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Autore: Abby_da_Edoras    27/05/2019    6 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo terzo

 

I like to make-believe with you
Da, da, da, da, do, do, do
That we always speak the truth
I like how we pretend the same
Da, da, da, da, do, do, do
Play this silly little game. Hey!

I've got some things to say
'Cause there's a lot that you don't know
It's written on my face
It's gonna be hard to swallow
(Everybody's got a secret)
I got some things to say
(Everybody's got a secret)

(“Secrets” – Pink)

 

Le parole di Albizzi avevano operato proprio quello per cui erano state concepite, ossia insinuare l’ombra del dubbio in Giovanni. Il ragazzo fino a quel momento aveva nutrito una fiducia illimitata in Cosimo de’ Medici, l’uomo che stava riportando Firenze alla sua grandezza, l’uomo che anche suo padre ammirava tanto… ma quello che Rinaldo Albizzi gli aveva detto non voleva uscirgli dalla testa.

Se avesse soltanto fatto allusioni alla disonestà dei Medici, al fatto che fossero dei lanaioli arricchiti e degli usurai, Giovanni non lo sarebbe stato nemmeno a sentire: aveva visto Albizzi due volte, ma gli era bastato per capire che era fondamentalmente invidioso del potere e del prestigio dei Medici.

Eppure quell’accenno a un atto meschino da parte del padre di Cosimo, un atto che aveva danneggiato la famiglia Albizzi…

Giovanni era, come si può ben immaginare, molto sensibile riguardo a simili argomenti. Del resto era venuto a Firenze proprio per riabilitare il nome della sua famiglia, osteggiata, calunniata, cacciata e oltraggiata per nient’altro che l’invidia di una famiglia rivale, che poi aveva trascinato con sé tutte le altre. Possibile che il padre di Cosimo avesse fatto una cosa simile alla famiglia Albizzi?

Quel dubbio tormentava talmente Giovanni che alla fine, qualche sera dopo, andò a parlare proprio con Cosimo per togliersi il pensiero una volta per tutte.

Nel frattempo a Firenze si era scatenata la peste (sì, in quei giorni non si facevano mancare proprio niente, ogni giorno una novità!) e Cosimo e la sua famiglia si stavano preparando a partire per trasferirsi nella loro villa di campagna con la speranza di sfuggire al contagio.

Giovanni scelse proprio quella sera per fare la sua domanda indiscreta al Medici.

“Messer Cosimo, sono giorni che mi tormento per una cosa che mi è stata detta, una cosa che non riesco a credere sia vera perché vi conosco e vi stimo come uomo avveduto e corretto, che mi ha accolto con grande generosità pur non conoscendomi. Eppure questa storia mi fa pensare e ripensare e non so…” esordì il ragazzo. Un altro, al suo posto, sarebbe stato imbarazzato, insicuro, ma Giovanni degli Uberti? Per niente!

“Va bene, dimmi pure che cosa ti angustia tanto e cercherò di aiutarti” rispose Cosimo, incuriosito.

“Vi prego di non fraintendermi, ma io devo capire” riprese Giovanni. “Cos’è successo tra voi e Messer Albizzi quando eravate ragazzi? E’ vero che vostro padre ha cercato di rovinare la sua famiglia?”

“Questa storia te l’ha raccontata Albizzi, non è così?” fece l’uomo, rabbuiandosi. Si chiese anche, per inciso, come Rinaldo avesse trovato il tempo e il modo di mettere in testa al ragazzino quell’idea… ma, evidentemente, le sue vie erano infinite come quelle di Nostro Signore!

“Mi ha detto soltanto che non dovevo fidarmi di voi, che non farete niente per aiutare la mia famiglia perché, anzi, voi Medici siete capaci solo di distruggerle, le famiglie. E di chiedere a voi per saperne di più. E io appunto mi sono chiesto se vostro padre potesse aver agito scorrettamente con gli Albizzi, se potesse aver fatto qualcosa di così meschino, così come i Donati fecero con la mia famiglia. Voi lo capite che io questa cosa devo saperla, vero?” e sì, si capiva benissimo che per Giovanni la faccenda stava diventando fin troppo personale.

“Purtroppo quello che Albizzi ti ha detto è vero” ammise Cosimo, con lo sguardo perso nei suoi pensieri. “Vent’anni fa io e lui eravamo diventati amici, tanto che Rinaldo mi parlò di un affare importante che la sua famiglia aveva per le mani, chiedendomi un parere da amico. Si fidava di me, voleva un mio consiglio…”

Si vedeva proprio quanto il ricordo di quella storia tormentasse ancora il Medici.

