14.
L’aeroporto
di Heathrow era, come di consueto, un crogiuolo di persone di tutte le
età,
etnie e provenienze.
Quel
caos a stento controllato era tenuto sotto stretta sorveglianza da
poliziotti
in borghese, personale dell’aeroporto e doganieri. Il
continuo stato di allerta
causato dai potenziali attentati, non facilitava il rapido deflusso dei
passeggeri, ma tant’era.
Quello
scoglio era inevitabile e, un’ora in più o in
meno, non avrebbe fatto alcuna
differenza, per il gruppo di Iris.
Erano
in terra inglese, e nessuno correva loro appresso per mettere fretta ai
passi
che li separavano dalla verità.
Fortunatamente,
il volo era avvenuto senza problemi e, anche grazie alla Dramamina, Dev
era
riuscito a uscirne sano e salvo, senza ulteriori guai con lo stomaco.
In
quel momento, ritto al fianco di Chelsey, protettivo e guardingo come
un cane
da pastore, Devereux stava studiando le persone in fila come se
potessero
essere dei potenziali terroristi.
Iris
trovava tutta questa attenzione nei confronti della figlia assai dolce,
ma si
astenne anche soltanto dall’accennarlo, certa che avrebbero
sicuramente
discusso se Dev avesse saputo la sua opinione in merito.
Era
chiaro quanto l’uomo non volesse apparire debole, di fronte
alla figlia, e già
il fatto di essere stato male in aereo lo aveva demoralizzato. Se Iris
gli
avesse fatto notare quel suo lato così tenero,
l’avrebbe probabilmente sbranata
viva.
A
volte era così difficile aver a che fare con lui!,
pensò con un sorriso
esasperato quanto divertito.
Alla
fine, impiegarono circa mezz’ora per sorpassare la dogana e,
quando si
trovarono oltre la barriera dei metal detector e dei controlli
passeggeri, Iris
si sentì più rilassata e pronta per la loro nuova
missione.
Quando,
però, una guardia dell’aeroporto le si
avvicinò guardingo, si chiese dubbiosa
che problema vi fosse. Se erano passati senza alcun guaio di sorta,
cosa voleva
adesso da loro, quel tizio in
uniforme?
«Signorina,
può venire con me, per favore? Avrei qualche domanda da
porle» le disse con
cortesia l’uomo, sorridendole affabile
nell’indicarle una porta poco lontana.
«Oh,
ma certo» mormorò cauta la giovane, non sapendo
davvero che pensare.
Guardando
poi i compagni di Iris, che la stavano fissando preoccupati, la guardia
aggiunse: «Sono con lei, per caso, i signori?»
«Ehm,
sì. Siamo in vacanza assieme» dichiarò
Iris, accigliandosi leggermente prima di
annusare meglio l’aria, colta da un dubbio.
Purtroppo,
l’amalgama di odori presenti in quell’enorme
aeroporto pieno di distrazioni
sensoriali le creava non poche difficoltà, perciò
non fu del tutto sicura di
ciò che il suo naso percepì.
La
guardia, comunque, li pregò di seguirla in una stanzetta nei
pressi e lì, al
riparo dall’invasione olfattiva della fiumana di corpi che
avevano appena
abbandonato, Iris si ritrovò a sorridere come una stupida.
L’attimo
seguente, lanciò un’occhiata ai suoi compagni e
l’uomo in divisa, ammiccando al
loro indirizzo, disse divertito: «Dò per scontato
che loro sappiano ogni cosa,
vista la sua faccia.»
«Oh,
sì. Sì!» assentì allegra
Iris, allungandosi per stringere una mano a Chelsey,
che sembrava ebbra di felicità, e a Lucas, che appariva
raggiante quanto lei.
Era
mai possibile che la loro ricerca avesse già avuto esiti
così lieti?
«Prego.
Entrate qui. Parleremo più agevolmente, e senza orecchie
indiscrete ad
ascoltarci» li indirizzò la guardia, chiudendo
dietro di sé la porta a vetri
satinati della stanza dove li aveva condotti.
«Come…
come ha fatto a trovarci?» domandò confusa Iris,
sedendosi su una delle sedie
presenti per poi guardare l’uomo con espressione speranzosa.
«Abbiamo
molteplici sistemi per individuare i lupi in entrata nel Paese ma,
massivamente, utilizziamo il naso» indicò la
guardia, tastandosi il naso adunco
e sorridendo loro. «Siamo così abituati a questo
ambiente caotico da aver
sviluppato un sistema olfattivo molto recettivo, pronto a scovare la
presenza
dei lupi nonostante le distrazioni.»
