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Autore: Mary P_Stark    27/05/2019    2 recensioni
Clearwater, Canada. 2018.
Il pellegrinaggio forzato di Irish Walsh ha una battuta di arresto a causa di un banale pneumatico forato. Ma, grazie a questo incidente - o al destino -, ciò le permetterà di scoprire particolari di un passato che non conosce e di una vita che non ha voluto ma che le è stata imposta da mani disattente.
Clearwater sarà il punto d'inizio di un viaggio di ri-scoperta di se stessa e delle sue radici ancestrali e, grazie ad altri come lei, depositari dell'antico sangue di Fenrir, i misteri di un passato comune e antico avranno finalmente una risoluzione.
Niente però avviene con facilità, e lunghe ombre si addenseranno su di loro, complicando un cammino di per sé già impervio. Starà ad Iris e ai suoi nuovi compagni di viaggio, riuscire a fare in modo che nulla interferisca con la scoperta della verità. - Segue le storie de La Trilogia della Luna
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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16.

 

 

 

 

Fenrir, Avya, Sköll, Hati, Tyr e, dulcis in fundo, niente meno che Odino.

Era davvero una discreta schiera di esseri più o meno mitologici, con cui avere a che fare, e sapere che ogni spirito viveva all’interno di un licantropo – con l’eccezione di Odino, che era nel corpo di un berserkr – era di per sé un colpo in più al cuore.

Come se non bastasse, da alcuni anni erano divenuti amici anche di diverse creature marine appartenenti al perduto popolo di Vanaheimr, salvatosi dalla distruzione millenni addietro e trasferitosi sulla Terra per vivere sul fondo del mare.

Fomoriani. Brianna li aveva chiamati con quel nome e, quando Iris si era gettata su Wikipedia per dare sfogo alla sua sete di sapere, aveva scoperto cose che, presto o tardi, avrebbero rischiesto ulteriori domande.

Ma tutto questo avrebbe dovuto trovare spazio in un secondo momento. Quello a cui doveva pensare, innanzitutto, era comprendere – e accettare – ciò che le era stato detto sul suo popolo. Solo in seguito avrebbe pensato alle altre creature bizzarre che popolavano la terra.

A ogni buon conto, telefonò allo zio per metterlo al corrente della buona riuscita del loro viaggio, e questo non fece che rendere la sua famiglia ancor più felice.

Il fatto di poter condividere con loro il suo segreto era fonte di soddisfazione e di una nuova, più salda unione con loro. Conoscere – almeno in parte – i nuovi sviluppi, inoltre, era qualcosa che li rendeva maggiormente un’unica entità come forse, in passato, non erano mai realmente stati.

Questo, però, rendeva sempre più difficili le cose a Iris, poiché era l’altra sua famiglia, a cui pensava, quando parlava di un futuro più sereno assieme ai suoi zii.

Anche per questo, con l’avvicinarsi del plenilunio, la sua mente si arrabattò sempre più per trovare nuovi sistemi per non affondare nella preoccupazione più nera.

Sembrava però che nulla, a parte mangiare, potesse distoglierla da ciò che sarebbe ben presto avvenuto.

Per lo meno, grazie a Gretchen e Brianna, il loro gruppo di licantropi inesperti finalmente scoprì la dieta ideale di un mannaro, e questo fece senz’altro la differenza, per i loro appetiti sempre messi alla prova.

Parlando con Brianna della sua recente operazione, Iris e i suoi amici scoprirono quindi i metodi più sicuri per intervenire su una ferita di quel genere, o su quelle procurate da pallottole in argento.

Ricevettero inoltre la conferma che l’argento era non soltanto pericoloso, ma anche mortale, se ingerito o somministrato endovena, ma era utile ai medici – sotto forma di strumenti operatori – in caso di un’operazione.

Tutto ciò permise al gruppo di Iris di potersi preparare adeguatamente per il loro prossimo rientro in patria. Una volta rientrati in patria, sarebbero stati nuovamente senza guide, ma ora avevano la certezza di potersi appoggiare a nuovi amici, se necessario.

Il solo pensiero di avere un’alternativa ad azioni cruente come era stato necessario attuare su Iris, confortò tutti, e non poco.

Ciò che Gunnar aveva fatto non sarebbe stato possibile per nessun altro di loro, e sapere come comportarsi in caso di incidente avrebbe potuto risultare vitale, in futuro.

Imparare a essere un buon licantropo permise quindi a Iris di ristabilirsi più in fretta del pensabile e, sotto gli occhi di tutti, la sua carnagione pallida ed emaciata scomparve nel breve decorrere di una settimana.

Grazie al nuovo regime alimentare più equilibrato, Iris poté guardarsi ben presto con soddisfazione allo specchio, denotando quanto gli abiti avessero iniziato a starle stretti.

Era forse una delle pochissime donne a gioire di quel particolare.

Al decimo giorno di permanenza a Londra, quindi, si impegnò di buona lena per trovare qualcosa che riempisse le sue nuove forme e, carica di aspettative, si recò in diversi negozi per fare spese.

