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Autore: kurojulia_    23/05/2019    1 recensioni
Yuki ringhiò, stringendo i denti in una morsa dolorosa. Dannazione. L'unica cosa che potevano fare – l'unica che avesse un po' di senso, per lo meno – era quella di levare le tende. Eppure, la sola idea di lasciarli continuare a vivere, impuniti, la faceva impazzire come il più spregevole dei demoni. Se fosse dipeso da lei, sarebbe rimasta nella neve fin quando essa non le avesse raggiunto le ginocchia, e avrebbe continuato ad ucciderli. Fino all'ultimo.
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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25.



«State per uscire?». Misaki sbatté le ciglia, osservando incuriosita suo figlio mentre rovistava nella cassettiera accanto alla scrivania.

 

La camera di Takeshi era piuttosto piccola ma il ragazzo, per fortuna, non aveva bisogno di grandi spazi. Il letto ad una piazza con le coperte blu era attaccato alla parete di fronte alla porta e accanto, incastrato tra il letto e l'armadio, un piccolo comodino con lampada – e proprio sopra, sulla superficie di legno, tutto ciò che il ragazzo teneva nelle tasche.
Sulla parete sinistra, invece, si trovavano la cassettiera e la scrivania, in disordine nel 99% dei casi – e una piccola finestra che dava sul fianco della casa. Infine, sia la sua stanza che quella di Shin vantavano una morbidissima moquette.

«Sì», rispose, distratto. Poi si fermò un istante. «Pensavamo di fare un giretto».

«Un giretto... », ripeté Misaki, elaborando quella parola come se dovesse tradurla. «Aspetta un secondo. Negli ultimi mesi, dicevi spesso di andare a fare “un giro”». La donna allungò leggermente il collo. «In pratica, ogni volta che uscivi di casa nel pomeriggio, rientrando poi la sera tardi... eri con Yuki?».

Takeshi roteò gli occhi. Grazie a Dio le stava dando le spalle. «Non sempre».

«Non sempre», ripeté Misaki, incrociando le braccia e appoggiandosi allo stipite della porta. «Ma spesso».

«Quando mi vedevi uscire, a volte era anche con Tetsuya o Sayumi».

«Ah, davvero... ».

 

Nuovamente, sollevò gli occhi al cielo.

Takeshi non aveva mai parlato delle sue relazioni e, ovviamente, nemmeno dei flirt occasionali. Di tanto in tanto, accennava qualcosa sui suoi amici – quelle due o tre persone che aveva conosciuto alle elementari – e aveva parlato, naturalmente, anche di Sayumi e Tetsuya, spendendoci più di qualche parola. E sì, aveva anche fatto il nome di Yuki, ma su di lei si era tenuto stretto quasi tutto.

Anche se sicuramente avrà sospettato qualcosa, pensò.

Non è che fosse un problema, però...

 

«Yuki è una persona importante per te, non è così?». Sul viso di Misaki c'era un dolce sorriso. «Si vede da lontano un miglio. E se l'intuito non mi ha abbandonato, e così non pare, tu sei altrettanto importante per lei». Sciolse le braccia e si avvicinò di un passo al figlio, dandogli un piccolo schiaffetto sulla spalla. «Ricordatevi di trattarvi bene e di coprirvi le spalle a vicenda. Al mondo, per la maggior parte del tempo, siamo tutti soli: quando ci ritroviamo, non dobbiamo lasciarci separare».

Takeshi, a quel punto, si voltò verso la madre. Le labbra schiuse e gli occhi leggermente più aperti, guardava la donna con un misto di sentimenti. Ma alla fine, sopprimendo il desiderio di vuotare il sacco su due piedi, si limitò ad annuire.

Non adesso. Non ancora. Ma molto, molto presto.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Quando avevano parlato al telefono per consultarsi, Tetsuya li aveva quasi obbligati a prendere una strada secondaria, il più nascosta possibile. Takeshi aveva preso il cellulare dalle mani della sua ragazza e l'aveva preso in giro, promettendogli che non l'avrebbero ascoltato – il vampiro per un attimo ci era cascato con tutte le scarpe.
«Non fate gli stupidi», li sgridava, alzando la voce. «e fate come ho detto. Yu, ti ricordi il sentiero da cui passavamo per andare a giocare? Passate da quella parte; è la parte più fitta del bosco e vi allungherà il tragitto, ma per lo meno ci arriverete».

