

Vedendo la bussola, Sigyn sgranò gli occhi e l’afferrò come fosse la più preziosa delle reliquie. La prese in mano tremando, attribuendo all’oggetto più valore di quanto non sembrava dimostrarne, tanto che la ragazza fu tentata di chiederle se fosse fatta d’oro.

“Quando te l’ha regalata?”

L’anziana studiosa si sistemò meglio gli occhiali sul naso, accarezzò l’incisione che ne impreziosiva il coperchio – un lupo e un drago marino stretti insieme – e rispose alla nipote senza guardarla, gli occhi persi in un passato senza nome, ma indimenticato, scolpito nella sua anima con a una tale profondità che, forse, nessuna malattia l’avrebbe privata di quel ricordo.  “Quando uscì da Asgard,” soffiò.

“Asgard? Tu e il nonno non avete mai trovato Asgard.”

“Io non l’ho mai vista, ma lui sì.”

 

 

 

 

Strasburgo, 1919

 

Assistente, amica, amante. No, quello no, non lo sarebbe tornata a essere mai più. Respiravano la stessa aria e le loro labbra, nella penombra, erano troppo vicine. Presto si sarebbero sfiorate lambendosi appena, per poi cercarsi con urgenza, cariche di un desiderio che settimane, mesi e anni di studio e di lontananza avevano solo acuito. Sentì il braccio di Loki cingerle la vita per avvicinarla al suo torace asciutto, al suo odore di cuoio e pelle. Lo detestava. Gli aveva scritto decine di lettere, dopo che lui era tornato a combattere al fronte – dopo che la loro relazione si era confusa e complicata tra le soffici lenzuola di un letto, ma l’archeologo aveva pensato bene di non risponderle mai. Era arrivata a pensare che fosse morto, e allora un brivido gelido le era corso lungo la schiena e lo stomaco le si era stretto in una morsa glaciale, perché gli occhi chiari di Loki, spalancati e fissi verso un cielo cieco e lontano, erano qualcosa che non riusciva a immaginare, così come era troppo doloroso pensare che il suo corpo scattante e forte potesse essersi irrigidito nel gelido abbraccio della morte in una terra straniera e lontana.

 Sì, Sigyn lo odiava anche in quel momento, mentre una mano audace le carezzava la vita per poi ghermirle la stoffa della giacca, saggiandole la pelle tesa sotta di essa. Per un momento, si lasciò trascinare dal caos di quella situazione. Per un istante, uno solo, dimenticò il tesoro e, soprattutto, che lui si era spezzato nei campi di battaglia invasi dal filo spinato che avevano diviso in due l’Europa in fiamme. Gli sfiorò la guancia affilata, leggermente ispida, desiderando abbandonarsi a un bacio, uno soltanto, ma poi pensò al giorno successivo e a quello dopo ancora: cosa sarebbe stato di loro e delle ricerche che stavano portando avanti, se avessero di nuovo oltrepassato il confine tra rapporto professionale e amore, di qualunque natura fosse?  

Professor Laufeyson, non dovremmo,” gli sussurrò sulle labbra e immaginò di non dirlo e di baciarlo, invece, perché era innamorata di lui da quando ancora sedeva sui banchi dell’università e rimaneva incantata ad ascoltarlo, anche se lo aveva capito più tardi, davanti a una tazza di tè[1].

Lui si sorprese per quella frase, perché era da prima della Grande Guerra che aveva iniziato a chiamarlo per nome. Lo ricordavano perfettamente entrambi.

“Non dovremmo perché, quando sei sobrio, non vuoi avere legami,” aggiunse decisa, posandogli le mani sul petto per allontanarlo. Un gesto delicato, lieve, cui non seguì alcuna spinta. L’altro rispose con una smorfia del bel viso affilato e la liberò immediatamente, spezzando così l’incanto. Le regalò uno sguardo ardente, quasi crudele, perché, probabilmente, non aveva bevuto poi così tanto e doveva essersi accorto, nonostante la penombra, di come il viso di lei fosse rosso dall’emozione.

Sigyn si lisciò le pieghe inesistenti della gonna. La guerra le aveva portato via troppe cose, anche l’amore.

“Ho appena accettato di tornare a essere la tua assistente solo per un motivo, lo sai. Non abbiamo tempo.”

