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Autore: Mary P_Stark    24/05/2019    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eos – 1  –
 

 Isola di Ortigia - millenni fa
 
 
Il sangue era ancora fresco, sull’erba umida e da poco calpestata ed Eos, nell’inginocchiarsi accanto al corpo caldo ma morente di Orione, pianse lacrime amare e colme di rabbia.

La freccia mortale che stava strappando attimo dopo attimo la vita al suo amore, apparteneva alla faretra di Artemide, di questo era sicura.

Le piume d’aquila, il legno dorato della freccia, la punta in ferro dalla bordatura perfetta, tipica delle fucine di Efesto.

Eos non avrebbe potuto avere dubbi nemmeno in mille anni. Perciò, quando vide Artemide comparire dal fitto del bosco assieme ai suoi mastini e a un paio di sue ancelle, anch’esse armate e livide in volto, non si sorprese.

Sirio, il fedele cane di Orione, abbaiò loro contro, nel vederle, ma ad Artemide bastò un gesto della mano, per chetarlo.

Anche di questo, Eos non si sorprese. Era ben nota la familiarità che la dea aveva con i cani da caccia, e nessun animale poteva levarsi contro di lei.

La cosa, però, la fece infuriare e, se già la fine miserevole di Orione non l’aveva resa pazza di rabbia, la remissività di Sirio la fece agire.

Levandosi in piedi, affrontò la dea di bianco vestita, i cui fulgidi capelli erano fittamente intrecciati sulla nuca in una trina di trecce, e urlò: “Cosa ti ha spinto a colpirlo, sconsiderata?! Cosa mai ti aveva fatto?! Non eravate forse amici?!”

Artemide lanciò un’occhiata al corpo riverso sul terreno di Orione, al suo sangue scarlatto che inzuppava gli steli d’erba tingendoli di rosso e, accigliandosi, sibilò: “Era un mendace, Eos. Lo è stato con me, così come con te.”

“Eri solo gelosa del fatto che lui mi fosse fedele, e ti avesse rifiutata!” le ringhiò contro Eos, stringendo le mani a pugno.

L’attimo seguente, poi, scoppiò in una risata malefica, condita di lacrime dolenti, e aggiunse: “Me l’ha detto, sai? Di come ti sei prostrata ai suoi piedi, di come lo hai supplicato di diventare il tuo amante… e di come lui ti ha rifiutato. Per questo lo hai ucciso?!”

Artemide non riuscì a nascondere un tic nervoso sul volto eburneo e perfetto, ma non parlò. Certo, Orione l’aveva offesa, a suo tempo, quando si era rifiutato a lei ma, con il tempo, era venuta a patti con le parole dell’uomo e ne aveva accettato la rettitudine morale.

Averlo come amico, durante le battute di caccia, si era rivelato piacevole e gratificante e, anche se non aveva potuto farlo suo, aveva comunque goduto della sua compagnia. Si era divertita a ridere e scherzare dei loro successi – o insuccessi – durante i loro pellegrinaggi per boschi, e lasciarlo tornare da Eos con un saluto e un abbraccio, le era parsa sempre la cosa più giusta, tra di loro.

Ma tutto era cambiato quando, in visita presso la sua amica Alcione, l’aveva scorto a infastidirla in modo più che esplicito.

Sul momento, non aveva detto nulla – era amica di Orione, e agli amici lasciava il beneficio del dubbio – ma, quando ne aveva parlato con Alcione e aveva saputo che il cacciatore aveva infastidito anche le sue sorelle Celeno ed Elettra, la sua rabbia era divampata.

Desiderosa di conoscere anche le versioni delle altre Pleiadi, Artemide si era quindi recata nelle abitazioni delle sorelle di Alcione e, quando la verità le si era riversata addosso in tutta la sua cruda freddezza, il suo cuore era esploso.

Furente e vendicativa, si era quindi recata al suo tempio per armarsi e, presi con sé i suoi segugi, si era recata dal fratello per conoscere la posizione di Orione nel mondo.

