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Autore: viola_capuleti    14/05/2019    0 recensioni
Raven ha sempre avuto la certezza di essere una ragazza normale, nonostante la famiglia ristretta alla madre Elen e l'amico di famiglia Andrea che non la lasciano mai sola, i numerosi traslochi e la vistosa cicatrice che ha sul petto.
Ma tutto cambierà quando un misterioso uomo comparirà davanti a casa sua, insieme ad un particolare trio di ragazzi, proprio quando sua mamma dovrà andarsene di casa per lavoro e un misterioso coniglio albino le farà compagnia nei suoi sogni per avvertirla di un pericolo.
Scoprirà ben presto di far parte di una relatà ben più grande di quanto avrebbe mai potuto immaginare...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 2
Nella tana del lupo


Stava ripercorrendo la strada davanti alla villetta. Ma questa volta, quando la borsa si ruppe (di nuovo? Ma com’era possibile, tutte a lei dovevano capitare?) lei non se ne accorse e inciampò in un barattolo, finendo distesa a terra.
Non sentì dolore, proprio per niente. Si mise seduta, massaggiandosi comunque le mani, che non avevano il minimo segno di sbucciatura o arrossatura.
Le sembrò di vedere qualcosa muoversi sopra la sua testa con la coda nell’occhio e alzò lo sguardo: la ragazzina bionda le stava porgendo la mano, sorridendole.
-Vuole aiutarmi ad alzarmi. – pensò con gratitudine Raven, allungando a sua volta una mano per prendere la sua.
Ma si bloccò subito, perché notò che la ragazzina non le stava porgendo la mano per alzarla, ma la stava indicando. Il suo ditino affusolato puntava appena sotto il suo mento.
-Guardate che razza di cicatrice! -.
-Cosa? – pensò Raven, confusa, abbassando gli occhi.
Le sembrò che il terreno le mancasse sotto il corpo, perché non stava indossando la maglia e la sua cicatrice spiccava pallida tra le lentiggini spruzzate sul petto.
-Orrenda. – commentò l’uomo con gli occhiali a specchio, comparso dal nulla in compagnia del ragazzo con il cappello, che aggiunse ridendo: -Mamma mia, come si fa ad avere quella roba addosso? -.
-Smettetela di guardare! – sbottò Raven coprendo con una mano meglio che poteva la cicatrice, mentre con l’altra cercava di allontanare la mano della biondina o almeno farle smettere di indicarla –Fatevi gli affari vostri! -.
Adesso stavano ridendo e lei si sentiva un’idiota.
Ma non riusciva neanche a tapparsi le orecchie per non sentirli, dato che sembravano pesanti come blocchi di cemento.
-Andate al diavolo! – sbottò ancora facendo loro il dito medio, cercando di alzarsi.
Ciliegina sulla torta, ora ecco l’uomo con la sigaretta e gli occhi d’acciaio, che le soffiò addosso un’enorme nuvola di fumo nel quale le sembrò di soffocare. Non durò a lungo, perché si diradò quasi subito, in modo che lo potesse veder sogghignare: -Meglio non metterla troppo in mostra, quella. Vai a casa, prima che qualcuno la veda. -.
-Senti tu…! – fece la ragazza, decisa a riempirlo d’insulti.
La sua rabbia sfumò nel momento in cui si accorse che il terzetto era immobile, congelati nella loro ridarella, come l’uomo della sigaretta, in una posa in cui somigliava molto a Crudelia Demon, con il mozzicone stretto tra due dita. Neanche il fumo si muoveva, fermo in una spirale perfetta.
-Perché sono fermi? – pensò Raven, per poi scrollare le spalle: -Meglio così. Tutto questo è strano… sto sognando? -.
Si guardò attorno e accanto a lei, alla sua sinistra, c’era un coniglio. Non era tanto grande, con la pelliccia candida e gli occhi rossi.
-Decisamente. -.
