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Autore: Nana_13    12/05/2019    0 recensioni
"...Fa male. Un dolore lancinante mi attraversa tutto il corpo e mi sento quasi morire. Però devo resistere. Non posso permettere che lui mi scopra. Non ancora almeno. Devo dare il tempo agli altri di fuggire o il mio sacrificio non sarà servito a niente…"
Come promesso ecco il secondo capitolo della saga Bloody Castle. Claire, Juliet e Rachel hanno dovuto affrontare di tutto per salvarsi la vita. Una vita che ormai, è evidente, non è più quella di tre semplici liceali. Riusciranno a cavarsela anche questa volta? Non dovete fare altro che leggere per scoprirlo ;)
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Risveglio (Parte 2)
 
Quando riaprì gli occhi, Rachel si ritrovò distesa su un terreno d’erba mista a terra. Intorno a lei una fitta distesa di alberi dai rami intricati, così tanto da impedire alla luce di entrare. Non ne era sicura, ma le sembrava di essere tornata nella foresta che circondava il castello di Bran e la paura tornò a farsi sentire. Cosa ci faceva ancora lì?
A fatica cercò di rimettersi in piedi, le gambe che tremavano leggermente. Comunque si sforzò di ignorare la cosa e pensò solo a salvarsi. Ricordava che il pozzo non era molto distante, così fece per correre, ma un fruscio poco lontano la paralizzò dove si trovava. Che fossero i vampiri, venuti a prenderla per riportarla in quella cella buia?
Doveva scappare, ma non riusciva a muoversi, come se avesse i piedi piantati nel terreno. Intanto i passi si facevano sempre più vicini, finché qualcuno non sbucò dai cespugli.

“Sei qui.” constatò una voce familiare. “Ti ho trovata finalmente.”

La vista di Mark le procurò un immenso sollievo. Avrebbe voluto abbracciarlo, ma ogni suo movimento risultava lento e goffo.

Per fortuna, provvide lui a colmare la distanza. “Stai bene?” le chiese, preoccupato.

Rachel annuì, con il viso affondato nella sua spalla. Poi riuscì a farsi uscire la voce. “Dobbiamo andarcene da qui. Ho provato a scappare, ma…”

“Andarcene?” ripeté lui, fissandola interdetto.

“Sì, c’è un portale poco distante. Ci riporterà a Greenwood.” provò a spiegargli.

Mark però non sembrava ascoltarla. “Perché dovremmo andare via? Siamo a casa.”

Incredula che potesse davvero pensare una cosa simile, pian piano Rachel si rese conto di non avere di fronte la persona che conosceva. Mentre parlavano, il suo aspetto stava mutando, gli occhi diventavano rosso sangue e al di sotto delle labbra socchiuse riuscì a scorgere un paio di canini appuntiti.
Non fece in tempo a urlare perché, rapidi come un fulmine, i denti famelici di Mark si avventarono contro la sua gola, azzannandola tra capo e collo. Stranamente, però, Rachel non sentì dolore né la vita abbandonarla. Un battito di ciglia e si ritrovò in un ambiente completamente diverso, dove non c’era nulla. Ansante si portò una mano al collo, ma si accorse stupita di non avere nessun segno del morso né tantomeno sangue. Così, calmatasi un po’, diede un’occhiata intorno a sé per tentare di capire dove si trovasse, ma era circondata soltanto da un enorme spazio bianco e vuoto, dal quale sembrava impossibile uscire.
All’improvviso, sentì qualcosa in lontananza. La voce di una donna che si faceva sempre più vicina. Ascoltando meglio, capì anche cosa le stava dicendo. Voleva che si svegliasse e continuava a ripeterlo.

“Chi sei?” le venne da chiedere, mentre la voce insisteva. Si guardò intorno per cercare di individuarne l’origine, ma non vide nessuno. “Chi è che parla?”

Tutto quello che ottenne fu un sonoro: “Svegliati!”

E infatti Rachel si svegliò subito dopo, la fronte imperlata di sudore e il fiato corto. Gli occhi le bruciavano per via del contrasto tra la penombra e la luce abbagliante del sole che li aveva colpiti in precedenza, perciò impiegò del tempo per capire dove si trovava. Sembrava una specie di tendone di tela, con al centro un grosso palo di legno che sosteneva tutta la struttura. In breve si accorse di non poter muovere le mani perché erano legate al palo stesso, così come quelle di Claire e Juliet accanto a lei, che però erano ancora svenute. La guancia colpita dal vampiro doveva essersi gonfiata e le pulsava terribilmente. Tentò di liberarsi con degli strattoni, prima di accorgersi di una strana donna dai capelli lunghi e neri, che dava loro le spalle, intenta a trafficare con qualcosa su un lungo tavolo di legno.
Senza fiatare, Rachel diede qualche colpo con la spalla a Claire, che però non servirono a niente.

