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Autore: Stella cadente    14/05/2019    2 recensioni
Hogwarts, 2048: dopo la Seconda Guerra Magica e una lunga ricostruzione, la Scuola di Magia e Stregoneria è di nuovo un luogo sicuro, dove gli studenti sono alle prese con incantesimi, duelli con compagni particolarmente odiosi, le loro amicizie e i loro amori – come qualunque giovane mago o strega.
Ma Hogwarts cova ancora dei segreti tra le sue mura; qualcosa di nascosto incombe di nuovo sul mondo magico e sulla scuola, per far tornare un conto in sospeso rimasto sepolto da anni...
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«Che cosa gli è successo?»
Il Preside sospirò.
«Anni fa, Black era Preside, ma... ben presto fu chiaro a tutti quale fosse la sua reale intenzione. Non voleva fortificare Hogwarts, bensì renderla più intollerante. Tutti noi insegnanti abbiamo temuto, finora, che tornasse. Io l’ho sconfitto ed esiliato, ed io l’ho privato di quello che era il suo posto. Un posto ambito, e soprattutto influente.»
[...]
«Ascoltami, Elsa» riprese, con tono cupo. «Fa’ attenzione, soprattutto al tuo potere. C’è bellezza in esso, ma anche un grande pericolo.»
Pausa.
«Ricorda», aggiunse, «la paura sarà tua nemica.»
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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35.
 
 
Nel sogno c’era una fiamma verde che fluttuava davanti a lei, riflettendosi nei suoi occhi azzurri. Una sfera di magia infuocata e iridescente, che la attirava come una falena alla lanterna.
Erano le quattro del mattino quando Aurora si era svegliata, avvertendo una sensazione di oppressione al petto che non aveva mai provato in vita sua – come se fosse in cerca di qualcosa, come se mancasse un pezzo di se stessa. Le era sembrato quasi di soffocare.
E poi l’aveva vista.
Una luce verde fluttuava di fronte al suo lettino in infermeria.
Era stato come un richiamo; il richiamo di una voce oscura che la voleva con sé e che sussurrava parole strane che non aveva mai sentito – e che però capiva, senza sforzo. Si era messa a sedere seguendo la voce, e adesso stava guardando la luce verde. Inginocchiata sul letto, ascoltava le voci che, nel buio, sussurravano la lingua sconosciuta.
Tese una mano pallida per toccare le fiamme di un verde acido, ma queste si spostarono, guizzando al centro della stanza circolare, tentatrici e invitanti. Socchiuse le labbra, tenendo lo sguardo fisso, mentre il riverbero che l’incantesimo produceva dava vita ad un’inquietante danza di luci sul suo viso bianco come il latte. Non poteva resistere: le fiamme la chiamavano.
Dietro di lei, una sagoma scura e incorporea come l’ombra la guardava ghignante.
 
