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Autore: Red Owl    12/05/2019    1 recensioni
Agnese e Caterina non si incontreranno mai, perché le dividono quasi cent'anni di storia. Eppure hanno qualcosa che le accomuna: qualcosa celato nei boschi che circondano il paesino di San Giorgio della Valle, dove entrambe sono cresciute. C'è un segreto antico, nascosto tra i castagni e le vecchie mura di un paesino della montagna lombarda: Agnese ha scelto di dimenticarlo, Caterina, forse, non l'ha mai conosciuto. Verrà però un giorno in cui entrambe dovranno fare i conti con il passato, quando un nemico subdolo e ingannatore verrà a bussare alla loro porta, alla ricerca di qualcosa che soltanto loro possono dargli.
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Oggi

 

Weaving tho the eyes are pale,

what will rend will also mend.

The sifting cloth is binding,

and the dream she weaves will never end.

For we're marching toward Algiers.

 

La voce di Alessandra era densa, pastosa, riempiva il locale con le sue note graffiate e un po’ roche. Le veniva bene, cantare Patty Smith. Stringendo distrattamente tra le mani un bicchiere di birra scadente, Caterina osservava la sua amica muoversi morbidamente sul palco.

Questa ragazza è assolutamente camaleontica, pensò, sollevando appena un angolo della bocca in un sorriso sarcastico. Nella vita di tutti i giorni, Alessandra era estremamente curata, amava le camicie ben stirate, il trucco poco appariscente ed era solita domare i suoi selvaggi ricci scuri stringendoli in uno chignon dal quale non sfuggiva una singola ciocca. Eppure, quando si arrampicava – anche solo metaforicamente – su un palco e vestiva i panni della cantante rock, subiva una trasformazione piuttosto sconcertante. Gli abiti neri dall’aria vissuta, che con ogni probabilità conservava in una sezione dell’armadio a loro appositamente dedicata, prendevano il posto di quelli più leggeri e variopinti che portava durante il giorno, il suo trucco si faceva più pesante e drammatico e i suoi capelli venivano lasciati liberi di muoversi liberamente.

Sono abbastanza certa che si alleni di nascosto, giudicò Caterina, notando come Alessandra si gettava dietro le spalle la cascata di riccioli con un gesto armonioso della testa, facendoli atterrare elegantemente sulla propria schiena.

Le luci del Dream, come sempre viola e come sempre pulsanti, disegnavano delle ombre strane sui quattro ragazzi ammassati sul palchetto che i gestori del locale avevano allestito per loro. Il volto di Alessandra sembrava esotico, le labbra gonfie e scure, mentre Samuele, che suonava il basso e che in passato aveva tentato qualche sfortunato approccio con Caterina, sembrava quasi bello.

«Bravi, bravi» commentò la ragazza sulle note finali di Broken Flag. Matteo, appollaiato su uno sgabello di fianco a lei, manifestò il proprio entusiasmo in maniera più vigorosa, battendo entusiasticamente le mani e urlando il nome della propria fidanzata nel tentativo di sovrastare il brusio che riempiva il locale e le prime note della canzone successiva.

Discretamente, Caterina mosse un paio di passetti laterali verso sinistra, mettendo qualche decina di centimetri in più tra se stessa e l’individuo urlante che, in ogni caso, non aveva occhi che per Alessandra. Lanciando un’occhiata veloce verso il palco per assicurarsi che l’attenzione dell’amica fosse diretta altrove, la giovane pescò il proprio cellulare dalla borsa e fece scorrere lo sguardo sullo schermo desolatamente vuoto.

Michael non le aveva scritto. Era passata più di una settimana dal loro incontro fortuito nella biblioteca dell’università e, nonostante le promesse, il ragazzo non si era fatto più vivo. Ma si sa che le promesse lasciano un po’ il tempo che trovano, si consolò Caterina. Anch’io mi ero ripromessa di non mettere mai più piede in questo postaccio, eppure, eccomi qui.

Non è che ci fosse rimasta male per il fatto che Michael le avesse estorto il numero di cellulare e che poi avesse pensato bene di non usarlo. La questione era molto più prosaica: lei ci aveva creduto, quando lui le aveva detto che le avrebbe prestato la sua dispensa di marketing. Quell’aiuto inaspettato le aveva infuso nuove speranze circa il superamento dell’odiato esame, e adesso… adesso sono di nuovo al punto di partenza. Porca vacca. Se almeno non mi avesse detto niente, non mi sarei illusa inutilmente. ‘Sto cretino.

