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Autore: UngaroSpinato    25/05/2019    0 recensioni
Sono passati più di vent'anni da quando era divenuto cosciente della sua vecchia vita. Da allora fece del suo meglio per mantenersi il più lontano possibile da quelli che una volta erano solo personaggi di un libro, ma ora la sua stessa curiosità lo aveva spinto nel mezzo della trama. Ora deve scegliere: essere o non essere? Agire e cambiare la storia o lasciare che segua il suo corso naturale?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Harry Potter
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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CAPITOLO SECONDO
Quella era stata la migliore estate della vita del giovane Harry: aveva ricevuto lettere dai suoi amici, dai quali aveva anche ricevuto regali di compleanno, aveva passato poco tempo dai Dursley e aveva vissuto per un mese da eccellente turista a Diagon Alley. L’esperienza troneggiava su tutte le vacanze in cui era stato fino ad allora, sebbene il ragazzo fosse abbastanza onesto da ammettere che sarebbe stata tale anche solo per l’assenza degli zii e del cugino. I gelati di Fortebraccio, dai gusti esotici e dai colori vivaci; i negozi di libri che era finalmente riuscito a visitare; il nuovo set di vestiti che si era deciso a regalarsi per il compleanno da Madame Malkin; e tutti gli altri negozi, botteghe e negozietti che non aveva mai avuto tempo e modo di visitare.
Sì, per Harry quell’estate era stata un sogno. Unica macchia che andava a sporcarlo era stato il divieto impostogli dal Ministro di non addentrarsi nella Londra babbana. Il giovane mago non aveva mai avuto l’occasione di visitarla e apprezzarla propriamente: le poche volte in cui gli zii ci andavano era costretto a passare il tempo chiuso in camera sua o, se aveva fortuna, dalla signora Figg. Ciò detto, Harry aveva deciso di non piangere la mancata occasione, forte della consapevolezza che il giorno in cui avrebbe potuto uscire dalla sua attuale residenza si stesse avvicinando. A quel punto, chi lo avrebbe fermato dal visitare tutti i posti che voleva? E certo, da bravo inglese orgoglioso della sua nazione, la capitale sarebbe stata la sua prima meta.
Gli ultimi due giorni di agosto erano corsi incredibilmente veloci con Hermione e la famiglia Weasley che lo avevano raggiunto al Paiolo: mentre la brillante strega aveva preso una camera anche lei fin dalla loro riunione, in modo da evitare ai genitori di perdere tempo girando per Londra, la famiglia di rossi l’aveva presa solo per l’ultimo giorno, in modo da andare poi tutti insieme alla stazione. E, certamente, Tom doveva essere grato al capofamiglia per questa loro scelta: un risveglio alla Weasley può essere sufficiente a per una vita intera.
I gemelli, Gred e Forge come andavano chiamandosi fin da quando li aveva conosciuti, erano in preda a un gran ridere; il volto di Percy andava via via facendosi sempre più paonazzo, mentre cercava di porre rimedio allo scherzo dei due; Ron era ancora in camera sua, dove era stato raggiunto dalla madre che disperava delle sue capacità di preparare il baule – Harry qui avrebbe dovuto difenderlo, sapendo che i problemi nascevano dal suo topo, Crosta, che era scomparso per proteggersi dalla minaccia che era Grattastinchi -; Ginny era l’unica tranquilla, silenziosa e quasi mesta; infine c’era il signor Weasley, che faceva da spola tra le macchine ministeriali e il locale cercando di velocizzare le manovre familiari con scarso risultato.
La situazione non venne resa più facile da Harry e Hermione: cresciuti da Babbani amanti della precisione e della puntualità, erano scesi con i bauli pronti alle nove e venticinque, cinque minuti prima dell’ora a cui avrebbero dovuto partire e trenta minuti dopo la colazione. Sfortunatamente, i due furono anche gli unici a presentarsi secondo la deadline fissata, mettendo in un crescente imbarazzo il signor Weasley e facendone spazientire la moglie. Così, lasciati i bauli nel bagagliaio, optarono di rientrare nel locale e osservare il dramma familiare che andava consumandosi; i due nascosero malamente il loro divertimento alla scena chiacchierando dei nuovi libri scolastici.
Ci vollero venti minuti prima che tutti fossero pronti e saliti in macchina. Il capofamiglia Weasley colse l’occasione per spiegare agli amici del figlio che le macchine gli erano state prestate da un suo collega, il quale gli doveva un favore. Successivamente, il Ministero, forse Fudge in persona, si era mosso per garantire un sicuro trasporto ed arrivo a tutti gli amici di Harry, mettendo a loro disposizione quattro Auror.
La cosa, che aveva messo a disagio il signor Weasley, piantò altri dubbi nella mente di Harry, lasciandolo ad interrogarsi sul perché un corpo governativo sentisse il bisogno di essere così appariscente. Soprattutto, obbligò il giovane mago a chiedersi perché Sirius Black dovesse decidere di perseguitarlo quando avrebbe potuto lasciare il paese: forse era solo paranoico, ma la cosa continuava a stuzzicarlo.
Questi pensieri, dominati come erano da supposizioni e ipotesi senza alcun argomento che le appoggiasse, furono spazzati via quando gli autisti pigiarono i pedali con gran violenza e fecero scattare i motori con un ruggito. Durante tutta la tratta, gli autisti dettero il loro meglio per rispettare i tempo, recuperando con il viaggio quello che avevano perduta alla partenza.
Quando finalmente giunsero alla stazione, Harry aprì impaziente la portiera e fuggì fuori, godendo appieno della sensazione di avere di nuovo la terra sotto ai suoi piedi.
‘Nota per il futuro: ottenere una patente il più presto possibile’ borbottò tra sé e sé, insicuro di quando fosse serio e quanto stesse scherzando.
‘Post scriptum: guidare alla maniera babbana e non magica’ aggiunse la voce della sua amica, che era scesa subito dopo di lui.
Harry si volse a guardarla, il volto serio e le sopracciglia inarcate come se volesse rimproverarla. La sua maschera grave durò poco, giusto il tempo di vedere la compagna di corso piegata sulle ginocchia intenta ad inspirare profondamente, i capelli cespugliosi che ricadevano verso l’asfalto e nascondevano alla vista del giovane mago il viso di Hermione. L’espressione si sciolse in fretta: gli occhi scivolarono lungo la schiena di lei e si fermarono, come magnetizzati, sulla curva del suo fondoschiena.
Harry spostò furiosamente lo sguardo da un’altra parte e cercò di combattere, senza per altro avere molto successo, che il sangue affluisse al volto o in altre parti anatomiche. Da due giorni aveva rivisto la sua compagna di scuola e si era ritrovato spesso in imbarazzo. Perché aveva dovuto crescere così tanto in così poco tempo? Sembrava che in meno di due mesi fosse cresciuta per i prossimi tre anni, prendendo quattro centimetri in altezza e mettendo peso nelle parti giuste del corpo: come aveva fatto a passare dall’essere quasi piatta ad avere quei perfetti globi di carne…
I tentativi di Harry di non arrossire erano andati a farsi benedire e, per salvare la situazione, prese in fretta il baule: innaturalmente leggero grazie all’incantesimo Pesopiuma, iniziò a portarlo via e a dirigersi verso il binario. Non si accorse che, malgrado la presenza di diverse altre persone, ebbe molto meno problemi a farsi strada di quanti la sua piccola statura gli avrebbe dovuto causare.
Harry era piccolo e sapeva di esserlo, ma credeva che la cosa fosse dovuta al suo corpo e non alla sua nutrizione: perché doveva essere altrimenti se mangiava quello che poteva e voleva a scuola? Certo, Ron mangiava molto di più ma era cresciuto quell’estate, allargandosi di spalle e al contempo schizzando verso l’alto. Se doveva succedere anche a lui, sarebbe successo: mangiava quanto si sentiva e, a suo tempo, ne avrebbe potuto godere. E poi, se ci fosse stato qualcosa che non andava, allora Madame Chips lo avrebbe sicuramente informato, come di dovere tra paziente e medico: la medi-maga lo aveva sempre tenuto sotto il suo occhio da falco.
Ma la cosa andava anche bene. In quei momenti, quando il suo coso andava ingrandendosi e facendosi duro, Harry lanciava piccole preghiere di ringraziamento a Dudley e alla sua stazza: nessuno si sarebbe accorto del suo crescente problema sotto quella felpa troppo grossa e quei pantaloni troppo larghi. Nessuno avrebbe potuto far caso al suo crescente problema e imbarazzo, lasciandolo tranquillo nella sua vergogna personale.
