Capitolo 2
L’Oro
del Reno
I couldn't find quiet
I went out in the rain
I was just soakin' my head to
unrattle my brain
Somebody said you disappeared in a
crowd
I didn't understand then
I don't understand now
[..] And everybody was gone
I was standing in the street 'cause
I was trying not
to crack
I was solid gold
I was in the fight
I was coming back from what seemed
like a ruin
I couldn't see you coming so far
I just turn around and there you are
(The National, Pink rabbit)
Claudette
si soffermava sempre sulle fotografie che decoravano la stanza di sua
nonna.
Sigyn era una donna sottile, con la schiena leggermente curva e
l’ovale del
viso segnato inesorabilmente dal tempo; la sua figura ispirava un senso
di
fragilità sempre maggiore, aumentato dalla
facilità con cui il passato più
recente le sfuggiva dalla mente. A volte era difficile e strano, per
Claudette
come per gli altri membri della sua famiglia, ricordare che
l’anziana era stata
una ragazza vivace e coraggiosa e bella, trasformatasi in una donna
vitale e
forte, capace persino di imporsi e brillare in un ambito accademico che
aveva
sempre favorito gli uomini e sopportare una vedovanza lunga decenni. A
testimoniare il tempo lontano della giovinezza smarrita,
c’erano molte
fotografie in bianco e nero. Claudette ne amava una in particolare:
nello
scatto, sua nonna era a cavallo con i capelli raccolti in una lunga
treccia
spessa che le scendeva fin sul seno. Indossava stivali da cavallerizza
e un
paio di pantaloni su una camicia chiara. Accanto a lei, abbigliato
praticamente
nello stesso identico modo a eccezione delle calzature, c’era
suo nonno. Loki
Laufeyson portava un cappello a coprirgli parzialmente il viso, mentre
una
bandoliera tenuta ad armacollo spiccava sul torace ampio e largo. Non
sorrideva
all’obiettivo, anzi: fissava Sigyn con aria guardinga e il
movimento del suo
braccio pareva suggerire che stesse dando all’animale
l’ordine di partire
perlomeno al trotto.
La
ragazza rivolse alla fotografia un sorriso dolce, di commiato, e
tornò ad
aprire cassetti, in cerca del regalo antico che la nonna aveva ricevuto
dal
nonno, sì, ma quando? Increspò le labbra in
un’espressione di disappunto,
perché era strano parlare di Loki Laufeyson in quei termini.
Era e sarebbe
stato sempre l’astuto membro della Resistenza fucilato in un
piazzale, che
aveva lasciato troppo presto la famiglia, eternamente giovane negli
scatti in
bianco e nero che lo ritraevano fiero e avevano catturato, ma solo in
parte, lo
spirito indomito e insolente del cacciatore di tesori.
Sovrappensiero,
Claudette aprì un cassetto e vide una catenella spuntare da
sotto dei foulard
di seta ben impilati.
“Nonna,
è questa?” domandò tirando fuori il
grazioso oggetto.
Vedendo
la bussola, Sigyn sgranò gli occhi e
l’afferrò come fosse la più preziosa
delle
reliquie. La prese in mano tremando, attribuendo all’oggetto
più valore di
quanto non sembrava dimostrarne, tanto che la ragazza fu tentata di
chiederle
se fosse fatta d’oro.
“Quando
te l’ha regalata?”
L’anziana
studiosa si sistemò meglio gli occhiali sul naso,
accarezzò l’incisione che ne
impreziosiva il coperchio – un lupo e un drago marino stretti
insieme – e
rispose alla nipote senza guardarla, gli occhi persi in un passato
senza nome,
ma indimenticato, scolpito nella sua anima con a una tale
profondità che, forse,
nessuna malattia l’avrebbe privata di quel ricordo. “Quando
uscì da Asgard,” soffiò.
“Asgard?
Tu e il nonno non avete mai trovato Asgard.”
“Io
non l’ho mai vista, ma lui sì.”
♥
Strasburgo, 1919
Assistente,
amica, amante. No, quello no,
non lo sarebbe tornata
a essere mai più. Respiravano la stessa aria e le loro
labbra, nella penombra,
erano troppo vicine. Presto si sarebbero sfiorate lambendosi appena,
per poi
cercarsi con urgenza, cariche di un desiderio che settimane, mesi e
anni di
studio e di lontananza avevano solo acuito. Sentì il braccio
di Loki cingerle
la vita per avvicinarla al suo torace asciutto, al suo odore di cuoio e
pelle.
Lo detestava. Gli aveva scritto decine di lettere, dopo che lui era
tornato a
combattere al fronte – dopo che la loro relazione si era
confusa e complicata
tra le soffici lenzuola di un letto, ma l’archeologo aveva
pensato bene di non
risponderle mai. Era arrivata a pensare che fosse morto, e allora un
brivido
gelido le era corso lungo la schiena e lo stomaco le si era stretto in
una
morsa glaciale, perché gli occhi chiari di Loki, spalancati
e fissi verso un
cielo cieco e lontano, erano qualcosa che non riusciva a immaginare,
così come
era troppo doloroso pensare che il suo corpo scattante e forte potesse
essersi
irrigidito nel gelido abbraccio della morte in una terra straniera e
lontana.