“Mio padre iniziò a farmi tante domande su Rinaldo e sugli affari della sua famiglia, fino a spingermi a raccontargli tutto” riprese, affranto. “A quel punto lui usò le informazioni che aveva avuto da me per mandare a monte l’affare degli Albizzi, fargli perdere molti soldi e farli estromettere dalla Signoria. So che il vero responsabile di tutto ciò è mio padre, ma io penso tuttora che non avrei dovuto farmi manipolare così da lui, fui un ingenuo… e Rinaldo non me l’ha mai perdonato. Tutto il male che sta cercando di fare ora alla mia famiglia e i disordini che crea in Firenze, alla fine, nascono da questo e io non posso non sentirmene in parte colpevole.”

Giovanni era pensieroso.

“Sì, posso comprendere il rancore di Messer Albizzi. In effetti quello che vostro padre ha fatto è stata, con il dovuto rispetto, una gran carognata” commentò con la consueta schiettezza che molto spesso sconfinava nella sfacciataggine. “Comunque mi rincuora sentire che voi non volevate affatto danneggiare quella famiglia e che, quindi, ho avuto ragione a fidarmi di voi fin dal principio. Mio padre faceva bene a credere in voi e ad ammirarvi.”

Cosimo sorrise. La disamina di Giovanni lo faceva sembrare più maturo della sua età, aveva saputo comprendere la situazione e viverla dal punto di vista di entrambe le parti, in modo equilibrato. Sicuramente questo gli veniva dai saggi insegnamenti di suo padre e suo nonno, che lo avevano cresciuto nel culto della famiglia Uberti e dell’antenato Farinata. Il Medici cominciò a pensare a un progetto, ancora piuttosto vago nella sua mente, ma abbastanza forte da insediarvisi: e se avesse cercato di sfruttare la capacità di empatia di Giovanni per ricucire lo strappo tra lui e Rinaldo? Forse l’intervento di una persona estranea ai fatti e tuttavia in grado di provare solidarietà per entrambi avrebbe potuto migliorare le cose e questo sarebbe stato un grande guadagno anche per Firenze, che di certo non aveva bisogno di lotte intestine (no, aveva già abbastanza guai per conto suo…).

“Ti ringrazio, Giovanni. Mi rimprovero spesso di essere stato troppo fiducioso e non riesco a perdonarmi per essermi fatto usare da mio padre, penso che avrei potuto fare di più, ma ora le tue parole mi fanno capire che potrebbe esserci un’altra strada per risolvere questa ostilità e riportare la pace a Firenze” concluse Cosimo, senza meglio precisare quale potesse essere questa altra strada.

Giovanni, però, non se ne preoccupò minimamente perché, con tutta evidenza, non pensava che la cosa lo coinvolgesse più di tanto. Era invece contento di poter contare sul Medici e di aver avuto risposta a quegli interrogativi che lo avevano tanto turbato. Per lui la cosa finiva lì.

Che ingenuo!

Il giorno dopo, la famiglia Medici partì per la campagna, mentre Giovanni e Marco Bello, il servitore personale di Cosimo (e sicario a tempo perso…), scelsero di restare a Palazzo Medici per monitorare la situazione. In realtà, il problema principale era monitorare Albizzi.

L’uomo aveva deciso di approfittare dell’assenza dei Medici da Firenze per mettere a segno alcuni colpi che gli permettessero di rovinarli. Aveva iniziato con l’accusare Cosimo durante un Consiglio dei Priori, sottolineando che stava sprecando le risorse della città per l’edificazione di quell’inutile cupola e che, tanto per cambiare, era un usuraio e non aveva il diritto di far parte della Signoria. Il Gonfaloniere Guadagni, però, che aveva sentito quel discorso già un milione di volte, aveva respinto tutte le accuse al mittente, lasciando Albizzi alquanto indispettito.

Vista l’impossibilità di convincere il Gonfaloniere e i Priori, Albizzi aveva avuto la brillante idea di andare direttamente sulla scena del crimine, ossia nella Cattedrale dove gli operai stavano continuando a costruire la cupola che ormai, a quanto sembra, vedeva come una nemica personale.