Essendo pieno giorno, Apollo non aveva faticato affatto a individuarlo sull’isola Ortigia e lì, come vento di tempesta, si era riversata Artemide, accompagnata dal monito del gemello.

La gelosia portava solo a eventi nefasti.

Sorda alle sue parole, però, Artemide si era convinta di essere nel giusto, ben decisa a proteggere l’onore delle Pleiadi e a punire l’amico fedifrago, reo di aver ingannato anche Eos, la sua diletta moglie.

A nulla erano valse le parole di Orione. A nulla era valsa la sua fuga.

Le frecce di Artemide non sbagliavano mai il bersaglio, era solo lei a decidere di mancare una preda e, quella volta, prese la decisione di non farlo.

Ora, con l’ira di Eos dipinta nei suoi occhi cerulei e le lacrime a imperlare il suo bel volto, Artemide ebbe un tremito di rimorso, ma la bocca non si aprì, le scuse non vennero, le parole rimasero inchiodate dentro di sé.

“Sei un mostro, a voler dileggiare il suo ricordo proprio davanti ai miei occhi. Non saprai mai cosa vuol dire amare davvero, visto che tu non hai un cuore con cui farlo!” sentenziò Eos, crollando in ginocchio accanto a Orione per poi piangere sul suo cadavere.

Le ancelle di Artemide fecero per replicare coi fatti a quell’ingiuria ma la dea le bloccò, ordinando semplicemente di rientrare al tempio sull'Olimpo senza fare null’altro.

Le giovani assentirono, portando con loro i mastini della divinità e Artemide, nell’abbandonare la radura dove ancora Eos stava piangendo affranta, mormorò: “Quando vorrai la verità, vieni a cercarmi. Fino a quel momento, credi pure quel che vuoi.”

Eos non rispose e Artemide, in silenzio, se ne andò dall’isola, lasciando dietro di sé il ricordo di un’amicizia a cui molto aveva tenuto, e che molto l’aveva fatta soffrire.
 
***


Presente

Lo sguardo perso nel vuoto mentre, nel cielo scuro, le stelle cadenti disegnavano archi impermanenti, Artemide sobbalzò quando il braccio di Felipe le si strinse attorno alla vita e il suo mento, leggero, si posò sulla spalla.

“A cosa sta pensando, la mia dea preferita?” domandò l’uomo, accentuando la sua stretta.

Lei si lasciò andare morbidamente contro il torace dell’amante, godendo del suo calore e del dolce e ritmico battere del suo cuore.

Erano arrivati a godere dei rispettivi corpi quasi per caso, durante un pic-nic notturno sulle sponde di un lago montano.

Artemide si era sorpresa della passione che aveva sentito nascere dentro di sé e, al tempo stesso, ne era rimasta terrorizzata. Il pensiero che un giorno Felipe l’avrebbe abbandonata l’aveva quasi ridotta in lacrime, ma il pensiero delle parole di Atena le avevano impedito di crollare.

La sorella, prima della loro partenza verso il lago, aveva sottolineato con lei quanto, la mortalità di Felipe, fosse sia un dono che uno scoglio, per loro. Lui le avrebbe dato tutto se stesso proprio perché mortale, e lei avrebbe dovuto goderne a piene mani proprio sapendo che nulla sarebbe durato per sempre.

Avrebbe solo dovuto decidere se era o meno in grado di accettare questo prezzo.

Nel momento stesso in cui la loro pelle si era sfiorata al chiaror della luna, Artemide non aveva avuto dubbi. Felipe sarebbe rimasto nella sua vita finché il Fato lo avesse permesso… o lui lo avesse voluto.

Perché amarlo come lei lo amava non soltanto la faceva sentire felice, ma la faceva sentire completa.

Era bello essere indipendenti e fiere, ma ciò non voleva affatto dire che non potesse esserlo anche al fianco di un uomo.

“Arty… che ti prende?” domandò nuovamente Felipe, ora preoccupato.

Riscuotendosi un poco, lei gli sorrise appena e mormorò: “Pensieri profondi. Non è da me, scusa.”

“Sei preoccupata perché Alekos è al corso degli scout?”