Molte ore dopo, e sovraccarica di borse dopo il suo raid per negozi, ragginse infine l’appartamento che, tanto gentilmente, Gretchen e Joshua avevano trovato loro per quel breve soggiorno londinese.

Quella passeggiata per negozi le aveva fatto bene e, per qualche ora, era riuscita a sentirsi libera dagli incubi che la tenevano sveglia la notte.

Desiderava con tutto il cuore smettere di pensare alle possibili complicanze che, la scelta di Dev, avrebbe potuto avere sulla sua vita e, più di tutto, non voleva costringersi a scegliere in quel momento tra Clearwater e L.A.

Quando, perciò, rientrò in appartamento, lo fece con un sorriso che sperò essere convincente.

Il fatto di non trovare nessuno, a parte Dev, la lasciò un po’ perplessa e, nel richiudersi la porta alle spalle, domandò: «Ciao… ma gli altri dove sono?»

«Usciti con lady Fenrir e soci. Non volevo che arrivassi e non trovassi nessuno ad aspettarti, così…» asserì lui con una scrollatina di spalle, impegnato a fare zapping alla TV.

L’attimo seguente spense, si alzò dal divano e finalmente la guardò. A quel punto, aggrottò la fronte, le si avvicinò con fare sospettoso e ordinò: «Molla le borse, sottiletta.»

Lei sbatté le palpebre con aria esasperata ma lo accontentò. Le borse non fecero in tempo a toccare terra che Dev le prese i polsi, le sollevò le braccia e, come un bravo ballerino, le fece fare una piroetta su se stessa che la fece sospirare di pura sorpresa.

«Ma che ti prende?»

Devereux si accigliò ancora di più, le sfiorò le guance pizzicottandole leggermente e infine borbottò: «Sei ingrassata!»

Iris non poté impedirselo. Scoppiò a ridere di gusto e assentì, replicando divertita: «Dodici chili. Ora, sono più o meno al peso forma.»

Incredibilmente, Dev si esibì in un largo sorriso pieno di soddisfazione, neanche il merito di quel risultato dipendesse da lui e, suo malgrado, Iris non poté che esserne felice.

E irritata al tempo stesso.

Come poteva decidere che farne della sua vita, se lui si comportava così?

«Molto, molto bene. Ora dovrò cambiarti soprannome, perché sottiletta non va più bene. Dovevo avere davvero la testa da un’altra parte, per non accorgermi di lui» ironizzò Dev, indicandole il fondoschiena.

Iris allora ghignò, replicando: «Te l’ho detto che avresti pianto, nel vederlo al suo meglio. Perciò, perché non stai piangendo?»

«Prendo i fazzoletti, aspetta un attimo» ironizzò allora lui, prima di tornare del tutto serio e aggiungere: «Sembri davvero in salute, lo ammetto. Per un po’, mi avevi davvero preoccupato.»

«Non avresti dovuto stare in ansia per me, ma grazie per la premura» mormorò lei. «Anche mio zio è felice di non vedermi più gli zigomi spuntare dalle guance.»

Quell’accenno alla vita di Iris lasciata in sospeso a L.A. fece aggrottare la fronte a Dev che, infilate le mani nelle tasche, borbottò: «Immagino che i tuoi zii e le tue cugine siano ansiosi di rivederti.»

«Abbastanza» ammise Iris, salvata in corner da ulteriori spiegazioni dallo squillo del suo cellulare. Affrontare proprio con lui quell’argomento, era davvero l’ultima delle cose che desiderava.

Scusandosi con Dev, lo afferrò per rispondere e, quando udì la voce di Helen, la primogenita di zio Richard e zia Rachel, esalò: «Ehi, ciao! Qual buon vento?»

«Vento londinese, direi. Piuttosto fastidioso e umido, se devo essere sincera, nonostante siamo a giugno inoltrato. Londra in questo periodo è un po’ inospitale, per me che sono abituata al clima secco di L.A.» chiosò la donna sorprendendo Iris, che sbatté le palpebre con aria stranita.

«Che… intendi dire, scusa?» boccheggiò Iris, incredula.

«Che sono nella City, ecco cosa. Ho una serie di appuntamenti fino a venerdì, perciò sarebbe carino se ci vedessimo, visto che siamo entrambe a casa della regina, ti pare?» le propose Helen, con il suo classico tono pratico e tranquillo. In questo, somigliava in tutto e per tutto a suo padre.

Ancora, Iris faticò a comprendere e, più gentilmente, la cugina aggiunse: «Il mio Studio mi ha spedita qui da circa due settimane, ma papà ha pensato bene di dirmi soltanto ieri che eri qui anche tu. A volte, credo lavori troppo… o faccia troppo binge-watching su Netflix, decidi tu.»

Iris rise nonostante tutto, ben sapendo quanto zio Richard fosse un appassionato di serie TV e, con calore, disse: «Sarebbe bello vederti. Dove ti trovo?»

«Ne avrò ancora per un’oretta, per cui possiamo trovarci davanti al Temple Bar Memorial tra un’ora e mezza, va bene? Per tua informazione, non ho più i capelli lunghi, ma corti e a caschetto. Per il resto, sono splendida come al solito» la informò Helen, con un pizzico di ironia nella voce.