C’era qualcosa di strano in quel coniglio: aveva già visto animali albini ma il rosso dei suoi occhietti tondi era troppo intenso e le pupille… erano verticali, come quelle di una vipera! Fissavano sgranati l’uomo con la sigaretta, ma non sembrava spaventato. Stupito, ecco, stupito lo definiva alla perfezione.
Inclinava la testa da una parte all’altra, con la boccuccia mezza aperta e i baffi frementi.
-Lo conosci amichetto? -.
Il coniglio si girò a guardarla, abbassando e rialzando le orecchie.
-Che carino. – commentò Raven –Non preoccuparti, non ti farò male. -.
Allungò la mano per accarezzarlo, cautamente, e quello si scansò con un salto, lontano da lei, appiattendosi al suolo con le orecchie sulla schiena. La pelliccia sui fianchi si contraeva freneticamente, come il nasino rosa confetto, le pupille dilatate non sembravano quasi più quelle di un rettile.
-Non mi toccare. Non ti dovrei neanche parlare. – mormorò il coniglio, per poi scappare a zampe levate aggiungendo ad alta voce: -Tutto questo è stato un errore! -.
***
La sveglia suonò, diffondendo per la stanza la nostalgica melodia di un violino, svegliandola. Superata la confusione del dormiveglia, spense la suoneria con un colpo di dito sullo schermo del cellulare, si tolse le coperte di dosso con un calcio. Aveva qualche ricordo confuso del sogno che aveva appena fatto.
L’unica cosa che ricordava con chiarezza era il coniglio bianco parlante.
-Certo che la mia mente ha scelto un bel momento per essere creativa. – pensò grattandosi la pancia sotto la maglia del pigiama, mentre si dirigeva in cucina con gli occhi ancora mezzi chiusi –Mai fatto sogni così sconclusionati. -.
Vicino al gas c’era sua madre, che le dava la schiena: stava preparando il caffè in una vecchia caffettiera con il fondo annerito.
Mentre si avvicinava al tavolo per sedersi e servirsi dei cereali e del latte, si chiese ancora una volta che legame avesse sua madre con quel tipo con sigaretta e pizzetto.
Parentela? Non si somigliavano affatto e non si era mai fatto vivo prima, né sua madre parlava mai di famiglia.
Lavoro? Probabile.
Dato che non sembrava ancora dell’umore di parlarne, esattamente come era sembrato il giorno prima, Raven decise che ne avrebbe parlato con Andrea. Se era un collega sicuramente glielo avrebbe detto.
Ma quella reazione alla sua comparsa… non è che fosse una persona con la quale si vedesse per ragioni sentimentali? Magari si era arrabbiata perché voleva introdurre l’argomento in modo più delicato che presentarglielo su due piedi portandolo a casa. Poteva aver disubbidito all’accordo sì, era plausibile.
Scosse immediatamente la testa, pensando: -No, non mi sembra il tipo di mamma. E poi non ha tempo per un fidanzato. Neanche il bisogno, penso. -.
-A cosa pensi? -.
-Uh? – fece Raven, accorgendosi che sua mamma le stava parlando –Niente. -.
-Facevi una faccia strana. – replicò Elen togliendo la caffettiera borbottante dal gas, facendo chiedere a Raven per quanto tempo avesse pensato a che rapporto c’era tra lo sconosciuto e sua madre –Mancava poco che sbavassi, avevi la bocca mezza aperta. -.
-Non è vero. – replicò la ragazza, imbarazzata, iniziando a mangiare i suoi cereali con foga, per evitare di spaziare di nuovo con la mente.
Elen scosse la testa, sogghignando divertita, mentre si serviva una tazza di caffè fumante. Ne sorseggiò appena un po’ prima di dire: -Allora, inizio con le raccomandazioni. -.
-Non sono una bambina. -.