Scoppiando in una risatina, Artemide scosse il capo – ricordava bene quando, due giorni addietro, Alekos era partito con il suo gruppo per un viaggio sul lago Tahoe – e replicò: “Oh, no davvero. Inoltre, nel bosco dove sono a campeggiare, ho lasciato una delle mie ancelle, perciò…”

Ghignando, Felipe asserì: “Lo sapevo… la zia chioccia non poteva non colpire.”

“Non ti credere… Atty ha inviato Pallade, mentre Erebos… beh, lui non ha bisogno di inviare nessuno, potente com’è” brontolò Artemide, non volendo apparire debole agli occhi di Felipe.

“Non accigliarti, mia bella dea. Credo sia carino che vi preoccupiate così tanto per la prima gita fuori porta di quel ragazzino, ma ricordatevi che è un semidio. Non ha gli stessi problemi dei bambini umani” sottolineò Felipe, dandole un bacetto sul collo.

Artemide sospirò di pura delizia e, volgendosi tra le sue braccia per poterlo guardare in viso, mormorò: “Lo so. Lo sappiamo. Ma, proprio perché è un semidio, può essere ferito, e ancora non sappiamo quale sia il suo punto debole.”

“Non ci sono cacciatori di semidei in giro, che io sappia. Respira e goditi la pioggia di stelle cadenti” la rassicurò lui, dandole un bacetto sulla guancia.

“Sai, vero, che non sono stelle cadenti?” ironizzò allora Artemide, levando lo sguardo verso il cielo.

Un fulgore argenteo sfrecciò nel cielo per un attimo, svanendo alcuni secondi dopo e Felipe, dandole un pizzicotto sul braccio, replicò: “Ovvio che lo so. Ma davvero vuoi che dica ‘perché non andiamo ad ammirare dei bolidi di roccia e ghiaccio che sfrecciano attraverso l’atmosfera’? Non suona affatto romantico.”

“No, in effetti fa schifo” ammise la dea, non riuscendo però a mettere enfasi nel suo dire.

A questo punto, Felipe la prese per le spalle, poggiò la fronte contro la sua e domandò: “La verità, Arty. Che succede?”

“E’ una cosa stupida” brontolò a quel punto Artemide, mettendo il broncio.

“Allora, ti prenderò in giro spudoratamente. Dopotutto, tu hai riso per una settimana, quando hai visto i miei boxer di Iron Man” sottolineò Felipe, facendola scoppiare a ridere.

“Ma per forza! C’è scritto sopra ‘I am Iron Man’, e proprio sul…” cominciò col dire lei, subito azzittita da un bacio di Felipe.

Lei apprezzò ma, quando lui infine si scostò e replicò con un ‘so esattamente dov’è la scritta’, la dea non poté che scoppiare in un’altra grassa risata.

Che lei lo volesse o meno, Felipe riusciva sempre a strapparla dall’inedia o dai pensieri tristi, checché Arty ammettesse di essere giù di morale, ovviamente.

“Ergo… non mi sono dimenticato la domanda, sai?”

Sbuffando sonoramente, Artemide poggiò vergognosa il capo contro il suo torace e borbottò: “Stavo ascoltando i Metallica, oggi.”

“Ebbene? Sono un’ottima band. Dov’è l’inghippo?” domandò lui, carezzandole la chioma fulgida con movenze tenere e tranquille.

Rilassandosi sotto il tocco esperto dell’uomo, che sapeva esattamente come prenderla in quei momenti di crollo emotivo, Artemide aggiunse mogia: “C’era anche Orion, tra i brani che ho ascoltato.”

La mano si bloccò per un istante prima di riprendere la carezza e l’uomo, cauto, domandò: “Brutti ricordi, quindi?”

“Direi di sì. Se poi ci metti la pioggia di stelle cadenti, sono andata in paranoia” ammise lei, risollevando il capo per poi abbracciarlo. “Scusa. Doveva essere una serata romantica tra me e te, prima del ritorno di mia sorella dal suo viaggio ad Atene, e invece rovino tutto così.”

