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Autore: Lost In Donbass    26/05/2019    1 recensioni
Questa è la storia di Oliver. Oliver, che è depresso, che si taglia, che non sa come fare a salvarsi da sè stesso, che piange ma che prova a non arrendersi.
E' la storia di Denis, troppo bello per il suo stesso bene, che ama con tutta la forza del suo passionale cuore ucraino.
E' la storia di due ragazzi che si incontrano nella triste Liverpool, due anime perse che hanno smesso di credere e di sperare. E' la storia del loro amore tormentato, forse patetico, forse ridicolo, forse volgare.
Ma è anche la storia di Jenna, di Kellin, di James e di tutti i loro strani amici.
E' la storia di come Denis tenterà di salvare Oliver da sè stesso e di come Oliver darà del filo da torcere a tutti.
E' la storia dell'estate prima del college.
E' la storia di un gruppo di ragazzi disperati che non credono nel lieto fine.
E' una storia banale, è una storia d'amore.
E' la storia di Denis e Oliver, che si amano come solo due adolescenti possono amarsi.
E' la storia di questo amore che sarà la loro fine.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO QUARTO: WHY HAVE I SUCH A VOID INSIDE?

Even though I’m on my own, I know I’m not alone
Cause I know that someone, somewhere
Praying that I make it home
[Asking Alexandria – Someone, Somewhere]
 
James strinse i denti mentre si fasciava il polso dolorante. Quella volta lo avevano massacrato per bene. Sospirò rumorosamente, appoggiandosi alla parete del bagno e chiuse gli occhi. Per un attimo, sperò che fosse tutto un incubo. Che si fosse fatto male cadendo dalla moto. Che non sapesse cosa volesse dire “steroide anabolizzante”. Che quella notte sarebbe andato da un ipotetico ragazzo a scopare e non in quel posto sporco e sabbioso. Ma tutto quello per un attimo, visto che il dolore al polso lo costrinse a ripiombare tristemente nella dura realtà: ovvero, quella dove lui partecipava a incontri di boxe clandestini per mantenere la sua famiglia disastrata. A volte James si chiedeva cosa sarebbe successo se avesse avuto una famiglia normale. Forse sarebbe stato felice. Si sarebbe dedicato a cose normali, si sarebbe iscritto al college, avrebbe pensato a come cercare di salvare Jenna, e invece lui era lì, ad agonizzare per portare a casa dei soldi, disperato, sempre a rischio, sempre insicuro, mentre continuava a mentire ai suoi amici su quello che faceva. Come avrebbero reagito Oliver, Kellin e Jenna se avesse detto loro quello che faceva la notte, quando tutti dormivano? Si sarebbero opposti, senza capire quanto gli servisse farlo. Non era contento di riempirsi di anabolizzanti, di andare a massacrare altri uomini tra scommesse e urla, di rovinarsi così un’adolescenza promettente, ma era quello che gli rimaneva per cercare di campare lui, la sua madre malata e le sue sorelle piccole. Sbuffò e si legò più stretto il polso, soffocando una bestemmia. In casa c’era quel fastidioso silenzio su quello che faceva, quell’ipocrisia di fondo di tutti che sapevano ma nessuno che faceva nulla per aiutarlo. E James soffriva, soffriva come un cane ma non sapeva come uscirne. Terrorizzato dal dirlo ai suoi amici, troppo giovane e scapestrato per uscirne da solo, il ragazzo si dibatteva impotente nella rete dove era caduto con le sue stesse mani.
Non aveva paura come all’inizio, aveva imparato a farci l’abitudine, aveva imparato a lottare contro sé stesso e contro un mondo che lo voleva morto. Aveva imparato che James Arthur McCandles era sinonimo di “resistenza”.