Ignorando quello che aveva detto la figlia, lei continuò: -Andrea non sarà con te prima di domani sera o dopodomani mattina. Perciò non aprire la porta a nessuno prima di esserti assicurata che non sia uno sconosciuto e prima di andare a dormire controlla che tutte le finestre e le porte siano chiuse a chiave. Tieniti almeno un cacciavite a portata di mano sul comodino, al massimo, non si sa mai. -.
-Già che ci siamo perché non una mannaia? -.
-Piantala di fare battute. Non telefonarmi, sarò io a contattarti: avrò tempi molto ristretti per quanto riguarda l’uso del cellulare. -.
-Ok, ok. Niente di diverso dal solito. – fece spallucce Raven.
Notò che sua madre sembrava indecisa se aggiungere qualcosa, tamburellando un dito sulla tazza che reggeva e guardando un punto fisso del ripiano della cucina.
-Qualcos’altro? –.
-Ecco… - borbottò Elen, ancora con espressione dubbiosa, per poi dire tutto d’un fiato: -Se ti capitasse di incontrare quell’uomo con il pizzetto prima dell’arrivo di Andrea… -.
-Devo piantargli il cacciavite in un occhio? O tra le costole? -.
La madre le scoccò un’occhiata severa, dicendo: -Ricambierebbe il favore. Non è una persona di cui devi preoccuparti Raven: se ti troverai in difficoltà potrà aiutarti. -.
Non si aspettava dicesse quello.
Quel tipo le sembrava tutt’altro che rassicurante o di buon cuore. A dirla tutta, piuttosto la ragazzina e l’uomo con gli occhiali da sole sembravano bravi samaritani (anzi, lo erano proprio stati).
In ogni caso, quella combriccola sarebbe stata l’ultima delle sue risorse in caso di bisogno. Dopotutto chi li conosceva? Due di loro erano stati gentili, certo, ma questo non voleva dire che l’avrebbero aiutata per qualcosa di più grave di una borsa della spesa rotta.
-Se lo dici tu… - borbottò, poco convinta.
Elen finì la tazza di caffè in fretta e prese la valigia nell’ingresso. Raven la seguì fino alla porta, dove sua madre si soffermò per un attimo.
Posò la valigia a terra e l’attirò in un abbraccio talmente inaspettato che la ragazza reagì sulle prime irrigidendosi. Ricambiò stringendole le braccia attorno alle spalle, dicendo: -Ehi, ehi, andiamoci piano con le smancerie. -.
-Stai attenta Raven. -.
-Certo. -.
Elen la baciò sulla fronte e uscì di casa. Raven restò sulla porta d’ingresso a guardare la madre che si allontanava in macchina fino a quando non svoltò l’angolo della strada e scomparve alla sua vista.
Si sentì stranamente abbandonata ed indifesa. Era a disagio e aveva un brutto presentimento, accompagnato da un pizzicore alla cicatrice, che grattò distrattamente.
Lavò i piatti della colazione meccanicamente e decise di impegnare la mattinata nel mettere a posto la casa e dare una pulita generale. Chi l’avrebbe sentito altrimenti Andrea se fosse arrivato e avesse visto la casa come l’aveva lasciata Elen?
Iniziò a riordinare l’ingresso. Mentre spostava delle giacche buttate sulla cassapanca verso gli appositi ganci, notò la borsa di plastica appesa al muro al loro posto, ricordandosi che l’aveva messa lì per non scordarsi di restituirla.
-Dovrei farlo. – pensò prendendola in mano –Magari dopo aver fatto qualche faccenda domestica. -.
Per un attimo il sogno che aveva fatto si rifece vivo in un flash di risate di scherno, ma scacciò subito il pensiero: era un sogno, subconscio. Non c’era mica il caso di avere soggezione di una ragazzina e i suoi amici che tra l’altro l’avevano addirittura aiutata, no?
Sarebbe stato un mordi e fuggi: portare la borsa, ringraziare, salutare e andare via. Prima d’incontrare il cosiddetto amico della mamma.