«E’
forse vietato entrare senza permesso in uno Stato in cui ci sono dei
licantropi?» esalò Iris, ora preoccupata.
Lucas
e Chelsey si guardarono vicendevolmente dubbiosi ma la guardia si
affrettò a
tranquillizzarli, dicendo: «Sappiamo che in America non
vigono le nostre stesse
leggi, e che non esistono branchi veri e propri devoti alle antiche
leggi. Lady
Fenrir ha scoperto questa realtà in un suo recente viaggio,
perciò ci ha
chiesto di prestare aiuto agli stranieri in visita che avessero avuto
bisogno
di delucidazioni.»
«Lady…
Fenrir?» ripeté confuso e sgomento Lucas,
ripensando alle parole che aveva
udito a Writing-on-Stone.
La casa
mortale
di Fenrir…
«Oh,
sì, voi non potete certo conoscerla»
dichiarò la guardia, sorridendo divertito.
«Possiamo dire che è la nostra guida spirituale
suprema, qui in Gran Bretagna.
Ma passiamo a voi. Siete qui per qualche motivo in particolare, o
è veramente
per una vacanza?»
Iris
ricacciò indietro le lacrime di felicità che
stavano per sgorgarle dagli occhi
e ammise commossa: «Beh, cercavamo voi…
i nostri simili. Non sappiamo nulla del nostro passato, di chi siamo e
del perché siamo
così, perciò…»
L’ufficiale
sospirò
sorpreso e amareggiato e, con
occhi che esprimevano una profonda dolcezza e comprensione, le
batté una mano
sul braccio, chiosando: «Siete a casa, allora. Avrete
sicuramente molte
domande, ma questo non è il luogo più adatto ove
porle. Vi farò accompagnare
dal mio capobranco, così che possa parlare con il
vostro.»
Iris,
a quel punto, sbatté confusa le palpebre e disse:
«Noi… non abbiamo un
capobranco. Siamo solo noi tre e basta.»
«Beh,
lui è sicuramente il
vostro Fenrir,
il vostro capobranco. Non ho dubbi. Ha un odore che non si
può confondere con
nessun altro» dichiarò allora la guardia,
indicando Lucas con una buona dose di
sicurezza.
«Perché
mi hai chiamato Fenrir?» si indicò Lucas con aria
più che sorpresa.
«E’
il titolo onorifico che spetta a qualsiasi capobranco dalla bianca
livrea.
Perché il tuo pelo è bianco, in forma di lupo,
vero?» lo informò la guardia con
un mezzo sorriso.
Iris
allora sorrise a Lucas, dicendo eccitata: «Ecco
perché sei molto più grosso di
me e Chelsey!»
«Le
vostre livree di che colore sono?» si informò
allora l’uomo.
«Grigie
a macchie nere per entrambe» spiegò Iris.
Annuendo,
l’ufficiale intrecciò le braccia al petto e,
quieto, disse loro: «Il potere nel
branco viene gestito da tre lupi, nella maggioranza dei casi. Fenrir,
che ha la
livrea bianca, Hati, che è la guardia del corpo di Fenrir e
ha la livrea nera e
infine Sköll, che ha la livrea color ruggine, ed è
il secondo in comando.»
«Per
il momento, allora, abbiamo solo Fenrir» dichiarò
Iris, pensierosa. «E’ un
problema?»
«Affatto.
Ma ne parlerete meglio con il mio Fenrir. Si chiama Joshua Ridley ed
è il
capobranco del clan di Londra. Lo chiamo per avvisarlo del vostro
arrivo.»
«Non
vorremmo disturbare» sottolineò Iris, previdente.
La
guardia scosse però il capo, sorridendo affabile.
«Siamo un branco di frontiera
ed è normale, per noi, accogliere lupi errabondi. Inoltre,
essendo americani,
abbiamo l’ordine di essere d’aiuto a
prescindere, perciò va tutto bene.»
Quando,
però, la guardia parlò con il suo capobranco, il
volto si fece sconcertato e gli
occhi verde scuro si puntarono incuriositi su Devereux in primo luogo,
e su
Chelsey in seguito.
Annuì
poi più volte, si batté una mano sulla fronte
come ricordandosi un particolare
importante e, quando infine chiuse la chiamata, chiosò:
«Eravate attesi… da
molto tempo, in effetti, tanto che la mia memoria non ha colto subito
l’evidenza dei fatti. Scusatemi tutti. Giungeranno subito a
prendervi, non
temete.»
Mai
frase avrebbe potuto sconvolgerli maggiormente.
***
Il
loft ove si trovavano era ampio, dai colori tenui, suddiviso su due
piani e
dalla struttura moderna e minimalista.
