Oggi
Caterina
alzò gli occhi dalla
propria dispensa, la punta dell’evidenziatore ferma a pochi
millimetri dalla
pagina. Poi riabbassò prudentemente lo sguardo sul paragrafo
che stava
leggendo, evitando di commentare la scena che si stava svolgendo a
poche decine
di centimetri da lei.
Halima,
il volto rosso quasi
quanto l’hijab che aveva indossato quel giorno, stava
sottolineando
furiosamente alcune frasi che aveva scritto quella stessa mattina. Il
tratto
della penna era talmente profondo che quasi passava il foglio da parte
a parte.
«Niente» sibilò la ragazza, arricciando
il naso per spingere in su gli
occhiali. «Non le va bene assolutamente
niente.»
Caterina
contò fino a tre, poi si
lasciò sfuggire la frase che mai, per nessun motivo, avrebbe
dovuto lasciarsi
sfuggire. «Te l’avevo detto, io, che fare la tesi
con la Magni non era una
buona idea.»
Immediatamente
Halima lasciò
cadere la penna sul tavolo e si voltò per guardare in faccia
l’amica. «E con
chi avrei dovuto farla, se non con lei?» sbottò.
«Non è che avessi molte
alternative, eh! E poi, la mia almeno è una tesi utile,
sulla traduzione…»
Cogliendo
la frecciatina,
Caterina incrociò le braccia davanti al petto scarno.
«Pure la mia è una tesi
sulla traduzione, sai?» si difese. «Se stai
insinuando che non è una cosa
utile…»
Halima
alzò gli occhi al cielo.
«Sì, in effetti è davvero fondamentale
che qualcuno si prenda la briga di
tradurre degli scarabocchi fatti in una lingua che nessuno parla
più da
centinaia di anni…»
Arricciando
le labbra in una
smorfia di disgusto, Caterina afferrò nuovamente
l’evidenziatore rosa. «Quanta
ignoranza» commentò sdegnosamente.
«…
e comunque», riprese Halima,
«io almeno studio la traduzione di articoli accademici: non
come qualcuno, che traduce incantesimi e formule
magiche.»
Il
tono con cui aveva pronunciato
quei termini non lasciava alcun dubbio su quale fosse
l’opinione che la ragazza
aveva a proposito dell’argomento scelto dall’amica
per la propria tesi di
laurea. Esasperata, Caterina sospirò. «Ma cosa ne
vuoi sapere, tu, che nemmeno
hai mai fatto Filologia Germanica. E poi ci sono anche benedizioni,
ricette
mediche… sono testi di un’enorme
rilevanza culturale, sai?»
«E
allora? Se volete
chiacchierare, andate in corridoio o in cortile!»
Evidentemente disturbata
dalla loro discussione, la ragazza con la quale dividevano il tavolo le
richiamò all’ordine, facendo loro notare che, in
effetti, la biblioteca
dell’università non era il posto migliore in cui
fare conversazione. Decidendo
di lasciare cadere l’argomento, Caterina tornò a
dedicarsi alla noiosissima
dispensa che illustrava gli elementi base del marketing.
Posso dire che non me ne frega assolutamente nulla
delle “4P del
Marketing Mix”? Si chiese, colorando con la punta
dell’evidenziatore la
freccetta curva che recava la dicitura “Price”.
Forse Halima non aveva tutti i
torti, quando diceva che l’argomento con il quale aveva
scelto di laurearsi non
aveva la benché minima utilità pratica. Ma
chi se ne frega? Una volta uscita da qui, mi andrà
già bene se troverò un
impiego come stagista addetta alle fotocopie: tanto vale che mi
concentri su un
argomento che mi interessa, no?
E la
traduzione di antichi testi
germanici e anglosassoni le interessava davvero. Era quasi come un
gioco
enigmistico, per lei: le piaceva concentrarsi sulle parole arcaiche
trascritte
dagli antichi monaci, con la loro grafia incerta e fluida nella forma,
la
divertiva formulare ipotesi su termini per i quali non esisteva una
traduzione
ufficiale e trovava estremamente soddisfacente riuscire a trarre una
traduzione
di senso compiuto da quella che, a prima vista, sarebbe potuta sembrare
un’accozzaglia di parole senza senso.