Sì,
Sigyn lo odiava anche in quel momento, mentre
una mano audace le carezzava la vita per poi ghermirle la stoffa della
giacca, saggiandole
la pelle tesa sotta di essa. Per un momento, si lasciò
trascinare dal caos di
quella situazione. Per un istante, uno solo, dimenticò il
tesoro e,
soprattutto, che lui si era spezzato
nei campi di battaglia invasi dal filo spinato che avevano diviso in
due
l’Europa in fiamme. Gli sfiorò la guancia
affilata, leggermente ispida, desiderando
abbandonarsi a un bacio, uno soltanto, ma poi pensò al
giorno successivo e a quello
dopo ancora: cosa sarebbe stato di loro e delle ricerche che stavano
portando
avanti, se avessero di nuovo oltrepassato il confine tra rapporto
professionale
e amore, di qualunque natura fosse?
“Professor Laufeyson, non
dovremmo,” gli sussurrò
sulle labbra e immaginò di non dirlo e di baciarlo, invece,
perché era
innamorata di lui da quando ancora sedeva sui banchi
dell’università e rimaneva
incantata ad ascoltarlo, anche se lo aveva capito più tardi,
davanti a una
tazza di tè[1].
Lui
si sorprese per quella frase, perché era da prima della
Grande Guerra che aveva
iniziato a chiamarlo per nome. Lo ricordavano perfettamente entrambi.
“Non
dovremmo perché, quando sei sobrio, non vuoi avere
legami,” aggiunse decisa,
posandogli le mani sul petto per allontanarlo. Un gesto delicato,
lieve, cui
non seguì alcuna spinta. L’altro rispose con una
smorfia del bel viso affilato
e la liberò immediatamente, spezzando così
l’incanto. Le regalò uno sguardo
ardente, quasi crudele, perché, probabilmente, non aveva
bevuto poi così tanto
e doveva essersi accorto, nonostante la penombra, di come il viso di
lei fosse
rosso dall’emozione.
Sigyn
si lisciò le pieghe inesistenti della gonna. La guerra le
aveva portato via
troppe cose, anche l’amore.
“Ho appena accettato di tornare a essere la
tua assistente solo per un motivo, lo sai. Non abbiamo
tempo.”
Implacabile,
altera, offesa. Una principessa.
Che aveva
cercato di essere indifferente alla corte insistente di un cacciatore
di tesori
bugiardo, venuto a cercarla non perché se l’era
portata a letto nelle brevi
settimane di una licenza invernale, né per premiare la
fedeltà che lei gli
aveva tributato occupandosi, in sua vece, di certi affari personali e
scrivendogli lettere argute e mai sdolcinate in attesa che tornasse.
No, Loki
si era presentato poche settimane prima alla sua porta, con ancora la
divisa
militare addosso, di nuovo,
cercando
non la donna, ma la studiosa esperta di rune, l’assistente su
cui lui aveva
scommesso.
Quando
se l’era ritrovato davanti, a pochi passi dal portico della
casa di campagna
che era stata dei suoi genitori, il primo impulso di Sigyn era stato
quello di
afferrare il fucile appeso all’ingresso e sparargli.
Vedendola con l’arma in
mano, Loki aveva aggrottato le sopracciglia e, lesto come un gatto, si
era
gettato di lato, in mezzo a una siepe. Lei aveva premuto il grilletto
davvero e
l’archeologo, rialzandosi, aveva commentato che
sì, forse avevano ancora qualche
conto in sospeso, ma l’aveva
fatto regalandole il più tetro e affascinante dei suoi
ghigni, perché adorava
vederla infuriata.
“Sono
qui per proporti di partecipare alla più grande caccia al
tesoro del secolo,”
aveva spiegato, “non per farti finire quello che i crucchi
hanno iniziato. So
dov’è l’oro
del Reno e… Asgard.”
Così
l’aveva convinta: stuzzicando la sua sete di conoscenza e
allettandola con la
prospettiva di porre anche il suo nome in calce a una scoperta come non
ce ne
sarebbero state altre; solo che Sigyn non era riuscita né
aveva voluto dargli
immediatamente il suo assenso, perché il ricordo delle notti
in cui le labbra
beffarde dell’archeologo si erano posate sulle sue per poi
scoprirle con
infinita lentezza il collo e il seno – prendendosi lei, cuore e corpo e mente –
erano dolci e dolorose insieme.
Parlavano di un amore non corrisposto o non inteso alla stessa maniera.