L’occhio
attento di Dev ne studiò con apprezzamento le fattezze,
l’uso interconnesso di
legno, ferro e vetro e, quando il padrone di casa si
presentò per salutarli,
gli strinse la mano dicendo: «Casa davvero
magnifica.»
«E’
un piacere saperlo, visto che ho fatto ammattire il costruttore con le
mie
richieste» asserì Joshua, ammirandoli con
orgoglio. «Bene. Tre lupi e due
umani. Sono gli abbinamenti che preferisco, perché mi danno
l’idea che la
guerra sia finita, anche se so che non è
così.»
Pregandoli
di accomodarsi, Joshua proseguì dicendo: «La
nostra lady Fenrir, la guida
spirituale dei branchi britannici, si recò a New York, un
paio di anni addietro,
scoprendo non solo la presenza di licantropi oltreoceano, ma anche la
loro
totale mancanza di conoscenza del loro passato, o delle gerarchie
basilari di
un branco. Per questo ci chiese di essere pienamente disponibili, nel
caso in
cui qualcuno di voi si fosse presentato alla nostra porta.»
«Beh,
non posso che essere lieta che l’abbia fatto»
dichiarò Iris, annuendo
soddisfatta.
Joshua,
allora, la osservò con attenzione, sospirò e
disse: «Mi spiace che tu abbia
dovuto entrare a far parte nella nostra grande famiglia solo
perché costretta.
Conoscevi almeno il lupo che ti inferse quella ferita?»
«No,
non ho mai saputo chi fosse. Scappò subito dopo avermi
ferita al braccio» gli
spiegò lei, sfiorandosi la ferita sull’avambraccio
con aria distratta.
«Anche
mia madre fu ferita e divenne un lupo, e io sono diventata
così perché lo era
anche lei» intervenne Chelsey, prima di domandare con
schiettezza: «Posso
sapere perché hai gli occhi rossi?»
«Chelsey,
ti prego…» intervenne Dev, spiacente.
«E’ un’inguaribile curiosa.
Scusala.»
«Tutti
i lupi sono curiosi, e il mio non è quel gran
segreto» replicò Joshua, con un
sorriso. «Sono un albino, Chelsey. Il mio DNA è
diverso dal tuo, ed è per
questo che ho una depigmentazione della pelle e delle cornee. I miei
occhi,
quindi, hanno assunto questa colorazione rossastra, la mia pelle
è più bianca
del normale e i miei capelli, al naturale, sono bianchi.»
Nel
dirlo, si toccò i capelli a spazzola color cannella.
«Oh,
ho capito. Quindi, devi usare tanta crema solare.»
«Esatto»
ammiccò Joshua.
Gretchen,
la moglie di Joshua, giunse in quel momento dalla cucina con un enorme
vassoio
pieno di bibite e leccornie e, sedendosi al fianco del marito,
aggiunse:
«Considera, Chelsey, che spende più lui in creme,
della sottoscritta.»
La
ragazzina rise divertita e Lucas, intervenendo, chiese: «La
guardia all’aeroporto
ci ha detto che eravamo attesi. Cosa intendeva dire?»
«Temo
dovrò indossare i panni dell’accademico per un
po’, perché diversamente non
saprei come spiegarvelo. Ma sarò breve e, nel frattempo, voi
comprenderete
meglio a che famiglia appartenete» ammise Joshua, sorridendo
affabile.
Fenrir
di Londra, quindi, spiegò loro brevemente la storia del dio
da cui la loro razza
aveva preso i poteri, e della mortale Avya, che diede vita ai figli di
quella
stessa divinità.
Parlò
delle guerre contro Fryc, fratello di Avya, e della setta di Cacciatori
che
prosperò dopo la sua morte e che giurò vendetta
contro i licantropi.
Narrò
delle vicende che portarono la popolazione dei Pitti e quella dei
Licantropi a
unirsi per combattere i romani e scacciarli dalle loro terre. Da quella
guerra
comune, nacquero delle alleanze con alcuni clan umani, e questo permise
alla
loro razza di non soccombere nei secoli per i troppi incroci tra
consanguinei.
Spiegò
quindi loro della presenza delle wiccan,
le sagge che avevano preso il loro potere dai discendenti di Avya,
ottenuti in
prima istanza dall’amore di Fenrir per la sua donna.
Infine
parlò delle völur, delle veggenti umane o mannare
presenti all’interno dei loro
clan e delle Percepenti, le umane in grado di vedere oltre il velo
della verità,
distinguendo il vero dal falso.
Quando
Joshua terminò di parlare, intrecciò le mani in
grembo e disse: «E ora che vi
ho sconvolto per bene l’esistenza, passate pure alle
domande.»
