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Autore: Lost In Donbass    29/05/2019    0 recensioni
Un amore della durata di un'estate in Crimea. La promessa di non lasciarsi andare, irrimediabilmente infranta. Sono passati cinque anni da quei giorni e adesso sono diventati due giovani uomini bruciati dalla vita.
Yurij è ancora depresso, è ancora un suicida, sta ancora male.
Denis è perso dentro sè stesso, è troppo giovane e sbandato per ritrovarsi.
Il caso vuole che si incontrino di nuovo, a Londra. Ma l'affetto che Denis ancora prova per Yurij sarà in grado di salvare quell'amore sbocciato anni prima? Oppure sarà arrivato il momento di dirsi addio, e questa volta dirselo per sempre?
[Storia pubblicata come het ma ora aggiornata in versione slash]
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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SO TAKE MY HAND AND LET’S FADE AWAY

CAPITOLO PRIMO: I HATE THE DISTANCE

Don’t you ever forget about me,
When you toss and turn in your sleep
I hope it’s because you can’t stop thinking about
[Sleeping With Sirens – Don’t You Ever Forget About Me]
 
La nostra storia non era iniziata in modo normale.
Non c’era stato un corteggiamento complicato, occhiate di fuoco, consigli dei migliori amici, battutacce poco fini e scherzi di cattivo gusto.
Lui non era il solito spaccone idiota, o meglio, lo era, ma a modo suo e io non ero il solito ragazzino sprovveduto.
Non avevamo una vita normale, nessuno dei due.
Lui aveva il cuore spezzato. Io non stavo bene con me stesso.
Eravamo entrambi soli, arrabbiati, delusi da qualcosa al quale non sapevamo dare un nome. Non avevamo niente altro che non fossero le nostre brutte facce, una propensione speciale a cacciarci nei guai e gusti musicali molto discutibili. Non eravamo belli, non eravamo brillanti, non eravamo niente, solamente due  ragazzi slavi in vacanza. Io, che venivo da Kharkiv, lui, da qualche sobborgo russo di cui non ricordo più il nome.
Ci ricordo alla perfezione, con l’anello alla narice, gli orecchini e i capelli tinti, i jeans stracciati e le sigarette in tasca, le Vans slacciate e le felpe sgraziate. Ci ricordo seduti sulla spiaggia, sdraiati sul suo letto, ancora vestiti, sulla sua Vjatka scassata. Ci ricordo stretti uno all’altro per non aver freddo, testa contro testa e mano nella mano. Ci ricordo e basta, noi, i ragazzi innamorati per un’estate, quelli che pensavano sarebbe stato per sempre, quelli che credevano di poter soppravvivere.
A volte penso a lui, e mi chiedo che fine avrà fatto. Se avrà un altro uomo. Se sarà morto suicida, nella sua disperazione congenita. Se sarà scappato lontano. Se semplicemente si ricorderà ancora di me e dei miei jeans neri stracciati.
A volte vorrei tornare da lui, mettermi a cercarlo e raggiungerlo, dovunque sia. Prenderlo di nuovo per mano, spettinargli i capelli, abbracciarlo e sentire il suo odore, che era fumo e colonia scadente.
Mi mancano i suoi occhi grigi, così grandi e malinconici. Aveva quello sguardo triste di un ragazzo che aveva perso tutto, eppure c’era la forza di chi non ha mai smesso di lottare. Come il suo sorriso, così luminoso eppure così carico di dolore. Mi sono sempre chiesto se sorridesse così bene proprio perché aveva sperimentato la depressione più nera, la sofferenza più sconvolgente. C’era sempre stato qualcosa di spezzato in lui, una ferita inguaribile che avrebbe continuato a sanguinare per sempre, un livido che non si sarebbe mai riassorbito. Io avevo amato quel suo lato distrutto, quel suo male, quelle sue cicatrici. Avevo amato tutto di lui, a partire dal suo dolore, dai suoi occhi di rugiada, al suo modo di camminare, sempre un po’ curvo e ciondolante, alla sua voce dolce e al suo modo di chiamarmi “amore”. Lui era stato speciale per me, e avevo sempre desiderato essere stato speciale per lui almeno tanto quanto lui lo era stato per me.
Ma poi, era finito tutto. Quel giorno di ormai cinque anni fa ci eravamo detti addio e non c’eravamo mai più rivisti. Mai un messaggio, una foto, una chiamata. Niente, come se avessimo voluto relegare quell’estate a un episodio salvifico e fugace della nostra adolescenza. Mi chiedo perché, a volte. Perché aver mollato tutto quando adesso saremmo potuti essere qui, sposati, magari con dei bambini piccoli, magari felici, magari salvi. Però lo abbiamo fatto. Con lacrime agli occhi, singhiozzi strozzati, ci eravamo salutati prima che lui partisse di nuovo per il suo sobborgo e da quel momento in poi per me lui non è mai stato altro che un ricordo meraviglioso a cui ritornare nelle notti di disperazione. Ho avuto molti uomini in questi cinque anni, ma nessuno che si sia mai potuto avvicinare almeno un quarto a lui, alla sua bellezza, al suo dolore. C’è stato Nikita, che obiettivamente era molto più bello. C’è stato Misha, sofferente allo stesso modo. Ma non erano lui. Non avevano il suo odore di sale, non sorridevano con gli occhi, non tenevano la sigaretta tra il mignolo e l’anulare. Mi sono lasciato dietro un pezzo di cuore da quando era salito su quell’aereo senza voltarmi indietro.