Eppure,
la spedizione diveniva ogni giorno più reale. Merito del
coinvolgimento di Thor
Stormbreaker[2],
alleato, amico, fratello ritrovato su un campo di battaglia. Si era
ritagliato
il ruolo di finanziatore non perché gli interessasse
particolarmente infilarsi
in qualche caverna o scavare un sito archeologico, ma per dare lustro
al suo
casato, riportandolo ai vecchi fasti di qualche generazione prima e
perché
amava l’avventura – anzi, ne aveva bisogno.
“Dobbiamo
arrivare prima di Odino. Batterlo sul tempo è la nostra
unica possibilità. I
suoi corvi sono già
sulle nostre
tracce, così hai detto,” gli ricordò
caustica, spostando lo sguardo grigio
sulla mappa aperta sopra il tavolo dello studio. Aveva le labbra gonfie
per i
baci che si erano scambiati, il cuore in tumulto.
Il
termine ironico che aveva usato per indicare i nuovi seguaci di Lord
Borson
strappò a Loki un ghigno divertito. Era stato lui ad
affibbiare con malcelato
disprezzo quell’epiteto ai signori Huginn e Muninn, questi i
loro nomi. Colpa
degli abiti perennemente cupi che indossavano e dell’aria
lugubre che si
tiravano dietro, aveva spiegato cattivo.
“E
così, alla fine, ti ho convinta.”
Loki
Laufeyson lo disse arricciando le labbra in un sorriso trionfante,
perché lei
aveva ceduto alla sua richiesta. Detestava chiedere poiché
aveva l’animo di un
principe, ma era bravo a convincere e a irretire il prossimo; sapeva
scovare i
punti deboli dei suoi ascoltatori e conosceva il modo per far leva su
di essi
in modo tale da piegarli senza che questi se ne accorgessero. Sigyn,
che
conosceva benissimo questa sua abilità, aveva tentato di
opporsi alla sua corte
serrata, ma alla fine aveva deciso di capitolare in nome della
possibilità di
essere trattata da uno studioso della levatura di Loki come una pari.
Qualsiasi
altro professore universitario l’avrebbe relegata a fare la
dattilografa o la
segretaria, invitandola a sposarsi e a mettere su famiglia
com’era giusto che
facesse una donna, assegnandole mansioni blande e poco interessanti,
oppure
avrebbe criticato il suo interessamento alla questione del voto, mentre
Loki le
aveva sempre concesso una parità tagliente.
“Voglio
partecipare a una spedizione archeologica riguardo un sito su cui sono
preparata.
Molto preparata,” sospirò lei.
Lui
inclinò
appena il capo da un lato, fissandola ammirato. “Ambiziosa.
Ero sicuro che
avresti accettato.”
“Sei
arrogante e superbo. L’hai chiesto a me perché non
ti fidi di nessun altro,
anzi: non ritieni che ci possano essere altri studiosi in grado di
farti da
assistente senza una formazione adeguata e non hai tempo di addestrarne
di
nuovi.”
Loki,
colpito dall’acutezza del suo ragionamento, rise brevemente.
“Sei l’unica, è
vero. Non ne sei lusingata? O dovrei trattarti come una dolce dama da
proteggere per quello che è successo tra noi?”
Erano
di nuovo lì, nell’appartamento elegante tappezzato
di libri dell’archeologo,
nelle stanze che avevano visto consumarsi la loro relazione. Il
tramonto
coperto di nubi regalava una luce fredda e giallastra allo studio
– quella
notte sarebbe scoppiato un temporale.
L’oro
del Reno era una
leggenda, un mito racchiuso
nei polverosi libri di mitologia che occupavano gli scaffali della
biblioteca
di famiglia. Un’ossessione che il giovane professor Laufeyson
aveva inseguito
invano, senza mai trovare, corroso da una febbre che ricordava quella
di certe
figure dei poemi, che sacrificavano ogni cosa in loro possesso, anche
la più
preziosa, per correre dietro a una chimera o per il gusto di sfidare a
testa
alta i propri avversari. Le scoperte che lo avrebbero reso celebre
sarebbero
state altre – quelle fatte nella penisola scandinava, in Gran
Bretagna e in
Francia più tardi, verso la fine degli Anni Venti
– ma la gara per scovare ciò
che restava della favolosa Asgard coinvolgeva la sfera personale: era
la
stoccata che il brillante studioso desiderava infliggere a Odino
Borson. Una faida
familiare, dunque, che si mescolava alla carriera e metteva in mezzo
persino il
desiderio e la passione.