«Su questo non avevo dubbi. Oh, ti ho anche trovato una giovane fan. Una ragazzina che ama parlare di verdure e serre» la mise al corrente Iris.

Helen, allora, esalò: «Devo conoscerla. Ma prima voglio vedere te. A più tardi.»

Nel chiudere la chiamata, Iris sorrise emozionata e Dev, curioso, le chiese: «Immagino fosse una delle tue cugine, …ma la ragazzina? Parlavi di Chelsey?»

«Sì, di lei.»

Dev fece due più due e sollevò le sopracciglia, asserendo: «Tua cugina Helen. La fanatica dei pranzi in famiglia in cui parla di ortaggi, anche se è un asso in economia.»

Iris si sorprese non poco nello scoprire quanto Dev si ricordasse di quel loro secondo incontro in maniera così particolareggiata e, sorridendo, disse spontaneamente: «E’ a Londra. Perché non vieni a conoscerla?»

A Devereux occorse un solo secondo per annuire, ma Iris preferì non chiedersi perché. Sarebbe stato difficile accettare un’eventuale risposta, di qualsiasi genere essa fosse stata.

***

Il vento che spirava per le vie di Londra era effettivamente piuttosto umido e, in tutta onestà, Iris sentì la mancanza delle brezze frizzanti che spiravano dai monti dell’Alberta.

Era avvilente scoprire come, in quei pochi mesi, Clearwater le fosse entrata dentro, e non soltanto per i motivi che ora la facevano stare sveglia la notte. Il paese stesso stava cospirando per attirarla a sé, al pari di una sirena coi marinai incauti.

La quiete del luogo, unita alle bellezze naturali che la circondavano, le mancavano quasi quanto il profumo del mare che poteva avvertire dal suo appartamento a Venice Beach. Il punto era un altro, in fondo; dove si sarebbe trovata meglio, a quel punto?

Scacciando quei pensieri molesti quando, in compagnia di Devereux, raggiunse il Temple Bar Memorial, Iris scrutò la folla in cerca della figura di Helen.

L’ultima volta che l’aveva incontrata di persona era stato al funerale dei suoi genitori; la ricordava in lacrime, ma ferma e pronta a sostenerla in tutto.

Non aveva potuto salutarla, quando era partita per il suo viaggio, poiché Helen si era trovata a Sacramento per lavoro ma, nel corso dei mesi, aveva intrattenuto con lei una corrispondenza piuttosto assidua tramite e-mail e telefono.

Per quanto, tra di loro, vi fossero meno di due anni di differenza, Helen si era sempre dimostrata molto più matura di lei e, dopo la morte dei suoi genitori, aveva tentato di essere per Iris come una madre surrogata, al pari di zia Rachel.

Buffo come, in quel momento, si sentisse più vecchia di secoli, rispetto a Helen.

Quegli ultimi giorni erano stati assai duri, dal punto di vista psicologico e, più si approssimava la potenziale fine del viaggio, più aveva timore di avvicinarvisi.

Una volta che Devereux si fosse trasformato in un licantropo, lei non avrebbe più avuto motivi per rimanere assieme ai suoi amici, avendo raggiunto il traguardo per cui era partita.

Scoprire chi era.

Avrebbe potuto rientrare a L.A. per essere accolta dall’abbraccio della sua famiglia e, da lì, avrebbe potuto ripartire per una nuova vita.

Già, ma sarebbe stata sola. Per quanto amasse i suoi zii e le sue cugine, non avrebbe avuto nessun licantropo accanto a sé ma, soprattutto, non avrebbe avuto loro.

Lanciata un’occhiata a Devereux, che in quel momento stava studiando una coppia di ragazzini alle prese con i loro cellulari – talmente distratti da rischiare di inciampare nel marciapiede – Iris si corresse e ammise che, più di tutti, le sarebbe mancato lui.

Era assurdo fare finta che non fosse così. Che la cosa non avesse alcuno sbocco a lieto fine, inoltre, era altrettanto evidente.

«Iris!»

La voce inconfondibile di Helen la strappò a quei lugubri pensieri e, seguendo quel suono a lei così familiare, Iris si volse a mezzo per poi sorridere a una donna piccola e formosa.

La bruna chioma di Helen era perfettamente in ordine, resa però sbarazzina da una ciocca bionda sul lato destro del viso. Il taglio era a caschetto, esattamente come la cugina le aveva detto al telefono, e incorniciavano un viso da eterna ragazzina, che non dimostrava affatto i suoi trentun anni di età.

Di colpo, quei due anni di lontananza le piombarono addosso come un macigno e calde lacrime le solcarono il viso mentre in pochi, rapidi passi, Iris annullava la distanza tra di loro per stringerla a sé.

Abbracciandola stretta, ma senza forzare troppo per non farle male, Iris ne assaporò il buon profumo e il calore, esalando commossa: «Oddio, Helen! Che bello vederti! Non sai quanto tu mi sia mancata!»

«Dio, tesoro… tu sei sempre splendida. Ma guarda come ti si sono allungati i capelli! Stentavo a riconoscerti» replicò Helen, scostandosi da lei per carezzarle il viso.