Quando
traduceva, Caterina si
trovava immancabilmente a fantasticare sul contenuto dei testi che
aveva sotto
gli occhi. Leggeva di ortiche, piantaggine e altre piante medicinali e
la sua
mente correva inevitabilmente ai pomeriggi della sua infanzia quando,
in
primavera e in estate, si ritrovava a ruzzolare tra boschi e prati,
cogliendo
fiori e preparando intrugli fantasiosi con tutte le erbe che le
capitavano a
tiro. Erano ricordi che sapevano di libertà, spensieratezza
e prati assolati ed
erano sufficienti per allontanare un poco la noia di ore intere passate
seduta
alla scrivania.
La
sua tesi era ormai a buon
punto, sebbene la sua relatrice, la Professoressa Boschi, non fosse
meno
intransigente di quella scelta da Halima. Il problema era che tra lei e
la
discussione finale si ergeva un ultimo ostacolo, apparentemente
insormontabile:
l’esame di Marketing 1, al quale la ragazza era
già stata bocciata due volte. Del
resto, come diavolo faccio a studiare su
una dispensa ultra-sintetica, quando del corso avrò
frequentato sì e no due
lezioni?
Dopo
un’altra mezz’ora di studio
silenzioso, Halima si tolse gli occhiali e, sbilanciandosi indietro
sulla
sedia, si stiracchiò platealmente. «Sai che ti
dico?» annunciò, lanciando
un’occhiata al proprio orologio da polso. «Io me ne
vado: per oggi ho fatto fin
troppo. Se mi do una mossa, riesco a prendere l’autobus delle
16:15 e non devo
aspettare quello delle 17:30.»
Chiudendo
di scatto la dispensa,
Caterina annuì. «Io resto ancora un
po’» disse. «Però faccio pure
io una pausa,
perché inizio a non capire nemmeno più quello che
sto leggendo.» Rapida, la
giovane recuperò l’astuccio e il resto del
materiale che, durante la sessione
di studio, aveva sparso su buona parte del tavolo della biblioteca. Poi
infilò
il tutto nella consunta tracolla di stoffa verde militare che la
accompagnava
ormai da sei anni, ovvero dal giorno in cui aveva messo piede per la
prima
volta all’interno di una delle sedi
dell’Università di Bergamo.
«Andiamo?»
la spronò Halima,
sistemandosi in spalla il proprio zainetto. Mentre percorrevano le
ampie scale
di pietra che conducevano verso il piano terra e quindi verso il
chiostro
dell’antico monastero che ospitava il dipartimento di Scienze
Umane e la
biblioteca umanistica, Caterina lanciò un’occhiata
alla macchinetta del caffè
posta accanto all’ingresso. Perfetto,
pensò, mentre l’ombra di un sorriso le piegava le
labbra. È tutta per me!
«Ci
vediamo domani, allora?»
chiese, rivolta all’amica.
«A
domani» confermò Halima,
sollevando una mano a mo’ di saluto.
Quando
la ragazza si fu
allontanata, Caterina posò la tracolla sopra al tavolino
ingombro di volantini
posto accanto alla macchina del caffè e prese a frugarsi
nelle tasche, alla
ricerca della moneta da due euro che era assolutamente certa di avervi
depositato quella mattina. Eccoti qui,
pensò, pescandola dalla tasca dello spolverino che aveva
portato con sé per
difendersi dalla pioggia sottile che cadeva dalla sera prima.
Mentre
si apprestava a
selezionare la bevanda, udì i passi leggeri di alcuni
studenti che entravano
dalla porta e, con la coda dell’occhio, li vide scuotere gli
ombrelli nel
tentativo di liberarli dalle gocce di pioggia. Sempre senza voltarsi,
Caterina
prese atto del fatto che qualcuno aveva appena preso possesso della
fotocopiatrice posta alle sue spalle, mentre qualcun altro aveva preso
posto
sugli ultimi gradini della scala che portava al piano superiore e
qualcun altro
ancora indugiava accanto alla bacheca, leggendone forse gli annunci.
Inizia a esserci un po’ troppa folla, per
i miei gusti, si disse,
mentre, con la punta del dito, componeva il codice corrispondente a un
cappuccino con polvere di cioccolato. Nell’istante preciso in
cui la macchina
iniziava a ronzare e a preparare quanto le era stato ordinato, la
ragazza avvertì
una presenza alle proprie spalle.
«Oh,
ma sei davvero tu?» le
chiese una voce.
Caterina,
che si era chinata per
raccogliere il resto dall’apposito sportello, si
rialzò lentamente, stringendo
nella mano le monetine sino a quando non ne avvertì i bordi
penetrarle nel
palmo. Com’è possibile
riconoscere una
voce dopo averla sentita pronunciare solo un paio di frasi?