Sigyn
lo sapeva, lo ricordava, ed era stata la testimone della frattura
avvenuta tra
l’archeologo e il suo mentore. L’affascinante
professor Laufeyson, capace di
incantare qualunque interlocutore grazie al potere della sua voce roca
e
ironica, era imprigionato in una solitudine nera, che pesava sulle sue
spalle
come una cappa. Chi sapeva osservare con la dovuta attenzione lo
studioso, avrebbe
potuto scorgere il contrasto tra il tono di voce sempre ironico e
sicuro e la
ferocia dello sguardo verde e aguzzo, che si posava rapido su ogni cosa
analizzandola fin nella sua essenza. Nella profondità degli
occhi chiari di
Loki, Sigyn aveva letto il bisogno di trovare il tesoro per vendicarsi
dell’inganno supremo, per infrangere il vincolo che ancora lo
legava a Odino
Borson sottraendogli l’unica cosa che condividevano e che per
lui aveva
importanza. Loki era cambiato. La scintilla di una follia insana, che
sapeva di
vendetta, brillava nel suo sguardo, spaventandola e attraendola
insieme. Non
poteva permettere che andasse da solo – aveva ancora il
sapore delle sue labbra
beffarde sulla bocca – ma non doveva cadere di nuovo nella
rete di una
relazione che, Sigyn lo ricordava, l’aveva già
spezzata, distrutta.
♥
Da qualche parte
lungo il corso del
fiume Reno, in Germania, 1920
“Mio
fratello nutre per voi un interesse particolare, anche se a volte non
si
comporta esattamente come un gentiluomo.” Sir Thor aveva
perso un occhio ad
Arras[3],
in un incidente aereo durante la controffensiva britannica in
territorio
francese. Tale circostanza, lo rendeva incredibilmente simile al padre
suo e di
Loki, Lord Borson. Questo, assieme ai capelli corti e biondi e al viso
abbronzato dal sole, gli regalavano un’aria fiera, da
combattente, che
contrastava con i lineamenti affilati e virili, ma eleganti, di Loki.
Erano
in viaggio da diversi giorni verso quel punto della Germania ancora
sconfitta
dove, secondo Laufeyson, era ragionevole che ci fossero tracce della
tomba che
si diceva essere stata d’un mostro, di un re guerriero, di
entrambi. La
spedizione si era trasformata in una lotta contro il tempo,
perché anche Lord Odino
aveva deciso di raggiungere il presunto sito dell’oro del Reno e, purtroppo, non era
l’unico. Qualcun altro si
era gettato sulle tracce del
mitico tesoro: un magnate o un capo di Stato si era messo in testa di
foraggiare uno studioso tedesco, Malekith Von Svarthelfheim,
affinché scovasse
per primo la sepoltura, rivendicandone in tal modo la scoperta. La
squadra di
Loki aveva un vantaggio sulle altre, ma solo momentaneo; merito del
libro
d’appunti che quest’ultimo aveva trafugato a Odino
e che conteneva la copia,
ricalcata con cura in un vecchio monastero italiano, della mappa oscura
contenuta
in un antico codice.
Il
vecchio Lord era convinto che il sito della fantastica sepoltura fosse
oltre
una valle, nei pressi di Colonia, mentre Loki riteneva che si trovasse
molto
più a nord, in quella che era nota come la Gola
del Reno[4].
La frase che indicava esattamente il punto dove iniziare
l’esplorazione
assomigliava, tanto da sembrarne un calco perfetto, al verso di un
antico poema
d’amore, che indicava, appunto, un luogo differente da quello
individuato da
Borson. Sigyn e Loki si erano confrontati – o, per meglio
dire, scontrati – a
lungo sul distico troppo simile per essere una coincidenza.
Raccogliere
dati e osservare erano i compiti principali di uno studioso che si
rispetti, ma
non i soli. Interrogare uomini e donne morti in un altro tempo
attraverso ciò
che era rimasto di loro, saper scorgere oltre le righe di un verso o di
una
ceramica riportata agli antichi fasti dopo aver tolto dalla sua
superficie
terra e polvere, era un’abilità che necessitava di
rispetto, calma, pazienza e
curiosità. L’indizio che Odino si era rifiutato di
guardare o, semplicemente,
di interpretare nel corretto modo, su cui si era lambiccato per una
vita
intera, si era rivelato, quasi casualmente, al professor Laufeyson e
alla sua
assistente, solo in virtù della lettura sensibile di
quest’ultima, che si era
ricordata della somiglianza con una nenia d’amore antica e
quasi dimenticata.
La
spedizione volta a scoprire l’ultima e unica traccia terrena
di Asgard era
iniziata nell’alba ancora fumosa di un nuovo decennio in cui
l’Europa sarebbe
stata ancora corrosa e lacerata dalle numerosissime tensioni irrisolte
che gli
anni trascorsi in trincea non avevano sedato, ma amplificato. Alcuni,
come Loki
e Thor, avrebbero tentato di incanalare il loro bisogno di superare
l’esperienza della Grande Guerra e tutte le considerazioni e
le scoperte, che
quest’ultima aveva inciso sulla loro pelle, nella ricerca di
tesori perduti,
nel desiderio di sentirsi vivi andando a caccia di miti. Altri
avrebbero
rivolto lo sguardo altrove – alle promesse di una vita
migliore, alle
condizioni sempre uguali a se stesse, alle richieste fatte ai governi
rimaste inascoltate,
alle vendette e alle sconfitte.