 
Quella era una notte insonne per Philip; quanto aveva detto Merman in Sala Grande dopo il secondo omicidio lo aveva sconvolto. Non avrebbe esitato a combattere, lo sapeva; eppure, non poteva fare a meno di farsi prendere dal panico. Che cosa avrebbe scritto alla sua famiglia?
Quello che lo teneva sveglio, comunque, era ben altro. Nell’aula di Difesa, Aurora era stata colpita da qualcosa di oscuro, poteva scommetterci. Cominciava ad essere profondamente impaurito da Elsa, dall’effetto che aveva sulla scuola e sugli studenti; forse era proprio lei ad aver monitorato Aurora tramite la Polvere Trasportante. Ma per cosa, esattamente?
Se solo ci fosse un modo per capirlo...
Philip sapeva solo che quello che era successo era stato terrificante. Aveva ancora impresso nella mente quel gigantesco serpente di ghiaccio che sibilava e si contorceva alle spalle di Elsa, i bagliori bluastri che aveva mandato in tutta l’aula, il buio, il freddo che era calato improvvisamente, come se si trovassero tutti in una landa desolata e gelida. Il Grifondoro avrebbe giurato che nessuno dei presenti stesse riuscendo a dormire, in quel momento: era stato terrificante.
La notte sembrava accogliere tutte quelle riflessioni, che gli si accavallavano nel cervello l’una sull’altra. Quello che gli aveva detto Aurora lo aveva colpito, e anche con i suoi compagni sembrava che ogni episodio o dettaglio – che era sembrato insignificante a chiunque – andasse a costituire qualcosa di più profondo. E la Tassorosso, adesso come stava? Era al sicuro in Infermeria?
D’improvviso, si sentì come un’insulsa pedina di un macabro disegno, e avvertì una bollente rabbia pulsargli dentro. Aveva voglia di combattere, di contrastare le forze che avevano ormai avviluppato tutta la scuola... ma lui era solo, e inoltre non servivano mosse avventate.
I suoi pensieri andarono di nuovo ad Aurora. Non avrebbe mai voluto che le accadesse qualcos’altro; il pensiero che Pitch Black potesse prenderla come ostaggio – o peggio, ucciderla – lo faceva rabbrividire. Si rese conto, mentre faceva qualche incantesimo soprappensiero, che avrebbe fatto di tutto pur di proteggerla; degli usignoli scaturirono dalla sua bacchetta e si misero a svolazzargli piano davanti. Uno di loro cinguettò perplesso, e quel suono dolce e consolatorio gli ricordò la voce di Aurora.
Sospirò; avrebbe dato qualunque cosa per parlare con lei in quel preciso momento.
 
 
Stava camminando lungo i corridoi della scuola, in camicia da notte, ignorando il freddo che sembrava tirarle la pelle, per seguire quella sfera di magia verde che sembrava emanare un’elettricità propria, incantevole e melliflua. All’interno di essa vedeva se stessa, la propria faccia e la propria divorante curiosità. Passò la mano in mezzo a quella luce abbagliante; la sensazione che provò sulla sua pelle fu la stessa di quando si tocca un ferro arroventato. Gemette: quella magia l’aveva ustionata – le aveva fatto del male. Era magia malvagia... eppure, non poteva fare a meno di seguirla.
Quando arrivò vicino alla torre di Grifondoro, la palla di luce si fermò all’improvviso, fluttuandole davanti dispettosa.
Poi accelerò, diventando tutto d’un tratto veloce.
«Aspetta!»
 
 
L’aveva sentita.
Aveva sentito la sua voce, lungo il corridoio, al di là della porta della Sala Comune, e non aveva esitato neanche per un secondo.
Philip pose fine all’incantesimo che aveva evocato, poi si fiondò fuori, avvertendo una brutta sensazione di oppressione al petto; che cosa ci faceva Aurora, a quell’ora, per i corridoi di Hogwarts?
La vide a poca distanza da lui, immobile sulle scale, che anch’esse restavano immobili. Pareva che tutto si fosse congelato, come se qualcuno avesse fermato il tempo. Il cuore aumentò i suoi battiti nel petto del ragazzo, che si sentì improvvisamente la gola secca; c’era qualcosa che non andava nella Tassorosso, che ora stava dritta come un fuso su un gradino, senza muoversi di un centimetro.
Aurora non era mai stata imbranata e maldestra – come Anna, ad esempio – ma neanche eccessivamente misurata; la sua postura, così come le sue movenze, era dolce e spontaneamente elegante. Ora, invece, era così rigida...
Il suo sguardo, comunque, fu subito catturato da qualcos’altro.
La ragazza guardava in modo fisso una sfera luminosa, che lampeggiava di un soffuso ma splendente bagliore verde. La palla doveva essere un incantesimo oscuro, perché sussurrava parole in serpentese, Philip lo distinse chiaramente. Non capiva cosa dicesse, ma conosceva le sonorità di quella lingua, e sapeva che nel mondo dei maghi non prometteva niente di buono.
La seguì fino a che non arrivarono alla torre di astronomia; Aurora, intanto, sembrava non essersi nemmeno accorta della sua presenza. I capelli biondo grano fluttuavano leggermente, carezzati dal vento lieve ma gelido di quella notte. Il Grifondoro rabbrividì di freddo, che si mescolò alla paura quando la palla si sbilanciò nel vuoto e la ragazza fece come per seguirla.
«Aurora, non guardarla!» provò a dire, ma dalla sua bocca non uscì nulla.
D’un tratto, mentre una fitta di terrore si impadroniva di lui fino a strozzarlo, gli sembrò di capire.
 