Si chiese,
mentre il suo cuore accelerava i battiti in maniera del tutto
involontaria.
Voltandosi
quel tanto che bastava
per guardare in faccia il suo interlocutore, la giovane si impose di
mantenere
un’espressione assolutamente neutra mentre i suoi occhi
incontravano quelli
dell’uomo che, qualche giorno prima, l’aveva
avvicinata nel parcheggio del Dream.
«Cosa
vuoi?» lo interrogò,
mettendo in quelle parole quanta più ostilità
possibile.
Lui
parve stupito dal suo tono astioso
e sgranò gli occhi, come se la domanda l’avesse
colto alla sprovvista. In
maniera del tutto indipendente dalla sua volontà, il
cervello di Caterina
registrò il fatto che quel tizio aveva degli occhi di un blu
davvero
stupefacente, talmente intenso da farle quasi dubitare che fossero
naturali.
«Scusarmi.»
La
replica dell’uomo la distrasse
dalla sua contemplazione e la ragazza incrociò le braccia
davanti al petto,
creando inconsciamente una barriera tra sé e lo sconosciuto.
«Non me ne faccio
niente, delle tue scuse» ribatté asciutta.
«E, poi… come facevi a sapere che mi
avresti trovata qui?» Mentre pronunciava quella domanda,
Caterina sentì una
punta di inquietudine morderle lo stomaco. Era forse uno stalker? Un
maniaco?
L’aveva seguita di nascosto e così aveva scoperto
dove studiava? E se avesse scoperto anche
dove abito?
Si chiese, mentre l’inquietudine raggiungeva per un istante
un picco molto
simile all’angoscia.
L’uomo
si strinse nelle spalle.
«In realtà, non lo sapevo.
Io…»
«Ti
dispiacerebbe muoverti?»
Immersa
com’era nel confronto con
lo sconosciuto, Caterina non si era accorta che il suo cappuccino era
pronto
già da diversi secondi e che dietro di lei si era formata
una piccola coda di
tre persone. La ragazza che le stava alle spalle e che le aveva rivolto
la
parola con tanta scortesia era decisamente più bassa di lei,
ma, in compenso,
era equipaggiata con una notevole quantità di borchie e
spuntoni di ferro che
fuoriuscivano da parti anatomiche piuttosto improbabili. Davanti
all’immobilità
di Caterina, la ragazzetta – che doveva anche essere
piuttosto giovane –
sollevò le sopracciglia con aria esasperata.
«Beh?»
Muovendosi
in maniera del tutto
automatica, Caterina recuperò la propria bevanda e si fece
da parte, lasciando
che gli altri studenti potessero servirsi a loro volta. Subito, il
giovane
sconosciuto le si fece più vicino. «Come stavo
dicendo», riprese, «io non
sapevo affatto che ti avrei trovata qui. Ero semplicemente venuto in
biblioteca
per cercare un libro che mi serve per il mio prossimo esame, tutto
qui.»
Caterina
avvertì chiaramente lo
scricchiolio della plastica del bicchiere che si incrinava sotto la
pressione
delle sue dita. «Quindi tu studieresti qui?»
chiese, piegando le labbra in un
sorriso sarcastico. «Strano, non ti ho mai visto.» E sta tranquillo che, se ti avessi visto da queste
parti, non mi sarei
scordata facilmente di te. Perché quel tipo era
bello da fare schifo,
inutile negarlo. Gli occhi azzurri erano gradevolmente in contrasto con
i
capelli scuri, di un castano intenso, tagliati in un taglio
curato-ma-non-troppo che lo facevano probabilmente apparire
più giovane di
quanto in realtà non fosse. La sua pelle aveva quasi un
riflesso bronzeo, come
di chi sta molto tempo all’aria aperta e può
concedersi il lusso di un’abbronzatura
sana e graduale, i tratti del suo viso erano eleganti, il naso dritto,
le
labbra dalla curva morbida… Caterina si concesse una breve
contemplazione delle
sue spalle larghe e dei suoi muscoli che riempivano in modo decisamente
suggestivo la camicia che indossava e poi si costrinse a tornare con i
piedi
per terra e a bere un generoso sorso di cappuccino.
Se
l’uomo si era accorto del modo
in cui lei l’aveva guardato, non lo diede a vedere. Anzi,
aggrottò leggermente
la fronte, come se fosse stato turbato dalle parole della giovane.
