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Autore: Red Owl    29/04/2019    1 recensioni
Agnese e Caterina non si incontreranno mai, perché le dividono quasi cent'anni di storia. Eppure hanno qualcosa che le accomuna: qualcosa celato nei boschi che circondano il paesino di San Giorgio della Valle, dove entrambe sono cresciute. C'è un segreto antico, nascosto tra i castagni e le vecchie mura di un paesino della montagna lombarda: Agnese ha scelto di dimenticarlo, Caterina, forse, non l'ha mai conosciuto. Verrà però un giorno in cui entrambe dovranno fare i conti con il passato, quando un nemico subdolo e ingannatore verrà a bussare alla loro porta, alla ricerca di qualcosa che soltanto loro possono dargli.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oggi

Caterina alzò gli occhi dalla propria dispensa, la punta dell’evidenziatore ferma a pochi millimetri dalla pagina. Poi riabbassò prudentemente lo sguardo sul paragrafo che stava leggendo, evitando di commentare la scena che si stava svolgendo a poche decine di centimetri da lei.

Halima, il volto rosso quasi quanto l’hijab che aveva indossato quel giorno, stava sottolineando furiosamente alcune frasi che aveva scritto quella stessa mattina. Il tratto della penna era talmente profondo che quasi passava il foglio da parte a parte. «Niente» sibilò la ragazza, arricciando il naso per spingere in su gli occhiali. «Non le va bene assolutamente niente

Caterina contò fino a tre, poi si lasciò sfuggire la frase che mai, per nessun motivo, avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire. «Te l’avevo detto, io, che fare la tesi con la Magni non era una buona idea.»

Immediatamente Halima lasciò cadere la penna sul tavolo e si voltò per guardare in faccia l’amica. «E con chi avrei dovuto farla, se non con lei?» sbottò. «Non è che avessi molte alternative, eh! E poi, la mia almeno è una tesi utile, sulla traduzione…»

Cogliendo la frecciatina, Caterina incrociò le braccia davanti al petto scarno. «Pure la mia è una tesi sulla traduzione, sai?» si difese. «Se stai insinuando che non è una cosa utile…»

Halima alzò gli occhi al cielo. «Sì, in effetti è davvero fondamentale che qualcuno si prenda la briga di tradurre degli scarabocchi fatti in una lingua che nessuno parla più da centinaia di anni…»

Arricciando le labbra in una smorfia di disgusto, Caterina afferrò nuovamente l’evidenziatore rosa. «Quanta ignoranza» commentò sdegnosamente.

«… e comunque», riprese Halima, «io almeno studio la traduzione di articoli accademici: non come qualcuno, che traduce incantesimi e formule magiche

Il tono con cui aveva pronunciato quei termini non lasciava alcun dubbio su quale fosse l’opinione che la ragazza aveva a proposito dell’argomento scelto dall’amica per la propria tesi di laurea. Esasperata, Caterina sospirò. «Ma cosa ne vuoi sapere, tu, che nemmeno hai mai fatto Filologia Germanica. E poi ci sono anche benedizioni, ricette mediche… sono testi di un’enorme rilevanza culturale, sai?»

«E allora? Se volete chiacchierare, andate in corridoio o in cortile!» Evidentemente disturbata dalla loro discussione, la ragazza con la quale dividevano il tavolo le richiamò all’ordine, facendo loro notare che, in effetti, la biblioteca dell’università non era il posto migliore in cui fare conversazione. Decidendo di lasciare cadere l’argomento, Caterina tornò a dedicarsi alla noiosissima dispensa che illustrava gli elementi base del marketing.  

Posso dire che non me ne frega assolutamente nulla delle “4P del Marketing Mix”? Si chiese, colorando con la punta dell’evidenziatore la freccetta curva che recava la dicitura “Price”. Forse Halima non aveva tutti i torti, quando diceva che l’argomento con il quale aveva scelto di laurearsi non aveva la benché minima utilità pratica. Ma chi se ne frega? Una volta uscita da qui, mi andrà già bene se troverò un impiego come stagista addetta alle fotocopie: tanto vale che mi concentri su un argomento che mi interessa, no?