Lucas
si passò una mano sul volto, sinceramente sgomento, ed
esalò: «Abbiamo una
storia così lunga, ed è andata persa interamente,
nelle nostre terre…»
Accigliandosi,
Joshua ammise: «Non sappiamo molto di ciò che
avvenne in America, o del perché
le antiche credenze siano scomparse, ma posso azzardare
l’ipotesi che, durante
la Guerra di Secessione, sia successo qualcosa di assai grave. Che si
ricordi,
lo sterminio di massa dei Nativi è l’evento
estintivo più rilevante degli
ultimi secoli, in quelle terre, e potrebbe aver portato anche alla
quasi totale
scomparsa dei licantropi in terra americana.»
Lucas
assentì grave e Rock, torvo in viso, borbottò:
«I miei avi dovettero scappare
verso il nord per sfuggire alle persecuzioni ma, pur se salvi, vennero
comunque
obbligati a vivere nelle riserve canadesi. Solo negli ultimi decenni,
le cose
hanno iniziato a migliorare. E’ quindi possibile che, tra le
tribù Native, vi
fossero anche i vostri simili?»
«Avrebbe
senso. I licantropi avrebbero potuto stabilirsi in seno alle
tribù, molto più
disposte ad accettare creature ibride come noi e simili a personaggi
mitologici
legati ai culti animisti di quei popoli. Durante le battaglie
combattute nella
metà del milleottocento, potrebbero essere stati uccisi in
massa dai
Cacciatori, conoscitori della loro reale identità.
E’ possibile che abbiano approfittato
della guerra per fare una strage di innocenti, coperti dal mantello
dello Stato»
mormorò pensieroso Joshua.
«Non
sarebbe strano, visto che molti europei parteciparono al conflitto. Tra
di
loro, potrebbero esserci davvero stati dei Cacciatori. Non dubito
inoltre che,
come i nostri antenati si stabilirono nelle terre dell’ovest,
così possano aver
fatto i Cacciatori stessi per seguire le loro prede»
stabilì Gretchen. «La
pietra di Writing-on-Stone che vi ha spinti qui e che ti ha parlato, ti
ha
detto qualcosa in particolare?»
«Mi
ha detto che quel luogo era un portale per raggiungere la voce che mi
stava
parlando, che si è identificata come Colei-che-E’»
la informò Lucas.
Joshua
sollevò sorpreso un sopracciglio, asserendo ammirato:
«Beh, niente di meno! Hai
parlato direttamente con Madre, allora, visto che sei finito su un
Portale di
Bifröst.»
E’
un immenso
onore, ciò che gli è stato concesso!, mormorò ammirato
Gunnar a una sorpresa
Iris.
Tutti
guardarono senza parole Lucas che, vagamente imbarazzato,
esalò: «Giuro che non
l’ho fatto di proposito… e sono stato
educato.»
Joshua,
allora, esclamò divertito: «Oh, credimi, Madre ha
molta pazienza, ma ti saresti
senz’altro accorto di un suo eventuale dissenso.»
«Ah,
ecco. Quindi, questo portale avrebbe potuto… condurci
qui?» domandò dubbioso
Lucas.
«Non
esattamente. I Portali di Bifröst non si trovano ovunque, e
non conducono
necessariamente da un capo all’altro di Midgardr, che poi
sarebbe la Terra»
asserì Joshua, afferrando carta e penna per tratteggiare
alcune linee e cerchi e
creare così un diagramma.
I
presenti si allungarono per curiosare cosa avesse disegnato e
l’uomo, indicando
loro i vari punti tratteggiati, aggiunse: «I portali di
nostra conoscenza,
tolto quello che avete scoperto voi, sono diversi. Uno si trova nelle
isole
Orcadi, e conduce a Niflheimr, il Regno delle Nebbie dove, tra
l’altro, esiste
la più sicura e impenetrabile prigione magica dei Nove
Regni. Un altro si
trovava sulla Scalinata dei Giganti, in Irlanda del Nord, e conduceva
al
pianeta Vanaheimr, che però è disabitato e morto
da millenni. Da quello che
sappiamo, quel passaggio è stato definitivamente chiuso. Un
altro ancora si
trova presso il Tor di Avalon, nei pressi di Glastonbury, e conduce a
Elfheimr.
Ve n’è poi un altro potenziale, di cui
però non abbiamo esplorato l’interno, e
si trova nei pressi del sito megalitico inglese di Long Meg and Her
Daugthers1.»
Iris
ascoltò ogni cosa, ogni parola con il cuore e la mente
aperti, ma ciò che
Joshua stava dicendo andava ben oltre ciò che lei si era
aspettata, iniziando
quella ricerca.
