Storie originali > Epico
Segui la storia  |       
Autore: _Lakshmi_    02/05/2019    0 recensioni
Quando Eros scocca una freccia, la vittima del suo diletto s'innamora inevitabilmente della prima creatura scorta dai suoi occhi, trasformando l'interesse in un morboso, malsano sentimento. Se sia vero o no, ancora non l'ho ben compreso, visto che simili pulsioni sono lontane dalla mia natura.
Però, da questa storia, ho capito che l'amore può anche sgrezzare l'animo di un guerriero millenario, abituato al massacro e al piacere più volgare, innalzandolo oltre la pura carnalità.
E tutto grazie ad un uomo folle, che è riuscito a vedere il mondo con occhi diversi da quelli di un qualsiasi altro mortale o divino.

[AresxAlectryon]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Secondo Capitolo

Secondo Capitolo:

Mezzogiorno


[Perché?]


Come ogni altro uomo,


    Ti vergognavi dell'amore: non riuscisti mai a pronunciare le due semplici parole “Sono innamorato”, anche se di notte cercavi la mia carne e alla luce del Sole, inspiegabilmente, cercavi la mia compagnia, intrattenendomi spesso per scambiare opinioni o per raccontarmi alcuni episodi cruenti di battaglie passate, esaltando in modo particolare le tue eroiche gesta.
Per me invece, era tutt'altra faccenda.
Alle tue attenzioni provavo sia compiacimento -visto che erano dopotutto un'ennesima riprova della mia spiccata abilità-, sia un profondo senso di vertigine, che cresceva giorno dopo giorno esponendo la mia inadeguatezza: era infatti un nuovo sentimento per me; tutto ad un tratto, ogni mia esperienza con gli altri uomini era annullata e mi ritrovai disarmato alla mercé del tuo interesse, arrivando addirittura a pregare che quegli attimi trascorressero infiniti, senza mai esaurirsi. Ad ogni tuo tocco, ad ogni tua parola, sentivo la mia sanità mentale venir meno, oppressa da una casta incertezza e dal nocivo veleno dell'Amore.
Già, mi stavo decisamente innamorando.
Te lo confessai un pomeriggio, in cima ad un promontorio. Eravamo entrambi distesi sull'erba, stremati da un lungo combattimento in cui, dopo tanto insistere e tante azioni scorrette, avevi primeggiato; ero esausto e impossibilitato a muovermi -soprattutto per colpa di quel violento calcio nel polpaccio- e forse per questo motivo avevo sentito l'esigenza di farti sapere cosa stava sconvolgendo il mio cuore.
Per qualcuno, magari, potrebbe sembrare sciocca, se non addirittura superflua, una simile dichiarazione dopo tanti momenti trascorsi insieme; tuttavia ero pur sempre un ragazzino che trovava naturale esternare alla persona amata tutto ciò che gli passava per la mia mente.

« Avvicinati, Alectryon.»

Non aggiungesti altro.
Io, spinto dalla curiosità, trascinai le mie membra al tuo fianco e fui sorpreso da una rude carezza sulla guancia, con quell'indice interessato alla mia bocca fin tanto che non fu vinta dalle tue labbra.
Ti avevo odiato in quei momenti. Davvero.


[Una domanda comune,
quando si confessa di amare una divinità tanto sanguinaria
]


Come ogni altro uomo,


    Faticavi ad esprimerti a parole.
Abituato agli elogi di Zeus, che spendeva grandi metafore per paragonarmi all'inestinguibile bellezza del Creato, trovavo insostenibile il silenzio dopo i nostri amplessi, il tuo assoluto mutismo. Per questo finivo sempre a conversare per due persone, in lunghi, tediosi, eterni monologhi.
Ti eri dichiarato ostile alla mia parlantina che t'impediva di conciliare il sonno, eppure ascoltavi i miei ragionamenti, i miei pensieri, le mie riflessioni. Certo, sbuffavi e ringhiavi come un cane alla catena, però quando una notte non ti rivolsi alcuna parola, ti voltasti per accertarti delle mie condizioni di salute.
Grazie a te iniziai a dare maggiore importanza a questi piccoli accorgimenti: è vero, non esprimevi l'affetto a parole, ma c'era tutta una serie di gestualità che sostituivano intere righe di dialogo.
Lo compresi ben presto.