E la traduzione di antichi testi germanici e anglosassoni le interessava davvero. Era quasi come un gioco enigmistico, per lei: le piaceva concentrarsi sulle parole arcaiche trascritte dagli antichi monaci, con la loro grafia incerta e fluida nella forma, la divertiva formulare ipotesi su termini per i quali non esisteva una traduzione ufficiale e trovava estremamente soddisfacente riuscire a trarre una traduzione di senso compiuto da quella che, a prima vista, sarebbe potuta sembrare un’accozzaglia di parole senza senso.

Quando traduceva, Caterina si trovava immancabilmente a fantasticare sul contenuto dei testi che aveva sotto gli occhi. Leggeva di ortiche, piantaggine e altre piante medicinali e la sua mente correva inevitabilmente ai pomeriggi della sua infanzia quando, in primavera e in estate, si ritrovava a ruzzolare tra boschi e prati, cogliendo fiori e preparando intrugli fantasiosi con tutte le erbe che le capitavano a tiro. Erano ricordi che sapevano di libertà, spensieratezza e prati assolati ed erano sufficienti per allontanare un poco la noia di ore intere passate seduta alla scrivania.

La sua tesi era ormai a buon punto, sebbene la sua relatrice, la Professoressa Boschi, non fosse meno intransigente di quella scelta da Halima. Il problema era che tra lei e la discussione finale si ergeva un ultimo ostacolo, apparentemente insormontabile: l’esame di Marketing 1, al quale la ragazza era già stata bocciata due volte. Del resto, come diavolo faccio a studiare su una dispensa ultra-sintetica, quando del corso avrò frequentato sì e no due lezioni?

Dopo un’altra mezz’ora di studio silenzioso, Halima si tolse gli occhiali e, sbilanciandosi indietro sulla sedia, si stiracchiò platealmente. «Sai che ti dico?» annunciò, lanciando un’occhiata al proprio orologio da polso. «Io me ne vado: per oggi ho fatto fin troppo. Se mi do una mossa, riesco a prendere l’autobus delle 16:15 e non devo aspettare quello delle 17:30.»

Chiudendo di scatto la dispensa, Caterina annuì. «Io resto ancora un po’» disse. «Però faccio pure io una pausa, perché inizio a non capire nemmeno più quello che sto leggendo.» Rapida, la giovane recuperò l’astuccio e il resto del materiale che, durante la sessione di studio, aveva sparso su buona parte del tavolo della biblioteca. Poi infilò il tutto nella consunta tracolla di stoffa verde militare che la accompagnava ormai da sei anni, ovvero dal giorno in cui aveva messo piede per la prima volta all’interno di una delle sedi dell’Università di Bergamo.

«Andiamo?» la spronò Halima, sistemandosi in spalla il proprio zainetto. Mentre percorrevano le ampie scale di pietra che conducevano verso il piano terra e quindi verso il chiostro dell’antico monastero che ospitava il dipartimento di Scienze Umane e la biblioteca umanistica, Caterina lanciò un’occhiata alla macchinetta del caffè posta accanto all’ingresso. Perfetto, pensò, mentre l’ombra di un sorriso le piegava le labbra. È tutta per me!

«Ci vediamo domani, allora?» chiese, rivolta all’amica.

«A domani» confermò Halima, sollevando una mano a mo’ di saluto.

Quando la ragazza si fu allontanata, Caterina posò la tracolla sopra al tavolino ingombro di volantini posto accanto alla macchina del caffè e prese a frugarsi nelle tasche, alla ricerca della moneta da due euro che era assolutamente certa di avervi depositato quella mattina. Eccoti qui, pensò, pescandola dalla tasca dello spolverino che aveva portato con sé per difendersi dalla pioggia sottile che cadeva dalla sera prima.

Mentre si apprestava a selezionare la bevanda, udì i passi leggeri di alcuni studenti che entravano dalla porta e, con la coda dell’occhio, li vide scuotere gli ombrelli nel tentativo di liberarli dalle gocce di pioggia. Sempre senza voltarsi, Caterina prese atto del fatto che qualcuno aveva appena preso possesso della fotocopiatrice posta alle sue spalle, mentre qualcun altro aveva preso posto sugli ultimi gradini della scala che portava al piano superiore e qualcun altro ancora indugiava accanto alla bacheca, leggendone forse gli annunci.

Inizia a esserci un po’ troppa folla, per i miei gusti, si disse, mentre, con la punta del dito, componeva il codice corrispondente a un cappuccino con polvere di cioccolato. Nell’istante preciso in cui la macchina iniziava a ronzare e a preparare quanto le era stato ordinato, la ragazza avvertì una presenza alle proprie spalle.