“Non si sveglierà ancora per un po’.” l’avvertì la donna, senza voltarsi. Sebbene non si trovassero di sicuro in America, sembrava parlare bene la loro lingua, anche se con un forte accento straniero.

Dopo un attimo di smarrimento, Rachel si fece coraggio e l’affrontò. “Tu mi capisci?”

A quel punto, la donna si voltò a guardarla, accennando un sorriso. “Sono una dei pochi qui.”

Nonostante l’abbigliamento bizzarro, la trovava davvero molto bella. Era circa sui trent’anni, la pelle scura, con lunghi rasta neri raccolti da lacci e piume di colori diversi che le pendevano sulle spalle.
Addosso portava una sorta di casacca senza maniche in lana grezza e pantaloni dello stesso tessuto.
Dopo aver riposto il pestello, la donna si avvicinò tenendo una ciotola di legno, per poi chinarsi di fronte a lei e attingerne al contenuto con due dita. I ciondoli appesi ai braccialetti che portava su entrambi i polsi tintinnarono quando sollevò la mano.

“Stai tranquilla. È per il gonfiore.” La rassicurò, vedendo che si era ritratta non appena stava per toccarle il viso.

A quel punto, Rachel lasciò che gliela spalmasse sulla guancia, accorgendosi con piacere che era fresca a contatto con la pelle. Da quella distanza notò il filo di denti, forse di coccodrillo, che portava al collo.

“Vi hanno trovate che vagavate nel deserto. Da diverse ore, a giudicare dallo stato delle ustioni.” Le spiegò in tono pacato, mentre tornava al tavolo a prendere un altro impiastro, che le spalmò sulle braccia e sulle gambe. Poi fece lo stesso con Claire e Juliet.
Fu allora che a Rachel tornò in mente quello che era successo e istintivamente rivolse uno sguardo allarmato a Juliet, che ricordava fosse svenuta all’improvviso mentre fuggivano dai vampiri. Sembrava profondamente addormentata, anzi, per un istante pensò quasi al peggio, ma poi vide che respirava ancora e si tranquillizzò.

La sconosciuta parve intuire i suoi pensieri e volle rassicurarla di nuovo. “È ancora viva, anche se per miracolo. Se non avessi avuto l’antidoto adatto…”

“Antidoto?” chiese Rachel, senza capire.

Lei annuì, alzandosi in piedi. “L’arma che l’ha ferita era avvelenata e con una mistura alquanto potente.” spiegò.

“Fille de pute…” imprecò Rachel sottovoce. Per poco Juliet non ci aveva rimesso la vita a causa di quella pazza di Mary. Ora come ora, era talmente furiosa che se l’avesse avuta tra le mani non sapeva come sarebbe andata a finire. Per fortuna, lì accanto Claire si stava riprendendo e i suoi gemiti doloranti la distolsero da quei propositi di morte.
Dischiuse lentamente le palpebre e, proprio come era successo a lei, tentò senza successo di capire dove si trovasse, ripetendo uno ad uno tutti i suoi movimenti, fino ad accorgersi che era legata. Istintivamente cercò lo sguardo di Rachel, chiedendo mute spiegazioni che ovviamente lei non seppe darle.

“Bene, sei sveglia anche tu.” Constatò in tono di approvazione la strana donna, che a ben guardare sembrava una specie di sciamana. “Temo ci vorrà più tempo per la vostra amica.”

“Chi sei?” le chiese Claire titubante. Stava per farle altre domande sul perché fossero legate e cosa voleva da loro, ma lei intuì tutto in anticipo.

“Non abbiate paura. Non vi verrà fatto alcun male finché siete con me.” Sorrise, cercando così di rassicurarle.

Rachel però non si lasciò incantare. Ne aveva viste e passate fin troppe in quei mesi. “Come facciamo a saperlo? Non ci hai ancora detto chi sei e perché ci hai legate qui.”

Alle sue parole la donna tornò seria e annuì. “Avete ragione, è un vostro diritto. Il mio nome è Laurenne Aliseen e non sono stata io a legarvi. Per il momento, dovrete accontentarvi di sapere solo questo.”