« Alectryon.»

La tua voce mi sorprese: ero abituato a svegliarmi all'alba per avere il tempo di rinfrescare viso e corpo, mentre tu preferivi rimanere disteso nel talamo, dormiente o perfettamente vigile; tuttavia, quel giorno, non ti limitasti ad osservarmi in silenzio.

« Che succede?»

Ti avvicinasti e, prima di rispondermi, pretendesti con un muto sguardo il mio stesso trattamento.
Cambiai quindi l'acqua e con una nuova pezza pulita iniziai a carezzare le tue spalle, i tuoi pettorali, la tua schiena. M'inginocchiai, seguendo poi il corso della tua muscolatura allenata, dei tuoi sodi glutei, della tua rossiccia peluria.
Immersi il panno, strizzai e ricominciai. Palesai un'estrema, accurata lentezza per godere di quegli attimi in cui mi era permesso di esplorare liberamente il tuo fisico, senza l'impazienza della passione.

« Vuoi anche l'olio?» ti domandai e dal tuo silenzio compresi che desideravi proprio il servizio completo, fatto che mi fece sorridere «Ah... la mia musa è proprio capricciosa.»

Mi guardasti accigliato.

« Musa?»

Ti avevano già chiamato “Guerriero”, “Assassino”, “Amante”, ma “Musa”? Mai.

« Beh... tu ispiri il mio coraggio: al tuo fianco, potrei comandare un intero esercito.» a quelle parole mi osservasti con uno sguardo nuovo, decisamente stupito ed attratto forse dalla mia sfacciataggine, forse da quella bizzarra immagine. Scoppiai a ridere subito dopo, scuotendo il capo « E poi ti vedrei bene tra le muse di Apollo. Scommetto che anche lui ne sarebbe onorato.»
«
Smettila di fare l'idiota.» il tuo sbuffo mi suggerì che in realtà ti stavi divertendo: eri stato contagiato dalla mia allegria, anche se cercavi di rimanere serio.

Ti baciai più e più volte, mentre le nostre risate si perdevano negli schiocchi delle nostre labbra.
Seppur fossero trascorsi solo due mesi, avevamo raggiunto una complicità tale da mostrarmi, nei momenti più intimi, lati del tuo carattere decisamente lontani dall'immagine del brutale guerriero: innanzitutto eri estremamente curioso, infatti quando mi vedevi impegnato a scrivere dei resoconti bellici, ti sedevi accanto a me per leggere il mio punto di vista; a volte, confrontando la tua visione con la mia, mi impartivi -inconsciamente- anche importanti lezioni di strategia.
Non eri Athena, certo, però la tua esperienza sul campo di battaglia era altrettanto ampia. Ed io ascoltavo attento le tue parole, interessato ed affascinato.
Ben più particolare era invece il tuo senso estetico: eri attratto dalla bellezza, per cui nell'aspetto fisico pretendevi una certa attenzione anche da te stesso; mi chiedevi di regolarti la barba, i capelli ti piacevano lunghi, ma non oltre le scapole e a volte, con eloquenti sbuffi o grugniti, dettavi legge pure sul vestiario.
Ma odiavi sprecare tempo per la cura del corpo.
Io ad esempio adoravo la tua chioma: era d'un rosso vivo, sangue, naturalmente mossa in morbide onde, tuttavia non potevo dedicarmi troppo a lei, visto che tu, dopo appena due sforbiciate, già minacciavi di andartene.
In altri momenti, però, sapevi essere più paziente.

« Alectryon.» la tua voce roca sfiorò il mio orecchio, facendomi trasalire mentre eravamo ad un passo dal talamo disfatto. Mi guardasti per un breve istante con un ghigno soddisfatto, beandoti di quel viso accaldato e di quell'impellente desiderio che tu stesso mi avevi istigato con le tue dita callose, ma abili « Non vuoi sapere perché mi sono svegliato così presto? Dell'invito di mio padr-...»

