La moglie macedone
Il cuore batteva veloce nel petto di
lei, il suo respiro era accelerato, le sue guance rosse, i bianchi denti
sfioravano le labbra semiaperte, la donna alzò la mano e lei chiuse gli occhi
aspettando il peggio.
Come si era arrivata in una simile situazione?
Le risate delle compagne riempivano l’aria, le loro chiacchiere leggere,
mentre facevano il bagno, la facevano sorridere.
“Meglio uno spartiate che un tebano!” Dichiarò Eutasia,
rovesciando dell’acqua sulla testa di Aphia.
“Stai scherzando? Preferirei accompagnarmi da oggi fino al solstizio con
un capraio di Tebe che stare un solo giorno con un re peloponnesiaco! Sono
noiosi, privi di fantasia e capaci solo di parlare di guerra o poesia.” Replicò
Agathe che aveva un vecchio rancore per gli spartiati
che l’avevano resa schiava quando era ancora una bambina.
“Dicci, Eleni, come sono i persiani?” Intervenne allora la più giovane, Aphia, interpellandola.
“Mollicci e profumati.” La anticipò Eutasia.
“Come gli ateniesi!” Concordò Agathe, facendo
ridere le compagne.
“Lasciate stare il Persiano, è grazie al suo interesse per Eleni se
questa casa si può permettere il lusso di rifiutare uno spartano.” Intervenne
con un bonario rimprovero Tebetha che gestiva ogni
cosa in quel posto. La conversazione si spostò su altri soggetti, ma Tabetha le si avvicinò. “Di certo è bene che fai attenzione
alla moglie, dicono che le macedoni sono terribilmente gelose e il tuo persiano
ne ha sposata una giovane.”
Capelli biondi come l’oro, occhi
azzurri come il cielo, pelle bianca malgrado il sole, bianca quasi quanto la
sua. Se avesse parlato le parole avrebbero assunto uno strano suono, malgrado
ormai si esprimesse bene sia nella sua lingua sia in quella del marito. Ma ora
non parlava, no, la guardava e basta.
Vedeva i suoi occhi seguirla mentre si muoveva nel mercato, i suoi abiti
ricchi ed eleganti facevano sì che molti occhi si posassero su di lei, i suoi
capelli scuri erano comuni, ma la sua pelle protetta dal sole era bianca e
perfetta come quelle delle statue delle dee. Molti occhi, ma solo due
riuscivano a turbarla: azzurri come il mare in cui si muovevano le triremi.
“Eleni.” Disse una donna, il suo accento era marcato e non vi erano dubbi
che fosse macedone, la mandante del messaggio, la padrona di quella schiava,
aveva ancora gli occhi su di lei.
Un altro brivido percorse la sua schiena malgrado il sole fosse caldo in
quel luminoso giorno d’estate, nel pensare all’avvertimento di Tabetha.
“Sì?” Chiese, fingendo tranquilla indifferenza.
“La mia padrona vorrebbe parlarvi.”
“Non…”
“La mia padrona chiede per favore.”
I macedoni erano barbari del Nord ed erano conosciuti per essere
terribilmente fieri, quella parola, quel chiedere per favore, la colpì e la
curiosità vinse sulla prudenza.
Brividi la attraversavano. Avrebbe
offerto a tutti gli altari doni per un intero ciclo di raccolto se gli dei le
avessero tolto da davanti quella donna, se le avessero evitato di doverla
guardare, di dover affrontare quegli occhi azzurri.
Era stato strano, molto strano, sulle prime era stata vigile, pronta a
chiamare il servo che Tabetha aveva preteso
l’accompagnasse, ma poi i giorni si erano susseguiti e così gli incontri. Lei
era diversa da come se l’era immaginata, era curiosa, quasi vorace e non era
gelosa, no, era terribilmente invidiosa, ma non del suo legame con il marito,
ma di quello che la sua condizione di etera le permetteva di fare.
Per ore le aveva chiesto di parlarle dei simposi, ogni dettaglio sembrava
destare una folata di nuove domande e poi vi era la politica, la città, i
luoghi diversi dal mercato, l’unico posto in cui le era concesso, scortata
dalle schiave, di passeggiare oltre al tempio.
Voleva sapere tutto, voleva conoscere tutto e lei era diventata il suo
unico tramite verso il mondo.
Passava ancora ore con il marito persiano, conversava, lo accompagnava al
simposio e poi giaceva con lui, ma quello a cui pensava era a cosa avrebbe
raccontato alla donna e a come gli occhi di lei sarebbero brillati nello
scoprire nuovi dettagli del mondo che le era precluso.
“Eccoti, infine!” Esclamò, nel vederla arrivare ed Eleni sorrise,
lasciando andare i pensieri. Per qualche ragione vedere la donna, il suo
sorriso, il modo in cui, impazientemente, passava le dita tra i capelli non ancora
abituata allo stile cittadino che le era stato imposto, era diventato il
momento migliore della sua giornata.