Decise di attendere l’ora di pranzo per andare a restituire la borsa, per essere certa che qualcuno fosse a casa. A giudicare dalle macchine parcheggiate esattamente come il giorno prima, qualcuno doveva esserci.
Per l’ennesima volta da quando era uscita di casa si accertò che la maglietta che indossava la coprisse fino al collo, passando un dito all’interno del colletto e poi avvicinò il dito al pulsante del citofono accanto al cancello.
Si fermò subito, pensando: -E se mi apre quel tipo? Non voglio parlargli, non me la sento. -.
Fece un passo indietro, guardando il quadrante di metallo dorato lucido. La telecamera che serviva da spioncino le sembrò un occhio inquisitore, che si chiedeva se si sarebbe decisa a suonare o se se ne sarebbe andata con la coda tra le gambe.
-Beh, ormai sono qui. – pensò, avvicinandosi nuovamente per suonare. Esitò di nuovo: -Mi aveva detto che non c’era bisogno di restituire la borsa. Se si offendessero? -.
Il citofono gracchiò, facendola sobbalzare per la sorpresa, e la vocina della ragazzina bionda uscì dalla piccola grata dorata chiedendo: -Ciao! Ti serve una mano? -.
-Cosa? Ciao, no. Ho riportato la borsa. – disse Raven, alzando la suddetta davanti alla telecamera.
-Oh, lo avevo immaginato. Ma non capivo che cosa stessi facendo davanti al citofono senza suonare. Entra, ti apro subito. -.
Il cancello si aprì con un cigolio appena accennato e Raven s’infilò dentro al vialetto lastricato di porfido.
Notò che i fiori erano stati davvero trapiantati ai lati della scalinata. Dalla porta uscì la ragazzina, con i capelli stavolta raccolti in uno chignon basso e con indosso un grembiulino svolazzante. Scese le scale saltellando, sempre con il sorriso sulle labbra.
-Ciao. – la salutò di nuovo, quando si furono avvicinate.
-La borsa. – fece Raven, allungandole la suddetta.
Vide i suoi occhi celesti saettare dal suo viso alla borsa e per un attimo le sembrò che si soffermassero sul suo petto. Scacciò il pensiero quando la ragazzina continuò il discorso dicendo: -Oh, non c’era il caso, ti ringrazio. – prendendo la borsa.
-Nessun problema. Per sdebitarmi dell’aiuto. -.
-Perché non entri un attimo in casa? -.
-Non credo sia il caso, è quasi ora di pranzo. Mi sembri indaffarata. – rifiutò subito Raven alzando una mano e facendo un passo indietro.
La ragazzina sbattè le ciglia bionde con espressione confusa, come se non avesse mai ricevuto un rifiuto in vita sua. Poi sorrise di nuovo e ritentò: -Voglio solo offrirti qualcosa da bere per il disturbo. Fa anche caldo e ti sei fatta una bella scarpinata per venire fino qui. -.
-Perché, sai dove abito? -.
Le guance della ragazzina si arrossarono in un attimo e i suoi occhi si abbassarono subito a guardarsi i piedi.
Raven si vergognò di averla messa in imbarazzo in quel modo. Probabilmente l’uomo con la sigaretta aveva raccontato dell’incontro con sua madre e aveva riferito dove abitavano.
Si grattò la cicatrice da sopra la maglietta e disse: -Sì, fa caldo… un bicchiere d’acqua farebbe piacere. -.
Il volto della ragazzina si rasserenò subito, come se non ci fosse stata nessuna imbarazzante gaffe. Le fece segno di seguirla su per la scalinata con un cenno della mano mentre diceva: -A proposito, non mi sono presentata: il mio nome è Matisse. -.
-Raven. -.
