LA SUA CHITARRA
Si sedette. Su quella sedia morbida che il culo ci sprofonda. Con i braccioli in legno intagliato e liscio. Con i ghirigori che ci puoi stare un giorno intero a sentirne e percepirne tutte le scanalature. Affondi le dita nei buchi, le giri e le rigiri e poi ti prendi le schegge, ma tanto non ti alzi. Hai tempo per tirarle via. E quella stoffa ruvida sopra le imbottiture, con i fili intrecciati così stretti, e che formano disegni così belli e così complessi, ma non li vedi, ci sei seduta sopra.
E stai lì ferma, le braccia sopra i braccioli e le mani, le dita che corrono freneticamente per gli intagli, e cercano, cercano, senza mai fermarsi per trovare.
Le persone ti passano accanto e ti chiedono che ci fai lì seduta. Poi passano oltre.
Sei ancora lì che aspetti, e il tuo viso è sereno, ma le tue dita adesso mostrano tagli profondi.
C’è polvere sulle tue ciglia e immagini che provando a alzarti le giunture delle ossa scricchiolerebbero come rami secchi. Non sai se hanno ancora la forza di sostenere il peso della realtà.
Poi un giorno scopri che non è così. Scopri che non sono rami secchi, solo rami. Sono flessibili e elastici, reggono agli urti e cerchi di rialzarti. Come il tuo culo pieno di piaghe si alza dalla sedia lei scompare. E sei in piedi.
Ti sei alzata perchè
hai visto
delle mani. Pizzicano delle corde e si muovono veloci. E degli occhi. Occhi socchiusi, una testa che si alza per un frazione di secondo e pianta il suo azzurro nella tua mente. Attraversa la sedia e la schianta. E allora ti ricordi che non ti sei alzata. Sei cascata con il culo per terra e sei stata rialzata di peso, dal perno dei suoi occhi.
Uno sguardo che ti spoglia nuda e ti inchioda.
E sorridi. In quel modo che usi,quando sai di doverlo usare.
E non so nient’altro.