 

Implacabile, altera, offesa. Una principessa. Che aveva cercato di essere indifferente alla corte insistente di un cacciatore di tesori bugiardo, venuto a cercarla non perché se l’era portata a letto nelle brevi settimane di una licenza invernale, né per premiare la fedeltà che lei gli aveva tributato occupandosi, in sua vece, di certi affari personali e scrivendogli lettere argute e mai sdolcinate in attesa che tornasse. No, Loki si era presentato poche settimane prima alla sua porta, con ancora la divisa militare addosso, di nuovo, cercando non la donna, ma la studiosa esperta di rune, l’assistente su cui lui aveva scommesso.

Quando se l’era ritrovato davanti, a pochi passi dal portico della casa di campagna che era stata dei suoi genitori, il primo impulso di Sigyn era stato quello di afferrare il fucile appeso all’ingresso e sparargli. Vedendola con l’arma in mano, Loki aveva aggrottato le sopracciglia e, lesto come un gatto, si era gettato di lato, in mezzo a una siepe. Lei aveva premuto il grilletto davvero e l’archeologo, rialzandosi, aveva commentato che sì, forse avevano ancora qualche conto in sospeso, ma l’aveva fatto regalandole il più tetro e affascinante dei suoi ghigni, perché adorava vederla infuriata.

“Sono qui per proporti di partecipare alla più grande caccia al tesoro del secolo,” aveva spiegato, “non per farti finire quello che i crucchi hanno iniziato. So dov’è l’oro del Reno e… Asgard.”

 

Così l’aveva convinta: stuzzicando la sua sete di conoscenza e allettandola con la prospettiva di porre anche il suo nome in calce a una scoperta come non ce ne sarebbero state altre; solo che Sigyn non era riuscita né aveva voluto dargli immediatamente il suo assenso, perché il ricordo delle notti in cui le labbra beffarde dell’archeologo si erano posate sulle sue per poi scoprirle con infinita lentezza il collo e il seno – prendendosi lei, cuore e corpo e mente – erano dolci e dolorose insieme. Parlavano di un amore non corrisposto o non inteso alla stessa maniera. Eppure, la spedizione diveniva ogni giorno più reale. Merito del coinvolgimento di Thor Stormbreaker[2], alleato, amico, fratello ritrovato su un campo di battaglia. Si era ritagliato il ruolo di finanziatore non perché gli interessasse particolarmente infilarsi in qualche caverna o scavare un sito archeologico, ma per dare lustro al suo casato, riportandolo ai vecchi fasti di qualche generazione prima e perché amava l’avventura – anzi, ne aveva bisogno.

 

“Dobbiamo arrivare prima di Odino. Batterlo sul tempo è la nostra unica possibilità. I suoi corvi sono già sulle nostre tracce, così hai detto,” gli ricordò caustica, spostando lo sguardo grigio sulla mappa aperta sopra il tavolo dello studio. Aveva le labbra gonfie per i baci che si erano scambiati, il cuore in tumulto.

Il termine ironico che aveva usato per indicare i nuovi seguaci di Lord Borson strappò a Loki un ghigno divertito. Era stato lui ad affibbiare con malcelato disprezzo quell’epiteto ai signori Huginn e Muninn, questi i loro nomi. Colpa degli abiti perennemente cupi che indossavano e dell’aria lugubre che si tiravano dietro, aveva spiegato cattivo.

“E così, alla fine, ti ho convinta.”

Loki Laufeyson lo disse arricciando le labbra in un sorriso trionfante, perché lei aveva ceduto alla sua richiesta. Detestava chiedere poiché aveva l’animo di un principe, ma era bravo a convincere e a irretire il prossimo; sapeva scovare i punti deboli dei suoi ascoltatori e conosceva il modo per far leva su di essi in modo tale da piegarli senza che questi se ne accorgessero. Sigyn, che conosceva benissimo questa sua abilità, aveva tentato di opporsi alla sua corte serrata, ma alla fine aveva deciso di capitolare in nome della possibilità di essere trattata da uno studioso della levatura di Loki come una pari. Qualsiasi altro professore universitario l’avrebbe relegata a fare la dattilografa o la segretaria, invitandola a sposarsi e a mettere su famiglia com’era giusto che facesse una donna, assegnandole mansioni blande e poco interessanti, oppure avrebbe criticato il suo interessamento alla questione del voto, mentre Loki le aveva sempre concesso una parità tagliente.

