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Autore: Nikita Danaan    05/05/2019    0 recensioni
"La storia di due giovani che cambieranno le tradizioni di una tribù".
Una frase all'apparenza semplice ma che racchiude il succo della trama. Entrate a dare un'occhiata se ne siete incuriositi!
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quella mattina si era prospettata fin da subito molto calda. 

Era da poco passata l'alba e Samira stava sudando come se il Sole si trovasse già allo zenit.

Si passò la mano sulla fronte madida di sudore e immerse la brocca d'acqua nel ruscello, mentre intanto canticchiava tra se e se. Quella sarebbe stata una giornata molto importante: la Majà voleva verificare che tutte avessero appreso la tecnica della somma danza come si conveniva alle donne yokuja e lei era talmente agitata da non aver chiuso occhio.

Era pur vero che in quegli anni le sue abilità nel ballo erano decisamente migliorate ma non si sentiva ancora sicura delle proprie capacità, anche per via degli sguardi severi che l'anziana capa villaggio le lanciava, come se attendesse da un momento all'altro di vederla fallire, tuttavia lei non era più la bambina spaurita di quattordici anni prima; ormai era una donna adulta e avrebbe dimostrato all'intera tribù che ce l'avrebbe fatta.

Dopotutto lui contava su di lei. 

A quel pensiero scosse la testa turbata e tolse la brocca dal ruscello e la appoggiò accanto a sé. 

In quegli anni aveva assistito alla crescita di Aayan, che era diventato uno dei giovani più promettenti della tribù: forte, coraggioso, leale, bravo nella caccia e nella pesca e di bell'aspetto, tutti-si vociferava persino il Pajà-nutrivano grandi aspettative in lui e che quindi proprio quella sera dopo l'esibizione delle donne avrebbe potuto scegliere la sua promessa sposa. 

Lei, invece, era ancora considerata abbastanza inutile rispetto alle sue compaesane: non era aggraziata, una pessima cantante e tessitrice e dal fisico troppo magro per fare bambini, ma sopra ogni cosa non era pronta al matrimonio così come lo erano le altre e perciò era una fonte di disperazione per la Majà e di disonore per la sua famiglia.

Persa nei suoi pensieri, Samira si iniziò a togliere la lunga gonna che copriva i suoi fianchi e la fascia che le cingeva il seno prosperoso per potersi immergere nel ruscello e darsi una rinfrescata rigenerante. Finito di spogliarsi, entrò con calma nell'acqua che la accolse facendole emettere un mugolio di piacere.

Ne aveva proprio bisogno, specie se era tesa e pensierosa come in quel momento. 

I suoi pensieri tornarono sulla figura di Aayan, più grande di lei di un anno ma che, a differenza sua, aveva già raggiunto il compimento della sua vita terrena secondo la concezione degli yokuja. Ciò che le sarebbe piaciuto sapere di più da lui era se si ricordava di quella volta che da bambini l'aveva incoraggiata e le aveva detto quella frase che ora che era cresciuta la faceva arrossire come un peperone.

"Quando saremo grandi ti sposo io".

Aveva avuto molte occasioni di parlare con Aayan ma ogni volta che gli stava per chiedere se si ricordasse quella specie di promessa si bloccava, colta da un senso di vergogna e inadeguatezza. Perché avrebbe dovuto ricordarsene e, anche se fosse stato così, perché avrebbe dovuto mantenere la parola?

Poteva sposare qualsiasi donna desiderasse del villaggio, perché prendersi proprio lei?

Ormai presa dalla tristezza, Samira si alzò e si asciugò con un panno che si era portata dietro quando sentì le voci delle ragazze che emettevano urli eccitati. Dovevano essere tornati i ragazzi dalla caccia mattutina, dedusse la ragazza.

Si legò il panno attorno al corpo e, mentre si legava i capelli lunghi e mossi in una coda, sbirciò accuratamente nascosta da un masso il rientro degli uomini e in prima linea, con caricato in spalla un esemplare adulto di cervo, c'era proprio colui che stava popolando i suoi pensieri un attimo prima.

Aayan stava parlando con un ragazzo che lo affiancava entusiasta, probabilmente congratulandosi per l'esito positivo della caccia; lui lo ascoltava annuendo di tanto in tanto sorridendogli cordialmente.

Samira capiva molto bene perché le sue coetanee fossero così entusiaste nel vederlo, poiché perfino lei lo era anche se cercava di controllarsi: i capelli corti e ricci sempre ribelli, gli occhi profondi color pece, il fisico robusto ma atletico come quello di un felino e il viso dai tratti marcati e definiti ingentilito da quel suo splendido sorriso...

Samira si aggrappò alla sporgenza dietro la quale si stava nascondendo dandosi della stupida. Decisamente uno così era fuori dalla sua portata.

Sospirando, uscì dall'acqua, recuperò i suoi vestiti e la caraffa piena e si diresse verso la sua tenda. Ormai, avendo raggiunto la maggiore età, abitava in una tenda tutta per sé e onestamente le andava benissimo così; non sapeva più come sopportare le occhiate furtive della madre e gli sbuffi contrariati del padre, i quali decisamente desideravano una figlia migliore.

Entrò nella sua tenda, dall'arredamento minimale ma che per lei era perfetta e ormai la considerava appieno come casa propria, e si avvicinò al tavolo basso in legno che aveva costruito lei stessa dove appoggiò la brocca. Era molto soddisfatta del suo lavoro perché era stata una delle poche volte che si era sentita in grado di fare qualcosa da sola, peccato che la Majà l'avesse subito sminuita definendola "un'attività non consona ad una donna yokuja", "un lavoro da uomini" ma lei non si era buttata giù, anzi quel piccolo tavolo era uno dei suoi piccoli vanti che se avesse potuto l'avrebbe sfoggiato portandoselo dietro per tutto il villaggio. 

Si avvicinò a un ripiano in legno, sempre fatto da lei, prese della frutta secca, un piatto e un bicchiere e si sedette per terra a gambe incrociate per mangiare. Non aveva neanche fatto colazione, ma fare le faccende e andare al fiume le avevano fatto ritornare l'appetito fortunatamente.

Finito il suo semplice pasto, mise in ordine e si diresse verso il suo talamo, quello stavolta regalo dei suoi genitori per il raggiungimento dell'età adatta a fare figli, ovvero i quattordici anni per i Yokuja, si chinò e prese dal cassetto del suo comodino un cambio d'abito. 

Dopo essersi rivestita con un sobrio abito di lino e aver messo i suoi gioielli-ossia un bracciale, degli orecchini a cerchio, una collanina di perle che teneva sempre legata alla caviglia sinistra e un monile alla spalla destra-uscì nuovamente dalla tenda pronta per andare ad allenarsi nel ballo. 

Angolo dell'autrice

Quattordici anni: ebbene sì, lo so che vi sembrerà molto presto(lo è anche per me)però ci tengo a precisare come funzioni questa società e le sue regole "arcaiche", chiamiamole così.

Salve! Ecco il primo capitolo, che è più una presentazione di una giornata tipo della protagonista e una maniera per conoscerla meglio. Forse è un pochino noioso perché è di passaggio ma spero lo gradiate! *^*

Un saluto e al prossimo capitolo! 

Nikita! ^w^

 
   
 
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