A quel punto, però, si accigliò e le domandò turbata: «Tesoro, hai la febbre, per caso? Stai male? Sei bollente

Iris sorrise e scosse il capo, replicando con un risolino: «E’ la mia temperatura normale, adesso.»

Helen sgranò per un momento gli occhi, prima di sorridere divertita e chiosare: «Beh, non avrai più bisogno di tre paia di maglioni, alla tua prossima gita ad Aspen.»

«In effetti, no» ammise lei, rammentando con dolore le loro settimane bianche passate con le rispettive famiglie.

Si era divertita un mondo, in quegli anni, e pensare che non avrebbero più potuto viverle assieme l’aveva fatta soffrire. Tutt’ora adesso, il solo sentirne parlare la faceva sentire sola.

Era egoistico anche il solo pensarlo, poiché sapeva benissimo di non essere affatto sola, ma ricordi come quello le facevano sentire tremendamente la mancanza dei suoi genitori.

Fu come sempre Helen a salvarla da una crisi e, pur se inconsapevolmente, la strappò a quei pensieri domandando maliziosa: «Ti sei fidanzata e non me l’hai detto, Iris?»

La giovane divenne paonazza al solo sentir parlare di fidanzati e Dev, tossicchiando imbarazzato, allungò una mano e disse: «Sono Devereux Saint Clair, un amico di Iris. Molto piacere.»

«Helen Wallace, sua cugina. Piacere mio» replicò la donna, sorridendo nello stringere la mano di Devereux.

Ritrovando un minimo di contegno, Iris riuscì a dire: «E’ un amico che ho conosciuto a Clearwater, dove ho incontrato un’altra persona come me. La ragazzina di cui ti parlavo è sua figlia.»

«Oh… mi scusi, signor Saint Clair. La mia battuta è stata davvero inopportuna» si affrettò a dire Helen, contrita.

Dev scosse una mano, replicando con tono tranquillo: «Nessun problema. Non c’è nessuna signora Saint Clair che si possa arrabbiare. Mi chiami pure Devereux, comunque.»

«Bene, allora io sarò solo Helen. E adesso, se non vi spiace, vorrei trovare un posticino adatto per chiacchierare indisturbati. Ho due anni di arretrati, con questa signorina e, anche se siamo sempre state in contatto, parlare a quattr’occhi non ha prezzo» dichiarò la donna, sorridendo a Iris con fare cospiratorio.

Dev assentì e si accodò alle due donne che, con passo tranquillo, si incamminarono lungo il marciapiede, chiacchierando come se si fossero lasciate da due giorni, e non da due anni.

La loro affinità tornò subito a galla e il solco presente nell’animo di Iris si andò via via allargando, man mano che l’affetto per Helen – e ciò che rappresentava – le scaldava il cuore.

Stare vicino alla cugina come, ormai da tempo, non le era più capitato di poter fare, fece emergere con prepotenza una dualità di sentimenti contrastanti quanto dolenti.

Aveva sentito la sua mancanza – e tutto ciò che essa comportava – e stentava a capire come avrebbe potuto prendere una decisione basilare per la sua vita, dopo quell’incontro inaspettato.

Se l’avessero legata su una ruota della tortura, sarebbe stato più facile sopravvivere, probabilmente.

«Ecco, questo va benissimo» dichiarò a un certo punto Helen, avventurandosi all’interno del Temple Brew House.

Lievemente sorpresa per la scelta – Helen era vestita come un manager di successo, con tanto di tacco chilometrico e trucco perfetto – Iris fissò costernata il pub dalle linee rustiche e l’aria da vecchio country inglese, e borbottò: «Ma sei sicura?»

«La birra è buona, cucciola, e c’è dell’ottima musica» le disse Helen, dimostrando di essere stata in quel posto più di una volta e, probabilmente, in compagnia.

In effetti, non appena furono all’interno, Iris poté apprezzare il gradevole profumo di spezie e carne, oltre all’inconfondibile aroma luppolato delle birre.

La musica non era così alta da darle fastidio e, cosa più importante, il locale non appariva soltanto pulito, ma era pulito e, per i suoi recettori olfattivi, fu una manna dal cielo.

Pur se stava imparando a non fare caso a molto di ciò che avvertiva, l’odore rancido di certi locali la faceva ancora star male, ed era bello trovarsi in un luogo dove, invece, regnava l’igiene.

Sedutisi a un tavolo d’angolo, ben lontani dagli avventori presenti in quel momento, Helen prese un menù per scorrerlo velocemente con lo sguardo e, a mezza voce, disse: «Qui staremo tranquilli e, se avete almeno la metà della fame che ho io, potrete mangiare la miglior tagliata di Angus Irlandese che abbiate mai assaggiato.»

«Prendila» disse subito Dev, rivolto a Iris, che sorrise divertita.

Helen, allora, fissò confusa la cugina e domandò: «Sei diventata una carnivora compulsiva?»

«E’ il mio metabolismo accelerato. Ho bisogno di molte proteine animali e, subito dopo, di molti carboidrati. Ma, prima di tutto, carne o pesce, altrimenti non riesco ad assimilare gli zuccheri complessi» le spiegò Iris con un sorrisino.