Chiusa la chiamata con Tetsuya, la coppia si era mobilitata per prepararsi.

 

 

Yuki era ancora molto agitata al pensiero di tornare a casa sua: tuttavia, era una cosa che andava fatta e su questo non si discuteva. Mentre si vestiva, ripassava mentalmente il percorso che aveva preso tante volte con Tetsuya, anni fa, quando erano appena dei ragazzini. A ripensarci, sembrava passata un'eternità.
Sono abbastanza certa che non ci perderemo, fu la sua conclusione – poi guardò verso il letto, creando un solco tra le sopracciglia. Dopo qualche istante di tentazione, si piegò sulle ginocchia e infilò il braccio, fino a ché le sue dita non toccarono il panno che avvolgeva l'arma bianca.

Chiuse la mano attorno al fodero ed estrasse il braccio e la katana.

Eccola là. Ogni volta che la guardava, le dava sempre l'impressione di essere immersa in un sonno profondo... e forse, in realtà, quella katana era davvero assopita.

Mettendola da parte sulla scrivania, Yuki si era infilata la gonna nera e il maglione rosa antico. Misaki si era presa il disturbo di lavarglieli e stenderli al sole per farli asciugare e adesso i suoi vestiti profumavano di detersivo alla lavanda.
Misaki aveva poi insistito per darle una giacca e una sciarpa, anche se la mezzosangue non ne aveva proprio bisogno. Takeshi aveva indossato dei pantaloni neri, una maglietta con sopra una camicia aperta, la felpa e la giacca di pelle. Quando Yuki l'aveva visto si era messa a ridere per tutta quella quantità di capi, ma d'altro canto, il cielo era tinto dell'arancio tipico del tramonto, il ché significava che ben presto avrebbe fatto freddo.

 

Stavolta, inoltre, per far uscire Anima dalla camera avevano adottato una misura diversa; l'albina era uscita di casa per prima, cercando di non farsi notare troppo da Misaki – per fortuna Takahiro era tornato a lavoro – e si era appostata sotto la finestra della camera di Takeshi. Il ragazzo dopo nemmeno dieci secondi si era affacciato, trasferendo la katana dalla scrivania alle mani della fidanzata, e dopo di ché l'aveva raggiunta fuori.

Certo che era un lavoraccio.

 

Finalmente, poi, si erano chiusi la porta d'ingresso alle spalle.

«Sai, stavo pensando ad una cosa. In realtà, ho già detto qualcosa di simile, però... », esordì Takeshi mentre raggiungevano il retro della casa, attraversando l'erba del giardino, schivando fiori e piantine. «Insomma, non vorrei che... ».

Yuki si guardava attentamente intorno, esaminando il muro che cintava il giardino, concentrata. «Non vorresti che?».

«Essere indiscreto. Insensibile per la situazione che state affrontando».

Lei sorrise. «Non penso proprio tu ne sia capace».

Il moro ricambiò il sorriso – con uno più storto. «Stavo pensando che... non sarebbe male continuare a vivere così».

«Così... così come?».

«Così. Io, tu».

 

L'albina continuò a fissare il muro che avevano di fronte a loro; chiudeva quel quartiere come una madre protettiva, includendo svariate altre case, ma non era molto alto. Con un salto ben calcolato non sarebbe stato un problema superarlo. «Ah, dici... », no, non stava proprio ascoltando.
Solo qualche secondo dopo si era resa conto di quelle parole e si era girata, con uno sguardo sorpreso. «Aspetta. Io, tu?», ripeté. «Mi stai dicendo... vivere insieme? Noi due?».

Takeshi alzò un sopracciglio. «Beh... sì».

 

Yuki aprì le labbra. Lei e lui sotto lo stesso tetto; svegliarsi insieme ogni mattina, fianco a fianco, condividere i pasti della giornata, andare ad appuntamenti, passare il resto delle proprie vite nella stessa casa – e rendere così la loro esistenza pacifica. Sinceramente, Yuki non era così ottimista da pensare di poter avere un futuro da viva. Sembrava un'utopia.

«Ma perché devi farmi dire certe cose ad alta voce, poi?».