Stavano per ribattere, ma l’arrivo di qualcuno nella tenda impedì loro di fare altre domande. Era un guerriero alto e ben piazzato, come quelli che avevano incontrato nel deserto, e appena entrato si mise subito a parlottare con Laurenne in quella loro lingua incomprensibile, forse arabo. Della conversazione riuscirono solo ad avvertire i toni, che sembravano lievemente concitati, e da ciò intuirono che i due dovevano trovarsi in disaccordo.
Alla fine, lui sembrò averla vinta perché smise di discutere e venne verso di loro. Rachel si ritrasse d’istinto, così come fece Claire accanto a lei, anche se entrambe sapevano benissimo di non poter andare da nessuna parte.

“State calme. Fate come vi dico e andrà tutto bene.” Cercò di rassicurarle la sciamana, mentre il guerriero slegava loro i polsi e le invitava a rialzarsi con dei modi alquanto poco ortodossi. Dopodiché, si chinò su Juliet, scuotendola con sempre minor delicatezza e ignorando le proteste di Laurenne, finché non riuscì a svegliarla.

Si spaventò non appena aprì gli occhi, ritraendosi di fronte al volto di quel perfetto sconosciuto dalla pelle scura e i tratti rudi, ma stranamente non gridò né chiese spiegazioni. Piuttosto non sembrava molto presente e, quando le amiche le chiesero come si sentisse, le guardò ma non rispose, come se si trovasse in un forte stato confusionale.
Dopo aver rimesso in piedi anche lei, il guerriero legò loro di nuovo i polsi, questa volta davanti, facendo poi cenno di precederlo verso l’uscita. Tuttavia, vedendole titubanti, Laurenne pensò bene di intervenire.

“Andate. Io sarò subito dietro di voi e quando arriviamo vi consiglio di lasciar parlare me.”

Andare dove? Avrebbe voluto chiederle Rachel, ma si trattenne. C’era qualcosa in quella donna che la spingeva a fidarsi. Forse semplicemente il fatto che finora fosse l’unica a parlare la loro lingua, ma anche perché aveva salvato la vita di Juliet senza neanche conoscerla. Così decise di darle retta e si incamminò con le amiche fuori dalla tenda.
Il sole era alto e la sua luce, accecante per essere rimaste al chiuso per diverso tempo, le costrinse a socchiudere le palpebre. La pelle invece era protetta dal cataplasma di Laurenne e non risentì del calore, che nonostante questo era a dir poco insopportabile per loro. Laurenne, come le persone che incontrarono lungo la strada, invece, sembrava completamente a suo agio in quell’ambiente.
Durante il tragitto, ebbero occasione di osservare il luogo in cui si trovavano: un grande accampamento, con tende di varie grandezze da cui entravano e uscivano persone vestite in modo simile al loro accompagnatore. Ciò che stupì Rachel fu che c’erano anche delle donne tra loro.
Mentre passavano, cercò di non far caso alle occhiate sospettose, a volte perfino ostili, che quella gente le rivolgeva e continuò a seguire il guerriero fino all’entrata di un’altra tenda, stavolta molto più grande della precedente. Si accorsero della sua ampiezza una volta dentro, quando trovarono almeno una ventina di guerrieri armati di tutto punto e impegnati in quella che sembrava una sorta di riunione militare. In principio non si accorsero del loro arrivo, finché quello che era con loro non le lasciò all’entrata per raggiungere i compagni. Si fece largo dicendo qualcosa in arabo perché lo lasciassero passare e poi sparì, come se lo avessero inghiottito.
Rachel restò ad aspettare con le altre che qualcosa si muovesse e dentro di sé sperava di ricevere delle risposte, sempre ammesso che le avrebbero fatte uscire vive da quella tenda. Di lì a poco, infatti, il vocio concitato dei guerrieri si placò e il gruppo si divise in due ali, lasciando che uno di loro in particolare potesse vederle. Apparentemente non aveva nulla di diverso dagli altri. Stesso abbigliamento, stesso fisico statuario, stessi capelli rasati a zero. Eppure, gli occhi castani che le scrutavano avevano qualcosa di magnetico.
Piegò la testa da un lato per ascoltare le parole che un altro accanto a lui gli stava sussurrando all’orecchio, senza comunque distogliere l’attenzione da loro.
Nel frattempo il vocio era ripreso, ma con un gesto della sua mano tornò la calma. In pochi passi coprì la distanza che lo separava dalle prigioniere, seguito solo da pochi compagni, mentre gli altri restavano al loro posto. Si piazzò davanti alle ragazze, studiandole attentamente per qualche istante.
Rachel lanciò un’occhiata di sottecchi a Laurenne, sperando che intervenisse, e invece anche lei mantenne il silenzio, come se stesse aspettando di venire interpellata. Cosa che infatti avvenne poco dopo.