Entrarono in casa e Raven si trovò nell’atrio più moderno e chic che avesse mai visto, un mix perfetto degli atri che trovava nelle riviste di arredamenti che si guardava ogni tanto dalla parrucchiera o dal dentista. Rimase affascinata dalle pareti azzurro pastello molto tenue con lo zoccolo bianco sposate con l’arredamento semplice ma moderno, con un appendiabiti in stile vintage di metallo scuro, un tappeto lungo grigio con ghirigori neri, uno specchio situato sopra ad un tavolino su cui erano appoggiati dei soprammobili e una ciotola in cui erano depositate le chiavi della macchina, un piccolo quadro con un paesaggio francese e una lampada da soffitto al neon. Il tutto davanti ad una scalinata di legno con annessa ringhiera di metallo che portava al piano superiore.
Seguì Matisse spostandosi verso destra, attraversando una bella sala da pranzo in tinte oro e rosso per entrare in una candida cucina all’avanguardia con una penisola al centro della stanza con il ripiano di marmo che sua madre aveva sempre desiderato, con un paio di sgabelli alti da bar foderati di pelle nera.
Da un super frigo moderno con il distributore per il ghiaccio Matisse prelevò una bottiglia di tè alla pesca, che versò dentro ad un alto bicchiere di vetro colorato a cui aggiunse un paio di cubetti di ghiaccio.
-Siediti pure. – le disse appoggiandole il bicchiere sulla penisola.
-Grazie. – disse Raven obbedendo.
Osservò come la ragazzina si rimettesse al lavoro: controllò quello che aveva lasciato nel forno (che spandeva nell’aria un profumino a dir poco delizioso) e prese ad affettare alcune verdure lasciate su un tagliere. Prese un sorso di quella bevanda magnificamente rinfrescante e sospirò per il brivido che le fece scendere lungo la gola.
Matisse finì di affettare un pomodoro e prendendone un altro chiese: -Non sei qui in vacanza vero? -.
-No, abito qui da qualche mese. -.
-Ah, immaginavo. Sai, è che è estate e magari vieni qui a trascorrere solo le vacanze. È una bella città dopotutto. -.
-Sì. Voi invece siete qui in vacanza? -.
-Per lavoro. – rispose lei facendo spallucce.
-Tu e la tua famiglia? -.
-In un certo senso è la mia famiglia. Le persone con cui ero ieri sono i miei fratelli, mentre chi ci ha raggiunti dopo… non so come dire in realtà, ma potrei definirlo il nostro benefattore. -.
-Non avete più i genitori? – chiese Raven.
-Non tutti. – ammise lei con un sospiro.
Raven deglutì un sorso di tè e disse: –Mi dispiace. -.
-Tranquilla, ormai non è più un problema. – minimizzò la bionda dedicandole un sorriso dolce mentre Raven aggiungeva a bassa voce: -Anche io… non ho un padre. –.
Matisse smise subito di affettare la verdura, per guardare Raven, che adesso stringeva il bicchiere tra le mani, fissandone il tè all’interno, timorosa di incontrare il suo sguardo.
-Non c’è niente di cui vergognarsi. – disse la ragazzina, interpretando male il suo comportamento –Che sia andato via di casa o morto non è colpa tua. -.
-No, certo. È che non lo avevo mai detto a nessuno. -.
A salvare Raven da quella situazione imbarazzante ci pensò l’uomo con gli occhiali da sole: entrò dalla portafinestra che dava sul giardino sul retro, ma non prima di scrollarsi della terra dai pantaloni. Evidentemente stava piantando altri fiori là dietro. Si tolse anche le scarpe sporche prima di entrare.
Raven si aspettò che si togliesse anche gli occhiali o che per lo meno se li spostasse sulla testa, invece se li tenne anche quando entrò dentro casa sgattaiolando in punta di piedi per rubare un pomodoro intero dal tagliere di Matisse, che gli allungò una manata sulle dita senza colpirlo.
-Piantala di rubare da mangiare prima che sia servito a tavola! – esclamò lei, ma dal sorriso Raven intuì che quella fosse la milionesima volta che glielo diceva e che non sarebbe stata l’ultima, né che lei era davvero arrabbiata per quel gesto.