Quei
nomi, quelle descrizioni così dettagliate, lei le aveva
lette nei libri che
aveva acquistato alcuni giorni addietro… e appartenevano tutti alla mitologia!
Era
mai possibile, dunque, che tutto ciò che aveva letto,
appartenesse alla realtà
e non al mito?
Ti
senti bene,
Iris?
“Onestamente?
Ho
la testa in subbuglio e non so più a cosa credere. Questo
Joshua sembra
estremamente sicuro di sé e di ciò che dice, ma
è tutto così…
così…”
Assurdo?
“Sì,
come
minimo.”
«Caro…»
intervenne Gretchen, interrompendo il monologo del marito.
«… credo che per
oggi sia sufficiente. Devi capire che, per loro, è tutto
nuovo, e sono già
molte le cose da digerire, senza che tu ti metta a parlare di portali e
pianeti
sconosciuti.»
Arrossendo
suo malgrado, Joshua assentì ed esalò spiacente:
«Cielo, scusate! Io ritengo
scontato tutto questo ma, ovviamente, per voi non lo è.
Attenderemo l’arrivo di
Lady Fenrir, per proseguire. Per ora, ritenetevi miei ospiti
graditi.»
«Oh,
ma, non ce n’è davvero
bisogno…» iniziò col dire Lucas prima
di venire
interrotto dal sorriso affabile di Joshua.
«Lo
ritengo un piacere. Sei Fenrir, e lui è il tuo Primo
Compagno…» replicò serio
Joshua, rivolgendo uno sguardo intenso a Rock. «…
perciò, la mia incombenza più
importante come padrone di casa è proteggervi, in quanto vi
trovate in visita
sul mio territorio.»
«Primo…
Compagno? Esistono davvero titoli per cose come queste?»
domandò Rock, più che
mai sorpreso.
«Se
fossi stato un mannaro, ti sarebbe spettato il titolo di Primo Lupo ma,
essendo
umano, esiste la formula del Primo Compagno. All’interno di
un branco, vigono
delle regole molto precise, sulla Triade di Potere e le loro famiglie,
e sono
tutte votate alla loro salvaguardia» gli spiegò
Joshua, levandosi in piedi. «Ma
ora basta. Vi ho tediato e ammorbato con fin troppe nozioni. Faccio
ordinare un
cinese per tutti? O preferite la pizza?»
Chelsey
votò per la pizza e Joshua, ridendo, assentì e
ordinò al telefono quanto
richiesto.
Era
folle pensare a come, pochi istanti prima, stessero discorrendo di
dèi e
pianeti appartenenti al mito e, poco dopo, si parlasse di salsiccia o
funghi
come contorno.
***
Iris
era stesa sul suo letto – Joshua doveva essere abituato ad
avere ospiti, visto
che il loft contava sei camere da letto oltre a quella padronale
– e, immersa
nella semi-oscurità, osservava le travature in legno del
soffitto e la fine
grana del legno di cedro che era stato utilizzato per costruirle.
La
città, all’esterno, era a malapena udibile grazie
agli spessi vetri alle finestre
e, dal punto in cui si trovava, Iris poteva intravedere sì e
no la sagoma tonda
della London Eye, illuminata a giorno per i turisti.
Le
mani intrecciate dietro la nuca, i pensieri le tornarono a
ciò che aveva
ascoltato quel pomeriggio, e a come quelle notizie avrebbero avuto
delle
ripercussioni nella sua vita.
Se
ciò che Joshua aveva detto corrispondeva interamente alla
verità, loro erano i
discendenti nati dall’unione tra un dio e un’umana
e possedevano svariate doti
fisiche e psichiche, oltre a un unico, subdolo nemico.
Va un
po’
meglio, Iris?
“Non
so davvero.
In teoria non dovrei stupirmi di niente, visto che sto parlando con la
mia
anima, ma credo di essere arrivata al mio punto di rottura.”
Tutti
ne abbiamo
uno. Ora, resta soltanto una cosa da fare; porsi dei limiti
più alti.
“E
se non lo
faccio?”
Temo
impazzirai
nel tentativo di trovare una spiegazione più razionale a
ciò che, di razionale,
ha poco o nulla.
“Bella
prospettiva”,
sospirò Iris chiudendo gli occhi e passandosi esasperata le
mani sul viso.
Il
profumo di Dev, lieve e mascolino come sempre, le giunse alle narici
prima
ancora che lui bussasse alla sua porta e, nel levarsi a sedere,
mormorò:
«Avanti.»
Lui
entrò, domandandole: «Stavi già
dormendo?»
«No,
affatto. Non credo neppure che riuscirò a farlo,
onestamente» sospirò
nuovamente lei, invitandolo nuovamente a entrare.