Amo pensare a lui, a quel modo di abbassare gli occhi e di sorridere appena quando mi sporcavo il naso di gelato. Amo ricordarlo suonare canzoni strappalacrime in quel locale in Crimea, rivederlo camminare a piedi nudi sulla sabbia dorata oppure venirmi a prendere sotto casa sulla Vjatka verdolina. Amo ancora tutto di quel ragazzo russo che soffriva di depressione e che suonava il pianoforte. Ricordo ogni imperfezione della sua pelle, ogni sfumatura che acquisivano i suoi capelli al sole, ogni minima espressione del volto, ogni colpo di tosse, ogni risata, ogni bacio a fior di labbra, ogni abbraccio, ogni lacrima, ogni risata. Ricordo tutto di lui perché, per quell’estate, era stato la mia vita. Per quei tre mesi avevo pensato che mi avrebbe salvato da me stesso, che saremmo scappati insieme in America, che ci saremmo ricostruiti una vita altrove. Avevo sperato che lui mi trascinasse fuori dal baratro dove ero sprofondato con le mie stesse mani. Ricordo che una notte avevamo preso la Vjatka e lui mi aveva detto “Scappiamo, amore.” Non so perché non l’avessimo fatto. Non so perché non avessimo imboccato la statale, con uno zaino e i nostri pochi risparmi, diretti verso l’aereoporto di Kiev. Forse, se avessimo avuto il coraggio di farlo, adesso saremmo insieme, da qualche parte. Forse a Berlino, forse a Londra, forse addirittura a Baltimora. Ma soprattutto, saremmo fianco a fianco. Invece, io sono qua, a Kharkiv, senza più vita, senza più niente che non siano i ricordi di quell’estate, e la collana col plettro che mi aveva dato prima che partissi. La porto ancora al collo, e a volte l’annuso, tentando di sentire ancora il suo profumo, ormai falsato dagli anni. Ci aveva suonato la chitarra in spiaggia, con quel plettro, la prima volta che ci siamo conosciuti. Gli avevo detto “suoni bene, ragazzo russo”. E lui mi aveva sorriso e aveva detto “Che canzone vuoi, ragazzo ucraino?”. “Quello che vuoi”. Aveva suonato quella canzone dei Goo Goo Dolls, e ci aveva messo talmente tanta passione da far tacere chiunque, sulla spiaggia, tutti troppo intenti a sentire il dolore nella sua voce quando disse “yeah, you bleed just to know you’re alive”. Era stato lì che mi aveva guardato per la prima volta negli occhi e io ero arrossito, distogliendo lo sguardo, troppo spaventata dalla devastazione covata in quelle iridi color del metallo.
Eppure, adesso lui non è che un ricordo, un stupendo, tragico, ricordo di quell’estate ucraina. Dove sei, amore mio?, mi chiedo. Cosa starai facendo? Penserai ancora a me? O ti sarai dimenticato del giovane ucraino che ascoltava musica emo e girava con i calzini di colori diversi? Mi ami ancora, dovunque tu sia? Piangi ancora sentendo un nome simile al mio? Oppure hai un altro da chiamare “amore”, da portare sulla Vjatka? Che ne è stato di te, bellissimo ragazzo depresso?
Sì, sicuramente avrai un altro, forse più bello di me, forse più intelligente, forse meno tormentato. Spero solo che tu non ti sia dimenticato di quello che abbiamo avuto, dei sorrisi, dei bagni in mare, del gelato alle undici di sera, delle canzoni sotto le stelle, delle promesse, dei baci, del sesso nella tua camera azzurra, delle battute infelici, dei graffiti sui muri, degli abbracci infantili, delle risate spezzate, dei pianti soffocati, del dolore e dell’amore. Ti prego, giurami che pensi ancora a me. Ti prego, meraviglioso ragazzo russo, non esserti dimenticato di me perché io ancora sogno di quell’estate, ancora piango pensandoti, ancora mi sveglio con sapore delle tue labbra salate sulle mie.
Spero di poterti incontrare ancora, maledicendo il giorno in cui ti ho lasciato andare. Avremmo dovuto continuare a tenerci in contatto invece abbiamo lasciato che tutto scivolasse via, distruggendoci con la marea. Darei tutto me stesso per poterti riabbracciare, per poter sentire il tuo odore ancora una volta, per poter dire il tuo nome e spettinarti i capelli perennemente arruffati. Ti rivoglio indietro nella mia vita come la lenta risacca del mare in Crimea.
Ti amo ancora, nonostante il silenzio, nonostante non sappia più nulla di te.
Ti amo ancora come il primo giorno, e so che se ti dovessi rivedere per me non sarebbe cambiato niente. Ti amo e ti amerò per sempre, fedele al ricordo di quell’estate meravigliosa che mi aveva cambiato la vita. Ti vorrei ancora, disperatamente, ti desidererei, ti amerei come se non fosse passata che una notte da quei giorni di sole, mare e gelato.
 
È questo quello a cui penso mentre mi sto per imbarcare sull’aereo per Londra.
È questo quello a cui penso mentre mi sto per lasciare alle spalle Kharkiv e la triste periferia ucraina.
Sei tu quello a cui penso ogni istante.
Sei tu quello a cui penso mentre sto per cambiare vita, mentre desidero che tu fossi qui con me, a salire su questo aereo.
Sei tu quello che amo ancora, nonostante tutto.
Sei tu, Yurij.
Sei tu.

***
Storia già pubblicata in versione het, ma siccome non sono in  grado di scrivere roba etero eccovela in versione slash. Vi è paciuta? Fatemi sapere nei commenti! Verrano trattate tematiche delicata e sarà molto triste, come al solito aha
Il titolo è tratto dalla canzone Run dei Bring Me The Horizon
Charlie xx

 
  
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