Si appoggiò al muro, e pensò ad Oliver, e alla sua depressione. Pensò a Jenna, e alla sua leucemia. Pensò a Kellin, e alla sua tarpata gioia di vivere. Pensò a sé stesso, e ai suoi segreti. Erano un gruppetto disparato di amici che non avevano niente in comune ma che stavano insieme per sopportare insieme le proprie disgrazie e per combattere contro la sfortuna e il dolore che macchiavano la loro adolescenza. Erano amici per scelta, combattenti per definizione e James sapeva, da qualche parte dentro di sé, che forse ne sarebbero usciti. Era ottimista, in fondo, era sempre stato quello che sorrideva alle avversità, quello che credeva profondamente che ce l’avrebbero fatta a superare l’inferno. Nonostante quello che era costretto a fare. Nonostante la sua situazione.
Si alzò e uscì dal bagno, l’occhio gonfio e il polso fasciato. L’unica nota positiva era che almeno era riuscito a raggranellare abbastanza soldi da poter comprare un regalo di compleanno per la piccola Emily. Sorrise, al pensiero di quanto sarebbe stata felice sua sorella di avere la casa delle bambole come tutte le sue amichette, e uscì per andare sulla collina che sovrastava il porto. Avrebbe guardato il mare, e sognato una vita diversa. Avrebbe ascolato musica metal sperando che un giorno sarebbe fuggito da Liverpool e da tutto quello che significava per lui.
Quando arrivò in cima alla collina e si sedette sulla panchina vuota dove andava sempre con Oliver a guardare le stelle, fissò il mare che si estendeva sotto di lui e sospirò rumorosamente, accendendosi una sigaretta. James era incatenato a quella città quando l’unica cosa che voleva fare era prendere una corriera e scappare a Londra, lontano dal dolore e dalla povertà che caratterizzavano la sua vita.
Si passò una mano tra i corti capelli biondi e sorrise al cielo limpido – si sarebbe salvato, lo sapeva. Non sapeva ancora come, ma lo avrebbe fatto. Si sarebbe lasciato alle spalle tutta la sua vecchia esistenza e se ne sarebbe ricostruita una dalle basi. Sperava, James, sperava con tutta la forza del suo cuore adolescente, combatteva come una bestia in trappola, sperava e credeva ciecamente in un futuro migliore. Lui non era come Oliver, oh no, era radicalmente diverso: lui rideva al cielo, sorrideva a una vita che lo odiava, si era convinto che si sarebbe salvato.
E in quel momento, seduto su quella panchina, stava sorridendo al nulla, col suo inguaribile ottimismo dipinto sul viso bello e pulito.
-Jimmy! Jimmy, aiuto!
Si voltò, giusto per vedere Oliver arrivare di corsa sulle lunghe gambe scheletriche, inciampando nei lacci delle Vans. Il ragazzo emo gli collassò affianco con il viso stravolto dalla sforzo e James gli sorrise
-Cosa c’è, Oli? Tutto bene?
-Non so cosa fare.
-Che novità. Cos’è successo sta volta?
I due amici si guardarono e Oliver si scostò il ciuffo dalla fronte, mettendosi a sedere diritto sulla panchina
-Voglio provarci con Denis.- disse, tutto veloce, arrossendo selvaggiamente.
-Quanti tranquillanti hai ingoiato prima di venire qua, ragazzo?- James alzò un sopracciglio.
-Nessuno!
-Oliver.
-Oh, okay, solo un pochino di Xanax. Ma ti giuro che era poco. E adesso sto pensando a lui. È da ieri notte che non faccio altro. È così bello. E lo voglio per me. Ma non so come fare. E …
-Solo un goccino di Xanax, eh? Oli, di cosa ti sei fatto? Lo sai che quelle medicine contro l’ipersonnia ti fanno agitare, ne prendi sempre troppe … - James lo guardò come un padre potrebbe guardare lo stupido figlio adolescente e Oliver arrossì ancora. A volte faceva casino con le medicine, non lo nascondeva. Ma in quel momento le medicine erano l’ultimo dei suoi problemi: c’era Denis, adesso. Denis con il suo naso schiacciato e i suoi passionali occhi slavi.
James gli fece un sorriso e gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendolo a sé. A volte si chiedeva come erano riusciti a finire insieme, loro quattro. Depressi, malati, persi, sfortunati di natura eppure sempre insieme, contro la tempesta che era diventata la loro vita. Si spalleggiavano come fratelli, combattevano i propri demoni, non si abbandonavano perché avevano sperimentato sulla pelle cosa volesse dire il vero dolore, la vera depressione, la vera disperazione. Erano stati bistrattati, lasciati, feriti, usati, ma poi avevano trovato gli altri. Ed era stato così che avevano deciso che avrebbero lottato per la loro amicizia, per un sorriso in più, per una canzone, per una risata spezzata alle due del pomeriggio.