Devereux
si chiuse la porta alle spalle, alto e imponente quasi quanto la porta
che
aveva dietro di sé e, nell’appoggiarvisi contro,
le chiese: «E’ una mia
impressione, o porte e pareti sono insonorizzate? Mi sembra che abbiano
degli
spessori sospetti.»
«No,
non ti sbagli. Non sento assolutamente nulla, ed è un bene,
onestamente. Non ho
molta voglia di sentire ciò che fanno gli altri,
stasera» si lagnò Iris. «E’
sempre stato il mio cruccio più grande, da quando sono
diventata così.
Ascoltare tutto senza poter fare
nulla per bloccare quel flusso indesiderato di informazioni.»
Dev,
allora, fece l’atto di uscire, un mezzo sorriso stampato in
faccia e lei,
accennando un ghigno, lo invitò a sedersi sul bordo del
letto, replicando: «Non
ti avrei invitato a entrare, se tu avessi fatto parte di chi non volevo sentire.»
«Troppo
buona» ammiccò l’uomo, sedendosi.
«Non ti ho più chiesto come va la
ferita.»
Iris
se la sbirciò dal bordo della camicetta e disse:
«Per la verità, non pizzica
neppure più molto. Il giorno peggiore è stato il
primo, ma ora va molto meglio.
Grazie.»
Lui
assentì, apparentemente soddisfatto, prima di guardarla
turbato e chiederle:
«Tu credi a tutta questa storia? Sì, insomma, la
faccenda dei mondi alieni e di
una Madre che può gestire tutto?»
«O
questo, o siamo finiti nella tana del Bianconiglio e ci stiamo fumando
qualcosa
di molto forte col
Brucaliffo»
scrollò le spalle Iris, accennando un sorriso.
Dev
sgranò appena gli occhi prima di esibirsi in una risatina
sinceramente
divertita, che fece scatenare di conseguenza il riso di Iris,
incontrollato e
vagamente isterico.
Devereux
la seguì a ruota, lasciando andare anche la propria, di
risata, fragorosa e
sincera e, come aveva detto Chelsey un po’ di tempo prima,
davvero bella e
piacevole da ascoltare.
Quello
sfogo emotivo perdurò per alcuni minuti finché,
tergendosi le lacrime dal viso,
Iris asserì: «Oddio, ne avevo davvero bisogno.
Grazie.»
«Sei
tu che hai tirato fuori la faccenda del Brucaliffo»
replicò lui, poggiando gli
avambracci sulle cosce prima di guardarla più seriamente e
domandarle: «Come
farò a gestire una cosa del genere, con mia figlia?
E’ molto peggio di quanto
temessi. C’è un intero universo
dietro a ciò che siete, e io ne sono completamente
estromesso!»
Iris
ne imitò la posizione e, scrutando nel vuoto senza mettere a
fuoco nulla in
particolare, mormorò: «Ne stavo giusto parlando
con Gunnar. C’è da uscirne
pazzi, se non si dà credito alle parole di Joshua e, dando
loro credito, si
finisce in un mondo pazzo. Quindi, qual è la scelta
migliore?»
«Io
ho sempre pensato che fosse la verità ma, a quanto pare,
è un tantino al di sopra
delle mie attuali
possibilità» ammise Devereux, passandosi
nervosamente una mano tra la folta
capigliatura corvina.
Iris
si accigliò leggermente, di fronte a quelle parole sibilline
e, assottigliando
le palpebre, borbottò: «Cosa intendi dire per attuali possibilità?»
«Sai
benissimo cosa intendo» replicò lui, squadrandola
con i suoi occhi di ghiaccio.
«Non posso esserle di alcun aiuto, se non divento come lei e,
come padre, devo
poterla proteggere sempre.»
«Oddio,
Dev! Ma non ce n’è davvero bisogno. Sarebbe Lucas
a prendersene cura, se mai ve
ne fosse bisogno, e io…» iniziò col
dire Iris prima di bloccarsi, indecisa.
Già.
E lei? Lei aveva la sua vita a L.A., che aveva messo in pausa per
capirne di
più su se stessa ma che, presto o tardi, avrebbe dovuto
riprendere.
Suo
zio si stava prendendo egregiamente cura della ditta, ma lei non poteva
restare
lontano da essa in eterno. Inoltre, desiderava comprendere davvero cosa
farne della
sua vita, oltre a riprendere in mano le redini della propria esistenza
una
volta per tutte.
Questo,
però, l’avrebbe condotta a migliaia di miglia di
distanza da Chelsey, Lucas e
gli altri, lontana una vita da quella piccola realtà che si
era costruita a
Clearwater, dove aveva trovato le sue prime certezze dopo anni di dubbi.
