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Autore: Wastingthedawn    04/05/2019    2 recensioni
Un gruppo di turisti viene attratto da un inserto comparso sulla guida alla città di New York:
"Il Dottor Emeritus vi invita nella sua peculiare galleria d'arte occulta: venite a visitare il Museo delle Anime Vive e lasciate che le storie impresse nelle tele dai nostri Artisti senza Nome vi… catturino"
Ignari del pericolo, decidono di prenotare una visita guidata
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense, Raccolta | Avvertimenti: Violenza
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“Siete rinvenuti, miei cari ospiti.
Avverto lo sgomento e la paura che provate; avete appena vissuto un incubo ad occhi aperti, non è forse così?
Orribile, davvero orribile, una tela sconcertante, e non è una delle più intense devo dire. Cosa? Qualcuno sta piangendo? Oh, signori, bambini, è perfettamente normale tutto ciò.
Sapevate che la visita in questo luogo è un’esperienza “disumana”, per tanto chiunque volesse abbandonare la visita guidata può farlo.
Sì, capisco. Non ci riuscite, vero? Siete ipnotizzati, venite attratti dai colori vividi e brillanti contro la vostra volontà. Sperimenterete la trance fino alla fine del percorso, e non vi piacerà.
Anzi, vi disgusterà, vi rattristerà, vi shockerà, vorrete cavarvi gli occhi, tapparvi le orecchie pur di non essere testimoni di ciò che vivrete durante la vostra allucinazione.
Eppure non ve ne andrete, anche se nessuno vi sta trattenendo contro la vostra volontà.
Quindi, per non perdere ulteriore tempo, lasciate che vi introduca il nostro prossimo quadro: l’artista in questione ha un dono per i dipinti paesaggistici, e ha deciso di dare anima e corpo in questa splendida veduta dall’alto su di una foresta di sempreverdi.
Che magnificenza! La natura, così pura e così…crudele.
Sì, sta iniziando l’allucinazione uditiva, ma non temete, presto la vostra mente si popolerà di immagini vivide e realistiche.
Intanto, ascoltate ciò che la voce che esce da questo dipinto ha da dirvi.
Chissà che mistero si cela dietro una tela tanto enigmatica, intitolata: “Il Messia”.