No, Ares. Non era il momento, davvero.
Ero conscio che per te alzarti al sorgere del Sole era effettivamente un evento raro ed importante, ma, con il tuo corpo che premeva contro al mio, avevo altre urgenze. Le avevamo entrambi.

« Dopo.» mormorai e, stanco del tuo procrastinare, ti spinsi con forza contro al letto per poi sovrastarti.

Adoravi esasperarmi, vedere fin dove il mio coraggio riusciva ad osare e, una volta appagata questa tua curiosità, decidevi di premiarmi a modo tuo.
Quella mattina non dimostrasti alcuna fretta e domasti la mia impazienza grazie ai tuoi tocchi, alle tue parole, per rendere quegli attimi più duraturi ed intensi. Ed io mi lasciai modellare dalle tue dita, dal tuo respiro, liberando la mente da ogni timore per il futuro.

« E così ti sei innamorato...» osservasti con un affanno nella voce, una volta accolto nella mia carne.

Socchiusi gli occhi.
Annuii piano.

« Il mio Sole.»


[Ma la verità è che,
pur spiegando i miei sentimenti
]


Come un qualsiasi altro uomo,


    Eri terribilmente territoriale.
Alla fine, ti accompagnai sull'Olimpo.
D'altronde non sopportavi i banchetti, o per meglio dire la tua famiglia, per cui mi avevi convinto a partecipare per rendere la giornata più interessante, anche se per me si rivelò una difficile prova per la pazienza: non tanto per quel che avevo fatto, anzi, le mie azioni erano state -stranamente- perdonate dal magnanimo Re degli Dèi, ma per il tuo comportamento.
Giunti nella sala del ricevimento, mi invitasti a sedere alla tua destra, spostando addirittura il trono. Guardai le altre mogli, sedute alla destra dei loro mariti, poi mio padre, che mi fissava austero, come per dirmi: “Ti ho detto di onorare gli dèi, ma non intendevo questo”. Solo a quel punto presi posto al tuo fianco, beandomi della sua espressione sprezzante e delusa.
Quando i servi iniziarono a portare delle pietanze -a me e a pochi altri fortunati umani entrati nelle grazie divine, visto che per gli dèi i prodotti della Madre Terra erano tossici-, avvicinasti un acino d'uva alle mie labbra, cogliendomi di sorpresa ed attirando le attenzioni di alcuni tra i presenti, che attendevano solamente quei momenti per delle chiacchiere facili. Dopo un breve attimo di riorganizzazione mentale, accolsi il chicco in bocca sfiorando appena il tuo indice e il tuo pollice con un bacio delicato, senza distogliere l'attenzione da Hephaestus e dai suoi progetti complessi. Stupito per quella mia risposta sensuale e composta ad un tuo gesto sfacciato, sorridesti compiaciuto.
A tarda serata, quando i vapori dell'alcol mesciuto all'Ambrosia iniziarono a far effetto su voi divinità, tanto che molti ormai avevano abbandonato la sala, mi
invitasti con un gesto della mano a sedermi sulle tue ginocchia. Offerta colta immediatamente da una delle magnifiche figlie di Poseidon, caratterizzata da un viso leggermente allungato, una carnagione argentea, una bizzarra, acuta risata e soprattutto con una gran voglia di “socializzare”.
Ah, i miracoli della natura.
Le motivazioni del tuo comportamento così sfacciatamente esibizionista erano più che ovvie: molti occhi maliziosi avevano iniziato a studiarmi interessati e tu volevi semplicemente comunicare a tutti, a modo tuo, che ero di tua proprietà ed avresti ucciso qualsiasi spasimante senza distinzioni di razza, sesso o parentela.
Dopotutto, eri equo nei massacri.
Non riuscii a trattenere un sorriso divertito a quella tua spiccata gelosia.
Era un sentimento comune tra i divini, generalmente banalizzato con “specchio delle emozioni umane”. In verità, la gelosia divina è al pari della paura della morte per un qualsiasi altro uomo: gli dèi, infatti, non temono il trapasso, grazie all'ambrosia contenuta nel sangue dei Titani che rendeva eterni ed invulnerabili, al contrario però l'essere dimenticati è uno dei primi sintomi di una graduale perdita di potere, di importanza, fino ad arrivare ad una solitudine perpetua, ridotti a flebili spettri di un glorioso passato.
La gelosia, quindi, non è altro che la manifestazione di una paura inconscia e per questo motivo non giocai con i tuoi sentimenti: per me sarebbe stato semplice corteggiare un'altra divinità, però avrei compiuto anche un crudele atto empio, un deicidio nei tuoi confronti.
E il mio amore per te non si traduceva solo in passione, bensì soprattutto in rispetto.
Avrei voluto discutere con Athena su questo argomento. Anzi, avrei voluto semplicemente parlarle, anche di altro, anche di semplici pettegolezzi.
Ma lei era assente.