“Voglio partecipare a una spedizione archeologica riguardo un sito su cui sono preparata. Molto preparata,” sospirò lei.

Lui inclinò appena il capo da un lato, fissandola ammirato. “Ambiziosa. Ero sicuro che avresti accettato.”

“Sei arrogante e superbo. L’hai chiesto a me perché non ti fidi di nessun altro, anzi: non ritieni che ci possano essere altri studiosi in grado di farti da assistente senza una formazione adeguata e non hai tempo di addestrarne di nuovi.”

Loki, colpito dall’acutezza del suo ragionamento, rise brevemente. “Sei l’unica, è vero. Non ne sei lusingata? O dovrei trattarti come una dolce dama da proteggere per quello che è successo tra noi?”

Erano di nuovo lì, nell’appartamento elegante tappezzato di libri dell’archeologo, nelle stanze che avevano visto consumarsi la loro relazione. Il tramonto coperto di nubi regalava una luce fredda e giallastra allo studio – quella notte sarebbe scoppiato un temporale.

 

L’oro del Reno era una leggenda, un mito racchiuso nei polverosi libri di mitologia che occupavano gli scaffali della biblioteca di famiglia. Un’ossessione che il giovane professor Laufeyson aveva inseguito invano, senza mai trovare, corroso da una febbre che ricordava quella di certe figure dei poemi, che sacrificavano ogni cosa in loro possesso, anche la più preziosa, per correre dietro a una chimera o per il gusto di sfidare a testa alta i propri avversari. Le scoperte che lo avrebbero reso celebre sarebbero state altre – quelle fatte nella penisola scandinava, in Gran Bretagna e in Francia più tardi, verso la fine degli Anni Venti – ma la gara per scovare ciò che restava della favolosa Asgard coinvolgeva la sfera personale: era la stoccata che il brillante studioso desiderava infliggere a Odino Borson. Una faida familiare, dunque, che si mescolava alla carriera e metteva in mezzo persino il desiderio e la passione.

Sigyn lo sapeva, lo ricordava, ed era stata la testimone della frattura avvenuta tra l’archeologo e il suo mentore. L’affascinante professor Laufeyson, capace di incantare qualunque interlocutore grazie al potere della sua voce roca e ironica, era imprigionato in una solitudine nera, che pesava sulle sue spalle come una cappa. Chi sapeva osservare con la dovuta attenzione lo studioso, avrebbe potuto scorgere il contrasto tra il tono di voce sempre ironico e sicuro e la ferocia dello sguardo verde e aguzzo, che si posava rapido su ogni cosa analizzandola fin nella sua essenza. Nella profondità degli occhi chiari di Loki, Sigyn aveva letto il bisogno di trovare il tesoro per vendicarsi dell’inganno supremo, per infrangere il vincolo che ancora lo legava a Odino Borson sottraendogli l’unica cosa che condividevano e che per lui aveva importanza. Loki era cambiato. La scintilla di una follia insana, che sapeva di vendetta, brillava nel suo sguardo, spaventandola e attraendola insieme. Non poteva permettere che andasse da solo – aveva ancora il sapore delle sue labbra beffarde sulla bocca – ma non doveva cadere di nuovo nella rete di una relazione che, Sigyn lo ricordava, l’aveva già spezzata, distrutta.

 

 

 

Da qualche parte lungo il corso del fiume Reno, in Germania, 1920

“Mio fratello nutre per voi un interesse particolare, anche se a volte non si comporta esattamente come un gentiluomo.” Sir Thor aveva perso un occhio ad Arras[3], in un incidente aereo durante la controffensiva britannica in territorio francese. Tale circostanza, lo rendeva incredibilmente simile al padre suo e di Loki, Lord Borson. Questo, assieme ai capelli corti e biondi e al viso abbronzato dal sole, gli regalavano un’aria fiera, da combattente, che contrastava con i lineamenti affilati e virili, ma eleganti, di Loki.