«…
tu tornerai a L.A., l’hai detto più volte,
perciò rimarrà soltanto Lucas, e
questo è davvero troppo poco, per mia figlia»
stava dicendo nel frattempo
Devereux, determinato ad avere ragione.
Iris
sospirò e, crollando contro la spalla di Dev, vi
poggiò il capo e mormorò: «Hai
ben visto cosa si rischia, divenendo come me.»
«E’
mia figlia, Iris. Non posso offrirle
niente di meno che un padre all’altezza di tale ruolo, visto
che la madre se
n’è andata, fregandosene altamente di
lei» protestò Devereux, con la stanchezza
nella voce.
«La
odi molto, Dev, per questo?»
Sorridendo
mestamente, lui replicò: «Odiarla vorrebbe dire
provare ancora qualcosa per
lei, ma non è il mio caso. Il mio amore lo ha ucciso del
tutto nel giorno in
cui ha abbandonato nostra figlia. Ora non c’è
più nulla, di lei, dentro di me.
Neppure l’odio.»
«Quasi
quasi ti invidio. Io non sono mai riuscita a perdonare il ragazzo che
uccise i
miei genitori, e provo ancora molto odio nei suoi confronti, nonostante
sia in
galera e stia scontando la sua pena» mormorò Iris,
sospirando nel risollevarsi.
«E’
diverso. Lui ti ha strappato due vite a cui forse tenevi più
della tua. Julia
si è infischiata del mio amore per lei e della vita di
Chelsey, abbandonandoci.
Non ha portato via la mia fagiolina, se n’è andata
lasciandoci senza un se e
senza un ma. Perciò non le devo nulla, neppure
l’odio» asserì Devereux, con una
strana calma nella voce.
Era
chiaro che, ciò che diceva, lo stava realmente pensando, e
non fossero parole
dettate unicamente dal desiderio di chetarla, o apparirle superiore
rispetto a
ciò che gli era accaduto.
Alzandosi
in piedi, Iris allora gli disse: «Sia chiaro. Farà
un male cane, perché io non
riesco ancora a estrarre gli artigli a comando come fa Lucas,
perciò dovrò
usare le zanne che, ahimè, rispondono invece benissimo al
richiamo della
bestia.»
Lui
assentì, del tutto padrone di sé nonostante, a
conti fatti, Iris gli stesse
proponendo di essere morso dalle zanne di un lupo.
Senza
attendere oltre, perciò, l’uomo si tolse la maglia
di fronte a una sconcertata
Iris che, arrossendo di fronte al suo fisico statuario,
esalò: «Perché cavolo
ti sei tolto la maglietta, adesso?! Sarebbe bastato un polso!»
«Chelsey
avrebbe visto la ferita, e allora le sarebbero venuti dei complessi.
Quando
scoprirà ciò che ti ho detto di fare, non vi
sarà tempo per le recriminazioni e
accetterà la cosa in quanto dato di fatto.»
«Vorrebbe
dire mentirle» sottolineò Iris, spinta come sempre
a proteggere Chelsey.
«Vorrebbe
dire risparmiarle un dolore»
replicò Devereux. «Per
favore, Iris.»
Lei
allora si coprì il viso con le mani, scosse il capo per
l’esasperazione e
sbottò dicendo: «Non puoi dirmi per
favore con quel tono di voce così accorato,
mentre te ne stai dinanzi a me senza niente
addosso! Sono fatta di
carne anch’io, sai?»
Devereux,
allora, sorrise divertito, oltre che un tantino compiaciuto, e
replicò: «Oh… ma
davvero?»
«Piantala,
Devereux!» gli ringhiò contro
lei, mostrando le zanne, già lunghe un paio di centimetri.
Lui
sgranò un poco gli occhi, mormorando colpito:
«E’ la stessa voce di quella
notte… succede quando stai per trasformarti?»
«Quando
cerco di tener frenata la lupa»
replicò Iris, reclinando all’indietro il capo e
muovendo la mandibola con
secchi scatti dell’osso, mentre le zanne continuavano a
crescere lentamente.
Ogni
desiderio di fare dell’ironia scemò, in Devereux
che, non più tanto sicuro di
sé, esalò: «Cristo, …con
quegli affari potresti perforarmi un polmone…»
«Credi
che non lo sappia?» sibilò Iris,
cercando di controllarne la crescita. “Coraggio,
lupetta mia, datti una calmata… non dobbiamo sventrarlo,
è chiaro?”
Vuoi
una mano?
“Se
potessi,
Gunnar, sarebbe ben accetta. Puoi tenermi un po’ a
bada?”
Farò
quel che
posso, anche se non sarà affatto facile. La tua lupa
è piuttosto caparbia.