Senza riuscire a reprimere un sospiro afflitto, la giovane si appoggiò al bancone bianco e lucido che occupava il centro del locale, evitando per un soffio di abbattere con una gomitata un calice vuoto che qualcuno aveva abbandonato lì e che i camerieri non avevano ancora fatto in tempo a ritirare.

«Tutto bene, Cate?»

Matteo stava prendendo un po’ più di confidenza, notò la ragazza. Si erano visti in un altro paio di occasioni, dalla sera in cui Alessandra l’aveva portata al Dream per la prima volta, e quello che sulle prime le era sembrato un ragazzo silenzioso e non troppo sveglio stava dando prova di una vivacità insospettabile. Parlava tanto, esattamente come Alessandra, e a volte Caterina si chiedeva come potessero andare d’accordo due persone che facevano fatica a restare in silenzio per più di cinque minuti di fila.

«Sì, è tutto a posto» abbozzò. «È solo che questo posto non mi piace un gran ché.»

Matteo sorrise. Aveva un bel sorriso, allegro e sincero come quello di un bambino. Si abbinava stranamente bene con il suo marcato accento emiliano. «Questo l’avevo capito già l’ultima volta che siamo stati qui. Magari possiamo chiedere ad Alessandra di trovare un’altra location per i suoi concerti?»

Caterina si strinse nelle spalle. «Immagino che si possa fare, ma questo posto le garantisce sicuramente più visibilità rispetto alle bettole che frequentiamo di solito. Temo che l’Ale si sia un po’ stancata di suonare per quattro metallari che si improvvisano critici musicali e per marmocchi quindicenni che pensano solo a riempirsi di birra fino a rotolare…»

Matteo sogghignò. «A me sono simpatici, i metallari criticoni.»

La giovane fece per rispondere, ma venne distratta da una vibrazione proveniente dalla sua borsa. Colta come da un presentimento, Caterina afferrò di nuovo il cellulare e constatò che, proprio come aveva creduto, sul display compariva una notifica di WhatsApp. Aprendo l’applicazione, vide che il messaggio le era stato inviato da un numero che non conosceva. Se l’immagine del profilo non le era di alcun aiuto per capire chi fosse il mittente – vi era ritratto semplicemente un panorama lacustre – il testo la faceva ben sperare: “Possiamo vederci lunedì mattina?” recitava infatti il messaggio riportato nel riquadro bianco.

“Chi sei?” digitò rapidamente, prima di infilare il cellulare nella tasca posteriore dei jeans. Sapeva di poter ragionevolmente sperare che fosse stato Michael, a scriverle, ma voleva evitare di fare figuracce. Però, diciamocelo: non è che mi capiti proprio tutti i giorni, di ricevere richieste di appuntamento da numeri sconosciuti.

Un minuto più tardi, il telefono vibrò nuovamente. “Ah, ti sei già dimenticata di me? Credevo che ci tenessi, a mettere le mani sulla mia dispensa…”

Caterina si concesse un sorriso. “Se tu mi avessi lasciato il tuo numero, non avrei avuto questi dubbi.” Una volta che ebbe inviato il messaggio, si morse nervosamente il labbro inferiore, rileggendo ciò che aveva appena scritto. Sembra che stia flirtando? Si chiese, con una certa apprensione. Non voglio flirtare! Non voglio che pensi che lo sto facendo!

Nel tentativo di correggere il tiro – ovviamente Michael aveva già letto il messaggio, rendendo inutile ogni tentativo di farlo sparire – la ragazza scrisse ancora. “Comunque lunedì va bene. Facciamo alle nove in Piazza Vecchia, che poi ho un appuntamento con un’amica? Quanto ti devo, per la dispensa?”

Ecco, buttala sui soldi, si complimentò con se stessa.

Dal momento che la risposta di Michael tardava ad arrivare, Caterina si sistemò nuovamente il cellulare in tasca e, appropriatasi di uno sgabello, tornò a osservare l’esibizione di Alessandra e del suo gruppo. Abbandonata Patty Smith, la ragazza era passata ai Metallica, cimentandosi nell’ennesima cover di Nothing Else Matters.

Tutte cose allegre, questa sera, pensò la giovane, trovandosi improvvisamente a desiderare qualcosa di meno malinconico. Malgrado facesse del proprio meglio per concentrarsi sull’esibizione dell’amica, la sua mano correva a intervalli regolari alla tasca dei jeans, estraendo il cellulare quel tanto che bastava per lanciare un’occhiata allo schermo, nel caso la vibrazione dei bassi le avesse fatto perdere quella che segnalava l’arrivo di un nuovo messaggio.