Erano in viaggio da diversi giorni verso quel punto della Germania ancora sconfitta dove, secondo Laufeyson, era ragionevole che ci fossero tracce della tomba che si diceva essere stata d’un mostro, di un re guerriero, di entrambi. La spedizione si era trasformata in una lotta contro il tempo, perché anche Lord Odino aveva deciso di raggiungere il presunto sito dell’oro del Reno e, purtroppo, non era l’unico. Qualcun altro si era gettato sulle tracce del mitico tesoro: un magnate o un capo di Stato si era messo in testa di foraggiare uno studioso tedesco, Malekith Von Svarthelfheim, affinché scovasse per primo la sepoltura, rivendicandone in tal modo la scoperta. La squadra di Loki aveva un vantaggio sulle altre, ma solo momentaneo; merito del libro d’appunti che quest’ultimo aveva trafugato a Odino e che conteneva la copia, ricalcata con cura in un vecchio monastero italiano, della mappa oscura contenuta in un antico codice.

Il vecchio Lord era convinto che il sito della fantastica sepoltura fosse oltre una valle, nei pressi di Colonia, mentre Loki riteneva che si trovasse molto più a nord, in quella che era nota come la Gola del Reno[4]. La frase che indicava esattamente il punto dove iniziare l’esplorazione assomigliava, tanto da sembrarne un calco perfetto, al verso di un antico poema d’amore, che indicava, appunto, un luogo differente da quello individuato da Borson. Sigyn e Loki si erano confrontati – o, per meglio dire, scontrati – a lungo sul distico troppo simile per essere una coincidenza.

Raccogliere dati e osservare erano i compiti principali di uno studioso che si rispetti, ma non i soli. Interrogare uomini e donne morti in un altro tempo attraverso ciò che era rimasto di loro, saper scorgere oltre le righe di un verso o di una ceramica riportata agli antichi fasti dopo aver tolto dalla sua superficie terra e polvere, era un’abilità che necessitava di rispetto, calma, pazienza e curiosità. L’indizio che Odino si era rifiutato di guardare o, semplicemente, di interpretare nel corretto modo, su cui si era lambiccato per una vita intera, si era rivelato, quasi casualmente, al professor Laufeyson e alla sua assistente, solo in virtù della lettura sensibile di quest’ultima, che si era ricordata della somiglianza con una nenia d’amore antica e quasi dimenticata.

La spedizione volta a scoprire l’ultima e unica traccia terrena di Asgard era iniziata nell’alba ancora fumosa di un nuovo decennio in cui l’Europa sarebbe stata ancora corrosa e lacerata dalle numerosissime tensioni irrisolte che gli anni trascorsi in trincea non avevano sedato, ma amplificato. Alcuni, come Loki e Thor, avrebbero tentato di incanalare il loro bisogno di superare l’esperienza della Grande Guerra e tutte le considerazioni e le scoperte, che quest’ultima aveva inciso sulla loro pelle, nella ricerca di tesori perduti, nel desiderio di sentirsi vivi andando a caccia di miti. Altri avrebbero rivolto lo sguardo altrove – alle promesse di una vita migliore, alle condizioni sempre uguali a se stesse, alle richieste fatte ai governi rimaste inascoltate, alle vendette e alle sconfitte.

 

Era sera. I due fratelli avevano parlato a lungo, a cena in una piccola locanda, del costo delle riparazioni di guerra stabilito dalla Società delle Nazioni; Thor sosteneva che fosse una decisione legittima e giusta e aveva ricordato l’occhio perso in una missione. Loki l’aveva fissato con una smorfia tirata e, con voce lenta, bagnandosi appena le labbra sottili con un boccale di birra, aveva sentenziato che molte cose erano giuste, ma non tutte potevano trovare applicazione nella realtà. A suo parere, la Società delle Nazioni aveva esagerato, richiedendo un prezzo troppo alto alla nazione sconfitta. Era seguita una discussione animata, in cui nessuno dei due uomini aveva ceduto sulla propria posizione[5]; poi, Loki era andato a controllare se fosse arrivato qualche telegramma circa la posizione di Odino o di Von Svarthelfheim, mentre lei era rimasta lì, assieme a Thor, che li aveva visti la sera prima scambiarsi un bacio fuggevole e intenso, dato perché si erano giurati che non doveva più capitare, di cedere all’amore. Solo che i lunghi mesi trascorsi tra la fine della guerra e la messa a punto di quella spedizione, a cui lei doveva partecipare a ogni costo, l’avevano portata a vivere troppo tempo assieme all’archeologo.

C’era ricaduta un’altra volta.

Lo aveva fatto e non riusciva a pentirsene, anche se il suo cuore era lacerato dalla consapevolezza di chi fosse, Loki Laufeyson.

 

La domanda del ricco inglese la distolse dai suoi pensieri.