“Non hai rovinato nulla. Mi spiace soltanto non poterti aiutare. Le cronache sono abbastanza confuse, in merito a ciò che avvenne. Che poi… è tutto vero, quel che si dice?” le domandò lui, tenendola stretta a sé per poi scrutarla nei profondi occhi verde foglia.

“Beh, dipende cosa intendi per ‘tutto vero’. Ne ho lette di cotte e di crude, su quella storia, ma la faccenda è una e una sola; io feci l’errore di innamorarmi di un uomo che era sposato. Capii il mio errore e, pur se ferita, ne rimasi amica, ma lui si permise di ingannare me e la sua donna, cercando di circuire le mie migliori amiche e spacciandosi comunque per un uomo retto” gli spiegò lei, sospirando.

“Immagino che Eos non la prese bene” sottolineò Felipe, pensieroso.

“E’ un eufemismo. Mi ingiuriò pesantemente e non volle ascoltarmi. Non volle neppure parlare con le Pleiadi, che erano state fatte oggetto delle attenzioni maliziose di Orione” sbuffò la dea, iniziando a irritarsi al ricordo delle parole di fiele della dea dell’Aurora.

“Tu le uccidesti l’uomo, però” sottolineò gentilmente lui.

“Non è così semplice, Felipe. L’onore di una dea è… era tutto, all’epoca, e io mi sentivo presa in giro, sminuita nel mio onore di dea. So che avvilente ammetterlo, ma rimasi sconvolta dal fatto che Orione avesse preferito le Pleiadi a me” sospirò Artemide, scostandosi da Felipe per raggiungere la staccionata e, una volta lì, aggrapparvisi.

“Ti rende solo una donna. Potente e immortale, ma sempre donna. Immagino che non sia facile essere rifiutati” ci tenne a dire Felipe, ritrovandosi addosso per diretta conseguenza gli occhi inquisitori di Artemide.

“Perché, tu non hai mai ricevuto un rifiuto in vita tua?” sbottò la dea, incredula.

“Ebbene no, mia cara divinità. Tutte le donne mi hanno sempre adorato” ironizzò lui, vedendola sgranare gli occhi per diretta conseguenza.

“Che cosa?!” gracchiò Artemide, facendolo così scoppiare a ridere.

“Scusa, Arty, ma hai una faccia… giuro sul dio che vuoi che è vero!” continuò a ridere lui quando il volto di Artemide si fece ancora più scuro e disgustato.

“Non ho veramente parole… presa in giro da un mortale…” brontolò la dea, dirigendosi verso casa.

Felipe la seguì, sempre ridendo, e aggiunse: “Andiamo, Arty. Io vinco facile. Amo una dea, e una dea ama me.”

Lei si bloccò a metà di un passo, lo squadrò con aria di sufficienza e infine disse altezzosa: “Questa dea potrebbe cambiare idea, sai?”

“Non sai perdere” sentenziò Felipe, prendendola sottobraccio.

“Mai detto di saperlo fare” sottolineò per contro lei, entrando in casa assieme all’uomo.

Non vista, un’ombra li osservò scomparire all’interno dell’abitato e, non appena le luci si furono spente, questa si intrufolò nel giardino, lasciò un involto umido sulla porta di casa e, con un sogghigno, si dileguò nella notte.

La dea della caccia avrebbe avuto un risveglio amaro, questo era poco ma sicuro, e avrebbe capito cosa significava soffrire per amore.
 
***

Ancora mezzo addormentato, Felipe si diresse ciondolante verso la porta d’entrata, pronto a ritirare il giornale come ogni mattina – quando si fermava a dormire da Arty – ma, quando aprì il battente, non trovò un quotidiano ad attenderlo.

Dinanzi ai suoi occhi ora spalancati, l’uomo scrutò confuso un sacco di juta macchiato e dall’odore pungente che, a causa del suo contenuto, aveva creato una disgustosa scia di insetti provenienti dal giardino.

Già sul punto di prendere quell’involto spiacevole e gettarlo nella pattumiera, Artemide lo afferrò a un braccio e, gelida come la notte, ringhiò: “Rientra in casa. Subito.”

