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Autore: ToscaSam    28/05/2019    0 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Natale si avvicinava. Tullia non riusciva più a seguire bene le lezioni. Cartografia le sembrava difficilissima. Non prendeva più il caffè al Macchi. Bruno non le parlava quasi più e l'amicizia con Rocco e Angelo sbiadiva a vista d'occhio.
Al Macchi si erano incontrati con un paio di ragazzi nuovi, di lettere. Si stavano staccando da Tullia e incollandosi sempre di più a questo nuovo gruppo, a lei estraneo. Il nuovo gruppo si era espanso ed era arrivato a comprendere, oltre ai due nuovi amici di lettere, anche i coinquilini di Rocco che studiavano storia: Qedim e Filippo.
Tullia non riusciva più a fraternizzare con loro, non si sentiva più adulta, una donna. Era tornata la ragazzina spaventata e stramba. Non si sentiva frizzante, brillante e apprezzata. Si sentiva estranea e triste.
Era seduta accanto ad Angelo. Paolo non le rispondeva ai messaggi perché era impermalito, di nuovo, per via che Tullia si rifiutava di fare sesso con lui. La stava pressando, in continuazione. Più lui insisteva, meno lei voleva.
I messaggi con doppia spunta, letti e senza risposta la stavano innervosendo tantissimo, così gettò il telefono infondo alla borsa e ascoltò volentieri il discorso che Angelo stava facendo con Bruno:
« … davvero strano. Non credo che mi divertirebbe»
« Io ci ho giocato una volta, ma non sono il tipo»
« Di che parlate?» chiese Tullia rivolgendosi ai due amici con un gran sorriso.
Angelo fu felice di quell'intromissione. Corrispose il sorriso e spiegò:
« Rocco, i suoi coinquilini e i ragazzi di lettere vogliono giocare a Dungeons and Dragons»
« Ah si, l'avevo percepito dai mille messaggi su un gruppo Whatsapp. Cosa sarebbe?»
« Un gioco vintage che andava di moda negli anni Ottanta. È un gioco di ruolo. Si impersona un personaggio creato da te e lo fai muovere in un universo fantasy, seguendo una certa storia»
« Sembra … strano ma anche divertente»
« Rocco si è un po' fogato. Bruno pensa che siano scemenze. Io non penso niente: è un gioco carino da fare una volta, ma non riuscirei mai ad organizzare ritrovi settimanali per fare partite di gruppo»
« È questo che vuol fare Rocco?»
« Si. Si stanno organizzando. Credo che inizieranno a giocare ad anno nuovo … ora ci sono gli esami e le vacanze. Comunque quei due sembrano un po' decerebrati»
« Chi?»
« Filippo e Qedim. Lui è un imbecille e lei è una presuntuosa. Non finisce di ripetere che è miliardaria ma credo sia solo per attirare l'attenzione. Che altre calamite avrebbe? È petulante e nessuno vorrebbe passare il tempo con lei. Magari dice di essere ricca perché così poi la invidiamo»
Tullia rise. Le piaceva la franchezza di Angelo, le era sempre piaciuta. Era uno molto sincero ed erano anime affini. L'aveva già assimilato a un fratello.
« Ti ricordi quando sono andata a prendere il caffè a casa di Rocco?»
« Eccome. Io e Bruno avevamo scommesso se ci provava con te o no»
« Ma davvero?»
« Sicuro, pal. Ma evidentemente abbiamo sbagliato, tu hai preferito l'altro»
Tullia sentì una morsa allo stomaco. Stava quasi per dire che preferiva Rocco a Paolo, quando si ricordò che Paolo era il suo ragazzo.
Angelo si rese conto di averla turbata, quindi disse:
« E insomma, che è successo quella volta? Quando hai preso il caffè»
Tullia gli fu molto grata per non aver insistito a parlare di Paolo. Si fece scappare un sorriso e sussurrò:
« Li ho conosciuti lì, quei due: Filippo e Qedim. Ho subito pensato che fossero un po' decerebrati, come hai detto tu»
« Io credo anche che stiano cercando di battere il Guinness World Record degli urli»
Tullia e Angelo scoppiarono a ridere: proprio in quel momento li raggiunsero i toni strillanti dei coinquilini di Rocco.
« Mia zia che vive ad Atene ha un busto di Senofonte in casa, ma se non le dicevo io chi fosse, lei non l'avrebbe mai scoperto. Per fortuna che studio storia. Pensa un po' che colpo, quando ho rinunciato agli studi alla Normale per venire a studiare storia. Ero iscritta a medicina, poi mi sono ricordata di mia zia che mi vuole lasciare in eredità un attico con vista sul Pireo. Però mi sono buttata su storia contemporanea, perché quella antica è piena di latino e greco ...»