“Mio fratello nutre per voi un interesse particolare, anche se, a volte, non si comporta esattamente come un gentiluomo.[6]

La donna apprezzava l’atteggiamento schietto e sincero del fratellastro del professor Laufeyson, ma in quel momento non riuscì a impedirsi di arrossire visibilmente di fronte alla battuta franca dell’altro.

“Vostro fratello nutre un interesse particolare per le sue ricerche e io l’aiuto, tutto qui,” si schermì, ma sapeva bene a cosa l’altro si riferisse.

“Ne siete innamorata.”

Voce sicura, che non ammetteva repliche e scandagliava, allo stesso tempo, il suo cuore.

Thor lo disse convinto, dando voce a un sentimento che Sigyn non era in grado di occultare né di nascondere. Non riusciva a fare a meno di lui. Ci aveva provato, ma era una guerra da cui sceglieva sempre di uscire sconfitta, che instillava nel suo cuore un desiderio contrario, fiero e allo stesso tempo folle: quello di amare Loki nonostante tutto – nonostante lui. L’attrazione che aveva provato per il suo brillante professore d’archeologia si era trasformata, col tempo, in un amore più maturo e consapevole, certo, ma altrettanto doloroso, che spezzava le vene, soffocava il respiro, non aveva soluzione.

“Subisco il suo fascino. Come molti,” insinuò guardandolo da sotto le ciglia nere.

Thor si rese conto di dove lei volesse andare a parare e si strinse nelle spalle. “Entrambi siamo capaci di riconoscere i suoi pregi e di bilanciarli con i difetti. In qualche modo, credo che siamo vittime della sua sete di conoscenza,” ammise con semplicità.

Era un uomo solido, nato per vivere e morire con la divisa addosso, che si annoiava terribilmente all’idea di dover trascorrere le sue giornate a curare i numerosi possedimenti fondiari della sua famiglia. Per questo aveva colto al volo l’occasione di partecipare a un’avventura di cui capiva solo in parte la valenza storica. L’oro del Reno per lui non era nemmeno una leggenda, ma solamente l’ossessione di un fratello ritrovato al fronte che si era rivelato, in brevissimo tempo, un alleato di cui non era capace di fare a meno. Ignorava che la sepoltura di cui tutti avevano dimenticato l’ubicazione fosse un luogo mitico, così come non gli interessava affatto che generazioni di monaci avessero perso la vista copiando, alla luce fioca di una candela, le descrizioni fantastiche che avrebbero arricchito le trascrizioni di poemi epici, di bestiari medievali, di cronache relative a un tempo perduto e dimenticato.

“Siete innamorata,” sentenziò Thor di nuovo accennando un breve sorriso. “Non vergognatevene. Vi prometto riserbo,” concesse.

“Lo chiamate fratello, avete finanziato quest’avventura,” esordì Sigyn lentamente, sforzandosi di cambiare argomento. “Da quando è finita la guerra, siete inseparabili. Eppure, a guardarvi dall’esterno, sembra che non vi accomuni nulla.”

Thor si sporse verso di lei. “Loki non vi ha raccontato proprio niente?”

Sigyn abbassò lo sguardo. “Ha detto che vi siete picchiati per una sciocchezza; che vi ha salvato la vita. Che Lord Borson era promesso a vostra madre. Nient’altro.”

Thor buttò il capo all’indietro e scoppiò in una risata scrosciante, allegra.

“Conoscendolo, si è esposto persino troppo,” constatò. Si indicò l’occhio cieco, tagliato da una cicatrice che gli segnava la guancia. “Questa ferita me l’ha fatta la scheggia di una granata che mi ha colpito ad Arras. Loki mi ha visto e mi ha salvato la vita e io l’ho salvata a lui.” Arricciò le labbra, perso nel ricordo del conflitto, la mente volta ai compagni che non ce l’avevano fatta, ombre pallide che tormentavano i suoi sogni.