Era
sera. I due fratelli avevano parlato a lungo, a cena in una piccola
locanda,
del costo delle riparazioni di guerra stabilito dalla
Società delle Nazioni;
Thor sosteneva che fosse una decisione legittima e giusta e aveva
ricordato
l’occhio perso in una missione. Loki l’aveva
fissato con una smorfia tirata e,
con voce lenta, bagnandosi appena le labbra sottili con un boccale di
birra,
aveva sentenziato che molte cose erano giuste, ma non tutte potevano
trovare
applicazione nella realtà. A suo parere, la
Società delle Nazioni aveva
esagerato, richiedendo un prezzo troppo alto alla nazione sconfitta.
Era
seguita una discussione animata, in cui nessuno dei due uomini aveva
ceduto
sulla propria posizione[5];
poi, Loki era andato a controllare se fosse arrivato qualche telegramma
circa
la posizione di Odino o di Von Svarthelfheim, mentre lei era rimasta
lì,
assieme a Thor, che li aveva visti la sera prima scambiarsi un bacio
fuggevole
e intenso, dato perché si erano giurati che non doveva
più capitare, di cedere
all’amore. Solo che i lunghi mesi trascorsi tra la fine della
guerra e la messa
a punto di quella spedizione, a cui lei doveva partecipare a ogni
costo,
l’avevano portata a vivere troppo tempo assieme
all’archeologo.
C’era
ricaduta un’altra volta.
Lo
aveva fatto e non riusciva a pentirsene, anche se il suo cuore era
lacerato
dalla consapevolezza di chi fosse, Loki Laufeyson.
La
domanda del ricco inglese la distolse dai suoi pensieri.
“Mio
fratello nutre per voi un interesse particolare, anche se, a volte, non
si
comporta esattamente come un gentiluomo.[6]”
La
donna apprezzava l’atteggiamento schietto e sincero del
fratellastro del
professor Laufeyson, ma in quel momento non riuscì a
impedirsi di arrossire visibilmente
di fronte alla battuta franca dell’altro.
“Vostro
fratello nutre un interesse particolare per le sue ricerche e io
l’aiuto, tutto
qui,” si schermì, ma sapeva bene a cosa
l’altro si riferisse.
“Ne
siete innamorata.”
Voce
sicura, che non ammetteva repliche e scandagliava, allo stesso tempo,
il suo
cuore.
Thor
lo disse convinto, dando voce a un sentimento che Sigyn non era in
grado di
occultare né di nascondere. Non riusciva a fare a meno di
lui. Ci aveva
provato, ma era una guerra da cui sceglieva sempre di uscire sconfitta,
che
instillava nel suo cuore un desiderio contrario, fiero e allo stesso
tempo
folle: quello di amare Loki nonostante tutto – nonostante lui. L’attrazione che aveva
provato per il suo brillante professore
d’archeologia si era trasformata, col tempo, in un amore
più maturo e consapevole,
certo, ma altrettanto doloroso, che spezzava le vene, soffocava il
respiro, non
aveva soluzione.
“Subisco
il suo fascino. Come molti,” insinuò guardandolo
da sotto le ciglia nere.
Thor
si rese conto di dove lei volesse andare a parare e si strinse nelle
spalle. “Entrambi
siamo capaci di riconoscere i suoi pregi e di bilanciarli con i
difetti. In
qualche modo, credo che siamo vittime della sua sete di
conoscenza,” ammise con
semplicità.
Era
un uomo solido, nato per vivere e morire con la divisa addosso, che si
annoiava
terribilmente all’idea di dover trascorrere le sue giornate a
curare i numerosi
possedimenti fondiari della sua famiglia. Per questo aveva colto al
volo
l’occasione di partecipare a un’avventura di cui
capiva solo in parte la valenza
storica. L’oro del Reno
per lui non
era nemmeno una leggenda, ma solamente l’ossessione di un
fratello ritrovato al
fronte che si era rivelato, in brevissimo tempo, un alleato di cui non
era
capace di fare a meno. Ignorava che la sepoltura di cui tutti avevano
dimenticato l’ubicazione fosse un luogo mitico,
così come non gli interessava
affatto che generazioni di monaci avessero perso la vista copiando,
alla luce
fioca di una candela, le descrizioni fantastiche che avrebbero
arricchito le
trascrizioni di poemi epici, di bestiari medievali, di cronache
relative a un
tempo perduto e dimenticato.
“Siete
innamorata,” sentenziò Thor di nuovo accennando un
breve sorriso. “Non
vergognatevene. Vi prometto riserbo,” concesse.
“Lo
chiamate fratello, avete finanziato
quest’avventura,” esordì Sigyn
lentamente,
sforzandosi di cambiare argomento. “Da quando è
finita la guerra, siete
inseparabili. Eppure, a guardarvi dall’esterno, sembra che
non vi accomuni
nulla.”
Thor
si sporse verso di lei. “Loki non vi ha raccontato proprio
niente?”
Sigyn
abbassò lo sguardo. “Ha detto che vi siete
picchiati per una sciocchezza; che
vi ha salvato la vita. Che Lord Borson era promesso a vostra madre.