-Allora, ragazzo emo, cosa hai intenzione di fare? Provarci?
Oliver annuì, mordicchiandosi nervosamente le unghie.
-Allora oggi vallo a prendere fuori dalla sala da the, quando finisce il turno. Fagli una sorpresa, sono sicuro che sarà contento.
I due ragazzi si guardarono e Oliver fece una smorfia sconvolta.
-Ma non ce la farò mai, Jimmy!
-Se non ti dai una mossa, bello, qualcuno te lo fregherà. E tu non vuoi che qualcuno si impossessi del bell’ucraino prima di te.- James gli diede una spinta affettuosa – Oli, guardami: non è difficile. Denis non ti rifiuterà mai.
Oliver si morse il labbro, perché mentre da un lato voleva disperatamente essere normale e fare quello che qualunque ragazzo normale avrebbe fatto, dall’altro aveva la sua ansia sociale che lo divorava vivo e che lo voleva tenere chiuso nella sicurezza della sua cameretta azzurra. E poi c’era l’inguaribile depressione che gli ricordava che nessuno si sarebbe mai innamorato di un caso perso come era lui.
-Amico, veramente.- James lo strinse a sé – Sei bellissimo, sei intelligente, canti bene e quando vuoi sei pure quasi simpatico, tolto il tuo terribile umorismo. Non hai niente che non vada. E se Denis ti dovesse rifiutare, beh, cazzi suoi. È lui che ci perde.
Oliver fece un sorrisino nervoso, appoggiandosi all’amico storico. Erano anni che James gli ripeteva quel mantra, ed erano anni che lui tentava di convincersi che avessse ragione, senza però mai riuscirci del tutto. C’erano stati degli attimi in cui era riuscito a convincersi di andare bene così com’era, ma era subito ricaduto indietro nella sua depressione morbosa e avvilente, tornando ad agonizzare.
-Quindi ora mi prometti che ti dai una pettinata, prendi quel poco di coraggio che hai e vai ad aspettarlo fuori dalla sala da the, possibilmente con un bel sorriso e senza esserti imbottito di ansiolitici.
-Va bene, Jimmy. Ci proverò. Ci proverò.- Oliver annuì, deglutendo rumorosamente. Poi guardò il polso dell’altro e aggrottò le sopracciglia – Cosa ti sei fatto al polso?
James scosse la testa, nascondendolo istintivamente
-Niente, sono solo scivolato in casa. Niente di grave.
-Scivoli un po’ troppo spesso in casa, in questo periodo.
Silenzio.
I due amici si guardono a lungo negli occhi, un paio azzurri e battaglieri, l’altro paio grigi e malinconici, e James si chiese perché. Perché dovesse fare quello che faceva, perché dovesse continuare a mentire ai suoi amici sulla sua vita al limite, perché dovesse rischiare così tanto, per cosa, poi, non lo sapeva davvero.
Per un attimo, pensò di rivelare ad Oliver il vero motivo di quella fasciatura. Di farsi aiutare. Di farsi salvare. Invece si limitò a dargli un affettuoso buffetto sulla testa
-E vedi di mangiare, Oli. Ti controllo.
Oliver annuì, distrattamente. Poi abbracciò James, affondandogli il viso nella spalla.
-E tu vedi di non scivolare più in casa.
James sospirò, stringendo con forza il corpo magrissimo dell’amico storico, accarezzandogli i capelli scuri. L’aveva sentita eccome la consapevolezza nella voce di Oliver, sapeva che sapeva, eppure non riusciva ancora ad ammettere niente di quello che faceva quando calava la notte.
-Jimmy …
-Sì, Oli?
-Ne usciremo in qualche modo.
James non voleva ammetterlo, ma cominciò a piangere silenziosamente. Perché avevano dentro un tale vuoto?
 
 
  
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