Preso com’era dalla vergogna, non si accorse del pubblico che lo osservava: i Babbani, ignoranti come erano della magia e delle possibilità che apriva a tutti i suoi sfruttatori, rimasero a bocca aperta, ammirandolo sollevare e spostare senza problema alcuno un baule che sembrava pesare un quintale. Ai loro occhi era un ragazzo di undici anni circa a compire quella fatica erculea, il tutto senza mostrare segno di fatica o difficoltà; un bambino insomma riusciva a sollevare un baule che pareva poter dare problemi anche ad adulti. Fortunatamente, gli spettatori che erano presenti sulla strada a questo spettacolo erano più impegnati a farsi spazio nel traffico cittadino che a notare strane scene sui marciapiedi; al contempo quelli che erano all’interno della stazione furono facilmente distratti dagli incanti protettivi posti all’ingresso del binario. Quello che in altri anni sarebbe stato degno di YouTube, sarebbe stato niente altro che un ricordo confuso e sfocato a fine giornata.
Harry si riebbe dai suoi tormenti interiori solo quando si trovò di fronte al pilastro d’accesso, i mattoni rossi a vista solidi e compatti all’occhio, abbastanza da far male a chiunque ci andasse a sbattere. Il ragazzo lo sapeva bene. L’anno precedente, lo stesso giorno ma ad un’ora più tarda, la barriera era stata chiusa da un certo elfo e lo aveva respinto, gettando lui e Ron dolorosamente l’uno contro l’altro e poi sul pavimento.
L’urto regalò loro lividi bluastri lungo su tutto il busto e le braccia; al loro arrivo, rocambolesco ed avventuroso a Hogwarts, Madama Chips aveva dovuto applicare sui lividi alcuni unguenti in modo che guarissero subito e li lasciassero in pace in tempi molto più ristretti che non seguendo i rimedi babbani (le meraviglie della magia!). Il giovane Potter si ricordava bene cosa aveva provato allora: una stretta gelida allo stomaco, respiro affannato e mani tremanti; la paura era sorta in lui e, facilmente, si era trasformata in panico. Dubbi, placati dalle due settimane passate dai Weasley, ebbero facile modo del suo spirito e inebetirono la sua mente; tanto duro fu il colpo che non pensò di attendere i genitori di Ron, affidandosi poi a loro per risolvere il problema, ma accettò subito l’idea di Ron di usare la loro macchina.
E quei dubbi si fecero sentire ancora una volta di fronte al pilastro. Questa volta però cacciarli fu molto più facile: perché avrebbe dovuto aver paura dopo tutto? Aveva trascorso un mese circa a Diagon Alley, abusando della sua ristretta conoscenza riguardo la legge magica per ripassare vecchie lezioni e apprendere nuovi incantesimi. In poche parole, aveva ormai una solida convinzione di essere un mago e di meritare la magia che scorreva in lui.
Sicuro di ciò, allineò il carrello e con calma assoluta attraversò il pilastro.
Durante tutto questo non ebbe mai modo di accorgersi dell’Auror che lo seguiva, impegnata ad accertarsi che un certo soggetto non potesse approfittare della situazione per colpire il giovane mago. Della sua presenza Harry non sapeva nulla, così come ignorava i disegni e le motivazione che muovevano i suoi protettori: non volevano aggiungere altro peso a quello che già portava sulle sue spalle. In realtà, neanche se avesse saputo dell’esistenza di questa ultima aggiunta alla sua protezione, non sarebbe stato in grado di localizzarlo: come avrebbe potuto quando la donna calzava tacchi a spillo e vestiva come una perfetta donna in carriera?
L’agente, nota nella Londra babbana come Adele White non condivideva quella scelta: ignoranza, beata che possa essere, si era rivelata molto spesso fatale. Ma le erano stati dati degli ordini ed ella era troppo abituata a seguirli e troppo furba da lamentarsene.
Adele non si curava molto del perché le fossero stati dati questi ordini, purché fossero di accertata provenienza: ella accettava di essere un piccolo pezzo nella scacchiera e, di conseguenza, evitava di indagare troppo a fondo; per giunta, in questo caso, le disposizioni provenivano dall’alto e non dal suo supervisore. Il Ministro della Magia avrebbe certamente disposto di un quadro molto più ampio della situazione, sia delle abilità dell’evasore che dello stato delle ricerche, permettendogli di scegliere la via più sicura tra tutte; dall’altro, se le voci di corridoio fossero veritiere, Caramell avrebbe avuto modo di dialogare personalmente con Harry Potter, avendo quindi la possibilità di comprendere meglio il ragazzo. Che gli ordini fossero del Boss, Adele ne fu certa fin da quando li aveva ricevuti: a differenza di Madama Bones, che preferiva fare le cose alla luce del sole quando erano coinvolti dei civili, il Ministro provava la necessità di evitare di metterci la faccia, lasciando il momento di rivelare il ruolo giocato dal Ministero alla fine.
Quindi Adele fece quello che aveva fatto sin da quando aveva lasciato il corso di addestramento del Ministero: indossò il suo costume, calò la sua maschera sul volto e fece in modo di essere a King’s Cross due ore prima del previsto arrivo del suo bersaglio. E ora, più di tre ore dopo il suo arrivo, poté finalmente prendere il treno che l’avrebbe portata al suo lavoro – quell’occupazione che usava per scomparire tra i Babbani.
Salendo sul treno diretto ad Arsenal, sentì un brivido di eccitazione pervaderle il corpo: dopo anni di silenzioso e noioso servizio, tanto quieto quanto necessario, di cui non avrebbe mai trovato nulla di cui vantarsi ad un bar con i colleghi e vecchi compagni di corso, finalmente aveva trovato qualcosa di cui fare sfoggio – aveva protetto il Bambino-che-è-sopravvissuto! Ora doveva solo aspettare cinque anni per evitare di andare ad Azkaban...
Intanto, ignaro del compito svolto da questa silenziosa ed efficiente agente, Harry varcò il portale d’accesso ad accoglierlo un treno rosso tirato a lucido tanto che sembrava rifulgere di luce propria. Davanti ad esso c’era una fiumana di gente, studenti ormai grandi che si riunivano a chiacchierare, undicenni o impazienti di mettere piede nel castello o terrorizzati dalla nuova avventura; e poi ancora c’erano genitori, fratelli troppo piccoli per accompagnare gli scolari, gufi che tubavano infastiditi dalle loro gabbie e gatti che soffiavano nelle loro cesti: in poche parole il tipico caos che precede una partenza e una separazione di media durata.
Per Harry tutto questo aveva un significato ben diverso: non se ne andava da casa, non abbandonava i parenti, bensì andava a casa e lasciava dietro a sé gli aguzzini con cui condivideva una prigione. Poteva esserci dunque un contrasto tanto forte come quello? Ironia della sorte i loro nomi erano Sirius Black e Tom Riddle, non che il giovane mago lo sapesse ancora.
Nella storia del genere umano giunse il momento in cui qualcuno coniò il modo di dire ‘casa dolce casa ’. Sua intenzione era quella di descrivere la sensazione, che ognuno di noi ha in qualche momento provato, che ci avvolge nel momento in cui ci troviamo di fronte alla porta di casa nostra dopo una lunga assenza, piacevole o meno che questa sia stata.
Ma cosa intendeva per casa? È forse quell’ambiente interno a delle mura perimetrali, a cui si aggiungono balconi e giardini, come ci fanno intendere quegli zerbini che hanno questa scritta? O è quel posto in cui ci sentiamo a nostro agio aggirandoci indossando delle pantofole? O, ancora, casa è solo un termine astratto con cui indicare la compagnia delle persone a noi care, famiglia o di sangue o per nostra volontà?
Harry si era risolto, anni prima che scoprisse dell’esistenza di Hogwarts, anni prima che stringesse amicizia con Hermione Ron e che conoscesse la sua famiglia, che di sicuro il termine non potesse alludere alla famiglia di uno, perché uno non sceglie la propria famiglia ma è il fato che sceglie per lui. Al contempo non poteva riferirsi al luogo materiale in cui uno abita, perché spesso questo viene dettato da disponibilità economiche o opportunità fugaci piuttosto che per la volontà di uno; ma dopotutto questo è un ragionamento chiaro, espresso già dal termine utilizzato. Seguendo dunque un processo di esclusione delle altre opzioni, la risposta non poteva essere che l’ultima. Certo, al tempo Harry non osava pensare di trovare persone a lui care in Gran Bretagna, né in realtà pensava di esserne degno, però si era convinto che doveva essere così per le persone normali.
Scoprire questo mondo, dove la sua stranezza fosse la normalità, uno dove lui era uno dei tanti e non un errore della natura, fu la dimostrazione di veridicità della sua ipotesi.