«Oh, ma sei davvero tu?» le chiese una voce.

Caterina, che si era chinata per raccogliere il resto dall’apposito sportello, si rialzò lentamente, stringendo nella mano le monetine sino a quando non ne avvertì i bordi penetrarle nel palmo. Com’è possibile riconoscere una voce dopo averla sentita pronunciare solo un paio di frasi? Si chiese, mentre il suo cuore accelerava i battiti in maniera del tutto involontaria.

Voltandosi quel tanto che bastava per guardare in faccia il suo interlocutore, la giovane si impose di mantenere un’espressione assolutamente neutra mentre i suoi occhi incontravano quelli dell’uomo che, qualche giorno prima, l’aveva avvicinata nel parcheggio del Dream.

«Cosa vuoi?» lo interrogò, mettendo in quelle parole quanta più ostilità possibile.

Lui parve stupito dal suo tono astioso e sgranò gli occhi, come se la domanda l’avesse colto alla sprovvista. In maniera del tutto indipendente dalla sua volontà, il cervello di Caterina registrò il fatto che quel tizio aveva degli occhi di un blu davvero stupefacente, talmente intenso da farle quasi dubitare che fossero naturali.

«Scusarmi.»

La replica dell’uomo la distrasse dalla sua contemplazione e la ragazza incrociò le braccia davanti al petto, creando inconsciamente una barriera tra sé e lo sconosciuto. «Non me ne faccio niente, delle tue scuse» ribatté asciutta. «E, poi… come facevi a sapere che mi avresti trovata qui?» Mentre pronunciava quella domanda, Caterina sentì una punta di inquietudine morderle lo stomaco. Era forse uno stalker? Un maniaco? L’aveva seguita di nascosto e così aveva scoperto dove studiava? E se avesse scoperto anche dove abito? Si chiese, mentre l’inquietudine raggiungeva per un istante un picco molto simile all’angoscia.

L’uomo si strinse nelle spalle. «In realtà, non lo sapevo. Io…»

«Ti dispiacerebbe muoverti?»

Immersa com’era nel confronto con lo sconosciuto, Caterina non si era accorta che il suo cappuccino era pronto già da diversi secondi e che dietro di lei si era formata una piccola coda di tre persone. La ragazza che le stava alle spalle e che le aveva rivolto la parola con tanta scortesia era decisamente più bassa di lei, ma, in compenso, era equipaggiata con una notevole quantità di borchie e spuntoni di ferro che fuoriuscivano da parti anatomiche piuttosto improbabili. Davanti all’immobilità di Caterina, la ragazzetta – che doveva anche essere piuttosto giovane – sollevò le sopracciglia con aria esasperata. «Beh?»

Muovendosi in maniera del tutto automatica, Caterina recuperò la propria bevanda e si fece da parte, lasciando che gli altri studenti potessero servirsi a loro volta. Subito, il giovane sconosciuto le si fece più vicino. «Come stavo dicendo», riprese, «io non sapevo affatto che ti avrei trovata qui. Ero semplicemente venuto in biblioteca per cercare un libro che mi serve per il mio prossimo esame, tutto qui.»

Caterina avvertì chiaramente lo scricchiolio della plastica del bicchiere che si incrinava sotto la pressione delle sue dita. «Quindi tu studieresti qui?» chiese, piegando le labbra in un sorriso sarcastico. «Strano, non ti ho mai visto.» E sta tranquillo che, se ti avessi visto da queste parti, non mi sarei scordata facilmente di te. Perché quel tipo era bello da fare schifo, inutile negarlo. Gli occhi azzurri erano gradevolmente in contrasto con i capelli scuri, di un castano intenso, tagliati in un taglio curato-ma-non-troppo che lo facevano probabilmente apparire più giovane di quanto in realtà non fosse. La sua pelle aveva quasi un riflesso bronzeo, come di chi sta molto tempo all’aria aperta e può concedersi il lusso di un’abbronzatura sana e graduale, i tratti del suo viso erano eleganti, il naso dritto, le labbra dalla curva morbida… Caterina si concesse una breve contemplazione delle sue spalle larghe e dei suoi muscoli che riempivano in modo decisamente suggestivo la camicia che indossava e poi si costrinse a tornare con i piedi per terra e a bere un generoso sorso di cappuccino.