« Halaktrya? Siete davvero voi quel giovane dalla voce celestiale, capace di incantare i cuori di uomini e dèi?»

A prendere la parola fu la sfuggente figura di un... servo di mia zia Eos, fino a quel momento passato inosservato: il suo fisico era androgino con la carnagione fin troppo chiara, quasi non avesse mai sfiorato la luce del Sole, mentre i capelli liscissimi, lunghi oltre la metà della schiena erano di un caldo, cupo castano, del medesimo colore degli occhi sottili, a mandorla; inoltre indossava una particolare, candida, preziosa veste in seta a maniche ampie, con un'argentea fascia stretta in vita.
Era decisamente elegante e posato, nell'aspetto e soprattutto nei modi, tanto che ad ogni silenzio si ricomponeva a braccia mollemente conserte, celando le mani sotto la preziosa stoffa.
Era così diverso da me. Eppure così dannatamente familiare.

« Sono davvero così famoso?»
« Fidatevi, pagherebbero qualsiasi prezzo pur di ascoltare la vostra voce. Ed anche io sarei disposto.>>

Eos, stranamente, non gli intimò di sedersi, anzi si limitò a far oscillare il calice nella mano, fingendo stanchezza, ma in verità i suoi occhi celesti erano più che vigili.

« Vi prego, Halaktrya: voglio sentire quell'antica nenia.»

Quell'antica nenia.
Rabbrividii: dopotutto, non ero solo il Figlio di Sole.
Era un pensiero sciocco per qualsiasi altra creatura: come dimenticarsi della propria madre?
Ma mia madre era limpida e sfuggente, ancor di più di quel ragazzo: i pochi ricordi di lei aggrappati alla mia memoria erano le lunghe notti che aveva trascorso a cullarmi tra le sue braccia, mostrandomi a volte il suo bianco viso, in altre solo un lembo di pelle, fino a scomparire nell'oscurità della notte, abbandonandomi nelle tenebre rischiarate solo dalla luce del mio tenue fuoco sacro.
Compiuti i sei anni di vita scoprii che, per un torto alle divinità, era stata gettata nel Tartaros poco dopo la mia nascita. Eppure, il suo canto risuonava ancora nella mia mente, inciso nel cuore.
Fui sorpreso da una lacrima, che mi scivolò lungo la gota fino a schiantarsi sulla tavola.

« Che magnifica idea, quella del nostro ospite. La voce di Halaktrya è un vero balsamo per l'anima.» Zeus non distolse lo sguardo aureo da quel giovane, come se in verità lo stesse studiando da tutta la serata, cercando di capire le sue intenzioni.
« Io... non penso di essere così talentuoso: finirei solo per tradire le vostre alte aspettative.» per la prima volta nella mia vita, non desiderai far sfoggio della mia arte. Non comprendevo quel brusco cambio d'atmosfera e non volevo espormi troppo, rischiando di mettere in pericolo anche te.
« I mesi con mio figlio, incredibilmente, ti hanno reso più modesto.» il Padre degli Dèi si carezzò lentamente la barba curata, sospirando poi mesto « Mi dispiacerebbe congedare insoddisfatto un mio ospite.»