Incrociando le braccia davanti al petto, Matteo si voltò per osservarla meglio. «Stai aspettando un messaggio importante?» le chiese, con un sorriso che era solo un po’ malizioso.

Malgrado la domanda del ragazzo non fosse altro che una provocazione innocente, Caterina si sentì comunque arrossire e fu grata alle luci viola che mascheravano l’improvviso colorito che sicuramente le aveva macchiato le guance pallide. «Ma no, sto solo aspettando che un tizio mi faccia sapere se va bene che ci incontriamo lunedì mattina.»

Matteo inarcò comicamente le sopracciglia scure. «Appuntamento galante?»

La giovane sbuffò. «Come no. Deve vendermi una dispensa. È l’ennesimo tentativo che faccio per superare quel cazzo di esame di marketing.»

Dopo qualche minuto, il cellulare prese a vibrare e Caterina vide che non si trattava di un messaggio. «Scusa, mi sta chiamando» disse balzando in piedi e guardandosi rapidamente attorno. Anziché risponderle via WhatsApp, Michael aveva avuto la brillante idea di telefonarle, senza sapere che, tra chiacchiericcio e musica alta, lei non sarebbe stata in grado di sentire una parola.

Portandosi il telefono all’orecchio e avviandosi a grandi passi verso la porta d’ingresso, la ragazza provò comunque a rispondere. «Pronto?» chiese, cercando di avvicinare quanto più possibile l’oggetto al proprio orecchio. «Pronto, mi senti?»

La giovane udì delle parole vaghe e assolutamente indistinguibili giungere dall’apparecchio e sbuffò, frustrata. «Un attimo!» urlò, cercando di sovrastare il frastuono. «Aspetta che esco, che non sento niente!»

Schivando la maggior parte degli avventori accalcati davanti all’ingresso e spintonandone qualcuno, Caterina riuscì a guadagnare l’uscita. «Eccomi» esalò, quando si fu allontanata a sufficienza. «Scusami, ero all’interno del Dream e non sentivo un accidente.»

Dall’altra parte della cornetta le giunse la risata di Michael, calda e avvolgente, e lo stomaco le si contrasse in un brivido deliziato. Oh, per l’amor di Dio! Si rimproverò la giovane, obbligandosi a ignorare quelle reazioni istintive che la facevano sentire un’adolescente in piena crisi ormonale.

«Scusa, non avevo proprio pensato che tu potessi avere degli impegni per il sabato sera» spiegò il ragazzo, con l’eco della risata ancora nella voce.

Caterina sedette sullo stesso muretto su cui si era seduta due settimane prima e aggrottò la fronte, chiedendosi come dovesse interpretare l’affermazione dell’uomo. «Perché? Ti do l’idea di una che il sabato sera se ne sta in casa a fare la calza?» chiese, un po’ piccata.

«No, no» si affrettò a rispondere lui. «È solo che… è solo che non ci avevo pensato, ecco. Se ci avessi pensato, non ti avrei chiamata.»

La ragazza sorrise, placata dalla spiegazione di Michael. «In effetti, sarebbe stato meglio se mi avessi scritto. Sono qui perché c’è una mia amica che sta suonando con il suo gruppo e… be’, se si accorge che non sono più sotto al palco ad applaudirla, mi toglie di sicuro il saluto per due o tre settimane.»

«Non sia mai!» ridacchiò l’uomo. «Allora ti lascio subito rientrare.»

«Perché mi hai chiamata?» lo interrogò lei, chiedendosi perché non si fosse limitato a confermarle l’appuntamento via messaggio.

Michael esitò per qualche istante e, in quel silenzio, Caterina udì un vago rumore di sottofondo, fruscii e forse passi. Si chiese se l’uomo fosse solo, ma poi si disse che non aveva il minimo diritto di interessarsi degli affari suoi. «Non sono un grande amante dei messaggi» ammise, poi. «Preferisco di gran lunga telefonare: quando ci si parla, ci si capisce subito meglio e si risparmia anche un sacco di tempo.»

«Mh» annuì Caterina, senza prendersi il disturbo di spiegare che lei era sempre un po’ a disagio, quando parlava al telefono. «Allora ti va bene se ci incontriamo lunedì mattina alle nove?» chiese, riportando la conversazione sul suo binario iniziale.

«Va bene» confermò Michael, prima di aggiungere: «Senti, ma a che ora ti devi incontrare con la tua amica?»

«Verso le nove e mezza… non ho un orario preciso, dobbiamo solo trovarci per studiare insieme» rispose la giovane. «Perché? Preferisci fare un po’ più tardi?»