 

Il legame tra quei due fratelli che avevano scoperto troppo tardi di essere tali era complicato, intenso, robustissimo, eppure, allo stesso tempo, basato su un precario equilibrio. Negli anni, entrambi si sarebbero lasciati andare a maggiori confidenze, rivelando, rigorosamente di fronte a un bicchiere di vino e con gli occhi arrossati dall’alcool, alcuni dei dettagli e delle imprese che avevano contribuito ad aumentare i gradi sul loro petto, ma nei primissimi Anni Venti, il ricordo era ancora troppo vicino per essere affrontato col giusto distacco. Nell’attesa che Loki tornasse, Thor continuò a raccontare di quel rapporto fatto di sfida e ammirazione e competizione. Insieme erano una squadra formidabile, come se il sangue che condividevano rendesse più robusta la loro intesa. Sebbene fossero diversi tra loro per indole e inclinazione, studi e interessi, talvolta riuscivano a capirsi solo con uno sguardo, un’occhiata. Un simile affiatamento non poteva essere imputato alle sporadiche occasioni in cui i due avevano parlato del più e del meno a casa di Odino Borson, l’uno in veste di collega giovane e promettente e l’altra di figlio naturale[7], ma aveva radici più profonde: era uno scegliersi, un’elezione particolare che si sarebbe rivelata essere la beffa della natura in persona.

Gli occhi di Sigyn erano orgogliosi e tristi, le sue guance rosse d’emozione: ascoltare le gesta del professor Laufeyson le faceva battere più veloce il cuore nel petto.

 

Loki, spiegò Thor Stormbreaker, al fronte era esattamente come appariva nella vita di tutti i giorni: un uomo superbo arrogante, assertivo, con la lingua troppo lunga, che riteneva di essere più intelligente del suo prossimo, tutto. E sapeva farlo pesare. Ma la cosa peggiore, quella che più aveva fatto innervosire Thor, era stata la pretesa, sfoggiata da Loki in più d’una occasione, di essersi fatto da solo e di dovere la sua fortuna e il suo ruolo al fatto di esserne, semplicemente, degno.

“Io e Loki siamo fratelli due volte. Di sangue e per scelta. I tedeschi ci catturarono assieme ad altri dei nostri e noi fuggimmo prima che ci portassero in qualche campo di prigionia in Germania o in Austria. Rischiammo di morire infinite volte e una notte, quando eravamo quasi certi di non farcela, mi raccontò un paio di aneddoti su sua madre e allora capii chi fosse e glielo dissi. Non mi volle credere e allora lo afferrai per il bavero del cappotto e glielo ripetei ancora e ancora, finché non si convinse. Il giorno dopo, persi l’occhio e lui mi salvò la vita.”

Lord Stormbreaker aveva parlato schiettamente, ma un guizzo inquieto animò il suo unico occhio d’un blu intenso, a quel ricordo. Sigyn se ne accorse, ma non disse nulla. La rivelazione amara aveva afferrato la mente dell’ex ufficiale riportandolo a quella notte terribile in cui aveva creduto di morire, mentre la pioggia si trasformava in una neve leggera che, per fortuna, non avrebbe attecchito.

“Non ti sei accorto, tenente Laufeyson,” gli aveva detto stringendo la stoffa, “che Lord Borson, il tuo mentore e amico, mio padre, ti assomiglia non solo nel carattere, ma anche nell’aspetto? Lasciò mia madre, incinta, sull’altare, per scappare con la tua. Siamo fratelli. Sei suo figlio anche tu! Ti ha spianato la carriera perché vinto dal senso di colpa, come ha fatto con me.”

Questo gli aveva detto e Loki si era liberato per poi indietreggiare, colpito da quella scoperta che aveva il sapore amaro di una maledizione, incapace di sopportare il peso della menzogna, di leggere in una chiave nuova il rapporto strettissimo che aveva instaurato con Thor.

 

 

 

La ricerca del tesoro della perduta e mitica Asgard, che riempiva i poemi scaldici ricchi di figure retoriche e di kennings, rappresentava un modo, per Thor e Loki, di superare gli strascichi indimenticabili della guerra e provare a dare un nuovo corso alle loro vite. Niente, nessuna cosa avrebbe mai potuto essere come prima e allora tanto valeva rendere reali desideri, sogni e speranze, piegare al proprio volere il destino. Attività superba, quest’ultima, soprattutto se l’oggetto delle ricerche in cui si erano gettati i due uomini scomodava miti antichi e divinità perdute. Il nome di Asgard raschiava le loro gole, carico di tutta la potenza del mito e l’oscurità che si tirava dietro una città d’oro che, si diceva, fosse stata eretta dal dio delle forche e della poesia in persona.