Nient’altro.”
Thor
buttò il capo all’indietro e scoppiò in
una risata scrosciante, allegra.
“Conoscendolo,
si è esposto persino troppo,” constatò.
Si indicò l’occhio cieco, tagliato da
una cicatrice che gli segnava la guancia. “Questa ferita me
l’ha fatta la
scheggia di una granata che mi ha colpito ad Arras. Loki mi ha visto e
mi ha
salvato la vita e io l’ho salvata a lui.”
Arricciò le labbra, perso nel ricordo
del conflitto, la mente volta ai compagni che non ce
l’avevano fatta, ombre
pallide che tormentavano i suoi sogni.
Il
legame tra quei due fratelli che avevano scoperto troppo tardi di
essere tali
era complicato, intenso, robustissimo, eppure, allo stesso tempo,
basato su un
precario equilibrio. Negli anni, entrambi si sarebbero lasciati andare
a
maggiori confidenze, rivelando, rigorosamente di fronte a un bicchiere
di vino
e con gli occhi arrossati dall’alcool, alcuni dei dettagli e
delle imprese che
avevano contribuito ad aumentare i gradi sul loro petto, ma nei
primissimi Anni
Venti, il ricordo era ancora troppo vicino per essere affrontato col
giusto
distacco. Nell’attesa che Loki tornasse, Thor
continuò a raccontare di quel
rapporto fatto di sfida e ammirazione e competizione. Insieme erano una
squadra
formidabile, come se il sangue che condividevano rendesse
più robusta la loro
intesa. Sebbene fossero diversi tra loro per indole e inclinazione,
studi e
interessi, talvolta riuscivano a capirsi solo con uno sguardo,
un’occhiata. Un
simile affiatamento non poteva essere imputato alle sporadiche
occasioni in cui
i due avevano parlato del più e del meno a casa di Odino
Borson, l’uno in veste
di collega giovane e promettente e l’altra di figlio naturale[7],
ma aveva radici più profonde: era uno scegliersi,
un’elezione particolare che
si sarebbe rivelata essere la beffa della natura in persona.
Gli
occhi di Sigyn erano orgogliosi e tristi, le sue guance rosse
d’emozione:
ascoltare le gesta del professor Laufeyson le faceva battere
più veloce il
cuore nel petto.
Loki,
spiegò Thor Stormbreaker, al fronte era esattamente come
appariva nella vita di
tutti i giorni: un uomo superbo arrogante, assertivo, con la lingua
troppo
lunga, che riteneva di essere più intelligente del suo
prossimo, tutto. E
sapeva farlo pesare. Ma la cosa peggiore, quella che più
aveva fatto innervosire
Thor, era stata la pretesa, sfoggiata da Loki in più
d’una occasione, di essersi
fatto da solo e di dovere la sua fortuna e il suo ruolo al fatto di
esserne,
semplicemente, degno.
“Io e
Loki siamo fratelli due volte. Di sangue e per scelta. I tedeschi ci
catturarono assieme ad altri dei nostri e noi fuggimmo prima che ci
portassero
in qualche campo di prigionia in Germania o in Austria. Rischiammo di
morire
infinite volte e una notte, quando eravamo quasi
certi di non farcela, mi raccontò un paio di
aneddoti su sua madre e allora
capii chi fosse e glielo dissi. Non mi volle credere e allora lo
afferrai per
il bavero del cappotto e glielo ripetei ancora e ancora,
finché non si
convinse. Il giorno dopo, persi l’occhio e lui mi
salvò la vita.”
Lord
Stormbreaker aveva parlato schiettamente, ma un guizzo inquieto
animò il suo
unico occhio d’un blu intenso, a quel ricordo. Sigyn se ne
accorse, ma non
disse nulla. La rivelazione amara aveva afferrato la mente
dell’ex ufficiale
riportandolo a quella notte terribile in cui aveva creduto di morire,
mentre la
pioggia si trasformava in una neve leggera che, per fortuna, non
avrebbe
attecchito.
“Non
ti sei accorto, tenente Laufeyson,” gli aveva detto
stringendo la stoffa, “che
Lord Borson, il tuo mentore e amico, mio padre, ti assomiglia non solo
nel
carattere, ma anche nell’aspetto? Lasciò mia
madre, incinta, sull’altare, per
scappare con la tua. Siamo fratelli.
Sei suo figlio anche tu! Ti ha spianato la carriera perché
vinto dal senso di
colpa, come ha fatto con me.”
Questo
gli aveva detto e Loki si era liberato per poi indietreggiare, colpito
da
quella scoperta che aveva il sapore amaro di una maledizione, incapace
di sopportare
il peso della menzogna, di leggere in una chiave nuova il rapporto
strettissimo
che aveva instaurato con Thor.
♥
La
ricerca del tesoro della perduta e mitica Asgard, che riempiva i poemi
scaldici
ricchi di figure retoriche e di kennings,
rappresentava un modo, per Thor e Loki, di superare gli strascichi
indimenticabili della guerra e provare a dare un nuovo corso alle loro
vite.