Gli occhi scuri del guerriero si fermarono su di lei, prima che le chiedesse qualcosa nella loro lingua.

“No, non ne sono sicura. Devo ancora verificare.” Rispose Laurenne placida e inaspettatamente in inglese.

Anche lui non sembrava aspettarselo, perché la guardò con aria stranita, anche se cercava di non darlo a vedere. Tuttavia, il suo reale stato d’animo venne tradito dal tono che usò per farle un’altra domanda, alla quale Laurenne rispose anche questa volta in inglese.

“Quello che diciamo riguarda la vita di queste ragazze. Non penso sia giusto nasconderci dietro una lingua che non comprendono.” Spiegò in tutta calma.

“Queste straniere…” la interruppe un altro guerriero, lo stesso che prima sussurrava all’orecchio di quello che a quel punto avevano intuito fosse il capo, parlando in arabo e guardandole con disprezzo. “Non sappiamo chi sono e da dove vengono. Con tutta probabilità sono sporchi algul e tu ti preoccupi di farti capire da loro?”

“Non so ancora cosa sono. Come ho detto, devo controllare.” Ribatté Laurenne, cambiando tono e diventando più fredda. Si intuiva non provasse particolare simpatia per quell’uomo, che per tutta risposta la squadrò dall’alto in basso e, ignorando completamente le sue parole, tornò a parlottare con il compagno.

Lui sembrò rifletterci sopra, senza ancora pronunciarsi e la cosa impensierì Rachel che, pur non avendo capito un accidente, era preoccupata dalla piega che stava prendendo la situazione. Neanche Laurenne spiccicava parola, attendendo in silenzio che quell’uomo decidesse delle loro vite, e per un attimo si chiese se fosse stato davvero saggio affidarsi a lei.

Il capo, alzò di nuovo lo sguardo su Laurenne e questa volta si degnò di parlare una lingua comprensibile.
“Assicurati che non siano un pericolo. Poi decideremo cosa fare di loro.” le concesse, mentre alle sue spalle appariva evidente il disappunto del compagno.

-Quindi anche lui parla inglese. - pensò Rachel, nello stesso momento in cui Laurenne rispondeva.

“Sapevo che avresti fatto la cosa giusta, Qayid.” Disse accennando un sorriso soddisfatto. “Vado a prendere il necessario.”

Sia Rachel che Claire non erano molto entusiaste all’idea di rimanere sole con quei tizi, che le guardavano come se avessero la peste e probabilmente erano ansiosi di riservare loro la stessa sorte di quel vampiro nel deserto. Anche Juliet appariva impaurita, ma non cercò la vicinanza delle amiche e se ne restò in disparte, con la stessa espressione confusa di quando si era svegliata. Rachel attribuì quell’atteggiamento alla paura e non gli diede troppa importanza, impegnata com’era a pregare per il ritorno di Laurenne.
Non era trascorso molto tempo da quando aveva lasciato la tenda, ma a loro era sembrata un’eternità. Intanto, il capo aveva congedato il resto dei guerrieri, finché non era rimasto solo lui e il suo simpatico tirapiedi. Da quella distanza a Rachel saltò subito agli occhi il fatto che gli mancasse un pezzo di padiglione auricolare, come se gli fosse stato tranciato di netto, cosa che lo rendeva ancora più inquietante dal suo punto di vista.

“Da dove venite?” chiese a quel punto il capo in tono lievemente accusatorio. Era evidente quanto poco si fidasse della loro innocenza. “Che ci facevate nel deserto?”