«Vedete Principessa» prese parola un’altra ancora – stavolta vestita di blu – esordendo senza mezzi termini. «C’è qualcuno che vi dà la caccia. Anche se non sappiamo chi sia.»
«Come è possibile?» intervenne Philip, che fino a quel momento era rimasto solo a pensare a quanto fosse surreale quella situazione.
«Non lo sappiamo, purtroppo» continuò la donna che aveva parlato per prima, mortificata.

«Qualcuno di malvagio vuole la Principessa Aurora. Noi... ecco, lo percepiamo, nell’aria. Lo sentiamo.»


Ma certo... Pitch Black!
Come aveva potuto non pensarci prima? Era talmente ovvio.
Istintivamente sfoderò la bacchetta, pronto a lanciare incantesimi. Non gli importava se non sarebbe servito – in fondo sapeva che quella doveva essere magia avanzata, forse troppo per un comune studente – ma avrebbe fatto di tutto per difendere la ragazza che amava.
Lanciò uno schiantesimo alla palla di luce, che a tratti passava dal verde al giallo in un alternarsi accecante. Quando l’incantesimo colpì la palla, ci rimbalzò sopra con un sibilo, come la biglia impazzita di un flipper. La sfera divenne poi di un giallo ocra, e improvvisamente nel mezzo di essa comparve una sagoma verticale, simile alla pupilla di un gatto, facendola sembrare un occhio che lo osservava attentamente; da essa scaturì un vapore nero, che vorticò intorno a lui come una cappa di fumo, oscurando tutto ciò che c’era intorno.
Una sagoma gli apparve davanti – una sagoma che conosceva bene – e lui si trovò a guardare il mago, impotente. Pitch Black gli restituì l’occhiata con un sorrisetto divertito, sospeso nell’aria e quasi mimetico nel buio che avvolgeva la torre; la sua figura alta svettava su di lui, le gambe erano quasi assenti, sostituite dallo stesso vapore scuro che lo aveva avvolto. A guardarlo bene era polvere, una moltitudine di granelli neri che andava ad alimentare la sua essenza.
«Non mi sono mai piaciuti quelli che vogliono ostacolarmi» disse, la voce leggera e torva allo stesso tempo. Tese una mano verso Aurora, poi la chiuse a pugno, come a volerla attrarre verso di sé.
L’istante in cui la Tassorosso si voltò fece gelare il sangue nelle vene a Philip.
La sua faccia era pallida, spettrale, inespressiva; la bocca era atteggiata in una linea seria e senza vita; le braccia inerti lungo i fianchi.
Ma furono gli occhi a farlo arretrare bruscamente.
Erano neri.
Totalmente neri.
Riempiti da una tenebra opprimente, senza lasciar traspirare nemmeno un filo di luce.
Dei suoi occhi azzurri e dolci, simili a due specchi purissimi, non era rimasto più nulla. E così illuminati dalla sola luce della luna, sembravano quelli di un demone.
«Lasciala stare» disse coraggiosamente lui, lottando contro la paura che gli stava serpeggiando nello stomaco.
Il mago rise, poi, con voce sibilante, pronunciò: «te umbrâ circumligo.»
La torre di astronomia si dissolse diventando un puntino sempre più lontano, e l’ultima cosa che Philip vide furono gli occhi neri e morti di Aurora, che lo fissavano senza guardarlo davvero.
 