 
Il messia

 
Le creature viscide si erano prese mio fratello.
Erano venute all’alba, a cavallo dei loro destrieri ruggenti, quegli strani esseri a quattro zampe, veloci come nessun altro animale che dimorava nella foresta; producevano un rumore assordante, un  ronzio che ogni volta era in grado svegliare tutti noi, disturbando la nostra quiete e lasciando presagire le eminenti sciagure.
Il mio popolo aveva abitato in quelle terre fin dall’alba dei tempi, si era evoluto col passare delle ere e aveva contribuito a dare una casa a tutti gli essere viventi che, a poco a poco, avevano cominciato a svilupparsi e a diffondersi.
Nessun animale ha mai causato danni al mio popolo, e noi siamo sempre stati più che disponibili a coesistere pacificamente con loro, in armonia.
Poi, un giorno, sono arrivate le creature.
Immagino lo sgomento quando i miei antenati hanno visto per la prima volta questi esseri informi, piccoli e per questo apparentemente innocui.
Apparentemente.
Provavamo un certo ribrezzo nel vederli aggirarsi tra le nostre terre, con la loro superficie molliccia, le quattro protuberanze ballonzolanti che si trascinavano appresso, attaccate a quel tronco piccolo e tozzo
A volte li osservavamo, impotenti, mentre davano la caccia a qualche animale selvatico, mentre lottavano tra di loro, mentre…
Mentre ci mutilavano.
Mentre ci ferivano, mentre uccidevano alcuni di noi.
Ho visto i mostri arrampicarsi sui miei simili, portarsi a casa dei pezzi del loro corpo, come trofei.
Mio padre mi spiegava che era così che andava il mondo: da quando le creature viscide erano state date alla luce, i nostri simili non potevano più dirsi al sicuro; dovevamo accettare che i mostri si prendessero ciò che desideravano da noi, senza poter far nulla per fermarli.
Ho vissuto secoli nella foresta, cullato dal dolce vento che mi accarezza le foglie, nutrendomi del terreno dove le mie radici sono ben piantate a terra: non ho mai avuto bisogno di uccidere per sopravvivere, così come nessuno del mio popolo ha mai fatto lo stesso.
Gli animali, erbivori o carnivori che fossero, non ci hanno mai torturato; se mai dobbiamo temere qualcosa, quelle sono le intemperie, e i fulmini.
Ma madre natura si è sempre presa cura dei suoi figli, e noi siamo i guardiani del suo creato.
Non potevo credere che ci lasciasse in balia delle creature viscide.
Mio padre, una sequoia ormai ultracentenaria, spiegava a me e ai miei fratelli che la nostra madre era madre anche delle creature, e affinché anche loro sopravvivessero, gli permetteva di farci questo.
“Mors tua vita mea”, ripeteva sempre.
Provavo un disgusto indicibile.
Come potevo accettare tutto questo?
Come potevo accettare di sapere che nel mondo, grida disperate si elevavano al cielo, ogni qual volta i mostri brandivano un’accetta e la usavano per colpire un mio simile.
Presto tutti noi saremmo stati spazzati via, rasi al suolo per accontentare i capricci di quelle disgustose bestie che, nei secoli, erano diventate sempre più fameliche.
Ormai non ci usavano più solo per sopravvivere, ma per procurarsi agi inutili.
No, non avrei potuto conviverci a lungo.
La mattina che sono venuti per mio fratello, tutto è cambiato.
Sono arrivati a dorso di quella bestia metallica, come per farsi subito temere, per stabilire il loro dominio.
Hanno brandito quell’arma dentellata di cui ci raccontavano gli alberi più giovani, i quali erano più sensibili al passaparola di informazioni che saettava da foresta a foresta, e si sono avventati sulla mia dinastia.
Sentivo dire che le creature sono sorde, non riescono ad avvertire i rumori che noi produciamo, perciò la loro crudeltà deriva dall’incapacità di udire le grida di dolore che lanciamo mentre maciullano i nostri corpi.
Tutte stronzate.
Mentre facevano a pezzi mio fratello, lentamente e senza sosta, non potevo credere che non avvertissero minimamente il suo pianto disperato, il rantolo che gli è uscito quando è caduto definitivamente a terra, morto.
Le loro fattezze informi, il corpo privo di corteccia, il colorito di un bianco sporco, così innaturale…ogni cosa mi faceva ribrezzo.
Pensai di nuovo alle parole di mio padre e mi chiesi: “ se la nostra morte permette a loro di vivere… la nostra vita sarà garantita dalla loro morte”.
Quella notte ci pensai a lungo, pensai che doveva esserci un modo per noi alberi di ribellarci.
Noi, esseri primigeni, autotrofi e indipendenti, primi figli della Dea madre natura, dovevamo nascondere molti altri poteri di cui non eravamo a conoscenza.
Lasciai che la rabbia montasse, che nella mia linfa scorresse l’odio puro, e a poco a poco ho sentito che riuscivo a muovermi sempre di più.
Pregai la dea madre, la supplicai di permetterci di rimediare all’errore che aveva commesso, quando aveva creato i mostri viscidi.
Le mie preghiere vennero ascoltate.
Il giorno dopo, erano lì per me.
Avevano portato un altro animale meccanico, più grosso e robusto.
Tuttavia, non avevano fatto in tempo ad accenderlo.
Con una zaffata scaraventai il primo ominide biancastro dall’altra parte della foresta, facendolo ruzzolare giù per una scarpata.
Poi, con decisione, afferrai il secondo mostro, più grassoccio e maleodorante del primo, e lo stritolai fino a fargli uscire dal corpo tutta quella melmosa linfa rosso scuro che li compone.
Ho provato un moto di disgusto, ma è stato un piacere sentirlo strillare di terrore e dolore.
Noi sì che siamo in grado di udirli.
Tutta la foresta mi guardava, in un misto di shock ed ammirazione; quando sentii il tronco di uno dei miei fratelli alle mie spalle, provai un forte orgoglio.
La foresta si stava risvegliando.
Il mio popolo stava staccando, non senza fatica, le radici dal terreno e stava, lentamente, avanzando verso le creature immonde.
Presto, più di un centinaio di sequoie stava marciando verso la “foresta di umani” più vicina, cantando di gioia e richiamando tutti gli alberi di tutte le foreste di tutto il mondo.
Inutile dire che, quando ci videro arrivare, i mostri iniziarono a urlare e scappare.
Esatto, figli di puttana, finalmente saprete cosa si prova, pensai tra me e me.
I miei rami entravano nelle finestre delle loro abitazioni, infrangevano i vetri e stritolavano ogni creatura che gli capitava a tiro.
Dovette fare lo stesso con i loro figli: quei piccoli germogli non avevano colpa, ancora, però sapevo che dovevo farlo; ne andava del bene del mio popolo, di nostra madre.
Infilzai un umanoide dal tronco fino e scuro, mi rimasero le sue nauseabonde interiora attaccate ad alcune foglie.
Man mano che marciavamo, distruggevamo case e strada, risvegliavamo i fratelli che erano stati cresciuti in cattività, resi prigionieri nei loro recinti e nei loro parchi, e continuavamo la devastazione.
Ci vollero quasi una decina di anni, ma alla fine l’impresa fu terminata.
Ogni singolo mostro era stato annientato.
La schifosa melma grigia che avevano cosparso sul terreno venne completamente coperta dalle nostre cugine piante, e tutto ciò che è stato costruito da loro non è quasi più visibile.
Ora so perché la madre ci ha sottoposti a questa prova: voleva che dimostrassimo il suo amore per lei, che annientassimo i mostri e che ci riprendessimo ciò che è nostro.
Molti dei fratelli sono periti, le crudeli creature hanno tentato di sopprimerci e incendiarci, e alla fine hanno fallito.
Le mie radici sono di nuovo ben piantate nel terreno, la popolazione cresce sempre più forte e rigogliosa; vengo chiamato il Messia, colui che per primo ha preso posizione e dato inizio alla lotta.
Che il mio popolo possa nuovamente vivere in pace e in armonia, e che nessun altro mostro possa mai più svilupparsi sul nostro pianeta.
 
 
   
 
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