«Ehm… in
realtà ci siamo già visti. Ci siamo anche
già parlati: non ti ricordi?»
Per
un brevissimo istante,
Caterina si ritrovò a boccheggiare come un pesce fuor
d’acqua. «No» ribatté
poi, risoluta.
Il
giovane inclinò leggermente la
testa di lato, sfoggiando quello che alla ragazza parve un sorrisetto
leggermente imbarazzato. «Quest’autunno, sempre qui
in biblioteca… la
fotocopiatrice che si mangiava i fogli, tu che tiravi dalla parte
sbagliata e
li sbriciolavi, scomodando nel frattempo tutti i santi del
Paradiso…»
Improvvisamente,
un flashback si
palesò nella mente della ragazza. Adesso che ci pensava
meglio… ora che glielo
aveva fatto venire in mente, aveva come un vaghissimo ricordo di lui
che le
mostrava come liberare i fogli incastrati…
«Oh» commentò, mentre le guance le
si arrossavano un poco per l’imbarazzo.
L’uomo
si aprì in un gran sorriso
e lei ebbe l’impressione di rimanerne abbagliata.
«Ti ricordi, adesso?»
Nel
tentativo di non fissarlo con
troppa insistenza, la giovane finì il cappuccino.
«Sì, mi ricordo» replicò
sbrigativa. «Questo non toglie però che
l’altra sera tu ti sia comportato come
un grandissimo stronzo. Continuo a non avere niente da dirti.»
«Ma
almeno ti sei convinta che
non sono uno stalker?» le chiese, indovinando i pensieri che
le erano passati
per la mente qualche minuto prima.
Lei
annuì. «Sì. Non sono
assolutamente fisionomista, ma, in effetti, ora ricordo di averti
già
incrociato da queste parti.»
«Bene»
commentò lui. «Senti,
capisco che tu voglia liberarti di me il prima possibile, ma me li
dedichi,
cinque minuti? Probabilmente a te non te ne fregherà niente,
ma vorrei
spiegarti perché l’altra sera mi sono comportato
in quel modo… voglio dire, di
solito non le faccio, quelle cose.»
Caterina
gli lanciò un’occhiata
scettica. Avrebbe voluto rispondergli che non sapeva cosa farsene,
delle sue
spiegazioni, ma doveva ammettere di essere curiosa. «Cinque
minuti» acconsentì,
incrociando le dita e sperando di non aver fatto la scelta sbagliata.
Mentre
lei recuperava la
tracolla, lui le porse una mano a mo’ di presentazione.
«Io sono Michael: ti va
se ci sediamo un attimo nel chiostro, che c’è un
po’ più di spazio?»
Lei
gli strinse appena la mano,
ritraendosi velocemente quando si accorse di avere le dita
sgradevolmente
fredde e anche un po’ sudaticce. «Caterina. Va
bene.»
Quando
raggiunsero la prima
arcata libera e vi si sedettero, Michael abbassò brevemente
lo sguardo sulle
proprie scarpe da ginnastica, come se stesse cercando le parole
migliori per
introdurre il discorso. «Avevo bevuto. Cioè, non
che di solito io sia
esattamente astemio, ma l’altra sera avevo decisamente
esagerato. Per un motivo
davvero stupido, tra l’altro: avevo litigato con il mio
migliore amico per una
cavolata e lui mi ha dato buca all’ultimo minuto. Avremmo
dovuto trovarci
direttamente al Dream, ma quando
ero
già lì da un pezzo Lorenzo mi ha scritto per
dirmi che non aveva voglia di
uscire.»
«Mh»
commentò Caterina, senza
riuscire a mostrare un eccessivo coinvolgimento.
«Be’,
oramai ero lì e mi sembrava
stupido tornare a casa» continuò Michael.
«Sono entrato, poi ho visto che c’era
quella festa di addio al nubilato, le ragazze mi sembravano tutte
sull’allegro
andante e, come dire… ho pensato che ci fosse la
possibilità di divertirsi un
po’. Da sobrio non riuscirei mai a rimorchiare una ragazza
ubriaca persa,
quindi ho pensato di adeguarmi al loro stato…»
«Che
mossa intelligente» commentò
Caterina sarcastica. «Voglio almeno sperare che tu non abbia
una ragazza,
perché altrimenti saresti proprio pessimo.»
Gran bella mossa, Cate! Si disse,
congratulandosi silenziosamente
con se stessa per la nonchalance con cui si era accertata
dell’esistenza di
un’eventuale fidanzata. Non che la cosa le interessasse,
naturalmente: la sua
era solo una curiosità scientifica, nel caso nel futuro ci
fossero stati
sviluppi interessanti.