*
 
 
«Hans» la voce le uscì più patetica di quel che avrebbe voluto, quando scese in Sala Comune e lo vide di fronte al camino, nella sua postura perfettamente misurata: si odiò per il tono che le era venuto fuori, come di un’incredula esaltazione nel vedere quello che, in realtà, era poco più che un estraneo.
Lei non era il tipo che si fidava subito di qualcuno... ma probabilmente, gli ultimi eventi l’avevano resa talmente instabile da diventarlo. Avrebbe voluto prendersi a pugni per la fragilità che l’aveva condotta fino a quel punto. Una fragilità che, alla fin fine, l’aveva sempre accompagnata, per tutta la sua vita.
«Ciao, Elsa» la salutò lui; il tono di voce distaccato, freddo, eppure con una lieve nota appena più calda, come se in un certo senso si fosse affezionato a lei. «Non riesci a dormire?»
La ragazza prese un sospiro, come per farsi coraggio, e si avvicinò. «Dimmi come devo fare. Voglio fermare tutto questo. Io non ce la faccio più...» cominciò penosamente a piangere, ma ormai le sue emozioni erano un fiume in piena. «Non voglio essere un mostro.»
Hans stette in silenzio, guardandola, poi disse: «Non lo sei. Sono i tuoi poteri ad essere preziosi, per dire la verità – troppo preziosi per essere sprecati. Sei il suo anello mancante; e credo che ti accorgerai da sola che Black non è l’individuo malvagio che Merman ha dipinto di fronte agli occhi di tutti.»
«Finora non c’è stata dimostrazione del contrario» si irrigidì lei.
«Senti» il ragazzo appariva insopportabilmente tranquillo, ed Elsa ebbe la netta sensazione che lui avesse sempre saputo di più riguardo a quella storia – molto più rispetto a quanto avesse rivelato, come se aspettasse quel momento da chissà quanto tempo. «Io so tutto; ho sempre saputo tutto sin dall’inizio.»
La Serpeverde sentì una morsa stringerle lo stomaco, ma dall’altro lato qualcosa che le diceva di stare tranquilla; era come se due lati di sé stessero facendo a botte, senza farle mai capire chiaramente quale dei due fosse destinato a prevalere. «Che significa?» ebbe il coraggio di chiedere, la voce fredda come il ghiaccio dei suoi poteri.
«Ho saputo tutto questo da molto prima che tu scappassi nel bosco. Altrimenti» sollevò un sopracciglio, come per sottolineare l’ovvietà di quello che stava per dire, «per quale motivo avrei dovuto prima avvicinarmi ad Anna e poi chiederti di aiutarmi con erbologia nella Stanza delle Necessità?»
«Sei sempre stato tu, dunque» fece Elsa, con una punta di rabbia nella voce seria. «Fin dall’inizio.»
«Sì» Hans le rispose con voce di pietra, fredda, come se non gli importasse. «Sai meglio di me che c’è luce e oscurità nel mondo dei maghi. È sempre stato così. E la mia famiglia lo sa bene.»
«Hai architettato tutto quanto per risalire a me» sussurrò la ragazza, devastata.
«Esattamente. La relazione con Anna, l’aiuto ad erbologia» ripeté, «tutto quanto. Anna è sempre stata solo uno strumento, per me. La verità è che volevo arrivare a te.»
La Serpeverde lo guardò con rabbia. «Sei uno psicopatico» sibilò tra i denti.
«Forse» disse solo Hans. «Ma adesso devi sapere una cosa.»
Silenzio. Agli occhi di Elsa erano affiorate delle lacrime di rabbia.
«Non devi piangere» la sua voce era calda come velluto, come una coperta avvolgente che la cullava nel suo tepore, ma le parole erano lame. «Il passaggio successivo si sta compiendo proprio stanotte. È da molto che è cominciata; non potevi farci niente, piccolo fiocco di neve» le disse, dolce come il miele. «Era già tutto prestabilito.»
«Allora perché Merman mi ha detto di ostacolarlo?» le sue certezze che cominciavano a vacillare, il peso della distruzione che si abbatteva su di lei, e le parole di Hans che l’avevano spiazzata, che le avevano fatto cambiare idea su di lui – tanto era sembrato gentile, mentre le pronunciava – in un modo rapido che non sopportava. Forse era la sua morbosa curiosità, o il modo in cui il ragazzo, con le sue parole, aveva bruscamente cambiato le carte in tavola – non sapeva dirlo. Ma era diventata... più calma.
E non dovrei esserlo, non dovrei, accidenti.
«Perché per lui raccontare tutta la verità era scomodo, per ragioni che non dovrò essere io a dirti.»
La ragazza gli si sedette vicino; malgrado le sue parole fossero piatte, inespressive, la sua voce sembrava carezzarla. Qualcosa le diceva improvvisamente che stavano condividendo il medesimo destino, che entrambi erano vittime degli eventi e basta. Hans non le sembrava più perfido, arrogante e borioso; le stava parlando come avrebbe fatto un amico, una persona che conosceva da una vita. Eppure, lui non le doveva niente; non si erano mai neanche parlati, prima, salvo che per quella volta ad erbologia. Che avesse aspettato per tutto quel tempo?
Adesso c’era una domanda che si agitava imperterrita sulla sua lingua, che il silenzio non faceva altro che fomentare; sapeva, dentro di sé, che avrebbe dovuto solo cogliere quell’occasione, perché forse lui le avrebbe detto qualcosa di importante – e lei aveva un viscerale, insopportabile bisogno di sapere, di avere di più.
«Come hai ottenuto i miei stessi poteri?»
Hans la guardò negli occhi, come fino a quel momento non aveva fatto, tenendo le sue iridi verde-nocciola sulle fiamme che crepitavano nel camino.
«Quando hai ucciso Eris Goddess» disse solo. «Si è creato... un collegamento. Anche tempo fa Black seguì questo schema. Ognuno di noi fa parte di un rituale, ed è necessario creare un doppione – per garantirne la riuscita. Quattro che finiscono, quattro che iniziano. Melicent ha iniziato tutto questo... la sua fase, e la tua, ormai, sono compiute. Adesso restano solo gli altri. Ma siamo vicini. E lo saremo molto di più, dopo la morte di stanotte.»
Elsa deglutì quando sentì la frase “dopo la morte di stanotte”, sforzandosi di non darlo a vedere. «Perché Pitch Black mi vuole?»
«Non ha solo bisogno di te. Ha bisogno di tutte voi – di quattro iniziate. Senza quattro elementi l’Elisir di lunga vita non viene prodotto.»
«A cosa gli serve, se è già morto?» Quella domanda venne pronunciata con un filo di voce, con un sussurro, con una crescente paura che serpeggia nello stomaco e non dà pace finché non ha infettato tutto quello che trova.
Hans la guardò serio. «A risvegliare gli altri. Così il mondo magico può tornare all’oscurità, e ristabilire l’equilibrio.»
 