Avvolto nel calore tipico di chiunque stesse rientrando a casa dopo una lunga assenza poco piacevole, Harry non si accorse che i suoi amici lo avessero raggiunto fino a che non si fecero sentire.
I due avevano avuto due anni per osservare il comportamento del famoso mago e, una volta tirate le somme, furono sconfortati dai risultati. Harry era sempre a disagio tra la gente, specie se al centro dell’attenzione come spesso gli capitava di essere a causa del suo status famoso; era refrattario ai complimenti quando qualcuno si preparava a farglieli. Questi due risultavano lampanti ai loro occhi, altri molto più piccoli e sfocati erano meno ovvi. Per questo motivo Hermione aveva suggerito a Ron che i due gli lasciassero spazio a volte, dei mini break in cui il giovane mago potesse sentirsi libero: da quando avevano concordato, a Pasqua del primo anno, avevano notato che Harry era molto più a suo agio e naturale nel suo modo di fare.
Così fu per meno di un anno, quando la scuola gli si gettò addosso per essere un Rettilofono: questo risvolto aveva peggiorato di molto le cose, facendo fare numerosi passi indietro al loro amico. Per questo motivo, vederlo così felice di andare a scuola malgrado il trattamento negativo di alunni e professori, turbava e rallegrava al contempo Ron e Hermione: sicuramente non era normale.
La contemplazione in cui era caduto Harry e quella parallela che aveva avvolto i suoi due compagni non sarebbero però potute andare avanti all’infinito, non con i vari maghi che dovevano ancora arrivare dal portale: avrebbero finito per intralciare tutti i passanti e causare un ingorgo.
‘Forza ragazzi, se aspettiamo ancora un po’ non troveremo più uno scompartimento libero ‘ disse Hermione con più forza di quanto non avesse previsto.
Harry trasalì e si volse di scatto: non si era accorto della presenza dei suoi amici e le parole di una dei due lo avevano colto con la testa fra le nuvole, intenta a pensare ad altro. Fortunatamente erano Hermione e Ron, non i suoi parenti. Zia Petunia avrebbe fatto una smorfia di disgusto e gli avrebbe detto di mettersi a lavorare; zio Vernon sarebbe diventato rosso di rabbia, poi gli avrebbe detto di smetterla di fare il perdigiorno e di guadagnarsi il cibo; Dudley invece avrebbe colto l’occasione per assestargli un pugno nella schiena, farlo cadere a terra se possibile, e poi sghignazzare per il cugino scemo.
Né Ron, né Hermione avevano però preso in considerazione di questa sua reazione. Quando Harry si volse, una manica della sua felpa, troppo grossa per qualcuno mingherlino come lui, andò i impigliarsi nella maniglia del baule. Questo era però ancora sotto gli effetti dell’incantesimo Pesopiuma e, anziché fermare la rotazione del braccio, la seguì docile ed ubbidiente: sulla sua strada trovò le gambe di Hermione che cedettero sotto il suo slancio, lasciandosi trascinare dal bagaglio ingombrante.
Fu così che un momento tre ragazzi erano in piedi, quello seguente in piedi ne rimase uno solo. Quest’ultimo, sorpreso quanto i due caduti dalla cosa, sbatté una volta le palpebre e prese nota della situazione. Le chiuse e riaprì una seconda volta, permettendo al cervello di assimilare e comprendere il fatto accaduto sotto ai suoi occhi. Provò a trattenere le risate che minacciavano di salirgli alle labbra, fallendo miseramente nel tentativo.
Harry percepì un sapore metallico riempirgli la bocca: nella caduta era andato a mordersi le pareti della bocca abbastanza violentemente da far fuoriuscire una discreta quantità di sangue. Fortunatamente questo era il danno più duraturo che riportò dalla caduta, anche se in quel momento aveva un enorme dolore alla gamba destra che si trovava sotto ad un corpo che non era il suo.
Harry si accorse di non vedere niente, cosa preoccupante dato che aveva appena aperto gli occhi. Con un grugnito si sforzò di alzarsi, spostando le braccia sotto di sé per fare leva sul terreno. C’era qualcos’altro che non andava: i palmi delle mani, che avrebbero dovuto sentire il freddo della banchina, erano andati su qualcosa di confortevole e caldo, elastico e, certamente, non duro. Un piccolo gemito si alzò da qualche parte oltre la testa di Harry.
Per il giovane mago fu come se avessero improvvisamente acceso la luce nel suo cervello, lasciando che un sospetto prendesse corpo. Frenetico, spostò le mani in basso e le sentì scivolare lungo qualcosa, seguendone quasi le curve. Furono momenti lunghissimi e pieni di vergogna per il ragazzo dagli occhi verdi, interminabili e tremendi: ma furono anche piacevoli e dolcemente peccaminosi, scoppiettanti di vita e curiosità. E, a giudicare dai piccoli fremiti che venivano dal suo inatteso cuscino, pienamente condivisi da quest’ultimo.
Quando la mano si spostò sul marciapiede, Harry si slanciò subito in piedi e confermò quello che era successo: anziché andare per terra, era caduto addosso ad Hermione!
Con orrore crescente si accorse di quello che aveva appena fatto: aveva appena molestato la sua migliore amica! Rimase lì impalato, bloccato nei suoi movimenti dalla comprensione di quello che aveva causato.
Stupido, stupido: adesso mi odia!
Cosa doveva fare in quella situazione? Chiederle scusa non era di sicuro abbastanza, non per averla imbarazzata così pubblicamente. Sicuramente sarebbe stato meglio offrirsi di farla da domestico per il mese prossimo, no meglio fino a Natale! Sì, l’idea sembrava molto più giusta verso di lei. Ma come fare a proporgliela? Certo non poteva aspettare troppo, altrimenti la situazione sarebbe solo peggiorata. Sarebbe dovuto cadere in ginocchio per scusarsi e offrire i suoi servigi? Il gesto sarebbe stato abbastanza serio per farle capire quanto la cosa lo dispiacesse e il suo perdono significasse per lui. Ma doveva farlo subito, in mezzo ad una folla di persone? La cosa avrebbe messo in imbarazzo la sua amica o l’avrebbe fatta sentire più soddisfatta?
I suoi pensieri non erano certo aiutati dalle risate del loro amico, abbastanza forti da richiamare l’attenzione di tutti quelli intorno a loro. E quelli si unirono al rosso non appena osservarono il fatto, richiamando gli occhi di altri. In breve un piccolo capannello da cui provenivano risate sguaiate si era radunato intorno a loro, peggiorando la situazione per il nostro giovane mago.
Nel frattempo Hermione non si trovava sicuramente in una situazione migliore di quella del suo partner. Come avrebbe potuto esserlo mentre sentiva il membro di Harry premere contro la sua gamba? O il suo torace riempirsi d’aria contro il suo ventre e le fredde lenti dei suoi occhiali contro la sua pelle?
Anche l’abbronzatura che aveva preso in Francia fallì nel nascondere il rossore che le divampò in viso. Quello era Harry, il suo amico, e questo era un errore: la cosa non avrebbe dovuto metterla così tanto in agitazione! No, non avrebbe dovuto causarle problemi!
Poi accadde l’impensabile: le mise le mani sui seni e spinse!
Hermione non poté trattenersi in quel caso: la vicinanza dei due corpi, il tocco freddo degli occhiali sul suo petto e ora le sue mani che la palpavano: troppi stimoli in un colpo solo! E Hermione non riuscì a trattenere il gemito che sorse prepotente dalla bocca. Perché non si fermava? Perché non si tirava in piedi anziché toccarla? Era suo amico, non doveva metterla in questa posizione!
O Dio, perché? Harry Potter in quel momento si sorprese a desiderare di non essere mai uscito da Privet Drive. Rabbrividendo dal disgusto di un pensiero simile, timoroso della possibilità che Hermione potesse condividerlo, fece del suo meglio per procedere con la giornata, nella speranza che la situazione si appianasse da sola.
 
*** correzione eseguita fino a qui
 
Qualcosa era cambiato nell’aria, tutti poterono avvertirlo senza capire cosa questo cambiamento volesse dire: la temperatura era crollata e una nebbia sempre più pesante andava via via diffondendosi per il treno. Harry, seduto vicino all’unica finestra dello scompartimento, vide il suo alito appannare il vetro, ulteriore prova visibile di un fatto che ancora ignorava.
Ma non era così per tutti i residenti del compartimento: Ron, cresciuto in una casa magica e quindi cosciente di molte cose ignote ai suoi amici, prese a tremare. Era stato avvertito che qualcosa di simile sarebbe potuto avvenire dal padre che, timoroso per i figli, aveva scelto di metterli in guardia sui Dissennatori. Il consiglio paterno, se così lo avesse potuto chiamare, si riassumeva in due basilari concetti: stargli il più lontano possibile ed evitare di essere davanti a loro. Arthur Weasley non aveva immaginato, dando queste indicazioni alla prole, che i Dissennatori sarebbero saliti sull’Espresso.