«No,
nessuna ragazza» la
rassicurò lui, con un sorriso che le fece temere che la sua
mossa non fosse
stata tanto abile, dopotutto.
Senza
lasciare che l’imbarazzo si
impossessasse di lei, Caterina scrollò le spalle.
«Debbo quindi dedurre che le fatine
dell’addio al nubilato ti abbiano
mandato in bianco e che tu ti sia gettato sulla prima sfigata che ti
è capitata
a tiro? Oppure hai molestato tutte le ragazze del locale?»
Lui
scosse mestamente il capo.
«Ma no… è solo che, ubriaco
com’ero, al primo sguardo mi hai ricordato una
persona che conoscevo. Poi ho capito che non eri lei, ma…
boh, non lo so,
cos’ho pensato. Probabilmente non ho pensato affatto.
Però non volevo farti del
male. Non te l’avrei mai fatto.»
La
ragazza si irrigidì,
ricordando per un istante la paura che l’aveva colta, prima
che Hasim
accorresse in suo aiuto. «Voglio sperarlo»
commentò, più bruscamente di quanto
avrebbe voluto.
Quando
comprese che non avrebbe
aggiunto dell’altro, Michael annuì e poi si
alzò in piedi. «Va bene. È tutto
qui, volevo solamente scusarmi per come mi sono comportato.»
Pareva
onestamente dispiaciuto
per il suo comportamento e Caterina si sentì un
po’ meno intransigente nei suoi
confronti. «Va bene» sospirò,
rivolgendogli poi un mezzo sorriso.
Ricambiando
il sorriso, il
ragazzo si chinò per raccogliere la tracolla che la giovane
aveva posato a
terra e poi inclinò il capo per leggere meglio il titolo
della dispensa che vi
faceva capolino. «Bello!» esclamò, con
un entusiasmo nuovo. «Studi marketing?»
Lei
gli rivolse uno sguardo
annoiato. «Studio lingue straniere. Marketing è
l’ultimo esame che mi manca.
Ah, e mi fa schifo.»
Michael
le rivolse un sorriso
smagliante. «Io sto facendo un master in marketing»
la informò amabilmente.
Ecco, perfetto, pensò la
ragazza, chiedendosi se avesse appena
fatto una gaffe. «Cioè, forse mi fa schifo
perché non ci capisco niente» disse,
sentendo il bisogno di correre ai ripari. «Non ho
praticamente mai seguito il
corso e la dispensa che mi hanno dato è troppo
schematica…»
«È
fatta male?» indagò Michael,
estraendola dalla borsa e sfogliandola rapidamente. Caterina
osservò il suo
viso contrarsi in un’espressione concentrata, poi il giovane
richiuse il
fascicoletto con uno schiocco e sospirò. «In
effetti, ‘sta cosa qui va bene per
ripassare, ma non per studiare partendo da zero. Se vuoi posso
consigliarti un
paio di libri, ma probabilmente sarebbero troppo avanzati, considerato
quello
che mi pare essere il livello del corso che avresti dovuto frequentare.
Oppure,
se preferisci, posso prestarti la mia, di dispensa, con i miei
appunti.»
Caterina
lo guardò sorpresa. «La
tua dispensa?» ripeté, per essere certa di aver
capito bene.
L’uomo
annuì. «Sì: quella del
corso base, ovviamente. Ha ormai qualche anno, ma credo che vada bene
comunque.
A te serve solo conoscere le basi, dopotutto. Se vuoi, te la porto qui
in
università.»
La
giovane esitò. Era tentata di
accettare. Era molto tentata di
accettare. Se, da un lato, non voleva dare troppa corda a Michael
– dopotutto,
il suo comportamento al Dream non
le
era piaciuto per niente – dall’altro lato lei aveva
un disperato bisogno di
appunti decenti, se voleva sperare di non essere bocciata per
l’ennesima volta.
E poi, se proprio ce ne fosse bisogno, potrei
sempre chiedergli di
darmi lezioni private… soffocando quel pensiero
sul nascere, la ragazza
annuì. «Saresti gentile, grazie.»
Michael
si schernì. «È il minimo
che possa fare, visto come mi sono comportato. Vedo quali sono i miei
impegni
per i prossimi giorni e poi ti faccio sapere quando possiamo trovarci:
mi dai
il tuo numero di cellulare?»