“Arty, ma cosa…” iniziò col dire lui, bloccandosi non appena si volse a guardarla.

Contrariamente al solito, Artemide risplendeva di quel debole bagliore che le aveva visto solo poche volte, da quando si conoscevano, ma che sapeva essere il suo marchio divino agli occhi dei mortali.

L’icore nel suo sangue brillava come mille lucciole in una notte d’estate, tingendole la pelle eburnea fin quasi a farla apparire d’oro.

In un altro momento avrebbe trovato quello spettacolo davvero meraviglioso, ma l’acciaio negli occhi di Artemide gli fece comprendere quanto, quell’evento, non fosse legato a qualcosa di piacevole.

Scostandosi perciò dalla porta, rientrò di qualche passo mentre la dea, facendo comparire con uno schiocco di dita il suo arco, abbassava l’arma per aprire con cautela l’involto.

Pur essendo abituato al sangue e alla morte – anche se era un ranger, non era raro che fosse stato presente su scene del crimine – Felipe sentì una stretta alla gola quando vide il capo mozzato di una persona all’interno del sacco.

Lasciandosi sfuggire un’imprecazione, Felipe guardò preoccupato la dea al suo fianco che, furente come poche altre volte, ricoprì con la juta quel volto bellissimo e immobile per poi distogliere lo sguardo.

“Arty… che succede?” mormorò preoccupato Felipe. “Chi è quell’uomo?”

“Endimione” replicò fiacca la dea, allontanandosi dall’involto come se fosse stato ricolmo di serpi.
Sempre più confuso, Felipe ricollegò nome a mito e domandò turbato: “Ma chi può… non era sotto la tua protezione?”

“Non più. Qualche anno fa, lo liberai dall’incantesimo che lo teneva assopito. Quando Atena portò via Alekos dall’Oltretomba, decisi di fare qualcosa di simile anch’io. Trovai assurdo continuare a tenerlo bloccato, nonostante fosse stata una sua richiesta rimanere nel genere di stasi in cui lo avevo addormentato” mormorò Artemide, sorridendogli mesta.

“In che senso… una sua richiesta?” esalò Felipe, confuso da quell’uscita.

Scrollando le spalle, Artemide ammise: “Checché ne dica Afrodite, o il mito stesso, fu Endimione a chiedermi di essere assopito. Voleva preservare la sua bellezza per sempre e io, da sciocca innamorata, lo accontentai. Avevamo l’accordo che io lo svegliassi per un mese ogni cento anni e, beh… sono fatta di carne anch’io…”

“Le tue due figlie” annuì Felipe, arrischiandosi a carezzarle una spalla.

Artemide accettò il gesto ma non si avvicinò, né cercò conforto in un abbraccio o altro. In quel momento, era una furia a stento repressa, e Felipe lo sapeva bene.

“Fu una sua decisione. Lo fu fin dall’inizio. Se mi si può dare una colpa, fu quella di accettarla e di chiedere a mio padre di esaudirla” sbuffò la dea, lanciando un’occhiata adirata all’involto di juta prima di aggiungere: “Quando però Alekos venne liberato dall’Oltretomba, ne parlai con Endimione e lui ammise di essere stanco della sua scelta e di voler invecchiare come qualsiasi altro uomo, di vivere ogni giorno la vita delle sue figlie e di coccolare i suoi nipoti. Così, papà sciolse l’incantesimo ed Endimione si trasferì a Cipro assieme a Delia.”

“Quindi… stavate ancora assieme?” domandò cauto Felipe, non sapendo bene come sentirsi.

Sapeva, stando a quel poco che aveva saputo per bocca di Arty, che la dea non era stata né casta né pura, nella sua esistenza, e che la compagnia maschile non le era mai dispiaciuta, ma tutto questo non lo aveva mai infastidito.

Il fatto di condividere con un altro uomo un rapporto intimo con la dea, però, andava un po’ troppo al di là della sua capacità di sopportazione, ma non voleva discuterne con Arty proprio in quel momento.