La cugina sospirò afflitta e, tastandosi un fianco ammorbidito da qualche chilo di troppo, esalò: «Averlo io, il metabolismo accelerato!»

«Sei bellissima così» sottolineò Iris, scuotendo il capo.

Il cellulare di Devereux scelse quel momento per suonare e, quando l’uomo vide chi era all’altro capo, storse la bocca, passò il telefono a Iris e borbottò: «Parlaci tu. Sono stanco di sentire le lagnanze di mia madre.»

«Ma Dev… è ovvio che sia preoccupata! Sua nipote è oltreoceano!» brontolò lei, pur afferrando il cellulare. «Sei proprio…»

«… una palla da demolizione, lo so, lo so. Ma rispondi tu, grazie. Io, intanto, vado a ordinare, così potrai lagnarti di me senza che io senta nulla» dichiarò lui, levandosi in piedi per andare al bancone del bar.

Iris, allora, scosse il capo con uno sbuffo, accettò la chiamata e disse: «Buongiorno, Bethany. Dev è appena scappato a gambe levate, scusami.»

«Iris cara, buongiorno. Non avevo dubbi che avrebbe delegato la telefonata a qualcuno che non fosse lui. Ho chiamato per tre giorni di fila…» ridacchiò la donna. «Lì, va tutto bene? Come procedono le cose?»

Ben sapendo che Devereux non aveva avvisato neppure i genitori in merito alla sua decisione di diventare un licantropo, Iris si limitò a dire: «I nostri ospiti sono molto gentili e stiamo scoprendo un sacco di cose su ciò che dobbiamo fare, o non fare. Abbiamo anche imparato delle nuove tecniche di primo soccorso, perciò sapremo come affrontare eventuali guai, in futuro.»

«Benissimo, cara. Ciò che hai patito tu è già troppo. Trovo ancora del tutto assurdo che non abbiate voluto denunciare Alyssia per quel suo colpo di testa» protestò Betty, protettiva come sempre. «Sarebbe stato giusto che quella ragazza fosse finita in galera, piuttosto che accettare la parola d’onore del comandante che mai più sarebbe successa una cosa simile.»

Sorridendo calorosamente, Iris replicò: «Al momento, è meglio mantenere un profilo basso, se non bassissimo, e avere Alyssia in galera avrebbe attirato l’attenzione su di me, perciò meglio soprassedere.»

«Beh, comunque, Jordan e Camille sono partiti tre giorni fa assieme ad Alyssia e, da quel che mi ha detto Camille stessa, l’hanno portata in clinica» dichiarò laconica la donna. «Non so quanto potranno fare per quella disgraziata ragazza, ma lei sembrava molto poco fiduciosa. Come è da anni, se è per questo.»

Iris assentì, mormorando: «Mi spiace per loro, ma preferisco saperla lontano da me, onestamente.»

«Quel che è certo è che, se prova a darti di nuovo fastidio, se la vedrà con me» dichiarò lapidaria Bethany.

Quel pensiero così dolce fece tremare di dolore Iris che, tergendosi una lacrima – e attirando così l’attenzione della cugina – disse: «Ne sono sicura. Comunque, appena torniamo in appartamento, ti farò chiamare da Chelsey. Lei sarà felice di sentirti.»

«Di’ a quel caprone di mio figlio di essere educato. A presto, cara» terminò di dire la donna, chiudendo la chiamata.

Iris la salutò e, quando si ritrovò gli occhi inquisitori di Helen puntati addosso, mormorò: «Avanti, spara. Tanto lo so che non mollerai l’osso finché non avrai tutto sott’occhio.»

«Mi spiace, ma si sentiva più che bene, perciò… cosa ti è successo?» domandò leggermente irritata Helen, i suoi occhi blu freddi come la neve.

Dev tornò al tavolo proprio in quel momento e, nel notare l’occhiata omicida di Helen, chiosò: «L’hai già fatta arrabbiare? Complimenti. Sei stata velocissima.»

Iris, allora, lo guardò storta e replicò: «Vuole sapere che mi è successo.»

L’uomo impallidì leggermente, al pensiero di rivangare quel che aveva condotto Iris sull’orlo della morte. Non potendo impedirselo, strinse la mano di Iris poggiata sul tavolo e mormorò: «Evita le scene più cruente. Ho gli incubi ancora adesso.»

Helen si preoccupò non poco nel sentirlo parlare a quel modo e Iris, reclinando un poco la maglia, le mostrò parte della cicatrice sul petto, mormorando: «Hanno dovuto operarmi perché mi hanno sparato… o meglio, hanno sparato a Dev, e io mi sono messa in mezzo.»

Dev accentuò un poco la stretta, a quell’accenno e Helen, sempre più sgomenta, esalò: «Ma… perché?»

«Ho scatenato le ire di una donna pazza, a quanto pare, e tua cugina ha pensato bene di fare Captain America… dimenticando lo scudo, però» cercò di ironizzare Dev, pur non riuscendovi. Il suo viso era divenuto terreo, a ben vedere e Iris, nel notarlo, gli diede un colpetto con la spalla.