La paura avviluppò il giovane Weasley, quell’istinto primordiale che tante vite aveva salvato e tante altre aveva condannato. Lì, in un posto chiuso e in una località ignota, c’era solo un risultato possibile e non era favorevole ai tre maghi: Ron lo sapeva e si era ritrovato a battere i denti e a tremare tutto.
Dall’altro lato Harry e Hermione, cresciuti da Babbani e introdotti al mondo magico solo da due anni, ignoravano quale fosse la causa del tutto. Sapevano che qualcosa era sbagliato ma non cosa. Il loro senso del pericolo, quello che corrisponde all’istinto, era come un allarme che suonava all’impazzata senza però saper dare direzioni precise.
Il freddo svolse un ottimo lavoro nell’irretire loro e i loro sensi, azione svolta in altri animali dal veleno da loro secreto: e proprio questa era la funzione svolta e dalla nebbia e dalla bassa temperatura. Organismi magici si evolvettero nel corso dei secoli seguendo una logica simile a quella delle loro controparti non magiche, favorendo tutti quei tratti che avrebbero reso la sopravvivenza più facile. Nel caso dei divoratori di anime la proiezione della loro aura permetteva, da un lato, alle prede di avvertirne la presenza e, dall’altro, di rallentarle o bloccarle: ciò ovviava al problema della enorme lentezza dei Dissennatori. Così mentre una manciata di vittime sarebbe riuscita a scappare, altre sarebbero state molto più facile da catturare.
Teso, Harry portò mano alla bacchetta, estraendola dalla guaina in cui la teneva riposta. Con calma che non sentiva di possedere la alzò e la tenne puntata alla porta, sfogliando mentalmente gli incantesimi utili in una situazione del genere: i risultati non furono troppo incoraggianti, non quando il solo Incendio gli sembrò utile. Con una mano sola, la destra stretta intorno alla bacchetta e tenuta saldamente in aria, cercò a tentoni di indossare la felpa che si era tolto quella mattina.
Ma l’impresa era ben ardua: giaceva infatti sul sedile accanto al suo, dove l’aveva buttata per il caldo che provava appena salito sul treno. Sfortunatamente Harry era mosso dall’impazienza quando fece ciò e lasciò l’indumento così com’era, ovvero appallottolato, senza perdere tempo a piegarlo o a metterlo nel baule. Così, anche quando riuscì a trovarlo con la sinistra, gli fu impossibile fare altro che peggiorare la situazione. Se provaste a mettere in ordine un vestito con una mano solo e gli occhi fissi altrove, scoprireste che la cosa è assai complessa: fu proprio questo che il giovane mago scoprì quando anziché prepararsi a indossare la felpa, la fece cadere in terra. A discolpa del nostro malcapitato bisogna pur dire che faceva assai freddo e che i suoi movimenti non erano aiutati da ciò.
Hermione era in uno stato simile, anche se peggiore, di quello di Harry. Tutti i suoi istinti, affinati da milioni di anni di evoluzione, la spingevano a scappare, a voltarsi indietro e correre fino a che fosse stata al sicuro, al contrario la sua mente le diceva di stare ferma e di prepararsi a combattere. Questo stato di conflitto interiore, accentuato da un sentimento di impreparazione che peggiorava la situazione, non la aiutava certamente. La mano tremante con cui reggeva la bacchetta, la cui punta brillava di una preoccupante luce rossa, era prova di ciò.
Borbottando una sequela di insulti che zia Petunia avrebbe ricompensato con una cinghia, malgrado il fatto che tutti quegli improperi Harry li avesse appresi proprio dal marito di lei, il giovane mago lasciò perdere la felpa e cercò di decidersi su quanto dovessero fare. Quel sesto senso di cui aveva imparato a fidarsi ciecamente lo avvertiva che era in una situazione pericolosa e che la migliore soluzione fosse ritirarsi: purtroppo la cosa non era fattibile. Cercare aiuto era quindi l’opzione con maggiori chance di successo, soprattutto date le condizioni di Ron e il fatto che Hermione non avesse ancora detto cosa stesse succedendo – quello non era mai un buon segno; le scintille prodotte dalla bacchetta certamente non erano di conforto.
Per prima cosa, Harry ragionò, doveva tranquillizzare la sua compagna: Ron non era in condizioni di aiutarlo, non così com’era, ma lei sì. Il fatto che la giovane strega avesse anche in mano qualcosa di paragonabile ad una bomba a rischio esplosione, non faceva altro che accrescere la necessità di calmarla. Logica dettava quindi che questa fosse la prima problematica da sistemare.
Con movimenti cauti, Harry le avvicinò la mano libera: in quel momento gli parve di essere di fronte o a una fiera, che al minimo movimento brusco lo avrebbe attaccato, o a una cerva che sarebbe invece fuggita. Voleva farle sentire la sua presenza, farle comprendere che non era da sola e che l’avrebbe aiutata ad affrontare la situazione.
Esitante le posò i polpastrelli sulla spalla: per un lunghissimo istante Hermione si tese al suo tocco e minacciò di saltare, un po’ come farebbe la corda di un arco. Harry non poté vederlo in quel momento, non quando le era alle spalle – e quand’è che si erano alzati tutti e due esattamente? – ma gli era facile immaginare il suo viso: completamente sbiancato, le labbra strette per evitare di segnalare la loro presenza alla fonte del pericolo e occhi sbarrati. Non era la prima volta che la vedeva spaventata per colpa di qualcosa, quindi riusciva a dipingere la sua reazione nella sua mente gli era possibile.
Quell’attimo parve allungarsi all’infinito ad Harry, preoccupato com’era dalla situazione interna ed esterna allo scompartimento. Fortunatamente, la sua amica non reagì malamente e gli diede lo spazio necessario a confortarla.
Purtroppo appena Harry si avvicinò per bisbigliarle nell’orecchio, la porta si aprì di botto. Se i visitatori avessero da dirgli qualcosa, non ebbero occasione di emettere alcun suono, non con i due tredicenni con le bacchette spianate e i nervi a fior di pelle. Harry riuscì a vedere due figure non troppo alte prima che reagisse alla loro presenza.
Urlò il nome della prima magia che gli venne alla mente, un semplice e ridicolo Attaccorapido [Stickfast hex] che avrebbe rallentato o ostacolato l’avversario quanto sarebbe bastato per far arrivare i soccorsi, e indirizzò la bacchetta nella sequenza di movimenti richiesti per dare seguito al suo intento. Questa produsse un lampo di luce grigiastra che si diresse contro il suo obiettivo, intenzionato a incollarne i piedi al pavimento per impedire che potesse muoversi liberamente. Allo stesso tempo Hermione fece qualcosa di simile, optando per qualcosa di più colorato, un giallo vomitevole che Harry aveva già visto l’anno precedente – anche se all’epoca aveva causato qualche effetto indesiderato.
Nessuno dei due incantesimi lanciati dai leoni ebbe alcun effetto, anzi si dimostrarono inadeguati ai loro bersagli: essi andarono a infrangersi contro un muro di luce blu che si erse in tutta fretta all’incirca sulla porta. Allibito da quanto facilmente il suo trucco fosse stato reso innocuo, Harry non ebbe il tempo di effettuare un secondo tentativo prima che fosse colpito in pieno petto da un’altra magia.
Le dita delle sue mani vennero aperte a forza e lasciarono andare la sua fedele bacchetta, che rovinò a terra: Harry sentì perfettamente il clangore della sua caduta, chiara come se il mondo intero si fosse fermato solo per lui. I muscoli gli si irrigidirono, le braccia si bloccarono contro il busto e le gambe si unirono l’una all’altra: a quel punto rovinò a terra, cadendo di schiena. Se non altro i suoi occhiali erano rimasti intatti da questa piccola umiliazione che avevano ricevuto.
Il Pietrificus Totalus, perché gli effetti erano proprio quelli, bloccò a Harry il corpo, ma non la mente. E questa iniziò subito a creare delle continuazioni di quanto appena accaduto che lo lasciarono senza molta speranza. Sapeva però come si sarebbe dovuto comportare, quali tentativi fare per diminuire l’effetto della magia e logorare con calma il controllo che aveva su di lui. I suoi sforzi raddoppiarono di intensità quando sentì un piccolo tonfo, segno che anche la sua amica era stata abbattuta.
Infatti la stessa cosa che era accaduta a Harry capitò anche a Hermione: i nuovi arrivati si protessero senza alcun problema dalla sua debole iniziativa, stendendola senza troppe difficoltà in un secondo momento. Se però il mago venne immobilizzato, la strega venne schiantata e, quindi, resa incosciente al mondo che la circondava.