Loki tornò al tavolo e ordinò dell’altra birra; la mascella contratta e lo sguardo mobile e nervoso non lasciavano presagire nulla di buono o consolante.

“Cattive notizie?” domandò Thor, sistemandosi meglio sulla sedia.

“Peggio, nessuna. Avevo supposto che Odino si trovasse ormai nei pressi di Colonia, invece nessuno dei miei contatti lo ha ancora intercettato,” s’innervosì.

“Forse ha tardato,” fu la replica asciutta dell’altro.

Loki gli rivolse un’occhiata feroce. “Tuo padre non tarda, Thor. Arriva in anticipo, piuttosto.”

“Temi che possa aver già trovato il tesoro?”

“No,” replicò l’archeologo con lentezza. “E se anche fosse riuscito a raggiungere la Gola del Reno prima di noi, non entrerebbe immediatamente.”

“Perché?” domandò Thor, “per via della maledizione? Ci credete davvero?” rise, guardando ora il fratello ora la sua assistente.

Sigyn tirò fuori dalla borsa una cartella in cuoio che conteneva diversi taccuini e ne aprì alcuni: contenevano, scritti a matita e a penna con grafie ora lente e curate, ora frettolose, una lunga serie di appunti.

Loki le gettò un’occhiata distratta solo all’apparenza e prese a spiegare. “I ladri di tombe esistono da sempre, Thor: le maledizioni sono semplicemente un modo comodo per spaventare i più deboli tra loro, un tentativo di dissuadere e allontanare i predoni. L’oro del Reno non fa eccezione, ma la sua particolarità è che si trattava di una leggenda quando ancora non era nemmeno stato sepolto,” spiegò.

Un sorriso furbo gli illuminava il viso affilato; prese a raccontare i dettagli più curiosi che aveva appreso leggendo e studiando i manoscritti di Iordane, di Paolo Diacono, di Beda il Venerabile, di Snorri Sturloson e di altri monaci dai nomi oscuri, inghiottiti dal tempo[8]. Il tesoro era ciò che rimaneva di una città perduta che, si diceva, fosse abitata dagli dèi Æsir in persona – un popolo guerriero che si era stanziato in quelle terre, le cui storie si erano confuse con le canzoni dei poeti e dei bardi – aggiunse Loki con un’alzata di spalle[9]. La storia, tuttavia, aveva assunto i contorni del mito: tre Asi avevano ucciso, per errore, un essere magico tramutato in lontra. Da lì, si dipanava una storia fatta di promesse e di magie, di vendette, di amore e, infine, di morte[10]. La conclusione di quella che, alle orecchie di Thor, suonò come una fiaba per bambini, era una leggenda nella leggenda, ancora più cupa della prima: i favolosi e potenti dèi degli Æsir, dopo aver consegnato agli uomini un tesoro maledetto che aveva provocato infiniti lutti e sanguinose guerre, erano stati sconfitti, a loro volta, da un destino amaro e terribile.

“Quella che inseguiamo noi, è una variante della ben nota trama del Crepuscolo degli dèi, quello di Wagner,” concluse Loki.

“Mi hai parlato di una sepoltura piena di tesori, ora mi racconti un’opera lirica crucca.”

“Se avessi iniziato dall’opera lirica crucca, temo non mi avresti mai dato ascolto, né finanziato, fratello,” ghignò l’archeologo.

“Secondo un’antica versione de La Canzone di Reginn,” spiegò Sigyn, “un grande tesoro venne sepolto in una cascata qui, nella Gola. Pare che derivasse dalle ultime vestigia di Asgard, la città d’oro degli Æsir: gli dèi vichinghi avevano qualità particolari, molto umane,” spiegò la ragazza, lanciando di tanto in tanto uno sguardo irrimediabilmente dolce a Loki. “Erano predoni,” continuò la ragazza, “dediti spesso all’imbroglio, all’inganno, in perenne lotta con i loro vicini, i Giganti. Nonostante la loro immensa potenza militare, però, le Norne, le divinità che filano il destino di tutti, avevano deciso che, un giorno, anche a loro sarebbe toccato morire. Così, Asgard venne distrutta da Surtur, un Gigante di Fuoco. Più probabilmente, la popolazione nota come Æsir fu sterminata dopo una rovinosa campagna militare e la loro favolosa città data alle fiamme. Parte del tesoro, però, pare che seguì il corso del Reno fino a… questo punto. Ecco perché è tanto importante trovare la sepoltura. È la traccia di una civiltà scomparsa,” terminò semplicemente la ragazza.