«Sono viva, okay? Respira, Dev, altrimenti ti rovini la reputazione di palla da demolizione, se mi svieni qui come una pera cotta» ammiccò lei, sorridendo.

«Giusto, giusto… la mia reputazione va salvaguardata» assentì più volte lui, ghignando in risposta.

Un poco più tranquilla, Iris spiegò succintamente ciò che avevano dovuto farle per poterla operare e Helen, alla fine del racconto, prese un gran respiro e mormorò sgomenta: «Dimmi che ora sapete cosa fare.»

«Sì. Ci hanno spiegato come inibire la nostra parte animale, in modo da poter operare normalmente» assentì Iris. «Ovviamente, spero non ve ne sarà più bisogno, ma è un sollievo saperlo.»

«Capisco perché tu abbia parlato di incubi» dichiarò infine Helen, guardando comprensiva Devereux.

Il loro pranzo arrivò proprio in quel momento e Dev, accogliendo di buon grado le cibarie, esalò: «Al momento giusto. Non c’è niente di meglio del cibo, per scacciare i brutti pensieri.»

«Più che d’accordo» sorrise Helen, osservando compiaciuta la sua tagliata.

Iris non poté che assentire e, inspirando i profumi provenienti dai piaggi, mugolò di puro piacere e socchiuse gli occhi per godersi appieno ogni sensazione.

«Non so dirvi quanto io sia felice, adesso» sussurrò con voce roca.

«Credo di non averti mai visto così… ammaliata dal cibo. Sono i profumi che senti?» domandò Helen, curiosa.

«Sì. Scatenano la produzione di un sacco di endorfine perciò sono molto, molto contenta, ora come ora» dichiarò Iris, affondando coltello e forchetta nella sua Angus.

Helen sorrise divertita ma, quando lanciò un’occhiata a Devereux e notò l’attenzione con cui sbirciava all’indirizzo della cugina, cominciò a porsi qualche domanda, e a chiedersi cosa sarebbe successo in futuro.

***

Rimaste sole nei bagni del locale, Helen osservò turbata la profonda cicatrice che solcava il petto di Iris. Questa iniziava dalla base della sua gola fin sotto l’attaccatura dello sterno.

Sospirando, Helen le rimise a posto la maglietta, mormorando: «E’ davvero peggio di quanto avessi immaginato. E dici che ora tutto questo sarebbe evitabile?»

«Migliorabile» sottolineò Iris. «Rimarrebbe una cicatrice simile a quelle chirurgiche, invece di questo… beh, squarcio

Helen sospirò nuovamente, abbracciandola stretta e, nel darle una pacca sulla schiena, disse: «Rimani sempre bellissima, credimi.»

«Al momento, non sono molto preoccupata per questo» replicò Iris, storcendo il naso.

«Beh, no di certo. Con un uomo come Devereux al tuo fianco, non hai davvero di che preoccuparti» ammiccò Helen, vedendola avvampare per diretta conseguenza.

«Ma perché tutti pensate che ci sia qualcosa, tra di noi?!»

Helen, allora, levò un sopracciglio con evidente scetticismo e ribatté: «Se tutti, e non so a quanto corrisponda nello specifico questo ‘tutti’, lo pensiamo, comincia a chiederti come mai. Iris, davvero non hai notato come lui ti tenga d’occhio? O abbia tenuto d’occhio me

«Cosa?» esalò Iris, facendo tanto d’occhi per la sorpresa.

Scuotendo il capo con esasperazione e divertimento assieme, la cugina mormorò: «Forse mi sbaglierò, ma non penso che sia venuto per proteggerti. Mi sembra che tu sia in grado di stendere decine di uomini anche da sola, ora come ora. Quindi, perché è venuto?»

«Per conoscerti? Perché non aveva voglia di rimanere in casa da solo a cazzeggiare?» brontolò Iris, cocciuta.

«Può essere… ma non potrebbe anche essere perché voleva controllarmi, essere sicuro che fossi una brava cugina?»

«Che intendi dire?» mugugnò sospettosa Iris.

«Lasceresti che, una persona a cui tieni, vada in un luogo dove ce ne sono altre che non le vogliono bene?» sottolineò Helen. «Sa che è tua intenzione tornare, ma vuole anche essere certo che sia la scelta giusta per te, non tanto un obbligo verso di noi

«Stai vaneggiando» sentenziò Iris, scuotendo il capo.

«Va bene, vaneggerò. Che mi dici di te, allora?» le ritorse contro Helen.

Iris si irrigidì visibilmente e disse atona: «Non ho niente da dire. Mi sono trovata bene, a Clearwater, ma tornerò volentieri a casa.»

«Quindi, lascerai tutti i tuoi nuovi amici senza neppure spendere una lacrima?» ironizzò Helen, incredula. «Iris, sei protettiva nei confronti di Devereux tanto quanto lo è lui con te. Da quando in qua ti preoccupi che un uomo non soffra a causa tua?»

«Se intendi dire che prima ero un tantino superficiale, te lo concedo, ma da qui a essere interessata a Devereux, ce ne corre» mentì spudoratamente Iris, sapendo di non farlo neppure troppo bene.