Niente, nessuna cosa avrebbe mai potuto essere come prima e allora
tanto valeva
rendere reali desideri, sogni e speranze, piegare al proprio volere il
destino.
Attività superba, quest’ultima, soprattutto se
l’oggetto delle ricerche in cui
si erano gettati i due uomini scomodava miti antichi e
divinità perdute. Il
nome di Asgard raschiava le loro gole, carico di tutta la potenza del
mito e
l’oscurità che si tirava dietro una
città d’oro che, si diceva, fosse stata
eretta dal dio delle forche e della poesia in persona.
Loki
tornò al tavolo e ordinò dell’altra
birra; la mascella contratta e lo sguardo
mobile e nervoso non lasciavano presagire nulla di buono o consolante.
“Cattive
notizie?” domandò Thor, sistemandosi meglio sulla
sedia.
“Peggio,
nessuna. Avevo supposto che Odino si trovasse ormai nei pressi di
Colonia,
invece nessuno dei miei contatti lo ha ancora intercettato,”
s’innervosì.
“Forse
ha tardato,” fu la replica asciutta dell’altro.
Loki
gli rivolse un’occhiata feroce. “Tuo padre non
tarda, Thor. Arriva in anticipo,
piuttosto.”
“Temi
che possa aver già trovato il tesoro?”
“No,”
replicò l’archeologo con lentezza. “E se
anche fosse riuscito a raggiungere la
Gola del Reno prima di noi, non entrerebbe immediatamente.”
“Perché?”
domandò Thor, “per via della maledizione? Ci
credete davvero?” rise,
guardando ora il fratello ora la sua assistente.
Sigyn
tirò fuori dalla borsa una cartella in cuoio che conteneva
diversi taccuini e
ne aprì alcuni: contenevano, scritti a matita e a penna con
grafie ora lente e
curate, ora frettolose, una lunga serie di appunti.
Loki
le gettò un’occhiata distratta solo
all’apparenza e prese a spiegare. “I ladri
di tombe esistono da sempre, Thor: le maledizioni sono semplicemente un
modo
comodo per spaventare i più deboli tra loro, un tentativo di
dissuadere e
allontanare i predoni. L’oro del
Reno non
fa eccezione, ma la sua particolarità è che si
trattava di una leggenda quando
ancora non era nemmeno stato sepolto,” spiegò.
Un
sorriso furbo gli illuminava il viso affilato; prese a raccontare i
dettagli
più curiosi che aveva appreso leggendo e studiando i
manoscritti di Iordane, di
Paolo Diacono, di Beda il Venerabile, di Snorri Sturloson e di altri
monaci dai
nomi oscuri, inghiottiti dal tempo[8].
Il tesoro era ciò che rimaneva di una città
perduta che, si diceva, fosse
abitata dagli dèi Æsir in persona – un
popolo guerriero che si era stanziato in
quelle terre, le cui storie si erano confuse con le canzoni dei poeti e
dei
bardi – aggiunse Loki con un’alzata di spalle[9].
La storia, tuttavia, aveva assunto i contorni del mito: tre Asi avevano
ucciso,
per errore, un essere magico tramutato in lontra. Da lì, si
dipanava una storia
fatta di promesse e di magie, di vendette, di amore e, infine, di morte[10].
La conclusione di quella che, alle orecchie di Thor, suonò
come una fiaba per
bambini, era una leggenda nella leggenda, ancora più cupa
della prima: i
favolosi e potenti dèi degli Æsir, dopo aver
consegnato agli uomini un tesoro
maledetto che aveva provocato infiniti lutti e sanguinose guerre, erano
stati
sconfitti, a loro volta, da un destino amaro e terribile.
“Quella
che inseguiamo noi, è una variante della ben nota trama del
Crepuscolo degli
dèi, quello di Wagner,” concluse Loki.
“Mi
hai parlato di una sepoltura piena di tesori, ora mi racconti
un’opera lirica
crucca.”
“Se
avessi iniziato dall’opera lirica crucca, temo non mi avresti
mai dato ascolto,
né finanziato, fratello,”
ghignò
l’archeologo.
“Secondo
un’antica versione de La Canzone di
Reginn,” spiegò Sigyn, “un
grande tesoro venne sepolto in una cascata qui,
nella Gola. Pare che derivasse dalle ultime vestigia di Asgard, la
città d’oro
degli Æsir: gli dèi vichinghi avevano
qualità particolari, molto umane,”
spiegò
la ragazza, lanciando di tanto in tanto uno sguardo irrimediabilmente
dolce a
Loki. “Erano predoni,” continuò la
ragazza, “dediti spesso all’imbroglio,
all’inganno, in perenne lotta con i loro vicini, i Giganti.
Nonostante la loro
immensa potenza militare, però, le Norne, le
divinità che filano il destino di
tutti, avevano deciso che, un giorno, anche a loro sarebbe toccato
morire.