Il ragazzo esitò ancora qualche secondo. «Più che altro, volevo chiederti se ti andrebbe di fare colazione insieme.»

«Ah…»

Caterina si mordicchiò le labbra. Non faceva mica colazione alle nove, lei: mangiava almeno un’ora e mezza prima, prima di uscire di casa e correre in stazione per prendere al volo il treno che l’avrebbe portata a Bergamo. Inoltre, non era del tutto sicura che fosse una buona idea dare tanta confidenza a Michael: l’ultima volta che l’aveva incontrato, si era dimostrato gentile, educato e disponibile, ma non riusciva a togliersi dalla mente il loro primo incontro, quello in cui lui era ubriaco e l’aveva cercata in modo insistente, spaventandola anche un po’.

Ma aveva davvero una buona scusa per rifiutare? Non voleva rischiare di offenderlo e, soprattutto, non voleva lasciarsi condizionare dalle proprie paranoie. Le aveva chiesto di fare colazione nella piazza più affollata di Città Alta, non di partire per un week-end insieme.

«Va bene» concesse, allora. «Però facciamo una cosa veloce, perché Halima – l’amica con cui mi devo incontrare – non è esattamente famosa per la sua pazienza e per il suo carattere accomodante.»

«Perché la cosa non mi stupisce?» chiese Michael, ridendo.

Caterina sgranò gli occhi, oltraggiata. «Cosa vuoi dire?» chiese, senza riuscire a trattenere a sua volta una risatina. «Che cosa staresti insinuando?»

«Ci vediamo lunedì, Cate» rise ancora Michael, prima di riagganciare senza nemmeno darle il tempo di ribattere.

“Cate”, pensò la ragazza. L’aveva chiamata “Cate”, esattamente come facevano i suoi amici e i suoi genitori. Per qualche motivo, quel particolare la fece sorridere. Alzandosi in piedi e dirigendosi lentamente verso l’ingresso del Dream, la giovane soppesò pensosamente il cellulare. Aveva fatto bene ad accettare l’invito dell’uomo.

Ma sì, si disse, colpendo l’aria con una mano come per scacciare fisicamente i dubbi che ancora affollavano la sua mente. Alla fine, è solo un gesto di cortesia: non mi ha nemmeno detto se e quanto vuole essere pagato. Magari me la presta soltanto, quella dispensa, e in cambio non vuole un centesimo.

Sentendosi stranamente leggera e di buon umore, Caterina raggiunse la porta d’ingresso e nel farlo passo di fronte a Hasim, il buttafuori, che le rivolse un cenno di saluto e un sorriso.

«Ciao» fece lei, ricambiando il suo sorriso.

Lui la squadrò con i suoi occhi scuri e poi spinse il proprio sguardo più in là, oltre le spalle della ragazza e verso la porta che lei aveva appena varcato, come se stesse cercando qualcuno. «Te ne vai ancora in giro da sola?» le chiese, con solo una punta di rimprovero nella voce.

Lei aggrottò la fronte, stupita da quel commento, e poi si avvicinò un po’ di più all’uomo, spostandosi con lui verso un punto in cui la folla era meno fitta e dove avrebbero potuto parlare senza dover necessariamente urlare. «Come?» chiese, invitandolo ad elaborare quanto aveva appena detto.

Lui inclinò il capo verso destra, come se volesse inquadrarla meglio, e quel movimento attirò l’attenzione della ragazza sul suo collo possente. Il colletto della camicia nera della divisa, appena di qualche tonalità più scura della pelle dell’uomo, era in parte sollevato, e la giovane dovette reprimere l’impulso di allungare una mano e sistemarglielo.

Dopo qualche istante, Hasim sorrise ancora, ma a Caterina parve un sorriso un po’ meno sincero del primo.  «L’ultima volta che sei andata a fare un giro nel parcheggio da sola, hai rischiato di metterti nei guai per colpa di quell’idiota che aveva bevuto troppo. Non è un posto sicuro, quello: non ci sono luci e ci gira gente strana.»

Sentendosi come una bambina ripresa dal padre – o dal fratello maggiore – Caterina chinò il capo, un po’ a disagio. Accorgendosi del turbamento della giovane, l’uomo le sfiorò una spalla con una mano. «So che sei abituata al tuo paesino piccolo, dove tutti sono amici di tutti» la stuzzicò. «Però devi capire che il mondo vero funziona un po’ diversamente.»

«Il mio paese ha quasi quindicimila abitanti ed è sicuramente più grande di quello da dove vieni tu» ribatté lei con un mezzo sorriso, reclinando il capo all’indietro per incontrare gli occhi dell’uomo.