Se l’uomo si era accorto del modo in cui lei l’aveva guardato, non lo diede a vedere. Anzi, aggrottò leggermente la fronte, come se fosse stato turbato dalle parole della giovane. «Ehm… in realtà ci siamo già visti. Ci siamo anche già parlati: non ti ricordi?»

Per un brevissimo istante, Caterina si ritrovò a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua. «No» ribatté poi, risoluta.

Il giovane inclinò leggermente la testa di lato, sfoggiando quello che alla ragazza parve un sorrisetto leggermente imbarazzato. «Quest’autunno, sempre qui in biblioteca… la fotocopiatrice che si mangiava i fogli, tu che tiravi dalla parte sbagliata e li sbriciolavi, scomodando nel frattempo tutti i santi del Paradiso…»

Improvvisamente, un flashback si palesò nella mente della ragazza. Adesso che ci pensava meglio… ora che glielo aveva fatto venire in mente, aveva come un vaghissimo ricordo di lui che le mostrava come liberare i fogli incastrati… «Oh» commentò, mentre le guance le si arrossavano un poco per l’imbarazzo.

L’uomo si aprì in un gran sorriso e lei ebbe l’impressione di rimanerne abbagliata. «Ti ricordi, adesso?»

Nel tentativo di non fissarlo con troppa insistenza, la giovane finì il cappuccino. «Sì, mi ricordo» replicò sbrigativa. «Questo non toglie però che l’altra sera tu ti sia comportato come un grandissimo stronzo. Continuo a non avere niente da dirti.»

«Ma almeno ti sei convinta che non sono uno stalker?» le chiese, indovinando i pensieri che le erano passati per la mente qualche minuto prima.

Lei annuì. «Sì. Non sono assolutamente fisionomista, ma, in effetti, ora ricordo di averti già incrociato da queste parti.»

«Bene» commentò lui. «Senti, capisco che tu voglia liberarti di me il prima possibile, ma me li dedichi, cinque minuti? Probabilmente a te non te ne fregherà niente, ma vorrei spiegarti perché l’altra sera mi sono comportato in quel modo… voglio dire, di solito non le faccio, quelle cose.»

Caterina gli lanciò un’occhiata scettica. Avrebbe voluto rispondergli che non sapeva cosa farsene, delle sue spiegazioni, ma doveva ammettere di essere curiosa. «Cinque minuti» acconsentì, incrociando le dita e sperando di non aver fatto la scelta sbagliata.

Mentre lei recuperava la tracolla, lui le porse una mano a mo’ di presentazione. «Io sono Michael: ti va se ci sediamo un attimo nel chiostro, che c’è un po’ più di spazio?»

Lei gli strinse appena la mano, ritraendosi velocemente quando si accorse di avere le dita sgradevolmente fredde e anche un po’ sudaticce. «Caterina. Va bene.»

Quando raggiunsero la prima arcata libera e vi si sedettero, Michael abbassò brevemente lo sguardo sulle proprie scarpe da ginnastica, come se stesse cercando le parole migliori per introdurre il discorso. «Avevo bevuto. Cioè, non che di solito io sia esattamente astemio, ma l’altra sera avevo decisamente esagerato. Per un motivo davvero stupido, tra l’altro: avevo litigato con il mio migliore amico per una cavolata e lui mi ha dato buca all’ultimo minuto. Avremmo dovuto trovarci direttamente al Dream, ma quando ero già lì da un pezzo Lorenzo mi ha scritto per dirmi che non aveva voglia di uscire.»

«Mh» commentò Caterina, senza riuscire a mostrare un eccessivo coinvolgimento.

«Be’, oramai ero lì e mi sembrava stupido tornare a casa» continuò Michael. «Sono entrato, poi ho visto che c’era quella festa di addio al nubilato, le ragazze mi sembravano tutte sull’allegro andante e, come dire… ho pensato che ci fosse la possibilità di divertirsi un po’. Da sobrio non riuscirei mai a rimorchiare una ragazza ubriaca persa, quindi ho pensato di adeguarmi al loro stato…»

«Che mossa intelligente» commentò Caterina sarcastica. «Voglio almeno sperare che tu non abbia una ragazza, perché altrimenti saresti proprio pessimo.»