“Oh,
bene… è
come la sua controparte umana, allora. E io che pensavo che qualcosa
fosse diverso.”
Temo di
no.
Iris
cercò di concentrarsi su qualcosa di positivo, di calmo e
rilassante e, pian
piano, le zanne si ridussero di un poco, assestandosi su una lunghezza
di tre
centimetri.
A
quel punto, controllata solo dai suoi istinti di lupo,
cominciò a tastare
l’addome di Devereux alla ricerca di un punto non vitale e
l’uomo, in perfetto
silenzio, la lasciò fare.
Era
perfettamente chiaro che, in quell’esame attento, non vi
fosse nulla di
malizioso. Gli occhi di Iris, in quel momento, non erano del suo
consueto verde
foglia ma di un freddo, glaciale azzurro ghiaccio.
Era
la lupa che lo stava esaminando, scegliendo dove mordere… e come mordere.
Non
appena la lupa che era Iris ebbe deciso, lo sospinse verso il letto
senza alcun
problema, aprì le imposte per fare entrare l’aria
della notte e mormorò in un
sibilo: «Confonderà
l’odore del tuo
sangue, così che i lupi della casa non si allarmino.»
«Oh,
è chiaro» annuì teso Devereux,
sedendosi.
Lei
allora gli si inginocchiò dinanzi, gli allargò le
gambe per sistemarsi meglio
in mezzo a esse e, senza dargli alcun preavviso, lo morse a un fianco,
poco
sotto la linea delle costole.
Dev
dovette fare appello a tutte le sue forze per non svenire per il dolore
e,
aggrappandosi alle coltri del letto, strinse i denti e serrò
le palpebre,
sperando che tutto avesse un termine alla svelta.
Iris,
in effetti, impiegò solo qualche secondo prima di scostarsi,
leccare la ferita
per eliminare il sangue e afferrare in fretta il suo beauty case.
Da
lì, estrasse quattro cerotti, che appose sui quattro fori di
zanna presenti
sulla sua carne dopodiché, rialzatasi, lo spinse a sdraiarsi
e disse: «Ora dormi.»
Era
ancora la lupa a parlare per bocca di Iris e Devereux, sdraiandosi e
coprendo
le ferite con una mano, mormorò: «Cosa avresti
intenzione di fare,
esattamente?»
«Lei
non può aiutarti, ma io sì, perciò, finché Gunnar e
Iris mi
permetteranno di avere il predominio, potrò
aiutarti» disse la lupa, sdraiandosi dietro di lui
prima di apporre una sua
mano sopra quella di Devereux, che ancora tratteneva sulla ferita.
«Le…
vi farà male?»
«Sì»
disse senza alcuna acredine la
lupa-Iris. «Ma lo ha deciso lei, e
io
sono d’accordo, perciò a te non deve interessare,
Devereux.»
«Beh,
a me interessa, perciò tornatene a cuccia»
sottolineò l’uomo, cercando di
scansarla.
Lei,
però, non si scostò di un millimetro e,
ringhiando, sibilò: «Non
sei tu a comandarmi, umano, ma noi,
e noi vogliamo aiutarti a non
sentire dolore. Ora, stai zitto e fammi agire. La mia aura
allevierà il male,
ora che hai il mio genoma mescolato con il tuo sangue.»
Sapendo
di non poter far altro che accettare – mettersi a discutere
con un lupo non era
un’idea saggia, …con una lupa, peggio ancora
– Dev sospirò e chiuse gli occhi,
rimanendo immobile sul letto mentre Iris si sistemava meglio contro di
lui.
Il
sonno lo colse inaspettatamente, e più in fretta di quanto
avrebbe pensato,
trovandosi a letto con una donna dopo tutti quegli anni di rigorosa
astinenza.
Fu
come cadere tra le braccia di un’amante ma, al tempo stesso,
ritrovare la pace
dopo un lungo e insostenibile oblio doloroso.
Per
tutta la notte restò così, fermo accanto a Iris,
assorbendone l’aura benefica e
pregando dentro di sé che, alla prossima luna piena, tutto
andasse per il
meglio.
N.d.A.:
ed eccoci finalmente a casa, per così dire! I nostri amici
scoprono finalmente
parte del loro passato e conoscono uno dei membri più
titolati tra i branchi
inglesi.
Ben
presto, anche Brianna e soci faranno parte della partita, e vedremo
come andrà
a finire per Dev e quali sorprese ci porterà la sua
Mutazione. A presto!
1.
1. Long
Meg and Her Daughters: sito megalitico nel Low England incrociato da
Brianna nel
suo primo viaggio da Glasgow verso Matlock (primo libro).