«Ah, ecco... non ero sicura di aver capito bene. E ancora adesso, in un certo senso, non sono poi tanto certa di aver... », si fermò, guardandolo tra le ciglia. Poi scosse la testa, abbozzando un sorriso. «Hai ragione, non sarebbe male. Vorrei farlo – voglio farlo».

Takeshi sorrise leggermente, accarezzando il dorso della sua mano col pollice. «Ma prima hai qualcosa da fare».

«Sì.., è vero. Devo adempiere ai miei doveri e rendere tutto questo solo un ricordo... o un incubo».

«Il ché suona meglio», osservò Takeshi. «Ma non dovremmo escludere nessuno. Yuki, io... », non era pratico nell'esprimere le proprie emozioni, almeno non a parole. Sospirò, un sospiro lungo e profondo, e il suo sguardo si fece lontano per un attimo. Stava pensando. Alla fine, sembrò aver ritrovato l'equilibrio. «È inutile provare a nasconderlo o girarci intorno: il rapporto con mio padre è distrutto fino alle fondamenta. L'hai visto sin da stamani, l'hai capito. Quando siamo nella stessa stanza, la maggior parte del tempo, finiamo per ignorarci o risponderci freddamente – e se vogliamo dirla tutta, prima era anche peggio. Ed è per questo che stamani mi sono scusato, fuori dal bagno, perché sapevo che saresti incappata in scene del genere». Si interruppe, strinse le labbra.

«Voglio che noi due continuiamo a stare insieme. Tuttavia, non voglio lasciare nessuno indietro: persino mio padre».

Yuki gli strinse la mano tra le sue. Si vedeva, si capiva – quanto fosse difficile per lui; quanto quella situazione e quel rapporto lo avevano corroso, durante tutti quegli anni, e quanto avesse lottato dentro di sé per diventarne superiore.

«Perché siete finiti in questo modo?», gli chiese, in un bisbiglio.

Alla sua domanda, vide Takeshi stringere le dita intorno al fodero di Anima. «Vedi, mio padre è stato cresciuto in una famiglia talmente rigida da mettere paura. Ne ho sentite davvero tante da mia madre. Lui mi ha detto che voleva diventassi una persona rispettabile. Una persona che portasse avanti il cognome, e non un vagabondo qualsiasi».

«Ma tu non volevi fare niente di tutto questo».

«Io non volevo diventare niente di quello che desiderava. Col tempo, le sue pressioni diventarono insopportabili e cominciai a ribellarmi». Chiuse le palpebre, scuotendo la testa. «Ed è velocemente finita così».

«Hai la faccia di uno che si sente colpevole», mormorò la mezzosangue.

«Un po'. Magari, se mi fossi attenuto alle sue regole, adesso sarebbe tutto molto diverso».

«Tu sei perfetto». Yuki fece un passetto in avanti, annullando quella misera distanza. Le mani corsero alle guance del bruno e le iridi dorate si fissarono in quelle scure. «In tutte le tue sfumature. Qualsiasi lato di te: quello sconsiderato, quello astuto, quello coraggioso, quello stupido e un po' pervertito. Non sei cresciuto stando alle sue imposizioni ma non mi sembra proprio che tua madre abbia mai avuto da ridire, o sbaglio?». Incurvò le labbra in un sorriso affettuoso, afferrandogli la carne delle guance e stirandole. «E non è nemmeno colpa del signor Takahiro, difatti. È stato cresciuto in una famiglia di ghiaccio, poveraccio!».

 

Il ragazzo si mise a ridere, spostandole le mano, con le guance rosse dai pizzicotti. «Sei perfetta anche tu, per la cronaca».

Yuki schiacciò gli occhi tra le palpebre. «Mah, “perfetta” ad una mezzosangue fa un po' ridere, se ci pensi». Puntò lo sguardo a terra per un istante. «Pensi che potranno accettare una come me?».

«Vedranno oltre la tua natura», lo vide sorridere, dolcemente, un piccolo e caldo fuoco che si espandeva. «Devi solo mostrargli ciò che ho visto io. Però, magari, non far innamorare mio padre».

 

Al suono delle sue parole – al suono affettuoso di quelle sillabe – lei ripensò a tutto ciò che lei gli aveva mostrato, sin dal principio; in cima su quelle scale, con il sangue che le colava dal mento, e la sua migliore amica esanime fra le braccia. Alle spalle, una luna genitrice.
E poi la freddezza, i rifiuti, l'odio che tanto aveva decantato; la gelosia improvvisa, l'incapacità di capire cosa gli passasse per la testa, la durezza dei suoi atteggiamenti.