Gran bella mossa, Cate! Si disse, congratulandosi silenziosamente con se stessa per la nonchalance con cui si era accertata dell’esistenza di un’eventuale fidanzata. Non che la cosa le interessasse, naturalmente: la sua era solo una curiosità scientifica, nel caso nel futuro ci fossero stati sviluppi interessanti.

«No, nessuna ragazza» la rassicurò lui, con un sorriso che le fece temere che la sua mossa non fosse stata tanto abile, dopotutto.

Senza lasciare che l’imbarazzo si impossessasse di lei, Caterina scrollò le spalle. «Debbo quindi dedurre che le fatine dell’addio al nubilato ti abbiano mandato in bianco e che tu ti sia gettato sulla prima sfigata che ti è capitata a tiro? Oppure hai molestato tutte le ragazze del locale?»

Lui scosse mestamente il capo. «Ma no… è solo che, ubriaco com’ero, al primo sguardo mi hai ricordato una persona che conoscevo. Poi ho capito che non eri lei, ma… boh, non lo so, cos’ho pensato. Probabilmente non ho pensato affatto. Però non volevo farti del male. Non te l’avrei mai fatto.»

La ragazza si irrigidì, ricordando per un istante la paura che l’aveva colta, prima che Hasim accorresse in suo aiuto. «Voglio sperarlo» commentò, più bruscamente di quanto avrebbe voluto.

Quando comprese che non avrebbe aggiunto dell’altro, Michael annuì e poi si alzò in piedi. «Va bene. È tutto qui, volevo solamente scusarmi per come mi sono comportato.»

Pareva onestamente dispiaciuto per il suo comportamento e Caterina si sentì un po’ meno intransigente nei suoi confronti. «Va bene» sospirò, rivolgendogli poi un mezzo sorriso.

Ricambiando il sorriso, il ragazzo si chinò per raccogliere la tracolla che la giovane aveva posato a terra e poi inclinò il capo per leggere meglio il titolo della dispensa che vi faceva capolino. «Bello!» esclamò, con un entusiasmo nuovo. «Studi marketing?»

Lei gli rivolse uno sguardo annoiato. «Studio lingue straniere. Marketing è l’ultimo esame che mi manca. Ah, e mi fa schifo.»

Michael le rivolse un sorriso smagliante. «Io sto facendo un master in marketing» la informò amabilmente.

Ecco, perfetto, pensò la ragazza, chiedendosi se avesse appena fatto una gaffe. «Cioè, forse mi fa schifo perché non ci capisco niente» disse, sentendo il bisogno di correre ai ripari. «Non ho praticamente mai seguito il corso e la dispensa che mi hanno dato è troppo schematica…»

«È fatta male?» indagò Michael, estraendola dalla borsa e sfogliandola rapidamente. Caterina osservò il suo viso contrarsi in un’espressione concentrata, poi il giovane richiuse il fascicoletto con uno schiocco e sospirò. «In effetti, ‘sta cosa qui va bene per ripassare, ma non per studiare partendo da zero. Se vuoi posso consigliarti un paio di libri, ma probabilmente sarebbero troppo avanzati, considerato quello che mi pare essere il livello del corso che avresti dovuto frequentare. Oppure, se preferisci, posso prestarti la mia, di dispensa, con i miei appunti.»

Caterina lo guardò sorpresa. «La tua dispensa?» ripeté, per essere certa di aver capito bene.

L’uomo annuì. «Sì: quella del corso base, ovviamente. Ha ormai qualche anno, ma credo che vada bene comunque. A te serve solo conoscere le basi, dopotutto. Se vuoi, te la porto qui in università.»

La giovane esitò. Era tentata di accettare. Era molto tentata di accettare. Se, da un lato, non voleva dare troppa corda a Michael – dopotutto, il suo comportamento al Dream non le era piaciuto per niente – dall’altro lato lei aveva un disperato bisogno di appunti decenti, se voleva sperare di non essere bocciata per l’ennesima volta.

E poi, se proprio ce ne fosse bisogno, potrei sempre chiedergli di darmi lezioni private… soffocando quel pensiero sul nascere, la ragazza annuì. «Saresti gentile, grazie.»

Michael si schernì. «È il minimo che possa fare, visto come mi sono comportato. Vedo quali sono i miei impegni per i prossimi giorni e poi ti faccio sapere quando possiamo trovarci: mi dai il tuo numero di cellulare?»

   
 
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