Così, Asgard venne distrutta da Surtur, un Gigante di Fuoco.
Più probabilmente,
la popolazione nota come Æsir fu sterminata dopo una rovinosa
campagna militare
e la loro favolosa città data alle fiamme. Parte del tesoro,
però, pare che
seguì il corso del Reno fino a… questo punto.
Ecco perché è tanto importante
trovare la sepoltura. È la traccia di una civiltà
scomparsa,” terminò
semplicemente la ragazza.
“Dovresti
riordinare i tuoi appunti e pubblicarli,”
sentenziò Loki alzandosi. La serata
era terminata, l’ultima tappa del loro viaggio li aspettava.
Sigyn pensò che
fosse bello e che forse Thor aveva ragione: amare Loki era qualcosa che
non
poteva fare a meno di fare, cui non desiderava affatto rinunciare,
anche se il
suo spirito inquieto e caotico lo avrebbe spinto sempre
all’inseguimento di ciò
che nessun altro uomo osava cercare né scoprire. Una vita
vissuta al limite,
trascorsa alla ricerca di qualcosa che lo facesse sentire vivo e
cancellasse il
trauma nascosto, ma senz’altro presente, della guerra. Al
ricordo delle notti
insonni che aveva trascorso negli anni, passate a chiedersi se il
professor
Laufeyson fosse vivo o morto, le si strinse lo stomaco: non era pronta
a
immaginarlo di nuovo in pericolo e persino quella spedizione ambiziosa
era coperta
da una cappa tetra che la maledizione antica degli avidi e feroci
Æsir poteva
spiegare solo in parte.
Non
sarebbe riuscita ad accettare di nuovo che Loki fosse sotto il tiro di
un
nemico, neppure quando, molti anni dopo di allora, in
un’altra guerra, una
pallottola avrebbe finito davvero per strappare la vita
all’astuto archeologo.
A partire da quel giorno, un’ombra scura le avrebbe per
sempre velato lo
sguardo grigio.
Ma
questa è un’altra storia o, forse, no,
è la stessa, perché le vite degli uomini
seguono percorsi inauditi e strani e fantasiosi, tali che la
letteratura e
l’immaginazione dello scrittore non sono spesso in grado di
inventarne di
simili e altrettanto fantastici. Di questo, Sigyn un giorno ne avrebbe
avuto
un’amara prova, ma durante il viaggio verso
quell’Europa sconvolta, impegnata a
leccarsi le ferite scavate dalle trincee che l’avevano
attraversata per tre
lunghi anni e a ricostruire quello che era stato distrutto,
ignorò i presagi
che la ricerca del tesoro maledetto portò, inevitabilmente,
con sé.
[1]
Come spiegato nel precedente capitolo.
[2]
Qui Loki e Thor sono figli naturali di Odino e, quindi, hanno cognomi
diversi.
Spero possiate apprezzare la fantasia.
[3]
Controffensiva inglese in territorio francese contro i tedeschi.
[4]
È nota veramente per chiamarsi così, esiste https://it.wikipedia.org/wiki/Gola_del_Reno
e qui è ambientato il Crepuscolo degli dèi di
Wagner, che si ispira, ma va’,
all’Edda. ^^
[5]
La Società delle Nazioni è
l’antesignana dell’attuale ONU. Alla fine della
Prima Guerra Mondiale in questa sede si quantificò il costo
ingentissimo delle
riparazioni di guerra della Germania, paese che risultò
sconfitto (riparazioni
che furono finite di pagare non troppo tempo fa). Tale debito
generà una crisi
che creò – tra le altre cose e insieme ad altri
fattori – le basi per
l’instaurazione di un regime totalitario ben noto. Si tratta
di una spiegazione
semplicistica, ma questa è una fanfiction, non un libro di
storia!
[6]
Thor parla con Sigyn dandole del voi. Con questo escamotage si rende
più
formale un dialogo ambientato nel 1919. Loki e Sigyn si sono dati del
voi nel
capitolo 1 del racconto, quando non erano in confidenza, ma del
“tu” dopo aver
iniziato una relazione amorosa, seppur breve.
[7]
Col termine “figlio naturale” si
indicano/indicavano quelli avuti al di fuori del
contratto di matrimonio. Un modo più elegante di dire
“bastardo,” insomma.
[8]
Tutti nomi veri: Beda il Venerabile fu uno storico vissuto in Bretagna
del VII
secolo d.C., Paolo Diacono è l’autore
dell’Historia Langobardorum, Iordane De
origine actibusque Getarum, Snorri Sturloson è il monaco
islandese che
trascrisse l’Edda in prosa.
[9]
Volutamente discorso indiretto.
[10]
La storia in questione è quella legata alle vicende di
Sigurd e Brunilde,
ambientate proprio nella gola del Reno. Tali vicende sono narrate
nell’Edda
poetica e vedono Loki come protagonista, assieme a Odino.