“Devi solo mostrargli ciò che ho visto io”, e lei mostrerà loro il meglio di una mezzosangue.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 

Scavalcato il muretto, Takeshi aveva affondato i piedi nell'erba incolta; Yuki l'aveva seguito a ruota ed entrambi si erano ritrovati nel fitto del bosco, proprio come aveva detto Tetsuya. C'era ancora abbastanza luce da vederci mentre il calore del sole cominciava a scarseggiare.

A prima vista, la situazione appariva tranquilla. Yuki aveva compiuto qualche primo passo. Le foglie sotto le sue scarpe scricchiolavano di continuo. «Okay», bisbigliò. Si accovacciò accanto ad un albero sulla sinistra e scrutò di fronte a sé, in totale silenzio, respirando a malapena. I suoi occhi cambiarono rapidamente colore, colorandosi di rosso, mentre appoggiava la mano sulla corteccia ruvida e continuava ad ispezionare la zona circostante.

 

Takeshi rimase immobile sul suo punto, ad un passo dal muretto dietro di loro, ricoperto di edera e fogliame. Avrebbe voluto rompere quel silenzio. Era quasi rimbombante, tanto era intenso.

Si udì, in lontananza, un cinguettio. Era un buon segno.
 

«Allora», esordì Yuki, alzandosi in piedi. Si spazzò la polvere dalle ginocchia e si rivolse al moro – i suoi occhi erano tornati color oro. «Nel raggio di venti metri non c'è nessuno, eccetto gli animali. Da qui in poi la strada è sicura. L'unico problema è che è facile perdersi».

«Potremmo lasciare delle tracce dietro di noi man mano che avanziamo», disse Takeshi.

«Buona idea. Come potre–», mentre la mezzosangue rimuginava, cercando un modo per lasciare il segno del loro passaggio, il ragazzo estraeva dalla cintura un coltello da caccia dal manico nero e la lama seghettata. Lucido e ben tenuto. Adesso aveva una spada nella mano sinistra e un coltello nella destra. «... e quello da dove spunta? Devi dirmi qualcosa, Take? Qualcos'altro?».

Takeshi esaminò la lama, inclinandola ed ispezionandola minuziosamente. Sembrava tutto in regola. «Nulla di particolarmente sconcertante», disse. «Come ti ho detto, ho avuto un periodo un po' turbolento, quando frequentavo le medie e... questo è uno dei risultati».

«Un coltello è il risultato di un periodo turbolento? Figuriamoci se fosse stato un periodo tragico, allora».

Lui ridacchiò. «Ricordi quando ti ho parlato di quando me ne stavo sempre al ponte?».

L'albina annuì; ne avevano parlato quando un demone si era infiltrato nella scuola e, dopo averlo sconfitto, aveva chiamato gli Addetti per fare rapporto.

«A quel tempo, quando avevo quattordici anni, ero più violento con mio padre. Al momento, potremmo dire che siamo... “aggressivi-passivi”, non credi? Ero talmente frustrato che non mi ponevo il minimo problema a comportarmi in modi discutibili, cosa che mi ha portato a crearmi un'amicizia con alcuni ragazzi in città. Più grandi di me di qualche anno. Quando li conobbi, ero sicuro che mi avrebbero aiutato a farmi valere con mio padre: ma loro avevano solo bisogno di qualcuno che potesse rubare al loro posto».

 

Yuki alzò le sopracciglia. Rubare?

«Per me non era un problema tanto grosso. Così, loro mi chiesero di entrare in un negozio di articoli da caccia e rubare qualcosa».

«E tu hai preso questo coltello».

«E io ho preso questo coltello. Non l'ho mai usato su esseri viventi», poi sembrò riflettere, e aggiunse: «Beh, non lo avevo mai usato, prima di quella volta con Alyon».

Yuki abbassò le palpebre.