“Dovresti riordinare i tuoi appunti e pubblicarli,” sentenziò Loki alzandosi. La serata era terminata, l’ultima tappa del loro viaggio li aspettava. Sigyn pensò che fosse bello e che forse Thor aveva ragione: amare Loki era qualcosa che non poteva fare a meno di fare, cui non desiderava affatto rinunciare, anche se il suo spirito inquieto e caotico lo avrebbe spinto sempre all’inseguimento di ciò che nessun altro uomo osava cercare né scoprire. Una vita vissuta al limite, trascorsa alla ricerca di qualcosa che lo facesse sentire vivo e cancellasse il trauma nascosto, ma senz’altro presente, della guerra. Al ricordo delle notti insonni che aveva trascorso negli anni, passate a chiedersi se il professor Laufeyson fosse vivo o morto, le si strinse lo stomaco: non era pronta a immaginarlo di nuovo in pericolo e persino quella spedizione ambiziosa era coperta da una cappa tetra che la maledizione antica degli avidi e feroci Æsir poteva spiegare solo in parte.

Non sarebbe riuscita ad accettare di nuovo che Loki fosse sotto il tiro di un nemico, neppure quando, molti anni dopo di allora, in un’altra guerra, una pallottola avrebbe finito davvero per strappare la vita all’astuto archeologo. A partire da quel giorno, un’ombra scura le avrebbe per sempre velato lo sguardo grigio.

Ma questa è un’altra storia o, forse, no, è la stessa, perché le vite degli uomini seguono percorsi inauditi e strani e fantasiosi, tali che la letteratura e l’immaginazione dello scrittore non sono spesso in grado di inventarne di simili e altrettanto fantastici. Di questo, Sigyn un giorno ne avrebbe avuto un’amara prova, ma durante il viaggio verso quell’Europa sconvolta, impegnata a leccarsi le ferite scavate dalle trincee che l’avevano attraversata per tre lunghi anni e a ricostruire quello che era stato distrutto, ignorò i presagi che la ricerca del tesoro maledetto portò, inevitabilmente, con sé.

 



[1] Come spiegato nel precedente capitolo.

[2] Qui Loki e Thor sono figli naturali di Odino e, quindi, hanno cognomi diversi. Spero possiate apprezzare la fantasia.

[3] Controffensiva inglese in territorio francese contro i tedeschi.

[4] È nota veramente per chiamarsi così, esiste https://it.wikipedia.org/wiki/Gola_del_Reno e qui è ambientato il Crepuscolo degli dèi di Wagner, che si ispira, ma va’, all’Edda. ^^

[5] La Società delle Nazioni è l’antesignana dell’attuale ONU. Alla fine della Prima Guerra Mondiale in questa sede si quantificò il costo ingentissimo delle riparazioni di guerra della Germania, paese che risultò sconfitto (riparazioni che furono finite di pagare non troppo tempo fa). Tale debito generà una crisi che creò – tra le altre cose e insieme ad altri fattori – le basi per l’instaurazione di un regime totalitario ben noto. Si tratta di una spiegazione semplicistica, ma questa è una fanfiction, non un libro di storia!

[6] Thor parla con Sigyn dandole del voi. Con questo escamotage si rende più formale un dialogo ambientato nel 1919. Loki e Sigyn si sono dati del voi nel capitolo 1 del racconto, quando non erano in confidenza, ma del “tu” dopo aver iniziato una relazione amorosa, seppur breve.

[7] Col termine “figlio naturale” si indicano/indicavano quelli avuti al di fuori del contratto di matrimonio. Un modo più elegante di dire “bastardo,” insomma.

[8] Tutti nomi veri: Beda il Venerabile fu uno storico vissuto in Bretagna del VII secolo d.C., Paolo Diacono è l’autore dell’Historia Langobardorum, Iordane De origine actibusque Getarum, Snorri Sturloson è il monaco islandese che trascrisse l’Edda in prosa.

[9] Volutamente discorso indiretto.

[10] La storia in questione è quella legata alle vicende di Sigurd e Brunilde, ambientate proprio nella gola del Reno. Tali vicende sono narrate nell’Edda poetica e vedono Loki come protagonista, assieme a Odino.

   
 
Leggi le 27 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: shilyss