Che senso ha dirle una bugia, Iris?

“Ne riparleremo quando sarai una donna, Gunnar.”

Cioè, mai?

“Esatto. Sei un’amina con un cervello d’eccezione”, ironizzò caustica Iris.

Non vi capisco. Passassero altri diecimila anni, non capirò mai le donne.

“Benvenuto nel club. Credo siano in molti, gli affiliati.”

Poco ma sicuro…

Lasciato perdere Gunnar, Iris si limitò ad aggiungere: «Io e Devereux ne abbiamo passate tante, perciò c’è un’amicizia stretta, tra noi, ma la cosa finisce lì.»

«Se lo vuoi credere…» scrollò le spalle Helen, sorridendole però con l’aria di saperla più lunga di lei. «Non voglio litigare con te dopo anni di forzata separazione. Ora devo rientrare in ufficio ma, se l’occasione sarà propizia, vorrei vedervi tutti prima di ripartire. Chiamami.»

«D’accordo» mormorò Iris, abbracciando la cugina e sapendo di averle appena fatto un grave torto.

Non era ancora davvero pronta a parlare di ciò che circolava nella sua testa.

Uscite che furono dal bagno, trovarono Dev già sulla porta e, quando furono all’esterno, Helen disse loro: «Devo proprio scappare, ma è stato molto bello conoscerti, Devereux. Spero di potervi rivedere entro venerdì.»

«Faremo il possibile» assentì l’uomo, stringendole la mano.

«A presto, cara, e riguardati» disse poi Helen, rivolgendosi a Iris, che assentì.

Non si dissero altro ma, quando Iris guardò la cugina allontanarsi con grazia sui suoi tacchi chilometrici, sentì prepotente il bisogno di raggiungerla per chiederle scusa.

Si trattenne solo a stento e, quando Dev le chiese se andasse tutto bene, si costrinse a sorridere per poi annuire, mentendo quindi anche a lui.

Devereux, però, non se la bevve e, avvolte le spalle della giovane con un braccio, borbottò: «Anche dopo il mio mutamento, se non ti sentirai di ripartire subito, noi di certo non ti cacceremo. Andrai solo se lo vorrai, e quando vorrai.»

Iris assentì, indecisa se apprezzare quel ‘noi’ o detestarlo con tutta se stessa.

***

«… ovviamente non ho fatto nomi, perché non avevo idea di come si debbano svolgere queste cose» terminò di spiegare Iris, mettendo al corrente Brianna e gli altri del suo incontro con la cugina.

Lei assentì pensierosa prima di scrollare le spalle e replicare: «Sei stata cortese a non dire nulla. Di norma, sottoporremmo il candidato a un incontro presso il nostro Luogo di Potere, il Vigrond, perché fosse accettato dal branco ma, poiché il vostro non è ancora un clan a tutti gli effetti, credo che si possa tranquillamente fare un’eccezione alla regola e dire a tua cugina anche di noi.»

«E’ una persona più che fidata, posso assicurarvelo» sottolineò Iris.

«Su questo non mi preoccuperei. Per quanto mi spiaccia ammetterlo, ho le armi a mia disposizione per mettere a tacere chiunque, oltre che la possibilità di cancellare arbitrariamente la memoria di chi potrebbe essere un pericolo per noi» sospirò Brianna, come se la sola idea la ripugnasse. «Stando però a ciò che mi hai detto, non solo la tua famiglia si è dimostrata disponibile e solidale, ma ti supporta appieno, perciò non posso che felicitarmi con te. Casi simili sono assai rari.»

Ciò detto, sorrise a Lance, che ammiccò alla figliastra e disse: «Devi sapere che mia moglie, all’inizio, era umana, oltre a essere la matrigna di Brianna e di suo fratello Gordon. Per questo parliamo di casi rari, ma non impossibili. Il patrigno di Brianna, ed ex marito di mia moglie, era un Cacciatore, e nessuno in famiglia ne era al corrente.»

«Beh, immagino che le stranezze siano all’ordine del giorno, per quelli come noi» esalò sgomenta Iris, sgranando gli occhi per la sorpresa.

«La normalità assoluta» annuì deciso Duncan prima di sorridere a Lucas e aggiungere: «Visto che con la piccola Chelsey abbiamo già testato la cosa oggi pomeriggio, perché non provi le tue nuove potenzialità anche su Iris?»

Chelsey sghignazzò spudoratamente, a quell’accenno e Iris, accigliandosi leggermente, fissò male l’amico e borbottò: «Cos’hai in mente? Mi hai già tagliuzzato come un pesce, perciò pensa prima di agire.»

Lucas, però, la guardò affabile e replicò: «Non sarà nulla di tremendo, ma ammetto che la cosa mi ha divertito molto. Non sapevo di poter fare una cosa del genere.»

«Il che mi fa preoccupare ancora di più» mugugnò Iris.

Lucas si limitò a ridere e, dopo alcuni momenti, disse con un tono di voce secco e freddo: «Stringi le mani tra loro fino a far sbiancare le nocche.»