“La Signoria non fa nulla” pontificava davanti a tutti coloro che erano disposti a starlo a sentire, ancora parecchio alterato perché, appunto, il Gonfaloniere gli aveva risposto picche. “Non ha a cuore gli interessi del popolo di Firenze e preferisce proteggere il tiranno che ha scatenato questa peste sulla nostra città. Cosimo dice che la cupola è per Dio, ma in realtà è chiaro che è per lui, che sta cercando di comprare Dio esattamente come compra gli uomini.”

Gli operai avevano interrotto i lavori e stavano a guardarlo e ad ascoltarlo, qualcuno pure coinvolto, altri probabilmente si chiedevano se questo non si fosse messo in testa di essere il nuovo Messia.

“Cosimo finanzia con l’usura questa atrocità” continuò, riferendosi alla cupola. Beh, sarebbe rimasto male se avesse saputo che, nei secoli a venire, la cupola del Brunelleschi da lui definita atrocità sarebbe diventata meta ambita per i turisti di tutto il mondo… “Io vi imploro, gettate a terra i muri di questa empia cupola, denunciate Cosimo de’ Medici davanti a Dio e Dio vi salverà da questa piaga. Io stesso sfamerò e pagherò ogni uomo che lo farà!”

Rinaldo Albizzi non sapeva di avere due ospiti indesiderati in mezzo agli spettatori del suo show così ispirato, tipo predicatore di qualche setta: uno era Marco Bello che, avendo ascoltato abbastanza, si affrettò a raggiungere Cosimo nella villa di campagna per avvertirlo delle manovre del rivale.

L’altro era Giovanni.

Giovanni, che aveva le sue ragioni personalissime per volere l’edificazione della cupola e che sembrava aver preso gusto a contraddire pubblicamente Rinaldo Albizzi ogni volta che si imbatteva in lui, nemmeno fosse diventata la missione della sua vita.

Quando decise che la misura era colma, sbucò fuori dal gruppo di operai in mezzo ai quali si trovava e, con un’invidiabile disinvoltura, si rivolse alla folla di gente proprio come aveva fatto Rinaldo fino a pochi attimi prima.

“Cittadini di Firenze” esordì con una certa qual teatralità, probabilmente messa su appositamente per ridicolizzare l’enfasi di Albizzi, “vi sembra normale che la nostra patria sia priva di un Duomo di grande importanza, come invece hanno altre città come Milano o Roma? Questa Cattedrale è un capolavoro e potrebbe essere il vanto e il prestigio della Repubblica… ma non potrà esserlo finché non sarà consacrata, e non potrà essere consacrata se manca la cupola.”

Il ragionamento di Giovanni non faceva una piega, sebbene mancasse dei toni drammatici e dell’atmosfera apocalittica del discorso di Rinaldo Albizzi, e parecchi operai distolsero lo sguardo dall’uno per posarlo sul ragazzo giunto così inaspettatamente alla ribalta.

“Messer Albizzi dice che questa cupola è maledetta e che per questo Dio ci ha mandato la peste” obiettò un tale, a quanto sembrava particolarmente suggestionabile.

Giovanni assottigliò lo sguardo. Quello era un punto sul quale non intendeva transigere.

“Io diffido già per principio di tutti coloro che si arrogano il diritto di parlare per conto di Dio” replicò senza tanti giri di parole. “Io discendo dagli Uberti e la mia famiglia è stata calunniata e poi cacciata da Firenze per false accuse di eresia, messe in giro da altre famiglie nobili che erano invidiose del potere e del prestigio dei miei antenati. Nessuno può essere tanto presuntuoso da sentirsi il portavoce di Dio, a meno che quel qualcuno non sia Mosè o Abramo o qualcun altro dei Profeti, intendo!”

A quelle parole, diversi tra gli operai iniziarono a sghignazzare: in effetti Albizzi, durante il suo discorso, aveva tutta l’aria di Mosè quando alza il bastone e separa le acque del Mar Rosso…

Rinaldo era rimasto impietrito per qualche minuto. Non poteva essere. Quel ragazzino stava diventando il suo incubo peggiore. E, oltretutto, adesso si permetteva pure di ridicolizzarlo davanti alla gente di Firenze?