Hasim si mostrò sorpreso. «Intendi Dalmine?»

La ragazza scoppiò a ridere. «Sì, proprio quello.» Per qualche strano motivo, l’uomo sembrava sempre restio a parlare delle proprie origini e della strada che l’aveva portato in Italia, in un paesotto sospeso tra la Brianza e la provincia bergamasca, e Caterina sentiva di non essere abbastanza in confidenza con lui per provare a insistere un po’ di più. Del resto, la vicenda la incuriosiva, ma non era certo in cima ai suoi pensieri.

Lentamente, l’ombra del sorriso si spense sul volto dell’uomo e lui tornò a guardarla più seriamente. Sentendo che era tempo di lasciarlo libero di tornare a dedicarsi al lavoro per cui era pagato, la giovane si strinse nelle spalle. «No, comunque non hai motivo di preoccuparti: questa volta non sono andata a farmi una passeggiata nel parcheggio. Ero semplicemente al telefono con…» Con l’idiota di cui sopra, concluse mentalmente, prima di decidere che, forse, non era il caso di rivelare a Hasim che si era mantenuta in contatto con il tizio del parcheggio. «… con un tipo che mi deve vendere un libro per l’università. Sono dovuta uscire perché, con il casino che c’è qui dentro, non riuscivo a sentire nemmeno una parola.»

Hasim la guardò con gli occhi leggermente socchiusi. «Hm-hm» fece, senza distogliere lo sguardo.

Inconsciamente, Caterina arretrò di un passo. Cosa voleva dire “hm-hm”? Se non fosse stato impossibile, avrebbe giurato che l’uomo avesse annusato la mezza bugia che gli aveva appena rifilato. Sentendosi tutto d’un tratto desiderosa di concludere in fretta quella conversazione, la ragazza allungò platealmente il collo verso il palchetto sul quale Alessandra stava ancora cantando. «Va beh, adesso vado, che non vorrei che l’Ale si accorgesse che sono uscita e ci rimanesse male.»

L’uomo parve sul punto di dire qualcosa, ma poi fece un cenno d’assenso con il capo. «Va bene», concesse, «vai pure. Ci vediamo in giro.»

Caterina sorrise e gli rivolse un vago cenno di saluto con una mano. Si era allontanata solo di qualche passo, quando la voce del buttafuori la raggiunse di nuovo. «… e stai attenta.»

La ragazza sgranò gli occhi e, rallentando il passo, si voltò per guardarlo al di sopra della propria spalla sinistra. Hasim, però, si era già disinteressato a lei ed era occupato a parlare con un paio di ragazzi apparentemente appena entrati.

Cosa voleva dire con quel “stai attenta”? Si chiese spaesata. Se il contesto fosse stato diverso, avrebbe potuto interpretare quelle parole come un avvertimento, una minaccia. Ma conosco Hasim, è una brava persona, ragionò, cercando di allontanare quel pensiero assurdo. Ma lo conosceva davvero? Cosa sapeva di lui? Prima che venisse in suo soccorso due settimane prima, non sapeva praticamente nulla a proposito di quell’uomo, che era per lei solo uno dei tanti amici di Alessandra con il quale aveva scambiato solo qualche parola casuale.

E se non era una minaccia, allora era una raccomandazione. Ma che tipo di raccomandazione? Un qualcosa con il quale l’uomo le chiedeva di non fare sciocchezze in generale, oppure Hasim la stava mettendo in guardia contro qualcuno? Contro Michael, per esempio? Le suggerì il suo inconscio.

Oh, che idiozia! Perché mai avrebbe dovuto sospettare che lei e il ragazzo si fossero ancora incontrati e avessero in programma di incontrarsi di nuovo in futuro? Perché gli sarebbe dovuto interessare, in ogni caso? Di malavoglia, Caterina dovette riconoscere che, se si stava facendo tante paranoie su una frase che Hasim aveva verosimilmente buttato lì senza neppure pensarci, era perché, con ogni probabilità, era lei la prima a non essere del tutto convinta dell’affidabilità di Michael e delle sue buone intenzioni.

Immersa in quei pensieri, la ragazza tornò nel punto in cui aveva lasciato Matteo, ma, riappropriandosi della birra ormai calda, ignorò lo sguardo interrogativo che il ragazzo le stava rivolgendo. Portandosi il bicchiere alla bocca, la giovane cercò di concentrarsi sulla voce di Alessandra, ma tutto quello che riusciva a sentire erano le parole di Hasim, che si ripetevano nella sua mente come in un’eco infinita.

   
 
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