Provai a rispondere, ma sentii una mano posarsi sulla mia spalla.
La tua mano.
Eri... preoccupato? In effetti, non mi ero mai mostrato così insicuro.
Chinai il capo cercando di riflettere, ma il cuore era sconvolto da mille pensieri ed emozioni: non riuscivo a pensare con lucidità, provavo solamente un insolito timore.


Canterai per noi, Halaktrya? Oggi c'è anche la luna piena, proprio come ai vecchi tempi.


Il misterioso ospite, quando alzai lo sguardo stupito per quell'inaspettato dialogo mentale, mostrò solo un sorriso affilato quanto una falce.


[Non si può comprendere la profondità di un rapporto,
finché non lo si vive
]


Come ogni altro uomo,


    Ti eri lasciato sedurre dal mio fascino.
Sul sorgere di un nuovo giorno, i miei polmoni si riempirono d'aria per poi liberarla in suoni armoniosi, decisi, inseguiti da una musica che cercava -pur fallendo- di eguagliare la medesima potenza: nell'assoluto silenzio plateale, molti divini spettatori furono costretti alle lacrime davanti alla forza di quel canto antico, da tempo perduto e volutamente dimenticato.
Non era un inno a Zeus, non era un elogio a nessun'altra divinità.
Era la voce di un popolo piegato alla schiavitù, incatenato nell'oscurità più remota del creato in attesa di rivedere la Luce.
Non parlavo la lingua dei Titani, eppure quell'unica nenia della mia infanzia era ben radicata nel mio animo: ero rimasto affascinato forse da quelle parole tanto melodiose, in un idioma a me ignoto, o forse da quel sentimento di speranza, da quella preghiera rivolta direttamente a Gea, Madre Terra.
Volteggiai libero al centro della sala e in quella confusione di visi, di pianti, di stupore, i miei occhi si soffermarono sui tuoi, che lasciavano trasparire un'emozione a me indecifrabile.
In seguito, mi domandasti spesso il significato di quel canto ed io, divertito dalla tua inusuale curiosità per qualcosa che andava oltre la sfera bellica, ti rispondevo sempre in un modo diverso: ora una canzone d'amore, ora di guerra, ora di morte; tutte risposte vere, ma nessuna esatta, e tu ovviamente ringhiavi innervosito, anche se poi nella quiete della notte mi chiedevi di cantare per te quelle parole.

La musica finì bruscamente ed io, sull'ultima pulsazione dei tamburi, m'inginocchiai in un solenne inchino mentre i musicisti tremavano affaticati da quel folle inseguimento della mia voce. Anche io ero stanco, sentivo il fiato mancare ed alla fine crollai su me stesso in un silenzioso pianto, vinto da quei sentimenti rivelati.
Sopportai interi attimi di assoluta, tediosa, scandalizzata quiete, fino ad un primo applauso da parte di Dioniso, seguito da Hermes ed infine dagli altri, pochi ospiti, ammaliati dal mio canto.

« Selene, dovevo immaginarlo.» con il suo intervento, Zeus soffocò ogni altra dimostrazione di apprezzamento « Non lasciate che quei ribelli abbandonino l'Olimpo!» aggiunse a gran voce, cosicché tutte le guardie riuscissero a sentirlo.

Mi guardai attorno, ma sia Eos, sia quel misterioso ragazzo erano scomparsi, così come molti altri invitati, spaventati dall'improvviso arrivo dei soldati.

« E tu.»

Per un solo istante, vidi riflesso nei suoi occhi l'ardente desiderio di uccidermi, di richiamare una folgore -simbolo del suo potere- e disintegrarmi. Ed io, in quel momento di assoluta quiete, ricambiai lo stesso sguardo ostile.
Perché si ostinava a tenermi in vita?
Dopotutto, ad ogni cambiamento, una reazione
.
Eppure Zeus non aveva mai reagito ai miei cambiamenti: ogni mia pietra scagliata non era mai riuscita a produrre alcuna increspatura sulla sua superficie.
Perché?