Mentre camminavano attraverso il bosco, scostando i rami di tanto in tanto, evitando conigli e scoiattoli, l'albina ripensava a tutto il discorso. Naturalmente, non lo giudicava per qualche sciocco furtarello. Era solo difficile pensare a come doveva aver sofferto, all'epoca.
Tutt'ora, Takeshi stava affrontando quelle battaglie con suo padre e se stesso, tutt'ora stava cercando di capire chi fosse e che persona volesse diventare – Takeshi squarciò la corteccia dell'ennesimo albero, con un movimento fluido e veloce.

«Sai usarlo bene, nonostante tutto», osservò l'albina.

«Mi sono esercitato in questo modo. Dio, ero davvero un idiota».

«Dici? Per me non eri malaccio».

Lui abbozzò una risatina. «È passato del tempo».

«Take?».

«Mh?».

«Grazie per avermene parlato. È bello sapere che vuoi raccontarmi anche queste cose».

Takeshi la guardò, indugiando qualche secondo, e alla fine sorrise – un po' imbarazzato.

 

 

Dopo più di venti minuti di scarpinata, i due raggiunsero la residenza.

La casa era in un completo stato di abbandono, sebbene fosse passata solo una notte – a quella vista, l'albina si sentì un nodo alla gola.

Quella era casa sua. Era casa sua.

In quel momento, però, era solo un guscio vuoto.

 

La porta di ingresso era spalancata e l'anta sinistra era tutta piegata da un lato, staccata in parte dai suoi cardini; le finestre sulla facciata avevano i vetri rotti e l'entrata era ricoperta di foglie ed erbacce.
Yuki ricordava di aver chiuso la porta a chiave per guadagnare un po' di tempo – le finestre, allo stesso modo, erano rimaste chiuse sin dall'inizio. Questo significava che si erano introdotti dentro la casa alla loro ricerca.

Un brivido percorse la sua schiena.

«Ehy», la voce di Takeshi era rassicurante e dolce. «ce la puoi fare. Entriamo insieme».

Yuki fece un cenno col capo, e stringendogli la mano, avanzarono fino all'entrata. Lei entrò per prima, affacciandosi con la testa. Quando si sentì più sicura, fece un passo all'interno.

Il salone era piuttosto impolverato, ma il piccolo salottino accanto alle scale era rimasto intatto; si guardò brevemente intorno, constatando che – almeno in quel momento – erano davvero soli. Il salone sembrava apposto.

«Ci dividiamo?», disse Takeshi, dietro l'albina.

«Che? Sei pazzo? Neanche per idea».

«Yuki, casa tua è immensa. Ci metteremo una vita a ispezionarla e non è sicuro rimanere qui per troppo tempo».

 

La mezzosangue tentennò, stringendogli la mano con la propria. Beh, sembrava che, alla fine, fosse abbastanza sicuro da potersi dividere...

Sbuffando, fece un passo avanti e lasciò passare Takeshi; si voltò verso di lui, schioccandogli un'occhiata severa. «Se senti o vedi o credi di aver visto qualcosa, vieni subito da me. Promettimelo. Non fare l'eroe».

«Il ruolo di eroe non mi si addice. Non ti preoccupare. Io mi occupo del piano terra, e tu di quello superiore, okay?».

«Okay, allora. Ci vediamo qui tra un'ora al massimo».

 

 

Una volta separati, Yuki era salita in fretta su per le scale, calpestando il tappeto strappato in tanti e diversi punti, e aveva, prima di tutto, svoltato verso destra; in camera sua non aveva lasciato niente di valore, quindi non se ne stava davvero preoccupando. Ciò che voleva era controllare se qualcuno si stava ancora aggirando per quelle camere.
Aveva aperto la prima porta, una camera degli ospiti: nulla. Allora aveva fatto lo stesso con le seguenti – ancora, il nulla più totale.

Dannazione.

Erano andati. Non avevano lasciato neanche un indizio.

 

In compenso, ogni camera era in disordine, specialmente la sua – totalmente in rovina. L'armadio era capovolto a terra con le ante ridotte in pezzi, la specchiera aveva lo specchio frantumato e le gambe piegate, la finestra accanto al letto era distrutta.

L'albina aveva guardato la sua stanza deglutendo.

Dio. Si sentiva trasfigurata.

 

 

Un'ora dopo, erano di nuovo in salone. Tutti e due avevano trovato solo disordine e mobilio distrutto. Takeshi aveva inoltre scoperto, con sommo rammarico, che la cucina super fornita era diventata la tana di una famiglia di ratti e che la maggior parte del cibo era stato rovesciato.
La stanza di Ai e dei coniugi avevano incontrato la stessa sorte, purtroppo.