«Ma che cavolo di…» iniziò col dire Iris, prima di sentirsi costretta a eseguire quello stupido ordine.

Le mani si mossero da sole, prive di qualsiasi volontà e si strinsero tra loro come due morse, facendo sbiancare nocche e dorsi.

Proprio mentre Iris stava per mandare al diavolo l’amico per quello scherzo, Dev si mosse fulmineo verso Lucas per scaricargli addosso un pugno ma lui, lesto, si scostò e annullò l’ordine, bloccando poi l’uomo con una presa alle spalle.

«Cristo, come sei suscettibile, amico! Era solo uno scherzo!» sbottò Lucas, trattenendolo senza sforzo.

«Prevaricare una donna lo definisci scherzo?!» gli sibilò contro Devereux, scuotendosi inutilmente nel tentativo di liberarsi.

«Dev, calmati!» gli urlò allora Iris, liberandosi le mani per poi scrollarle nervosamente.

«Papà, davvero, non è nulla!» intervenne a sua volta Chelsey, guardando poi disperata Duncan.

«Forse avrei dovuto spiegarmi, è evidente» asserì spiacente Fenrir di Matlock, irriso dallo sguardo della moglie, che sembrava saperla lunga. «Devereux, scusami. Non è davvero nulla di intenzionalmente indirizzato a prevaricarla.»

Dev si scrollò di dosso le braccia di Lucas non appena lui lo lasciò andare e, ancora irritato, replicò: «Come lo definiresti, allora, obbligarla a fare qualcosa contro la sua volontà?»

Serio in volto, Duncan replicò: «Un Fenrir deve poter tenere a freno i suoi sottoposti, indipendentemente dal sesso di appartenenza. Si chiama gerarchia, ed è molto simile a quella dei lupi naturali.»

Accigliandosi leggermente, Dev si calmò un poco e borbottò: «E se il capobranco è uno stronzo?»

«Difetti del sistema» ammise Duncan. «In generale, però, la Voce del Comando, ciò che Lucas ha sperimentato prima, serve per l’equilibrio del branco ed è vitale che si eserciti nell’usarla.»

Devereux non disse nulla, ma la sua mascella contratta fece capire perfettamente a tutti quanto, in realtà, avrebbe voluto replicare a quell’uscita.

Senza scusarsi con nessuno, si allontanò quindi per raggiungere la balconata dell’appartamento e Lucas, dopo un attimo, lo seguì.

Rock e Iris, invece, si fissarono contriti e quest’ultima, rivolta ai loro ospiti, disse: «E’ un tantino ruvido nei rapporti sociali. Scusate.»

Chelsey assentì con ampi gesti del capo e dichiarò: «Io mi sono divertita, oggi. Anche se sentivo di essere costretta a fare le cose perché me le diceva Lucas.»

Iris le sorrise, domandandole: «Cosa ti ha fatto fare?»

«Saltare e fare le boccacce» ironizzò Chelsey.

Brianna le sorrise a sua volta, fiera, e aggiunse: «E’ stata davvero brava a sottoporsi così a quegli esperimenti. Di certo, però, Duncan avrebbe dovuto essere più delicato nel sottoporre te allo stesso trattamento, e sotto gli occhi di Devereux. E dire che lo avevo avvisato.»

Iris si accigliò immediatamente, a quell’accenno e, sbuffando, sibilò: «Non ti ci mettere anche tu, Brianna. Non è giornata

Ciò detto, si scusò coi presenti e si allontanò a sua volta, chiudendosi nella sua camera da letto con un gran sbattere di porta e un grugnito a corollario.

Brianna, a quel punto, lanciò un’occhiata a Beverly e chiosò: «E poi mi lamento di Duncan? Guarda cos’ho combinato io

Beverly le sorrise indulgente e replicò: «Sono abituata con il mio Fenrir, perciò so come prenderla. Le parlerò io.»

La wicca sospirò rassegnata, ben sapendo cosa volesse dire Beverly con quella frase, e mugugnò: «Grazie per avermi ricordato le mie similitudini con Alec.»

Bev ridacchiò ma non disse nulla e, dopo un attimo, si diresse verso la camera di Iris, pronta a interpretare il suo ruolo di pacere.

Chelsey, a quel punto, guardò Rock con aria assai confusa e domandò: «Ma che sta prendendo a tutti, stasera?»

«E’ il guaio di essere grandi, tesoro.»

La ragazzina storse il naso e borbottò per diretta conseguenza: «Che bella prospettiva, diventare così.»

Al gruppo non restò altro che scoppiare a ridere, di fronte a una simile uscita.

 

 

 

N.d.A. L'incontro con Helen ha sicuramente colpito Dev, così come il contrario, scatenando le illazioni della prima e i dubbi del secondo. Nel frattempo, Dev ha ulteriore motivo di mettere a nudo parte dei suoi sentimenti "grazie" ai test di Lucas, che sottolineano come sia interessato a Iris, anche se lui si ostina a intendere che non vi sia nulla di sentimentale, in questo interessamento.

Una cosa è certa, quando arriverà la sua mutazione, ci sarà da ridere...


 

  
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