-Me lo merito, sei tu che hai voluto che piantassi tutti ‘sti fiori. – replicò lui dandole un colpetto sulla spalla con il dorso della mano che stringeva il frutto, per poi dargli un morso.
Aveva un accento magnifico accento sud americano che non aveva notato la prima volta che si erano incontrati. Come non aveva notato i canini piuttosto appuntiti.
L’uomo sembrò accorgersi di lei, infatti disse: -Salve. Qual buon vento? -.
-Ci ha gentilmente riportato la borsa Jag. – rispose per lei Matisse, riprendendo a cucinare.
-Ah, davvero? – fece lui alzando un sopracciglio –Allora penso di dovermi presentare: mi chiamo Jaguar. -.
Raven non poté trattenersi dal fare un’espressione incredula per quel nome così strano. Matisse suonava francese ed era molto carino come nome, mentre Jaguar… beh, non sembrava esattamente un nome di persona. Non come poteva sembrare il suo, almeno.
Quando si presentò a sua volta Jaguar osservò: -Un nome tenebroso per un viso così luminoso. -.
Matisse schioccò la lingua: -Sei fidanzato. -.
-Era solo un’osservazione. – la ribeccò Jaguar bonariamente.
–Ti fermi a mangiare Raven? – chiese improvvisamente Matisse voltandosi con uno svolazzo di grembiule, appoggiandosi al ripiano della cucina con la schiena.
La domanda arrivò inaspettata e Raven rimase un attimo senza parole.
Glielo stavano chiedendo davvero? Si conoscevano appena.
-Io? – chiese, ricevendo una risposta affermativa.
Rispose subito di no. Un po’ le dispiacque, perché vide il sorriso cordiale di Matisse capovolgersi in un broncio dispiaciuto.
Ora che ci pensava non aveva mai mangiato a casa d’altri, neanche a casa di Andrea. Al massimo aveva mangiato fuori con lui e sua madre, in ristoranti o fast food.
A casa però l’attendeva un pasto fatto molto male, dato che lei non sapeva affatto cucinare. Sua madre se la cavava discretamente ma se cucinava lei era probabile che avrebbe bruciato qualcosa o si sarebbe fatta male. Andrea non era mai riuscito ad insegnarle a fare qualche piatto più elaborato di una pasta in bianco o una bistecca alla piastra, cose che lui sapeva trasformare in piatti gourmet con pochi altri ingredienti che lei proprio non riusciva ad assemblare.
Matisse implorò con un: -Perfavore, ci farebbe piacere… -.
-Mati, lasciala stare. Avrà dei genitori con cui mangiare pranzo. – la sgridò Jaguar con tono persuasivo.
-In realtà no. – si lasciò sfuggire Raven.
-Allora non vedo perché non accettare. – cambiò idea Jaguar, facendole un bel sorriso cambiando completamente tono di rimprovero.
Tentennò ancora un poco e si arrese, dando il suo consenso. Perché non approfittare dell’occasione per scoprire qualcosa di più su di loro e sapere se davvero fidarsi del loro benefattore in caso di emergenza?
Dato che Matisse oramai aveva quasi finito di preparare tutto, si offrì di aiutare il suo fratello maggiore ad apparecchiare nella sala da pranzo e a portare le pietanze in tavola.
Si stavano sedendo, quando a Raven venne un dubbio: non aspettavano l’altro ragazzo e l’uomo inquietante?
Lo chiese e notò che Jaguar alzò un sopracciglio in direzione della sorella che ridacchiò nervosamente e disse: –Ehm, non sono a casa a casa oggi, arrivano tardi. -.
-Lavorano? -.
-Sì. – rispose Matisse precedendo Jaguar di un secondo, mentre con una spatola serviva il primo nei loro piatti.