Non con la testa del suo amante sulla soglia di casa.

Artemide, però, si aprì in un mezzo sorriso, gli carezzò il viso e asserì: “La passione che ci univa è svanita nel corso dei secoli. Io ero affascinata dalla sua bellezza, e lui dalla mia, perciò il nostro rapporto era destinato a esaurirsi col tempo, per mancanza di spinte ulteriori. Ma mi ha dato due figlie, e non volevo per lui una fine così miserevole.”

“Arty…” sussurrò Felipe, sfiorandole il viso.

Lei si scostò appena, non desiderando la sua pietà e, tornando a guardare l’involto insanguinato, aggiunse: “Da quel che sapevo, doveva partire a giorni per Delo per andare a trovare Daphne, l’altra mia figlia, ma a questo punto…”

Sgranando di colpo gli occhi, Artemide corse in tutta fretta in casa per afferrare il suo telefono e, dopo aver composto il numero di Delia, la figlia maggiore, attese trepidante che qualcuno le rispondesse.

Quando, finalmente, all’altro capo sollevarono la cornetta, Artemide esalò: “Agape, sei tu?”

Metera… oddio, madre…” singhiozzò Delia, scoppiando in un pianto dirotto.

Accigliandosi, Artemide scrutò per un istante Felipe – memore di ciò che era avvenuto quando lo aveva teleportato mesi addietro – prima di dire: “Devo andare da mia figlia. Tu lascia l’involto dove si trova e…”

Interrompendosi per un istante, la dea schioccò le dita e, all’interno della stanza, comparve uno dei suoi cani da caccia.

“… oggi ti terrà compagnia Aster. Se ci saranno problemi, lui potrà farmelo sapere. Non voglio che lo lasci mai, è chiaro?”

Felipe, però, scosse il capo e, scrutando il segugio dai muscoli possenti, replicò: “Non ti mollo proprio ora che hai bisogno di una mano.”

Imprecando tra i denti, Artemide sbottò e disse: “Non posso aspettare di prendere un aereo! Mia figlia ha bisogno di me adesso!”

“Teletrasportami. La prima volta sono stato male, ma non è detto che ricapiti. Ribadisco, non ti lascio sola” ribatté cocciuto Felipe, afferrando il suo cellulare dalla credenza dove lo aveva poggiato la sera precedente. “Adesso chiamo in sede per dire…”

Artemide lo bloccò, dichiarando lapidaria: “Moriresti, se lo facessi di nuovo. I corpi umani non sono fatti per essere dematerializzati.”

Felipe bloccò la mano sullo smartphone, chiaramente sorpreso da quella risposta ma, irremovibile nella sua decisione, borbottò: “Beh, trova un altro modo, allora, perché io verrò con te.”

Imprecando nuovamente, Artemide ringhiò: “Atty me l’aveva detto che voi Rodriguez siete cocciuti come asini.”

Felipe si limitò a ghignare e, dopo aver telefonato al suo superiore per chiedere un permesso di quarantott’ore, dichiarò: “Ebbene?”

Artemide lo fissò malissimo ma, alla fine, pestò un piede a terra e sibilò: “Hermes, porta subito qui il tuo culo alato, se non vuoi che spifferi a papà di quella partita di…”

Una nuvoletta dorata comparve all’improvviso nel salone della villetta di Artemide e un trafelato Hermes, con soltanto un paio di boxer addosso e una maglietta ancora tra le mani, sbucò da essa, esalando: “Maledizione, Arty, cosa vai vaneggiando?!”

Sogghignando perfida, la dea della caccia replicò con tono falsamente mielato: “Oh, amoruccio mio, ma io non vaneggio affatto. Credi che fare degli scambi commerciali e illeciti nei boschi, sia sicuro? O privo di sguardi indiscreti?”

“I tuoi uccellini maledetti” sbuffò irritato Hermes, infilandosi rabbiosamente la maglietta dei Nirvana prima di guardare storto Felipe e aggiungere: “E tu la sopporti?”

“Capita, ogni tanto” chiosò Felipe, facendo spallucce.