Seduti sugli scalini, Anima adagiata sulle gambe del ragazzo, si erano confidati ciò che avevano visto e scoperto – cioè, quasi niente.

«Ciò che continuo a chiedermi», disse Yuki. «è chi diavolo fosse quella gente».

«È piuttosto improbabile che abbiano agito per conto proprio».

Yuki si toccò il mento con la mano, pensierosa.

«È anche strano che non abbiano pensato di rompere le finestre, per entrare», osservò Takeshi, dopo che si furono seduti sulle scale per una pausa. «o di usare i sotterranei, come abbiamo fatto noi. Sono stati semplicemente là fuori, ad aspettare, apparentemente».

«Già; a questo punto, dobbiamo capire se erano solo stupidi o... ».

«O c'era qualcosa sotto?».

Yuki annuì.

Takeshi sospirò. «Sì, ma cosa potrebbe essere? Riflettiamo; hanno aspettato fuori, dopo aver scoccato la freccia, e l'unico che ha cercato di entrare dentro casa è stato quel demone. E ha attaccato me, per primo, ma questo potrebbe essere stato solo un caso».

«Se ricordo bene, quel demone era già bello che andato. Potrebbe aver pensato tu fossi un vampiro o un demone».

«Nella più assurda delle ipotesi».

Yuki fece scivolare i piedi oltre un gradino, meditabonda. Osservò il pulviscolo nella luce.

«E se fosse stato solo un diversivo?», disse, a bassa voce. Corrugò la fronte. «Un diversivo per mettere le mani su qualcos'altro».

«Mi vengono in mente solo due cose», aggiunse allora Takeshi. «Ai e la spada».

 

Yuki si voltò verso Takeshi con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. La sua Ai – e quella dannata katana.

 

Sì, entrambe avrebbero potuto solleticare l'interesse degli avversari.

 

Ma chi, in un mondo così vasto, avrebbe potuto essere così avventato – così interessato – da organizzare un attacco direttamente alla casa? Perché tanto interesse per una mezzosangue di appena undici anni, ancora incapace di usare a pieno i propri poteri?
A questo punto, lei ci capiva anche meno, e la preoccupazione saliva. I poteri di Ai potevano rivelarsi molto, molto vantaggiosi – e altrettanto pericolosi nelle mani di qualche squilibrato.

Takeshi le toccò la schiena. «Sei ancora con me?».

Lei sussultò – era ancora con lui? Beh, in qualche modo, sì. «Ho la sensazione che il Consiglio non c'entri, stavolta».

«Ha il suo perché», osservò il moro. «La tua famiglia fa parte del Consiglio; una cosa del genere non passerebbe impunita».

 

Gli Akawa – dacché mondo è mondo – erano sempre stati al vertice. Erano forti, risoluti. Una preziosa risorsa per il Consiglio. Ad aggiungere, Oseroth non si era mai creato veri e propri nemici, fatta forse eccezione per Fukanishi.
«Se papà non è la causa... ». Ed erano abbastanza pacifici; Yuki era l'unica, con ogni probabilità, ad aver sviluppato un tale carattere aggressivo e ribelle. In conclusione, non avevano acerrimi nemici, non avevano nemesi antiche come l'umanità stessa, se ne stavano tranquillamente per i fatti loro.

Non si allargavano, non si restringevano.

Ogni Akawa era così.

«E invece no. Mi sbaglio».

Yuki guardò davanti a sé.

 

Aveva appena capito. Aveva appena ricordato.

L'unico componente degli Akawa che getterebbe il sangue del suo sangue nelle fauci di una belva: Alyon Hendrik Akawa.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

 


Fuori dalla residenza Akawa, i due avevano imboccato lo stesso sentiero imboscato; erano le 16.15 quando erano usciti di lì, ci erano stati più di un'ora cercando degli indizi, riflettendo, e raccogliendo qualsiasi risorsa potesse tornargli utile.
Yuki aveva raccattato un po' di vestiti per lei e sua sorella. Non sapeva quando sarebbero tornate a casa loro e, a dire il vero, non era nemmeno sicura che potessero tornarci così facilmente.