« Suppongo che tu non sia dell'umore giusto per dirmi qualcosa su Selene.» scherzai, mentre la mia carnagione si stava già frammentando in bianche, crepitanti fiamme.
« Tu dovevi rimanere rinchiuso in una sudicia gabbia.» continuò il monarca, tendendo il braccio verso di me. Nel suo palmo si materializzò una folgore che splendeva di assoluta onnipotenza, tanto che il solo sguardo prolungato feriva gli occhi al pari della luce del Sole.

Che mossa stupida.
Ma poi mi ricordai di non essere solo
.
Una fiera rossa, proprio in quell'istante di stallo e di studio reciproco, mi spinse bruscamente e violentemente di lato, tanto che rotolai a terra. Un'azione improvvisa che mi provocò, in pochi secondi, solo smarrimento, mentre il fulmine splendeva ancora nel palmo di Zeus.
Idiota. Eri un completo idiota.
Non mi ero mai curato della mia vita, prediligendo scelte bizzarre o mortali, ma per quanto riguarda la tua, era decisamente un discorso diverso; lo compresi quando, nella confusione più totale attorno a noi, mi immaginai il tuo terrificante grido di dolore, il devastante impatto dell'arma sul tuo fisico.
Probabilmente neppure l'ambrosia ti avrebbe salvato dal trapasso.
E questo pensiero spezzò il mio animo.
Tremai, pallido come un cadavere.

« Lui appartiene a me.» ringhiasti, coprendo la mia figura -ancora stesa a terra- dietro alla tua ampia schiena.
« Quindi ti sei davvero affezionato.» a quella sentenza tanto simile ad un disonorevole insulto, lo sguardo del sovrano si soffermò qualche attimo su di me « Hai giurato di difendere la tua famiglia, eppure hai deciso ugualmente di proteggere una creatura così instabile.»
«
I miei soldati sono l'unica famiglia che conta.»

Era più forte di te: non eri capace di riflettere.
Ciò che pronunciasti fu grave quasi quanto una dichiarazione di guerra: i più crudeli, spietati spiriti figli del conflitto ti erano profondamente fedeli ed avrebbero eseguito ogni tuo comando, anche il più folle come attaccare l'Olimpo; vista la tua posizione e la diffidenza con cui gli altri dei ti guardavano, dovevi essere proprio tu il primo a mostrare assoluta fedeltà a Zeus.
Eppure, già al tempo, sentivi quella lealtà fin troppo forzata. Ed era un sentimento pericoloso non tanto per le altre divinità, ma per te.

« Per carità, fermatevi!» Eiléithyia, tua sorella e dea della fertilità, accorse nella sala richiamata dal trambusto.

Sulla soglia, sopraggiunse anche tua madre, Hera, scortata dalle sue ancelle: non ti aveva mai amato, però dallo sguardo letale come il filo di una spada capii che era più che intenzionata a far valere la propria autorità di regina, non potendo mai accettare che il suo sano primogenito venisse sfregiato.
Solo con la sua protezione, Zeus scosse il capo, prima di ridere sommessamente come se tutto quello che era accaduto fosse solo una sciocchezza: era uno scherzo, diceva, una piccola diatriba tra padre e figlio, niente di grave.

« Andiamo, Alectryon.» mi aiutasti ad alzarmi, coprendomi le spalle col tuo mantello cremisi.

Nel silenzio generale, ti seguii fin fuori dal palazzo, in una lunga marcia funebre in cui i miei pensieri erano rivolti al velato ghigno soddisfatto che tuo padre mi serbò alla fine.
Tutto quel che era accaduto... tutto era andato secondo il suo volere.


[Finché non si prova sulla pelle lo stesso dolore]


Come solo tu eri capace,


    Riuscivi a farmi sentire completo.

« Sta sera non torneremo all'accampamento.» la tua sentenza spezzò il silenzio che si era creato tra noi, risvegliandomi dai miei pensieri.
« Ah no?
» corrucciai la fronte « Non fa un po' troppo freddo per dormire sotto le stelle?»
«
Seguimi: il mio tempio non è lontano.»