Artemide batté le mani davanti al viso di Hermes per recuperare la sua attenzione e, lapidaria, disse: “Porterai in volo Felipe fino alla casa di mia figlia Delia, visto che non vuole mollare il mio fianco e io ho bisogno di andarci immediatamente.”

“Ci sono stato alcune settimane fa. Bella casa sulla collina” asserì il dio. “Quel che non mi torna è perché devo fare da taxi al tuo uomo.”

“Qualcuno ha ucciso Endimione e Delia è sconvolta, perciò io devo andare da lei, e Felipe vuole darmi una mano” ammise a quel punto Artemide, scatenando subito la reazione del dio.

“Ehi, no, aspetta! E’ impossibile! L’avrei saputo!” sbottò contrariata la divinità.

“Può darsi che Atropo non ti abbia chiamato, o che Thanatos ti abbia preceduto come al solito, visto che te ne stai sempre a gozzovigliare in giro, e le anime vagano dappertutto senza meta, prima che tu le porti nell’Oltretomba” lo rabberciò bonariamente Artemide, scuotendo una mano come se la cosa non fosse rilevante.

Irritandosi ulteriormente, Hermes però bofonchiò: “E’ successo solo una volta! E se scopro che Thanos mi ha preceduto per farmi un dispetto, gli taglio le palle.”

Sospirando esasperata, Artemide si passò una mano sul viso e replicò: “Thanos1, Hermes? Ma davvero?”

“Beh, dai, gli somiglia, no?” ghignò il dio, ammiccando poi a Felipe, chiaramente confuso da quella discussione assurda. “Sono uno psicopompo. Accompagno le anime dei morti da mio zio Ade e da quello scassapalle di Thanatos che, però, ogni due per te, mi frega il lavoro lasciandomi solo il ruolo di postino.”

Passandosi le mani sul viso, Felipe annuì a fatica, ma disse: “D’accordo, d’accordo… come volete voi ma… si può fare quello che ha detto Arty?”

Lucidandosi le unghie sulla maglietta con fare molto supponente, Hermes asserì: “Ragazzo, io posso fare cose che voi umani non potreste neppure immaginare2…”

“Se dici che hai visto le fiamme oltre i bastioni di Tannhauser2, ti accoppo” ringhiò Artemide, mettendo fine alle pagliacciate di Hermes. “Mi aiuti, oppure spiffero tutto a paparino?”

“Ci tengo a sottolineare che questa non è una richiesta, ma un ricatto” precisò il dio, chiaramente offeso. “Quanto a ciò che vorresti far passare come ‘crimine’, stavo solo acquistando della maria per scopi filantropici. Serviva per persone malate, cara.”

“Per quella, esistono già i negozi, Hermes. E usano i fiori, non le foglie” sottolineò Artemide, ghignante.

“Pignola che non sei altro” sbuffò Hermes, schioccando le dita per far comparire un paio di jeans e le sue scarpe da ginnastica alate.

Trionfante, Artemide gli diede un buffetto sulla guancia e, nell’osservare il suo segugio Aster, disse: “Controlla casa e, se succede qualcosa, chiamami.”

Il cane uggiolò e si posizionò sul tappeto nel mezzo della stanza mentre Hermes, ora completamente vestito, offriva una mano a un dubbioso Felipe, asserendo: “Sei pronto per un’esperienza unica, mortale?”

“Starmene per ore abbracciato a un dio, mentre svolazzo sopra l’oceano? Mai fatto prima, in effetti” celiò Felipe, lanciando poi uno sguardo ad Artemide, già pronta a partire. “Guai a te se non mi aspetti.”

Lei si limitò ad assentire e, in una nuvola argentata, svanì.

A quel punto, Hermes si fece serio in viso e, uscendo sulla veranda assieme a Felipe, borbottò: “Salterà qualche testa, quando si saprà che Endimione è morto. Artemide non è una dea che lascia correre su certe cose e, anche se Afrodite l’ha sempre presa in giro per la loro storia, in passato, si incavolerà di brutto pure lei. Non ama che le storie d’amore finiscano così.”