Rachel allora provò a spiegargli in breve il motivo per cui erano finite a Bran, ma, consapevole che la verità fosse inevitabilmente legata a Dean, si inventò la storia di loro in vacanza che venivano catturate dai vampiri. In fondo, qualcosa di vero c’era. Lui rimase a osservarla per qualche istante, ponderando le sue parole. Forse stava cercando di capire se mentisse o meno, ma non ebbero il tempo di capirlo perché Laurenne tornò di lì a poco. Quando finalmente la videro ricomparire, aveva con sé una cassettina di legno intagliato e, prima di procedere, rivolse uno sguardo al capo, che annuì per darle il consenso. La sciamana allora si posizionò davanti a Rachel e aprì la cassetta, dalla quale trasse quello che in apparenza era un semplice sasso e che poi si accorse avere un’incisione sopra, una sorta di lettera cuneiforme. Laurenne la invitò a sollevare le mani legate ed estrasse una lama corta e sottilissima da una piega della veste. Senza alcun preavviso, le punse il dorso della mano destra e Rachel si ritrasse di scatto, non riuscendo a trattenere un gemito di dolore. Poi Laurenne mise la lama sopra il sasso e vi lasciò cadere qualche goccia del suo sangue, restando ferma a osservarlo mentre si distribuiva nella feritoia che componeva il simbolo sconosciuto. Per vedere meglio, sollevò la pietra, portandola all’altezza degli occhi.

Tutti pendevano dalle sue labbra, mentre concentrata studiava il comportamento del sangue di Rachel, che avrebbe tanto voluto chiederle cosa stesse combinando. Dopo qualche minuto, finalmente distolse lo sguardo e si rivolse di nuovo al capo. “Proprio come immaginavo. È umana.” confermò soddisfatta.

“Questo non significa che lo siano anche le altre.” Ribatté il guerriero con l’orecchio tagliato, che non aveva affatto l’aria di averle prese in simpatia.

Comunque, lei non diede segno di lasciarsi impressionare e attese solo il giudizio del capo, che annuì. “Vai avanti.”

Laurenne ripeté la stessa operazione prima con Claire e poi con Juliet, confermando ancora una volta che non si trattava di vampiri. A quel punto però, Juliet le lanciò un’occhiata indignata, come se la sua affermazione l’avesse gravemente offesa.

“Come osi sostenere che non sono un vampiro? Lo sono, eccome!” esclamò, lasciando sia Rachel che Claire nello sconcerto più totale.

“Ma che diavolo stai dicendo?” le chiese Claire, fissandola attonita. “Sei impazzita?”

Per tutta risposta, si vide rivolgere la stessa occhiata da Juliet, come se pensasse che fosse stata lei a impazzire di colpo. “Beth! Mi meraviglio! Che proprio da te debba sentire rinnegate le nostre origini…”

“Basta così!” intervenne il capo con voce tonante.

Sul volto di Claire si dipinse un’espressione indecifrabile, mentre il suo cervello tentava invano di elaborare le parole appena uscite dalla bocca dell’amica.

“Jamaal, io…” cercò di giustificarsi Laurenne.

Lui però non la fece finire. “Cos’è questa storia? Hai detto che sono umane.”

“Lo sono, infatti. La ferita della ragazza può confermarlo. Se fosse stata un vampiro, si sarebbe rimarginata in poco tempo e invece quando sono arrivate era ancora aperta.” Spiegò pratica. “Inoltre, era infettata dal veleno e se non le avessi dato l’antidoto non sarebbe sopravvissuta. Guarda qui…”

Per confermare la sua teoria, si avvicinò a Juliet e sollevò un lembo della fasciatura che le aveva fatto nella tenda, allo scopo di mostrargli la ferita ancora evidente, ma tutto si sarebbe aspettata fuorché di vedere al suo posto soltanto una lieve cicatrice. Incredula, la sciamana indietreggiò di due passi, lo sguardo fisso sul taglio ormai quasi completamente rimarginato. “Non capisco…”

“Che c’è da capire? È un algul, per questo la ferita è scomparsa.” osservò l’altro guerriero in tono accusatorio.

“No! Le rune non mentono!” ribatté lei infervorata. “Il suo sangue non ha corroso la pietra perché non è infetto dal veleno dei vampiri.”

In qualche modo si ritrovarono faccia a faccia. Laurenne era mingherlina in confronto a lui, ma gli teneva testa senza paura. “Non sei infallibile. Così come le tue rune.” La sfidò, parlando a denti stretti.

“Tareq!” intervenne a quel punto il capo, rivolgendosi per la prima volta al compagno in tono autoritario.
“Mantieni la calma.” gli impose poi con meno enfasi, nella loro lingua madre.