L’ultimo abitante dello scompartimento, prima impietrito dal terrore, fu assalito da una cieca rabbia quando vide lo stato in cui erano stati costretti i suoi amici: l’ira attraversò tutto il suo corpo, trasportata da sangue ribollente, capace di scaldare muscoli e sciogliere blocchi. Trovatosi libero dalla catena che lo imbrigliava, reagì.
Ringhiando come un cane rabbioso, si slanciò dal sedile: in un solo salto si trovò oltre ai corpi caduti degli amici. Senza capire cosa stesse facendo, senza neanche comprendere che aveva quasi schiacciato quelli che voleva proteggere, proseguì la sua carica a testa bassa, completamente dimenticandosi di possedere una bacchetta con cui proteggersi: fu così che la rabbia, che aveva avuto il sopravvento sulla paura, vinse anche la ragione e lo portò a comportarsi in modo del tutto irrazionale e, potenzialmente, suicida. E forse la cosa fu di aiuto al mago dai capelli rossi, perché evitò di subire una reazione forte come quella indirizzata ai compagni. Infatti, per quanto avrebbero con il tempo scoperto che i nuovi arrivati non erano affatto pericolosi, non godettero di sconti di pena.
Così mentre i due che avevano reagito con bacchetta e magia vennero stesi senza alcun complimento, Ron si ritrovò a penzolare dal soffitto del treno, stretto in catene evocate con un incantesimo di Incarcerazione di mediocre potere. Il giovane Weasley provò a gridar loro contro ma non sentì uscire alcun suono dalla sua bocca, scoprendo con suo orrore che era stato anche Silenziato.
Tre ragazzi che avevano affrontato, anche se nell’ignoranza, signori oscuri e mostri fin dal loro secondo mese a Hogwarts, senza contare l’infame episodio del 31 dicembre in cui Lord Voldemort fallì nell’ucciderne uno, furono messi per terra nel giro di pochi secondi e con minimo sforzo.
Non che pensassero all’ironia della situazione, impegnati com’erano a preoccuparsi per il loro destino ora che erano incapaci di difendersi. La mano dell’immaginazione, fredda in questa occasione, si era impadronita della loro mente e le stringeva sempre più strette man mano che dava corpo alle loro paure. Una li vedeva tutti e tre uccisi, idea questa balzana e poco probabile avrebbero poi ammesso il ragazzo con le lentiggini e quello con gli occhiali nel silenzio delle loro menti. Un’altra li vedeva accusati di aggressione non provocata, accusa questa risolvibile data la situazione e le figure coinvolte, anche se problematica. In una si vedevano offerti a tutti gli studenti e umiliati pubblicamente: la cosa era forse preferibile alle altre ma non per questo meno traumatica.
Lumos’ sussurrò senza esitazioni una voce femminile.
Harry, che era steso per terra e dunque incapace di vedere verso la porta, rimase sorpreso a sentire quella voce. Il volume era basso, tanto che avrebbe avuto problemi a riconoscere altre parole. L’ultima lettera, la –s, era lunga e sibilante, mentre la voce subiva un’inflessione alla –u: queste due informazioni avrebbero potuto aiutare un esperto a comprendere lo stato d’animo dell’oratore, ma i tre leoni avevano ben altre cose per la testa. A loro, a Harry per esperienza personale e Ron per sentito dire da parte del suo amico, quella consonante allungata e tirata fece venire la pelle d’oca: l’ultima volta che l’aveva sentita scivolava lungo la lingua di un Rettiolofono intento ad uccidere il Bambino-che-è-sopravvissuto, o per meglio dire a provarci.
I suoi occhi saettavano ora qua, ora là, alla ricerca disperata di qualcosa che gli spiegasse cosa stesse accadendo, qualcosa di nuovo che entrasse nella sua visione e gli desse nuove informazioni. Le orecchie si tesero, provando ad avvertire qualcosa, dei passi o delle parole, di tutto purché rompesse l’attesa dell’inevitabile.
Un primo segnale fu il profumo di cui si riempirono le sue narici: si insinuò lentamente nei suoi sensi e, non appena si accorse di esso, ne fu pervaso. Da un momento all’altro il giovane mago si sentì sprofondare nel suo abbraccio, fresco e frizzante.
Quel profumo lo calmò, portando alla memoria alcuni ricordi piacevoli di cui non parlò mai a nessuno: gli parve di fare un viaggio nel tempo, a quando aveva sei anni. Un ragazzo andava in giro nel quartiere e vendeva gelati. Aveva un grembiule di color bianco, perfettamente pulito, le cui maniche si fermavano alla spalla e lasciavano vedere la maglietta nera. Aveva una barba corta e dei capelli biondi che, incorniciando gli occhi azzurri, davano l’impressione che fosse un ragazzo cresciuto troppo in fretta. Quando aveva visto Harry, trasandato e magrissimo in vestiti enormi, uscì dal camioncino e gli portò un ghiacciolo. Non disse nulla: si avvicinò, glielo porse e se ne andò dopo avergli augurato buon appetito. Quel gesto spontaneo e gratuito di gentilezza aveva spronato Harry ad andare avanti, tuttora, sperava di rivederlo un giorno passare da Privet Drive per comprarsene un altro. Era al gusto di menta; inoltre, da quando aveva scoperto che i suoi genitori gli avevano lasciato qualcosa, ogni anno si prendeva un ghiacciolo per celebrare quel giorno.
In quel momento la menta pervase la sua mente e lo portò alla tranquillità.
Così quando finalmente riuscì a vedere qualcosa di nuovo, una luce accecante che gli venne messa sotto il naso, non si fece prendere dal panico o dallo sconforto, ma rimase calmo, sperando che anche quella volta la menta fosse portatrice di buoni presagi. L’incantesimo che lo aveva colpito non era tanto forte da impedirgli di sbattere le palpebre, cosa di cui fu molto grato: le luci bianche, aveva scoperto da tempo, erano molto più forti di quanto non lasciassero sospettare agli altri e gli facevano venire le lacrime agli occhi in ben poco tempo. Evitare di piangere, per quanto la cosa fosse naturale sotto tali circostanze, lo convinse del tocco magico della menta.
Si sentì anche un po’ sciocco in quel momento: steso sul pavimento con gli occhi ben chiusi gli parve di recitare in un cartone animato a parti invertite, dove il principe era il bambolotto che la principessa doveva salvare. Evitò accuratamente di stringere le labbra e pregò che nessuno decidesse di baciargliele. Ora, se quella fosse stata Hermione…
Non durò molto tempo questa nuova scena, brevissimi istanti che furono utili per confermare il sospetto che lui fosse infatti Harry Potter, ma quest’ultimo non dovette più fare i conti con la paura. Un senso di accettazione lo aveva accolto e ristorato: dopo tutto che senso aveva combattere sapendo di non poter vincere? Nessuno. Così stette lì e aspettò il verdetto del suo giudice.
‘È Potter questo qui. ’
Se avesse potuto si sarebbe teso: in quel frangente non poté far nulla. Il momento si allungò, come se nessuno sapesse esattamente cosa farsene di quell’affermazione. Harry sperò semplicemente che, se la cosa fosse personale, avrebbero lasciato stare i suoi amici. Ma, dopo tutto, chi mai si sarebbe astenuto dal prendersela con gli amici di qualcuno su cui voleva vendicarsi? Il suo stomaco si contorse a quella comprensione, timoroso di causare dolore ai suoi amici; si dominò per impedirsi di reagire e causare altri problemi potenziali.
Qualcuno borbottò una maledizione: era una voce maschile. Questa volta Harry non ebbe modo di comprendere cosa avesse detto.
‘Liberali. ’
Il comando, secco e breve, risuonò nel compartimento come lo schiocco di una frusta. A giudicare dalla brevità del tempo passato tra l’ordine e la sua esecuzione, Harry ipotizzò che quella avesse una posizione sicura all’interno del gruppo: era il capo, più o meno dichiarato, del gruppetto – se non altro lo era ad un livello del loro subconscio.
Harry non sospirò quando gli incantesimi intorno a lui vennero sciolti, si limitò a espirare con pesantezza. La magia necessaria a fare ciò scorse lungo di lui e lo scaldò, intaccando il ghiaccio che sembrava essersi impadronito di lui e scacciandolo via lentamente. I suoi muscoli poterono quindi rilassarsi, gemendo sollevati all’idea di tornare a essere normali e sotto il controllo del loro proprietario.