Angelo si accostò all'orecchio di Tullia:
« Ma secondo te è possibile che qualcuno creda a quello che dice?»
Tullia serrò le labbra per non sbellicarsi.
Filippo assentiva, devoto, alle mirabolanti menzogne della sua coinquilina:
« Si, si! La zia greca. Senofonte è quello dell'Ababasi, vero?».
Dio santo, cos'è l'Ababasi? Pensò Tullia. Scoprì che i due avevano iniziato a parlare di Grecia perché stavano ripassando per il compitino di Laboratorio sulle fonti. Il primo modulo da affrontare era quello sulla storia greca, anche Tullia aveva dovuto ripassare testi e autori, vecchie conoscenze del liceo. Decisamente, Senofonte aveva scritto l'Anabasi, non l'Ababasi. Eppure Tullia non sentì lo sdegno com'era stato per il Conte Ugolino o per De André. Filippo era forse ingenuo, ma fondamentalmente buono. I suoi errori facevano sorridere, non indignare.
Seguendo il filo di questo ragionamento, Tullia pensò di nuovo a Paolo e controllò il cellulare: niente.
Visto che non rispose per tutta la mattina, Tullia decise di accompagnare i suoi amici a mensa. Si sentì ribelle e felice di quell'atto: Paolo avrebbe senz'altro dovuto reagire. Le avrebbe dovuto chiedere perché non avevano pranzato insieme, cosa che facevano ogni giorno (sebbene mai da soli) da quando si erano messi insieme.
Il suo stupido silenzio poteva sciogliersi solo con un gesto come questo, pensò Tullia. Così all'ora di pranzo, controllò il telefono un'ultima volta e, poiché non c'era nessuna novità, si avviò alla mensa con gli altri.
Vide la coda dell'occhio di Angelo posarsi su di lei un paio di volte, come se si domandasse quand'è che se ne sarebbe andata. Non lo fece e proseguì con loro fino all'edificio della mensa centrale, poco lontano dalla casa del conte Ugolino.
Rocco notò che Tullia era lì con loro e da quel momento non fece che ronzarle attorno, tutto felice. Le disse:
« È buffo che la mensa sia stata costruita a due passi dalla torre della fame, no?»
Tullia si sentì riavere e rise:
« Si, è molto sadico».
La sua convinzione di essere tornata al mondo dell'inizio dell'università durò soltanto pochi minuti. Rocco fu di nuovo trascinato via dai due tipi di lettere e da Filippo per parlare di Dungeons & Dragons. Bruno prese posto accanto ad Angelo e lo tenne impegnato senza rivolgersi mai a Tullia.
Provò a osservare i due tipi nuovi: uno era rosso, carino, pieno di lentiggini; l'altro era alto, castano con degli spettacolari baffi a manubrio e uno sguardo magnetico. Si divertì un po' a memorizzare le loro facce e ad immaginare come mai fossero diventati amici, poi però si accorse di essere l'unica che non aveva qualcuno con cui parlare.
Era lì, a un tavolo pieno di suoi amici, o forse ex amici, con cui aveva condiviso uno spiraglio di libertà, un trampolino da cui loro si erano lanciati e da cui lei si era tirata indietro.
Rocco, Qedim e Filippo parlavano di elfi druidi e paladini con i due tizi che studiavano lettere. Angelo e Rocco ridevano di barzellette stupide sul telefono.
Lei era sola. Sola con Paolo. Lo doveva fronteggiare anche quando non avrebbe desiderato altro che tenerlo lontano.
Prese il telefono, certa che ci avrebbe trovato almeno un paio di chiamate perse e un messaggio. Quel che ci trovò la fece sconfortare ancora di più: niente. Non ci trovò niente. Paolo non l'aveva cercata.
Si disse, perché dovrei cercarlo io? Se non gli interesso, sono fatti suoi. Decise che non gli avrebbe scritto e che avrebbe aspettato la sua mossa.
Il tempo, quel giorno, volò via velocemente, anche se paradossalmente i minuti furono pesanti come granelli di una gigantesca clessidra.
Tullia non provò quasi nessuna emozione a sedersi al Macchi con la sua vecchia compagnia: nessuno la considerava e per di più era tormentata dalla guerra in corso con Paolo. Stavano forse giocando a tenersi il broncio? Perché faceva il bimbo piccino? Perché non le parlava?
La storia proseguì tutto il giorno, fino alla fine delle lezioni, fino a quando Tullia non rincasò, distrutta, e si buttò sul letto col telefono in mano. Decise di infrangere il proprio voto e di parlare a Paolo per prima.
Sentiva le dita che tremavano e le mani erano pallide e sudate. Aprì l'applicazione dei messaggi e scrisse: “Ehi?”.