Forse aveva detto la verità, fatto stava che dopo circa un quarto d’ora, dopo aver iniziato a mangiare il pesce, la porta principale si aprì ed entrò il ragazzo della sua età, che sbattè la porta, cosa a cui Matisse reagì con un: -Beast, non si sbatte la porta! -.
Il ragazzo ribatté: -Lasciami stare Matisse, non è giornata! Non sopporto di essere trattato come un cane da quello là. Dopotutto lo sto solo aiutando a cercare in città… -.
Camminò pestando i piedi sul pavimento con rabbia fino all’entrata della sala da pranzo, dove si interruppe, fissando Raven, seduta vicino a Matisse.
Sembrò trasalire e fece per fare un passo indietro, quasi esclamando: -E lei cosa diavolo ci fa qui? -.
-Beast, non essere scortese. – sbuffò Matisse.
-Mi sembra di capire che non abbiate molti ospiti di solito. – osservò Raven, cosa a cui il ragazzo reagì diventando rosso come un pomodoro.
-In effetti no. – concordò Jaguar –Beast, Raven. Raven, Beast, il nostro fratellino che deve imparare le buone maniere. -.
-C-ciao. – borbottò lui, imbarazzato, grattandosi sotto il cappello.
Matisse alzò gli occhia al cielo ed arricciò il naso, tappandoselo immediatamente, chiedendo: -Ma cos’è questo odore? Beast? -.
Anche Raven afferrò un odore sgradevole che si stava espandendo dentro la sala. Di sicuro non proveniva da nessuno di loro tre, ma dal nuovo arrivato, che infatti incrociò le braccia dietro la schiena e borbottò: -Siamo andati in discarica. Gli sembrava una buona idea farmi cercare lì. -.
-E non t’è passato per la mente che ti stesse prendendo in giro? – fece Jaguar girandosi per guardarlo.
-E certo che me lo ha fatto fare per dispetto! – ribatté Beast –Infatti eccomi qua, perché non sopportava l’idea di avermi vicino con questa puzza addosso! -.
-Neanche noi. – fece Matisse –Vatti a lavare e cambiare, poi mangia. Lascialo perdere lui. -.
Beast si volatilizzò sulle scale e loro ripresero a mangiare.
Raven bevve un sorso d’acqua e chiese: -Di che genere di lavoro si occupa il vostro benefattore? Non pensavo lavorasse in una discarica, non mi sembra il tipo. -.
-Infatti. – ammise Jaguar –Come dire, lui… -.
Sembrava piuttosto in difficoltà nel dare una risposta, cosa che insospettì Raven. Non sapeva come spiegare o semplicemente non sapeva inventarsi una balla su due piedi?
-Pubbliche relazioni? – lo aiutò Matisse.
-Ti sembra che faccia pubbliche relazioni? – ripeté lui, scettico quanto Raven sul lavoro in discarica.
-Possiamo definirle così. – rispose Matisse facendo spallucce mentre si mangiava un pezzo di pesce con noncuranza.
Beast si unì a loro quando avevano già praticamente finito di pranzare. Ma la sua presenza creò un clima familiare fantastico fra fratelli, che intenerì Raven: si punzecchiavano e anche Beast, che a prima vista sembrava un gran musone, ridacchiava divertito alle battutine della sorella e rispondeva a tono a Jaguar. Le fece quasi scordare che aveva accettato di mangiare con loro solo per spillare informazioni sul loro conto e valutare se evitarli come la peste o, ancora peggio, fare molta attenzione a loro. Riuscì solo a scoprire che come lei, anche loro dovevano trasferirsi molto spesso a causa del lavoro del loro benefattore e che prima di essere presi sotto la sua custodia era Jaguar ad occuparsi degli altri due, lui appena bambino e lei neonata, senza l’aiuto di nessuno.
Si trovò a suo agio.
Aiutò a sparecchiare e dovette salutarli per andare a casa, lasciando il suo numero di cellulare alla ragazza, con la promessa che si sarebbero rivisti.
Dell’uomo con la sigaretta neanche l’ombra.
   
 
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