Harry si sollevò di scatto subito dopo, quando un pesante tonfo riverberò nel compartimento. Il rumore lo preoccupò perché poteva solo provenire da Ron: chi altri avrebbe potuto farlo? Che i tre si attaccassero a vicenda era improbabile, ragionamento che quindi faceva scartare questa idea. Hermione era dietro ad Harry, non davanti, quindi non poteva provenire da lei. Harry non poteva averlo prodotto, essendo ancora sdraiato. Unico candidato possibile era il sesto Weasley, il cui fato era rimasto ignoto al suo amico fino a quel momento.
Se la situazione fosse stata differente, il maghetto con gli occhiali si sarebbe messo a ridere. Ronald era caduto a faccia in giù, lungo disteso sulle poltrone del treno, e sembrava contorcersi nel tentativo di rimettersi in piedi, trovare la bacchetta e afferrarla tutto in un colpo. Purtroppo quella era la situazione.
La ragazza più lontana da Harry fece un passo avanti, portandosi finalmente in una posizione dove fosse visibile.
Subito il giovane mago poté constatare che fosse più grande di loro: a occhio giudicò che dovesse essere del sesto o del settimo anno. Questa prima osservazione fu velocemente dimenticata quando la osservò per bene. Le labbra rosa e sottili, le guance scavate e gli occhi grigi davano la perfetta immagine di una ragazza fredda e abituato a ubbidire; i lunghi capelli neri erano raccolti in una singola treccia che andava a ricadere lungo la sua schiena. Aveva rabboccato le maniche della divisa all’altezza dei gomiti, evitando di rimanere invischiata nel tessuto nel momento in cui avesse avuto bisogno di muoversi; le mani erano piccole e delicate. Il resto di lei era coperto completamente dalla divisa scolastica.
La sua voce, tranquilla e suadente, accentuò ancor di più la sua singolarità agli occhi di Harry.
‘Nessun movimento brusco: non è il momento di fare gli idioti coraggiosi, micetti. ’
Harry serrò i denti e strinse gli occhi. Forse era il tono con cui lo aveva detto, così calmo malgrado la situazione, o forse era quello che aveva lasciato sottinteso, come se non fossero in grado di metterli a sedere qualunque cosa provassero a fare, ma in quell’istante decise che le avrebbe fatto rimangiare quello che aveva detto. L’emblema verde e argento a forma di serpente sigillò i suoi sentimenti in materia.
Ma non tutti reagiscono alla stessa maniera: quindi, mentre Harry riuscì a controllare la propria reazione, qualcun altro vide rosso.
‘Siete voi che ci avete presi di sorpresa, serpenti traditori’ sputò fuori.
Una delle due figure nell’ombra avanzò e portò una mano al cuore. Aveva capelli tagliati corti e freddi occhi azzurri, che stonavano molto con la piega all’insù che avevano assunto le sue labbra. Portava dei jeans chiari e una felpa blu: i suoi vestiti saltavano subito all’occhio nel gruppo, essendo l’unico a portare ancora una tenuta babbana.
‘Ohi, ti farò sapere che solo le mie due amiche sono astuti serpenti’ commentò. La voce aveva un tono ironico, che era chiaro essere indirizzato al commento di Ron. ‘Io sono solo un saggio corvo’.
Prima che la cosa potesse proseguire e degenerare in uno scambio di insulti, la ragazza di prima li interruppe. La luce non era granché e la situazione poteva giocare strani scherzi su di loro, ma al giovane Potter vide che i suoi occhi si illuminarono per un attimo dall’irritazione che doveva provare. Erano di un colore violetto, come due ametiste.
‘Non abbiamo tempo per queste sciocchezze: un Dissennatore è appena salito sul treno. Rose, chiudi la porta.’
L’atmosfera, che fino a poco prima sembrava suggerire l’imminente scontro tra i due gruppi, mutò all’improvviso: da carica e nervosa si fece opprimente e pesante, come se la semplice menzione di quel nome, una creatura ipotizzò Harry, potesse evocarla.
Che diavolo era un Dissennatore? Erano questi i momenti in cui Harry si sentiva fuori posto nel mondo magico, come se fosse ancora uno straniero in una terra nuova. Se la situazione fosse stata diversa, se non ci fosse stata la minaccia di un Dissennatore, qualunque cosa fosse, il giovane Potter avrebbe cercato di scacciare i cattivi pensieri che lo avrebbero sicuramente attanagliato, per poi andare a cercare di cosa stessero parlano; quel giorno non ce ne fu bisogno.
‘Erede Potter, ’ Harry trasalì quando si rivolse direttamente a lui, spostando sulla sua persona tutta la sua attenzione: non si era accorto di aver posto quella domanda ad alta voce (e che cosa voleva dire con Erede Potter?), ‘i Dissennatori sono le guardie della prigione magica di Azkaban: il loro compito è impedire che i prigioni possano scappare e che vengano puniti. ‘
‘Che vengano puniti? ‘
‘Un Dissennatore è capace di risucchiare via l’anima di un uomo tramite uno dei suoi’ esitò un attimo, abbozzando una piccola smorfia di disgusto, ‘Baci; la sua semplice presenza, invece, è capace di aspirare via la felicità dalle persone. Per questo motivo il Ministro li tiene confinati ad Azkaban sotto stretto controllo. ’
Harry rabbrividì: come mai, per quante volte il mondo magico riuscisse a sorprenderlo e riempirlo di meraviglia, riusciva sempre a distruggerlo? Prima un bambino idolo di qualche migliaia di persone adulte e esperte, posto su un piedistallo per qualcosa di cui non poteva ricordarsi, che sarebbe riuscito a domare un drago e schioccare le dita per salvare una principessa; poi il mago più potente della loro generazione, e incredibilmente saggio a detta del mondo intero, scelse di nascondere l’apice dell’alchimia, una pietra capace di prolungare la vita di uno e trasformare piombo in oro, all’interno di una scuola piena di bambini e salvaguardarla con protezioni sorpassate da un trio di ragazzini. Sembrava che qualcuno si sforzasse di mettere delle stelle nelle mani di maghi, per poi succhiare via il loro buon senso.
‘Ma perché sono qua? Devono arrestare qualcuno? ’
La ragazza inarcò un sopracciglio, un gesto aristocratico che fece sentire Harry stupido: come diavolo faceva a comunicare così tante emozioni senza neanche provarci? Decise che quella sensazione non gli piaceva affatto e che avrebbe fatto in modo di non sentirla mai più, soprattutto non su quello che tutti davano per acquisito: si promise quindi di parlare con Hermione non appena tutto sarebbe finito per farsi dare qualcosa da leggere.
‘Stanno cercando Sirius Black: qualcuno di altolocato deve preoccuparsi che possa... ’
Non le fu possibile completare la sua risposta perché interrotta: la porta, scorribile come quelle di tutti gli altri treni, scivolò lentamente e in maniera sinistra; il movimento lento, quasi trascinato e allungato come se fosse rallentato, fu accompagnato da un sinistro cigolio. Il freddo, che prima aveva perso in parte la presa sui presenti per tutta l’adrenalina che veniva rilasciata nel corpo, si rinforzò, facendo precipitare la temperatura.
Harry prese a battere i denti.
Il giovane mago vide una piccola mano, fatta di carne in chiaro stato di decomposizione, prima che questa si spostasse al sicuro sotto un mantello nero come la pece. Lo sguardo di Harry ricadde quindi sulla figura del Dissennatore. Dava l’impressione di voler celarsi perennemente alla luce, avvolto com’era nel suo mantello; questo fluttuava, stringendosi attorno al suo corpo, mentre le estremità ricadevano verso il pavimento. Neanche la testa era visibile, coperta com’era dall’ultima parte del manto oscuro, avvolto intorno a essa come un turbante. Proprio là dove in una persona dovrebbe esserci la bocca, si apriva una piccola fessura tra le vesti, l’unica: eppure, se qualcuno avesse avuto la male augurata curiosità di come fosse fatto un Dissennatore, egli non avrebbe saputo rispondersi sbirciando attraverso quello spiraglio – e chi sapeva come fosse fatto ciò che c’era non avrebbe mai potuto dirlo.
Se non fosse stato per l’aura emessa dal Dissennatore, Harry avrebbe potuto pensare che fosse di fronte ad uno scherzo di cattivo gusto.
La guardia di Azkaban non parve soddisfatta di dare una veloce controllata allo scompartimento, decidendo di entrarvi propriamente.
Il freddo, che prima ad Harry pareva una camicia di ferro gettata sulle sue spalle, divenne un’armatura di piombo: lo copriva completamente e lo spingeva a terra. Era una forza enorme, che lo comprimeva e schiacciava, riempendolo di paura e stanchezza.