Mi fermai sui miei passi ancor più stupito.
Tu odiavi quel posto da secoli disabitato e non ti biasimavo, soprattutto dopo aver incontrato la tua amabile famiglia, eppure volevi andare proprio lì.
Perché? Cosa avevi in mente?
Smaterializzai il mio corpo per riapparire al tuo fianco, risparmiandomi attimi preziosi di tediosa discesa. Ti studiai cercando di cogliere un cenno, un qualcosa nella tua espressione, ma eri di pessimo umore, in collera con tuo padre.
Il rancore, covato per troppo tempo nel cuore, creava sanguinose faide e anche se non ero decisamente in buoni rapporti con Zeus, non volevo che agissi mosso da chissà quale desiderio dettato dall'ira.

« Muoviti.» mi ordinasti con tono cupo, precedendomi nel tempio.

Il primo passo nella tua casa.
Passeggiando per l'immenso atrio, svelai pian piano una parte di te che non avrei mai pensato di incontrare: la tua infanzia e la tua giovinezza. Pensando ad un dio, pensando a te, non riuscivo ad immaginarti bambino, eppure anche tu eri stato in fasce, innocente e forse con un po' meno odio verso il mondo.
Osservai attentamente quella muta storia raccontata tra le colonne sfregiate. Lasciai scorrere le dita sul freddo marmo e mi parve quasi di udire il riverbero dei colpi che mulinavi da ragazzino, fingendo di combattere contro i mostruosi Titani.

Muori, muori dannato Titano! Ti rispedisco nel Tartaros da cui provieni!”, potevo quasi sentire la tua stridula voce che inveiva contro i temibili nemici degli dèi.
Evidentemente, qualcuno ti aveva fatto cambiare idea.
E poi volsi uno sguardo alla tua titanica statua, che ti rappresentava come un aitante giovane armato di lancia e scudo, sbarbato e completamente glabro, nudo nella tua fierezza giovanile.
Tossii.
Tossii più volte.

« Non dire niente.»
«
Ah... lo sai bene che le battute facili non mi piacciono.» picchiettai l'indice sulle labbra arcuate in un sorriso giocoso « Anche se... che ci fa una statua di Ganimede qui? Insomma, vuoi farmi ingelosire?»

Forse, più che risollevarti il morale, stavo semplicemente rischiando di morire, ma per un'onesta risata questo e altro.

« Potresti essere tu, per quel che mi riguarda. Ho scopato donne più pelose di te.» e, superando il tuo malumore, rispondesti alla mia ironia infierendo sui miei mancati peli facciali.

Sognavo una curata barba da filosofo, lo sapevi bene, ma il Fato aveva deciso di farmi assomigliare ad un eterno adolescente.
Ma ero più che intenzionato a non lasciarti nessun'altra, seppur piccola, soddisfazione.

« Tipico di voi divinità: disprezzate l'antico, credendovi superiori.» con tono saccente, incrociai le braccia al petto, fissandoti con sguardo di sfida.

Tu, ovviamente, divertito dalla mia insolenza non evitasti il confronto, anzi, con un ghigno sadico eri già pronto a gustarti la vittoria: ti avvicinasti a me e scostasti un paio di ciocche, per poi sussurrarmi qualcosa.
Due parole.
E due sole parole bastarono per sconfiggermi.

« Non parli più?» inclinasti il capo, non smettendo mai, neppure per un istante, di ghignare.
« Sei sleale.»
«
Eppure non rifiuti l'offerta.»

Avevi vinto ancora una volta, vero, però mi accontentai di rivederti di nuovo felice, senza più quel cruccio che ti deturpava il viso.

« Ma prima, voglio che tu faccia dono del tuo fuoco.» camminasti verso un braciere spento, dandomi le spalle « Ogni mio seguace ha lasciato un segno nel mondo: Deimos e Phobos sono venerati come divinità, Pόlemos ha riunito e separato interi popoli, Alalà è sempre presente nel cuore dei soldati...»

Lasciare un segno: tipico degli dèi dopotutto.
I Titani non chiedevano templi, sacrifici o ricorrenze particolari: il dialogo con la Madre Terra e i suoi più antichi figli era intimo e personale, un contatto tra l'uomo e la natura più selvaggia senza mura che limitassero la vastità del creato. Viceversa, voi divini pretendevate opere colossali, titaniche, non solo per affermare la vostra grandezza, ma per essere venerati e quindi ricordati dagli umani, che in quest'ottica religiosa divenivano stolti schia... devoti servitori al vostro servizio.