“Aspetta… non…”
“Perché?” La sua voce era roca e
l’accento era di nuovo marcato, come all’inizio, come quando stava imparando.
“Perché?” Insistette.
E poi era successo, aveva capito, perché le era stato insegnato ogni cosa
sull’attrazione, anche quello. E negli occhi di lei aveva letto che non era
sola in quel sentimento. Le loro mani si erano sfiorate e lei l’aveva guardata
negli occhi, capendo.
“Eleni.” La voce di Tabitha era grave. “Il Persiano ci versa una somma
considerevole ed è un uomo potente. Questa non sarà la sua città, ma rimane uno
dei mercanti più ricchi. Non possiamo permetterci di averlo come nemico.”
“Perché dovrebbe esserci nemico, giusto ieri ho passato il pomeriggio con
lui, era molto soddisfatto.” Assicurò, ignorando l’improvviso sobbalzo che
aveva fatto il suo cuore, perché sapeva e, a quanto pareva, anche Tabitha aveva
capito.
“Quello che potrebbe farlo arrabbiare è come hai passato il mattino.”
Disse allora, gentilmente, era materna con loro. “Lo sai cosa devi fare, ti è
stato insegnato.” Il suo tono non era mai duro, ma non vi era nessun appello
possibile a quella tranquilla dichiarazione.
E così aveva fatto. Aveva smesso di vederla.
Ed ora era qua, davanti a lei,
terribile nella sua bellezza, terribile nella sua burrascosa agitazione, così
barbara, così seducente.
“Io ho un contratto con tuo marito.”
Disse, tentando di fermare quello che ormai sembrava inevitabile.
Non si era aspettata di trovarsela davanti, un velo che le copriva i
capelli e il viso, nessuna schiava ad accompagnarla, segno che doveva essere
fuggita alla sorveglianza almeno per qualche istante.
“Ho solo poco tempo.” Le confermò come intuendo il suo pensiero.
“Non dovresti essere qua! Se tuo marito…” Provò a dirle.
“Mi ha portato via dal mio paese, dalla mia famiglia, dalle mie amiche. Decide
come devo vestirmi, pettinarmi, truccarmi, cosa devo mangiare e bere, quanto
devo dormire, quante volte devo giacere con lui, dove posso andare, dove non
posso andare. Va bene. Tutto questo va bene, la mia vita dipende da lui. Ma…”
Eleni poteva sentire che il cuore batteva veloce nel petto di lei, che il
suo respiro era accelerato, poteva vedere le sue guance rosse e i bianchi denti
che sfioravano le labbra semiaperte.
La donna alzò la mano e lei chiuse gli occhi, aspettando il peggio.
E il peggio accadde: la sua mano le
sfiorò il viso.
“Non mi importa.” Dichiarò. Poi,
lentamente le accarezzò la guancia. “Permettimi di godere, una volta, solo una
volta, della libertà per cui ti invidio.”
Eleni chiuse gli occhi e lasciò che
l’inevitabile accadesse.
La bocca della giovane era calda e
morbida, mentre rubava dalle sue labbra un bacio che il marito pagava per avere.
Un bacio che lei agognava di darle da
giorni e che solo il buonsenso le aveva impedito di concederle.
Eppure eccole lì, a sfidare gli dei,
con un bacio che avrebbe potuto rovinare entrambe.
Avrebbe sfidato l’ira dell’Olimpo
intero per poter avere quelle labbra sulle sue ancora e ancora.
Eleni avvolse le braccia attorno al
corpo della giovane macedone e la strinse a sé, mentre approfondiva il bacio.
Un istante, un altro ancora poi la donna si sottrasse, le guance ancora più
rosse, gli occhi blu che sembravano animati come un mare in tempesta.
“La libertà ha un dolce sapore.”
Mormorò. “Bacerò mio marito sapendo che le tue labbra hanno toccato le sue.”
Fece un passo indietro, poi un secondo, sorrise, si voltò e sparì.
Eleni si morse le labbra e rise:
tebani, spartani, ateniesi o persiani, ora lo sapeva: nessuno baciava come una
moglie macedone.
Note: Sono sommersa da impegni, ma non consegnare una storia, anche solo piccolina, per l’iniziativa, mi dava troppo fastidio, così ho strappato due ore al mio pomeriggio (avevo 3 verbali da fare, ma, come dice il saggio: prima le cose importanti, poi il resto. XD) e ho scritto questa one-shot.
Il prompt era “Ramoscello d’ulivo: A è un'etera e teme che B la odi per la relazione che intrattiene col marito che la porta con sé ai simposi. In verità B invidia la sua libertà, ma è pronta a perdonarla per averne un assaggio.”
Spero vi sia piaciuta anche se è proprio mini. ;-)
Fatemi sapere!