Si ricordava dell’anno prima, della paura che tutti i suoi compagni avevano di lui e del sospetto che lo accompagnava ogni volta che camminava nei corridoi di Hogwarts. Il suo spirito si risollevò al pensiero delle poche persone che gli erano state vicine, una piccola fiammella che si riaccese e gli scaldò la pancia contro il gelo che l’aveva invaso; la consapevolezza che quei suoi amici avevano dovuto difenderlo dagli attacchi degli altri, quei traditori che si nascondevano agli angoli dei corridoi per attaccarlo, ebbe in breve la meglio su quel piccolo lume. Sentiva una donna piangere e gridare, disperarsi per motivi che Harry ignorava.
E ancora indietro andava. Aveva sei anni ed era appena rincasato portando la sua prima pagella per farla vedere agli zii. Si ricordava la gioia che aveva provato ad aver fatto bene, a vedere riconosciuti i suoi sforzi e le sue capacità, dimostrando di non essere uno spreco di spazio e una sanguisuga, spazzata via sotto i colpi della cinghia di zio Vernon: era di nuovo piccolo e impotente, la schiena rovinata dal cuoio e la maglietta fradicia di sangue e lacrime salate. E la donna gridava e piangeva.
Era da zia Marge, che gli faceva mangiare i croccantini del cane: il povero Scanna non stava bene e bisognava risparmiare i soldi per poter pagare quel ladro di un veterinario. Era a scuola, ignorato e deriso dai compagni per timore che Dudley e la sua gang li conciassero per le feste. Era nel sottoscala e piangeva. Aveva freddo ed era nel sottoscala. Era nel sottoscala ed era buio. Poi, fu solo buio.
 
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‘Signor Potter, si svegli’ la voce che lo riaccompagnò fuori dal suo stato di incoscienza era chiaramente maschile, forte e calma.
Prima che si riavesse completamente, il giovane mago si accorse che aveva una mano sulla spalla che lo scrollava con delicatezza. Chiunque fosse doveva avere davvero la mano leggera, avrebbe in un altro momento pensato Harry; tuttavia la sua mente era offuscata, cosa che gli rendeva difficile articolare i suoi pensieri.
A fatica Harry aprì gli occhi ma li richiuse subito di scatto: qualcuno aveva acceso una luce molto chiara e forte, abbastanza da fargli male agli occhi. Il Grifondoro fece fatica ad adattarsi a questa nuova sorgente luminosa: fu costretto a portarsi una mano in faccia per evitare di essere di nuovo abbagliato: una sola volta, decise, era stata una di troppo.
Lasciando che le pupille si abituassero a quella strana sensazione, la luce era argentea, qualcosa che Harry non aveva mai visto fino ad allora, il maghetto cercò di ricordarsi come mai fosse finito in quella situazione, senza però ricordarsi altro che freddo. Ma la temperatura nella stanza non era bassa ma tiepida, andando anche ad aumentare – o almeno così gli parve sul momento.
‘Cos’è successo? ’ chiese a denti stretti, gli occhi ancora nascosti.
Ci fu solo un attimo di silenzio prima che qualcuno gli rispondesse: forse un momento perché qualcuno si riordinasse le idee?
‘Lei, signor Potter, ha avuto una brutta reazione alla presenza di un Dissennatore. ’
Le memorie rifluirono istantaneamente nella mente di Harry, riportando a galla tutta una serie di sensazioni che minacciarono di soffocarlo. Solo con la promessa di affrontarle più tardi e la necessità di saperne di più riuscì a contenerle.
‘Non sapevo potessero esistere animali del genere. ’
‘Nessuno che io conosca ha mai osato sognare l’esistenza di simili bestie. ’
A quel punto il giovane mago si sentì abbastanza temerario da aprire gli occhi e vedere in faccia il suo interlocutore per la prima volta. Così con estrema cautela sollevò le palpebre e combatté l’istintiva reazione di richiuderle subito.
La prima cosa di ci si accorse fu l’animale luminoso di quello stesso colore argento che aveva minacciato di acciecare il giovane mago. Dire che brillava non gli avrebbe reso giustizia; no, splendeva di luce propria e rischiarava: a Harry la cosa piacque immediatamente. In seconda battuta riuscì a riconoscerne la forma, identificandola come quella di un serpente: attorcigliato lungo al tavolino di fronte a Harry – e da quando ci sono i tavolini negli scompartimenti? – lo fissava calmo e immobile. Infine, si accorse che a guardarlo la sensazione di calore iniziò a prendere piede anche nel suo corpo, come se lo sguardo del rettile riuscisse a spazzare via il freddo che ancora gli sembrava di avvertire.
‘Ah, vedo che il mio patrono le piace. ’
‘Patrono? ’ chiese Harry staccando gli occhi a malincuore dall’animale, andando a posarli infine sul suo interlocutore.
L’aspetto confermò i sospetti che aveva nutrito da quando aveva sentito la sua voce: questo nuovo professore, perché non vi era altra spiegazione logica con cui Harry potesse spiegare la sua presenza, aveva circa venticinque anni.
La figura di fronte a lui era ammantata indossava un lungo mantello nero fatto di un materiale leggero e sottile. Sotto portava solamente una camicia azzurra allacciata fino al penultimo bottone e le maniche arrotolate al gomito; un ciondolo, d’argento a giudicare dal colore, doveva arrivare all’incirca a due dita dal primo bottone allacciato: Harry non riuscì a capire che forma potesse avere. I pantaloni erano neri come il mantello. L’uomo, eretto e con le spalle ben fiere, era abbastanza alto: i suoi occhi diversi, azzurro e violetto, lo scrutavano con estrema attenzione.
‘Si potrebbe considerare un protettore, una magia particolare e difficile da apprendere proprio per la sua singolarità: bisogna concentrarsi più sul punto di partenza che non sull’arrivo. ’
Dopo quella breve spiegazione concisa, di cui non aveva compreso nulla dopo la prima parte, Harry si sentì sicuro nel dire che fosse il nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure. Il giovane mago poteva ammettere tranquillamente di non essere molto ferrato in quella materia, e che quindi le sue osservazioni fossero potenzialmente errate, ma la sicurezza e la nonchalance con cui la sua domanda era stata risposta lo riempiva di aspettative per i prossimi mesi di apprendimento.
L’uomo si chinò con grazia e portò le mani sotto il tavolo: da qui estrasse un baule e lo riposizionò sul sedile di fronte ad Harry.
Aveva uno strano lucchetto con poche cifre e nessun modo per inserire una combinazione: sembrava quasi il pannello di un ascensore, dove uno può scegliere il piano a cui arrivare premendone il numero. Questo fu proprio quello che fece il suo proprietario, che scelse il numero uno. Harry non era sicuro di cosa si aspettasse, forse una voce automatica che gli chiedesse una password o forse una combinazione tipo cassaforte da Paperon de’ Paperoni, ma un ago che gli infilzasse il polpastrello non figurava certamente tra le sue ipotesi. Il lucchetto era ovviamente magico e incantato per riconoscere non una parola d’ordine, come Harry aveva visto per alcuni dei suoi compagni più grandi, bensì il sangue del proprietario.
Al giovane mago venne le pelle d’oca per un breve istante. Per qualche motivo a lui ignoto la cosa gli sembrava incredibilmente personale tanto da farlo sentire un impiccione.
Si dimenticò in fretta di quella sensazione quando il baule, letteralmente, crebbe in altezza. Quello che vide era differente all’eliminazione di un incantesimo Riducente o Allargante perché non mantenne costanti le sue proporzioni: esso non seguì un vettore diagonale, come avrebbe fatto in un caso simile, bensì uno verticale. Esso guadagnò dieci centimetri in altezza e rimase, per il resto, immutato. A guardarlo meglio, Harry notò che non doveva essere di legno, come quello che lui stesso aveva, ma della pelle di qualche rettile scuro: non poteva essere d’altro perché solo i rettili erano dotati di squame simili; non aveva però la minima idea di quale potesse essere.
Con l’alzarsi del baule, una maniglia marrone chiara comparve assieme ad i centimetri appena guadagnati: il proprietario l’afferrò e la tirò; quindi si chinò in avanti e cercò qualcosa. Il contenuto, decise Harry, doveva essere estremamente ordinato perché non ci mise neanche tre secondi a trovare quello che cercava; o forse aveva solamente un’eccellente memoria.
‘Purtroppo un patrono, per quanto potente possa essere, non è la migliore risposta agli effetti di un Dissennatore’ ricominciò a spiegare. Nel frattempo si voltò di nuovo verso il più giovane dei presenti e prese a scartare qualcosa di rettangolare: Harry ci mise un attimo a intuire che doveva trattarsi di cioccolato. ‘Al massimo presenta una soluzione a breve durata. In realtà, la cosa migliore non richiedere nemmeno l’uso di magia: una bevanda calda e zucchero in modo da scaldare il corpo e, al contempo, fornire energie da bruciare nell’immediato. In casi come questi, però, ci si può far bastare qualcosa del genere’ completò la sua spiegazione proprio quando scartò la cioccolata dalla sua stagnola, che si affrettò ad offrire al giovane mago.