Paolo visualizzò il messaggio e rispose poco dopo. Scrisse che stava finendo di mangiare e che guardava la TV. Il tono rilassato di quella risposta la fece innervosire ancora di più.
Gli telefonò.
« Pronto?»
« Non mi hai scritto niente per tutto il giorno»
« Ero a lezione»
« Anche a pranzo?»
« A pranzo ero a mensa»
« Perché non mi hai chiamata?»
« Non ci ho pensato. Che fai stasera? Vieni qui?»
Tullia riagganciò, esausta.
Non c'era stata nessuna guerra. Se l'era solo immaginata. Paolo non le teneva nessun muso. Non l'aveva pensata. Non gli importava niente di lei, non gli era mai passata per la testa nemmeno un secondo, nemmeno quando era scoccata l'ora del pranzo e non si erano messi d'accordo per andare insieme.
Tullia si mise il giubbotto inferocita e si catapultò fuori dalla porta, sulla strada. Diluviava. Non le importava, ormai c'era abituata.
Arrivò a casa di Paolo in venti minuti, fradicia. Lo sapeva già cosa Paolo le avrebbe detto.
« Perché non hai preso l'ombrello?»
detto fatto.
Aveva appena suonato, salito la rampa di scale piena di oggetti strani ed era approdata al pianerottolo dell'appartamento dove viveva Paolo.
« Non mi andava»
« Io così non ti faccio entrare!»
Tullia rise, ma poi capì che Paolo era serio.
La guardò, infuriato:
« Mi sporchi tutto il pavimento! E ora dove lo metto quel giacchetto? Se lo appendo mi fa una pozza nell'ingresso!».
Tullia era a bocca aperta. Rimase sulla soglia, aspettando che Paolo dicesse qualcosa, ma lui rimase lì a fissarla, semplicemente contrariato.
« Che faccio? Torno a casa?» chiese lei, stizzita.
« Levati quel giacchetto. Lo metterò sul riscaldamento. La prossima volta, però Tullia, ragiona un pochino! Sei sempre distratta. Pensa, prima di fare le cose»
« Va bene» concluse infine, esasperata.
Si tolse il giubbotto e lo scaraventò addosso a Paolo, perché glielo mettesse sul radiatore. Lui urlò:
« Ma sei impazzita?!» poverino. Si era ammollato tutto. Maneggiò il giubbotto con due dita, come se fosse radioattivo e lo poggiò sul primo termosifone che non fosse occupato da calzini.
Dopo questa delicata operazione, si diressero in camera. Paolo chiuse la serratura. Il coinquilino era nella sua stanza e non si era degnato di salutare l'ospite.
Paolo si dimenticò della rabbia per il giubbotto zuppo e baciò Tullia con foga. Lei lo respinse.
« Parliamo» gli disse.
« Va bene» fece lui. Tullia odiò quella faccia dagli occhi languidi, le sopracciglia vicinissime e le labbra molli.
Lui si sedette sul letto e le fece cenno di sedersi sulle ginocchia. Era un gesto molto carino, che non gli aveva mai visto fare. Ne fu sorpresa e obbedì.
Una volta che sentì il contatto con le ginocchia ossute, parlò:
« Perché non rispondi ai miei messaggi?»
« Oioi Tullia, te l'ho detto. Non ci ho pensato»
« Non parlo solo di oggi. Dico sempre»
« Non ricordo»
« Allora dimmi con chi eri a pranzo»
« Con Giulia»
Tullia sentì gli occhi bruciare di lacrime:
« E così tu sei andato da solo a mensa con Giulia, senza pensare minimamente a me?»
Paolo disse una cosa che sigillò il cuore di Tullia a doppia mandata.
Disse:
« Sei bellina quando ti arrabbi».
Lei rimase rigida e senza parole. Non riusciva a muoversi, non sapeva come liberarsi dall'abbraccio così insensato di quel ragazzo.
Poi lui le diede un bacio sul collo.
« Basta. Sono stanco di litigare. Ti amo tanto, Tullia»
Tullia non voleva rispondere.
« Possiamo smettere di litigare, per oggi? Facciamo la pace?».
Paolo l'aveva posata sul materasso e le stava schiudendo la bocca a forza di baci.
Tullia riuscì a dire:
« Se anche stasera ti dico di no, ti arrabbierai»
« Io ... non ne posso più! Possiamo fare l'amore? Ti prego»
Tullia si sentì come annebbiata. Una nebbia opaca, dentro tutto il cervello. Era anestetizzata, con la lingua molle e pesante.
« Va bene»
a Paolo si illuminarono gli occhi.
« Sei sicura? Lo vuoi?»
« Si»
« Non voglio farti sentire obbligata. Lo vuoi veramente?»
« Si».
  
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