« Tu sarai il fuoco che arderà nel mio tempio, così come sul campo di battaglia.» ti chinasti per raccogliere la fredda cenere, mentre ancora ti osservavo in silenzio, incredulo. Dopotutto, avevamo iniziato col parlare di velli umani e divini per finire con proposte d'una sacralità che mal si sposava col tuo carattere « Il mio soldato divinizzato.»

Divinizzare un Titano. Solo a te poteva balzare in testa un'idea così singolare.
Con l'atto della divinizzazione, il corpo perde completamente la propria umanità per poter accogliere il potere del dio, che come acqua in un fiume inizia a scorrere propagandosi fino ai più minuti capillari. Questo è quel che è accaduto ad alcuni dei tuoi seguaci, come Homados, un tempo un umano che per pura casualità aveva scoperto un'esplosiva reazione chimica: tu, dall'alto del tuo carro da guerra, eri rimasto affascinato da quella
magia che gli aveva sfregiato gran parte del viso e del fisico, tanto che per diletto lo divinizzasti, tramutandolo in un immortale, isterico sottoposto con un'insana fissazione per gli esplosivi.
Ma io, a differenza di Homados, non ero umano.
Se avessi accettato, il mio fuoco sarebbe fluito nel tuo corpo e il tuo potere nel mio, in un costante moto senza un inizio o una fine: un legame indissolubile, che in eterno avrebbe unito le nostre esistenze fino a quel momento divise.
I tuoi soldati sono la tua famiglia. E per te era giunto il momento che anch'io ne facessi parte.
I miei passi si dispersero nel cupo, solenne rimbombo del tempio.

« Non pensi mai alle conseguenze delle tue azioni, vero?»

Bianche fiamme crepitavano sul palmo della mia mano, danzando silenziose, in attesa di congiungersi al loro nuovo padrone.
Quella fu la notte in cui mi convertii al tuo culto. Quella fu la notte in cui le nostre anime tornarono ad essere Uno.


[Di una lenta,
sofferta discesa verso gli Inferi
]






Fine Secondo Capitolo!




Due parole: sul dizionario di greco antico ci sono parole talmente lunghe e articolate che ne basta una sola per sostituire un'intera frase. Con due, probabilmente, Ares ha detto ad Alectryon il programma dell'intera settimana.



    Angolo dell'Autrice:


Mea culpa.

Quando ho ampliato la parte del banchetto, ho perso il controllo del mio lato oscuro: inizialmente, nelle prime bozze, Ares doveva “spassarsela” con Aphrodite, lasciando Alectryon nei casini, ma poi, non so bene quando, il mio animo fujoshi ha preso il sopravvento e... niente, ho dovuto mettere la scena in cui Ares imboccava Alectryon.

Scusa Aphrodite, sarà per un'altra volta.

Ok, al di là dei miei svarioni, questo capitolo l'ho ritoccato più e più volte, proprio per la caratterizzazione di Alectryon: sia nello stile più riflessivo rispetto ad Ares (infatti ho voluto mettere delle vere e proprie digressioni mentre la scena continua comunque a scorrere; volevo dare un po' l'idea del ragazzo che si perde a pensare, estraniandosi dalla realtà), sia nella resa delle altre sfaccettature del suo essere, come ad esempio l'insicurezza e, appunto, l'overthinking.
Non so se alla fine sono riuscita a dare l'effetto voluto, però rispetto a com'era originariamente posso dire che mi soddisfa. E per questo verrò punita dal karma, già lo so.


Detto questo, mancherò per qualche giorno per motivi personali. Quindi... nulla, vi lascio con questo capitolo!


Inoltre un grazie speciale a chi ha recensito e a chi ha aggiunto questa storia alle preferite/da ricordare!



Un bacio da _Lakshmi_!

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Epico / Vai alla pagina dell'autore: _Lakshmi_