Harry allungò le mani per prenderla: fu solo allora che si accorse che stavano tremando ancora. Sperando che il mago più anziano non avesse notato la cosa, si affrettò a prendere il dolce offerto e a spezzarsi una colonna di quadratini. L’idea di mangiare non gli andava troppo a genio, l’impressione che il Dissennatore aveva inciso nella sua memoria troppo forte per svanire, ma si sforzò ugualmente: l’uomo di fronte a lui sapeva quello che stava dicendo. Il cioccolato, con un cuore di latte appena sotto la superficie, parve a Harry una benedizione e si affrettò a divorarlo: con sommo apprezzamento si accorse di non sentire più freddo e che lo scompartimento pareva più luminoso.
‘Grazie mille, professor…’ tentò di ringraziarlo Harry: non sapendo il nome la cosa sembrava più una richiesta di informazioni, un modo poco discreto per scoprire il nome del suo interlocutore.
‘È quello per cui sono qui, no? Fare in modo che i miei giovani successori non muoiano per la stupidità altrui, voglio dire. Ed è Valerius, Ares Valerius. Spero che non ci siano altri incontri come questo, signor Potter. ’
Harry chinò il capo, di colpo imbarazzato dalla piega che stava prendendo quella conversazione. Bruciava dalla voglia di prometterglielo, di ammettere di essere solo uno studente interessato a studiare e a godersi la vita di Hogwarts: ma non se la sentiva. E la cosa faceva male. Quando mai si era tirato indietro dal rischiare il collo e fare l’eroe? Quando mai aveva fatto un passo indietro e lasciato andare avanti gli adulti?
Mai: era una cosa che non aveva problemi ad ammettere e lo fece proprio in quel momento nei meandri del suo essere, un po’ ardendo dalla voglia di sfidare il mondo e un po’ bruciante di vergogna per non saper stare al suo posto.
Un leone sembrò ruggire nel suo petto, riempiendolo di ardire e orgoglio – o forse solo stupidità. Harry si sentì per la prima volta un vero Grifondoro, un leone conscio della sua forza e pronto a scommettere su se stesso. Raddrizzò le spalle e, tirando su il capo, fissò negli occhi il suo nuovo professore. Gli parve di poter scorgere una luce di curiosità in quegli occhi strani, ma la cosa durò un attimo e non fu certo di quanto avesse visto e quanto avesse immaginato.
‘Di solito sono i guai che trovano a me. ’
Il professore strinse lievemente gli occhi, dando l’impressione di volerlo trapassare con lo sguardo. Quello sguardo sembrava volesse giudicarlo e analizzarlo fino all’ultimo dettaglio. Harry dovette resistere alla tentazione di agitarsi, cercando di resistere sotto quel giudice fermo e severo. Gli sembrò che fosse passata un’eternità quando quell’esame finì.
‘Allora le consiglio di essere più veloce dei suoi cercatori. ’
Quell’affermazione, Harry ne era certo, conteneva una nota di divertimento: si tranquillizzò a sentirla perché, per la prima volta, uno dei suoi professori gli stava offrendo un consiglio che avrebbe potuto seguire. Con quella singola frase Ares Valerius si era guadagnato, senza saperlo e comprenderlo, il primo posto nella classifica dei migliori insegnanti del giovane mago.
‘Ora però le consiglierei di andare dai suoi amici, sono certo che si staranno preoccupando non vedendola ancora arrivare. ’
Harry sentì perfettamente quello che il professore gli aveva detto, ma non capì per un attimo. Quando afferrò appieno quello che aveva udito, si sentì gelare.
Si era dimenticato dei suoi amici. Si era lasciato distrarre dalla sua situazione e aveva potenzialmente abbandonato i suoi amici al loro destino, infischiandosi delle loro possibili sofferenze.
Che razza di amico faceva una cosa del genere?, una voce sussurrò al suo orecchio. Un amico che sarebbe meglio non avere, rispose subito dopo.
‘Il signor Weasley sta bene: tremava come una foglia, vero, ma l’unica cosa che gli serviva era tempo lontano dal Dissennatore. La signorina Granger invece non ha lo ha neanche sentito: l’incoscienza l’ha salvata dall’attrarre la sua attenzione. ’
Quelle parole tranquillizzarono le preoccupazioni del giovane mago, che temeva che i suoi amici potessero aver sofferto mentre lui non poteva aiutarli. Sfortunatamente piantarono anche una serie di domande di cui doveva sapere la risposta.
La voce del professore, ferma e risoluta, interruppe quel fiume dal soverchiare i pensieri del giovane Potter.
‘La mia prima lezione di Difesa sarà sui Dissennatori, ’ iniziò, andando a confermare l’ipotesi avanzata da Harry sulla materia che l’uomo avrebbe insegnato, ‘la pregherei di aspettare fino alla fine di quell’ora per farmi domande. ’
Harry accettò quella richiesta a malincuore, appesantito com’era dalla necessità di comprendere come e perché stesse così male mentre il suo amico aveva subito solo un leggero trauma. Soprattutto voleva scoprire come evitare una cosa del genere in seguito. Poi un pensiero sfuggente lo colse.
‘E gli altri? ’ Allo sguardo interrogatorio del suo futuro insegnate Harry si chiarì: ‘C’erano degli studenti più grandi con noi: stanno bene? ’
‘Sì, stanno bene: conoscevano un metodo per alleggerire la pressione di un Dissennatore su se stessi e se ne sono serviti. ’ Lì si fermò un attimo, contemplando come esporre quello che doveva dire: ‘si sono scusati per l’eccessivo entusiasmo usato nel tranquillizzare un branco di leoni dalla bacchetta facile, per parafrasare le loro parole. ’
‘Ah...’
Fu quella l’eloquente risposta dello studente, incerto su cosa dire. Fortunatamente l’uomo gli impedì di arrovellarsi troppo per fornire una spiegazione: il lampo di puro divertimento che splendeva chiaro nelle sue pupille annunciava a chiare lettere come capisse la situazione in cui aveva posto Harry.
‘Non la trattengo oltre, signor Potter: sono sicuro che i suoi amici vogliano interrogarla su cosa il sottoscritto le abbia fatto. ’
Harry riconobbe il tono di congedo, per quanto leggero potesse essere, usato dal suo nuovo docente. Così lasciò lo scompartimento spartano, quasi spoglio, con un quasi sussurrato ‘signore’ e si portò sul corridoio.
Mentre Harry procedette dal vagone in cui si trovava, che aveva scoperto essere quello di coda dell’Espresso, risalendo il treno fino a metà della sua lunghezza dove aveva trovato posto con i suoi amici. Ripensando a quella mattina, Harry si interrogò sulla stranezza del tempo: gli pareva che fosse passata un’eternità da quando erano partiti, eppure solo sei ore potevano essere passate.
Cacciando quei pensieri senza né capo né coda, Harry si mosse rapido verso Ron e Hermione. La cosa gli riuscì molto facile in quanto i corridoi erano completamente vuoti: non c’erano studenti ancora da smistare che andavano in giro allibiti e intimoriti; né c’erano gruppetti degli anni superiori intenti a cercare i loro compagni; né coppiette che sgattaiolavano in cerca di un angolino apparto; né c’erano gli imponenti membri dell’ultimo anno che si stavano godendo il loro ultimo viaggio verso Hogwarts. Insomma, tutto sembrava rallentato ancora dal ghiaccio portato dai Dissennatori. Il giovane mago andava il più in fretta possibile senza mettersi a correre, quasi come se le bestie succhia-anima potessero apparire alle sue spalle e banchettare con lui.
Quando giunse allo scompartimento che condivideva con i suoi amici, si sentì riscaldare il cuore a vederlo pieno: poteva vedere Ron chiacchierare con Dean e Seamus, Hermione parlare con Neville mentre Ginny e una ragazza bionda ascoltavano distrattamente.
Il professore Valerius aveva ragione: Ron e Hermione stavano bene: forse ancora un po’ abbattuti a giudicare dal fatto che sembrano parlare sottovoce, ma erano tutti interi. Un peso si sollevò dal suo stomaco.
Quando entrò tutti si volsero a guardare chi fosse e, riconoscendolo, Hermione saltò in piedi e lo abbracciò: in quel momento la sua amica era una coperta calda che lo avvolse e cacciò il freddo del dubbio e delle preoccupazioni. Meglio, era la scintilla che accese la fiamma che avrebbe scacciato il freddo micidiale.
In quel momento Harry comprese il significato del termine famiglia.
  
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