L’uomo sembrò ascoltarlo e si quietò, pur continuando a guardare Laurenne e le sue protette con astio.
A quel punto, Jamaal si rivolse direttamente alle ragazze e chiese loro da dove venivano e come avevano fatto ad arrivare nel deserto. Quando risposero di aver attraversato un portale situato a Bran, sul volto di Tareq si dipinse un’espressione di trionfo, che Laurenne si impose visibilmente di ignorare.

“Jamaal, sai che non posso essermi sbagliata.” sostenne, cercando di contenere l’irritazione. “Dev’esserci una spiegazione e ho intenzione di trovarla.”

“E come?” le chiese con aria attenta.

Lei sospirò, cercando le parole adatte. “Permettimi di tenere le ragazze con me. Per studiarle…”

Tareq però le impedì di continuare, partendo subito come un treno. “Questa è follia! Che ti salta in mente, donna?”

Anche Jamaal si mostrò titubante di fronte alla richiesta, ma con un movimento del braccio gli fece comunque cenno di placarsi, stavolta non ottenendo obbedienza.

“Non conosciamo la vera natura delle straniere, quindi sono indegne di chiedere asilo alla tribù. Di certo non devo ricordarti le nostre regole.”

“No, infatti. Non devi.” ribatté Jamaal serio. Poi rimase un momento in silenzio a riflettere, prima di rivolgersi a Laurenne. “Parleremo ancora di questo.” Le comunicò. “In privato.” aggiunse poi, stroncando sul nascere la replica di Tareq. “Nel frattempo, le straniere passeranno la notte in cella. Per la sicurezza di tutti.”

Detto ciò, mandò a chiamare le guardie, in attesa fuori dalla tenda.

Laurenne annuì, accettando senza fiatare le sue disposizioni, e non si oppose quando le ragazze vennero portate via. Rivolse un’occhiata fulminante a Tareq, prima di avvicinarsi a Rachel. “Non resterete a lungo in quel buco. Vi do la mia parola.” Promise. Poi la guardia portò via la ragazza con uno strattone e rimasero di nuovo soli.

Non passò molto tempo perché Tareq tornasse di nuovo alla carica. “Non penserai sul serio di lasciarle vivere? Gli uomini hanno riferito di averle trovate insieme a due algul. Potrebbero essere spie del nemico…”

“Hai detto bene. Potrebbero.” Annuì Jamaal, tornando alla loro lingua natia. “Secondo Zakariya, i vampiri sembravano ostili verso di loro.”

“E la ragazza bionda?” insistette lui. “L’hai sentita mentre ammetteva di essere un vampiro.”

“Quella povera ragazza è stata avvelenata, senza contare che ha passato chissà quante ore nel deserto. Non credi che abbia il diritto di sentirsi confusa da tutta questa situazione?” si accalorò Laurenne, ormai stufa di quel suo atteggiamento.

Tareq sbuffò con aria sarcastica, ma Jamaal lo frenò prima che potesse ribattere.

“Laurenne ha controllato e le rune non mentono. È umana.” la difese. “La ragazza potrebbe aver perso la ragione per il caldo e io non posso certo condannarla per questo. O mi stai forse suggerendo di mandare a morte un’innocente solo sulla base di un sospetto?”

Tareq però non sembrava voler demordere. Era evidente quanto la questione gli stesse a cuore, così cercò un appiglio alternativo. “Questa decisione non riguarda solo l’esercito, ma l’intero villaggio, quindi non spetta a te prenderla. Gli anziani dovranno essere informati.”

A quel punto, la mascella di Jamaal si contrasse leggermente. “È la seconda volta che mi impartisci lezioni sulle nostre leggi. Pensi che mi si sia annebbiato il cervello e le abbia dimenticate?” gli chiese, visibilmente in collera. “Andrò dagli anziani di persona. Intanto, tu occupati del prigioniero e assicurati che canti, prima della sua esecuzione.”

Il suo tono non ammetteva repliche e parve convincere Tareq, che per tutta risposta si batté il pugno destro sul petto e lasciò la tenda.

“Grazie.” sospirò Laurenne, rivolgendo a Jamaal uno sguardo riconoscente.

“Aspetta a ringraziarmi. Tareq non ha tutti i torti.”

Laurenne stava per insistere, ma lui la fermò con la mano. “È una questione delicata e prima di prendere una decisione devo discuterne con gli anziani. Potrai vedere le prigioniere ogni volta che vorrai, ma per ora rimarranno in cella.” sentenziò, ponendo definitivamente fine al discorso.
   
 
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