 
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Avrei dovuto aggiornare il 25 aprile, ma internet non è ancora arrivato in casa mia, i corsi all’uni sono ricominciati praticamente adesso e non ho avuto modo di farlo. La cosa mi sta facendo arrabbiare parecchio, perché sono un tipo che odia l’inefficienza, ancor più se questa si ripercuote sugli altri – in questo caso voi. Comunque, eccomi qui.
Questo è un capitolo che è stato semplicemente doloroso da scrivere; un po’ perché muoiono due dei personaggi che mi piacevano, un po’ perché vedo Elsa ormai al capolinea. Se immagino di essere al suo posto, mi sento male: la sua vita è stata un continuo nascondersi, reprimersi, autoflagellarsi mentalmente. E adesso... adesso tutto questo ha un senso per lei, un senso che la sta portando sempre più verso l’oscurità. Hans sarà molto importante in tal senso, e spero di aver reso questa cosa al meglio. E, se ve lo state chiedendo, sì, ci saranno flashback e altre belle cose su di lui :)
Dunque dunque, gli ultimi capitoli in generale – a rileggerli – sono stati importanti: che idea vi siete fatti della storia? Secondo voi che piega prenderà? Sono curiosa! (anche perché nemmeno io lo so che piega prenderà la storia, YAY!)
Detto ciò, vado a prendere il treno ;)
Alla prossima, e grazie per sopportarmi <3
Stella cadente





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La torre di astronomia si dissolse diventando un puntino sempre più lontano, e l’ultima cosa che Philip vide furono gli occhi neri e morti di Aurora, che lo fissavano senza guardarlo davvero.
  
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