Doveva contattare Sebastian e Kukuri. Chissà se stavano bene. Chissà se il resto del personale era riuscito a mettersi in salvo senza problemi.

 

Mentre attraversavano il bosco, ormai quasi al buio, disturbando nuovamente la quiete degli animali, ricapitolavano ciò che avevano detto già a casa della ragazza.

«Allora, quindi... », disse Yuki. «Ai non può saperne niente, per ora».

«Perché si incolperebbe di tutto quello che è successo; e poi, non abbiamo la conferma che sia andata come pensiamo».

«Direi che è già abbastanza provata dal corso degli eventi». L'albina tirò un sospiro. «E dobbiamo incontrare Tetsuya per parlare a quattrocchi di Alyon».

«Chiamiamo anche Yumi».

«Vuoi chiamare Yumi?».

«Ci serve tutto l'aiuto possibile, direi; sono sicuro che Yumi può esserti utile».

 

La mezzosangue fece una pausa, elaborando le sue parole. Sayumi aveva dimostrato nervi d'acciaio quella notte, nonostante la situazione infernale, nonostante le loro vite fossero appese ad un filo. E d'altro canto, le sembrava ingiusto tenerla all'oscuro di quelle scoperte, dato che anche lei – come Takeshi – ci era dentro fino al collo.
Con un cenno del capo, Yuki scalciò via un letto di foglie, sollevando una leggera coltre di polvere. «Sia. Informeremo Yumi. Adesso dobbiamo solo capire se il Consiglio c'entra qualcosa con tutto questo».

Perché se non avevano messo la loro mano invisibile – allora, potevano affidare Ai alle loro cure, almeno per qualche giorno.

Lei voleva solo dare un po' di salvezza a sua sorella; eppure lo sapeva, sapeva che era un lusso, che molto probabilmente non sarebbe riuscita a trovarla.

 

«In ogni caso», continuò lei, fermandosi improvvisamente. Gli occhi un po' vacui, si soffermarono sull'asfalto. «In ogni caso, voglio passare la mia vita con te. Lo voglio davvero. Non pensavo potessi provare una cosa del genere, specialmente per te».

Takeshi accennò un sorrisetto. «Cosa vorresti dire? Potrei offendermi».

«Perché eri e sei un tipo davvero strano, Take, quindi io non pensavo che... mi sarei innamorata di te. Per questo, ti voglio chiedere», si fermò. Si sentiva in imbarazzo, preoccupata e triste, ma tuttavia – si sentiva anche legata tremendamente a lui. Allora, finalmente, riuscì a guardarlo negli occhi. «di non scappare da nessuna parte. Resta qui, con me».

 

Takeshi pensò di aver avuto un allucinazione. Invece no. Invece no, lei gli aveva veramente detto quelle parole.

«Mi farò accettare dai tuoi genitori», disse. «Costi quel che costi»

Lui fece scivolare le dita sulle sue guance, prendendole il viso fra le mani.

«Io... ».

«Tu ti stai dimenticando qualcosa», Takeshi le sorrise con gli occhi. Lei aveva già capito dove voleva andare a parare. Con le guance rosse come tizzoni, sussurrò con la voce più bassa del mondo. «Io... io ti amo».

Lui rise. «Anche io. Anche io ti amo».

 

 

 

 

 

 

NOTA:
MAMMA MIAAAAA. Quanto tempo è passato, holy – purrrrtroppo però, il mio computer mi aveva detto sayonara. Per fortuna, oggi è tornato in vita e ho potuto aggiornare. Che gioia...

 

Quindi, rieccoci di ritorno con il 25° capitolo. Un tantinello più dolce. Più smielato. Spero non sia stato eccessivo, argh – ma d'altro canto, questo capitolo esisteva non solo per mandare avanti la questione dell'invasione, ma anche per conoscere il passato e la psicologia di Takeshi. Molto più tormentato di quanto sembri!

A parte questo, come penso avrete notato, c'è una bella differenza tra il primo atto e il secondo; a parte che nel secondo ci sono molti più morti (…), possiamo dire che è anche un pochino più serio?
E poi c'è quel dettaglio odioso dei capitoli... che non sono 19, qui. Mi dà un fastidio assurdo – ma comunque. Come sempre, spero il capitolo vi sia piaciuto e, se vi va, lasciate un commento! Bye~

   
 
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