Eppure c’era qualcosa in quel ragazzo, qualcosa che lo attirava, forse proprio quel suo carattere impertinente e arrogante, quella sua spavalderia e spregiudicatezza che un uomo come lui non poteva fare a meno di ammirare e che gli risvegliava degli strani impulsi, che andavano dallo strangolarlo con le sue proprie mani al fargli molte altre cose che, per decenza, non starò ad elencare…

Così la sua reazione fu veemente in tutti i sensi.

“Adesso mi hai veramente seccato, tu!” esclamò, afferrandolo per un braccio e trascinandolo fuori dal Duomo senza troppe storie. S’infilò nel primo vicoletto deserto che trovò, imprigionò Giovanni contro il muro e… e lo baciò con un’intensità e una forza che non si sarebbe mai immaginato nemmeno lui.

Quando, finalmente, lo lasciò andare, si sentì pure in dovere di spiegare quell’atto impulsivo a un Giovanni per una volta rimasto davvero senza parole (e che non aveva ancora nemmeno capito bene la dinamica degli avvenimenti!).

“A quanto pare ho trovato il modo per farti stare zitto” disse, mentre il ragazzo lo fissava con un paio d’occhi sgranati, pensando con ogni evidenza che l’uomo avesse perso totalmente la ragione. “Ti diverti tanto a sfidarmi, eh? Ma non è nel tuo interesse, te l’ho già detto. Non hai capito che solo io ti posso aiutare a riabilitare il nome della tua famiglia? Non aspettarti che quell’usuraio di Cosimo possa fare qualcosa per te, lui è capace soltanto di usarle, le persone.”

“Gli ho parlato di quella storia che mi avete raccontato, Messer Albizzi, e lui mi ha spiegato come sono andate realmente le cose” replicò Giovanni che, nonostante tutto, non poteva restarsene zitto più di tanto. “Quello che ha fatto il padre di Messer Cosimo è una carognata bella e buona, ma lui non ha colpe, è stato raggirato e usato. E io capisco benissimo come vi sentite, la mia famiglia ha sperimentato inganno e tradimento sulla sua propria pelle, ma Messer Cosimo non è quel vigliacco di suo padre.”

Suo malgrado, ad Albizzi scappò un sorrisetto.

“Immagino che tu non ti sia fatto scrupoli a dire in faccia a Cosimo quello che pensi di suo padre” commentò, divertito. “Carogna, vigliacco… confesso che mi sarebbe piaciuto essere presente.”

“Certo che gliel’ho detto, non penserete mica di avere l’esclusiva, non me la prendo con voi per partito preso, solo quando dite qualcosa di irragionevole e questo, purtroppo, capita spesso ma…”

“Non un’altra parola, ragazzino impertinente. Per oggi sono stato fin troppo paziente con te e ti assicuro che non è la mia dote migliore” lo interruppe Albizzi.

“Ah, su questo non ho dubbi” scappò detto a Giovanni, che però si bloccò subito quando vide lo sguardo truce dell’uomo posarsi su di lui. Era vero, quel giorno aveva sfidato fin troppo la sorte!

E il vero problema era che non aveva la minima idea di ciò che quella sua sfacciataggine suscitava in Rinaldo Albizzi…

“Ad ogni modo, ti ripeto che non puoi fidarti di quel Medici” riprese l’uomo. “Se veramente vuoi che il nome della tua famiglia venga riabilitato, devi appoggiare me. Sarebbe la scelta più logica in ogni senso, cos’ha a che spartire un Uberti con una famiglia di lanaioli del Mugello? Le famiglie nobili devono stare unite per non perdere il predominio su Firenze a favore di questi arricchiti senza morale!”

“Uniti come i Donati con gli Uberti?” obiettò Giovanni. Beh, qualche sassolino dalle scarpe se lo voleva togliere anche lui…

“Io non sono un Donati, ragazzo, questo tienilo bene a mente. E, tanto perché tu lo sappia, la casata dei Donati e quella degli Albizzi non sono mai andate molto d’accordo, per usare un eufemismo” ribatté Rinaldo. “Te l’ho già detto e te lo ripeto: rifletti bene a proposito del partito da appoggiare, e poi torna a cercarmi quando avrai fatto la scelta giusta.”

Detto questo, Albizzi girò i tacchi e se ne andò.

Santa pace, ma a Firenze bisogna per forza stare dalla parte di qualcuno? Io voglio soltanto riabilitare il nome della mia famiglia, pensò Giovanni, guardandolo andar via.

Era sempre, sempre più confuso…

Fine capitolo terzo

 

 

 

 

 

 

   
 
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