“Una testa è già saltata, ed è sul pianerottolo di casa” gli fece notare Felipe, avvolgendo la vita del dio con un braccio.

Hermes, allora, divenne ancor più scuro in volto e mugugnò: “Quello stronzo di Thanatos ha davvero un cuore di pietra. Sa che, per certe anime, voglio esserci io. Non avrei mai lasciato che Endimione entrasse nell’Eliseo con quello scocciatore, se solo lo avessi saputo.”

Ciò detto, strinse a sua volta Felipe e aggiunse: “Non ci vedrà nessuno, ma non sarà una passeggiata. Ci vorranno circa due orette. Pronto?”

“Non lo so. Te lo saprò dire all’arrivo” si limitò a dire Felipe, facendo poi due rapidi calcoli mentali. “Toglimi una curiosità… ma a che velocità viaggeremo?”

“Meglio se te lo dico all’arrivo” chiosò Hermes, sollevando un pugno verso il cielo per gridare. “Verso l’infinito, e oltre3.”

Felipe lo fissò malissimo e borbottò: “Guardate davvero troppa TV, voi dèi.”

Hermes esplose in una risata sgangherata, ma Felipe non ebbe il tempo di unirsi a lui in quel momento di divertimento. Era troppo impegnato a non morire di paura a causa dell’altitudine raggiunta.

Stringendosi più che poté al dio, l’uomo esalò: “Non farmi cadere, o giuro che il mio fantasma ti perseguiterà a vita.”

Hermes rise ancora più forte ma, per rassicurarlo, accentuò a sua volta la stretta e, mantenendosi a una quota più bassa, puntò verso Cipro.

Grazie ai suoi calzari, l’inerzia era inesistente, perciò avrebbe potuto aumentare la velocità fino a vette inenarrabili; il punto sarebbe stato far sopravvivere Felipe, però.

Per non causargli sindromi da greyout4, perciò, mantenne una velocità costante e accettabile e, per quanto gli fu possibile, lo protesse dal vento e dai moscerini.

Quelli, purtroppo, non riusciva mai a schivarli tutti, quando volava a quel modo.

A quel punto, anche lui era curioso di capire cosa fosse successo a Endimione. Non gli andava giù che Thanatos giocasse così con le anime che lui doveva accompagnare nell’Oltretomba, specialmente quando poi c’erano di mezzo le sue sorelle.

Già una volta gli aveva fatto un torto, accompagnando di sua mano l’anima di Miguel fino all’entrata dei Campi Elisi perché, del marito di Atena, si occupasse Ade.

Se la cosa si fosse ripetuta anche con Artemide, Hermes si sarebbe fatto sentire.


 
 
 
1 Thanos: per chi non avesse visto Avengers, è uno dei villain più pericolosi che si siano visti nei film (come nei fumetti) della Marvel. L’ho inserito per l’assonanza con Thanatos, visto che Hermes è un burlone.
2. Le due frasi pronunciate da Hermes e Artemide appartengono al film cult “Blade Runner” e sono citate dal co-protagonista Rutger Hauer, che interpreta l’androide Nexus 6 chiamato Roy Betty.
3 Verso l’infinito…: frase mitica appartenuta al personaggio fantastico di Buzz Lightyear, di Toy Story.
4 Greyout: brusco scivolamento del sangue dalla testa alle parte inferiori del corpo. Può portare alla perdita progressiva della visibilità fino al blackout e allo svenimento.
 

 

N.d.A.: mi perdoneranno i puristi ma, ai fini della narrazione, ho dovuto rimaneggiare ancora i miti, rivedendo in modo diverso la condizione di sonno eterno di Endimione. Essendo storie di fantasia, non penso di aver fatto alcun danno.
Quanto alla morte di Orione, ho scelto il mito che lo riguarda e che parla di Artemide che, in persona, lo uccide per vendetta per aver importunato le Pleiadi. Altri miti parlano invece di uno scorpione, che poi viene premiato dalla stessa Artemide, diventando costellazione.
  
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