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Autore: NPC_Stories    29/05/2019    3 recensioni
Storia ambientata nei pochi mesi che Daren e Johel hanno passato nella foresta di Mir, prima che le loro strade si separassero in Ricostruire un ponte. Johel è felice di essersi riunito alla sua famiglia dopo molto tempo, e non si accorge che il suo amico ha cominciato a frequentare una ragazza.
Mi hanno chiesto in molti se Daren abbia mai avuto una relazione amorosa. Forse questa storia è più esaustiva di un semplice "no".
Genere: Fantasy, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1361 DR: Ricordare il passato


Amyl strinse la fasciatura intorno alla spalla di suo figlio, mettendogli anche una benda al braccio perché potesse tenerlo sollevato senza fare forza sui muscoli.
“Rimani in questa posizione” lo ammonì “e cerca di riposare.”
“Ma mamma… per quanto? Voglio tornare alla mia vita normale…” il ragazzo cercò di tirare fuori il suo tono più pietoso, ma sua madre era ormai immune a certi trucchetti.
“Potrai farlo quando il sole sorgerà a ovest in un giorno di neve d’estate” recitò. La stessa risposta di quando lui, da piccolo, le chiedeva se poteva provare i superalcolici.
“Non scherzare, il mio maestro ti avrà pure dato un’indicazione… chessò, una notte di riposo, o un paio di giorn…”
“Due settimane” lo interruppe lei, tagliando corto.
“Due che cosa?” Il suo sguardo era sinceramente sconcertato e un po’ disperato. “Mi prendi in giro.”
La loro conversazione fu interrotta, per fortuna, da qualcuno che bussava alla porta.
Amyl sapeva che Raerlan e Daren erano fuori dall'uscio, li aveva sentiti parlare anche se i dettagli della conversazione non potevano filtrare attraverso la spessa porta di legno. Era un vanto del pub, il fatto che le stanze fossero ben isolate acusticamente, vista la natura ludica che molti avventori attribuivano a quel luogo. Quando Navar era diventato troppo grande per condividere la stanza di sua madre, gli avevano dato una stanza al primo piano, con sua grande gioia. All’età di settantacinque anni aveva già avuto modo di apprezzare la privacy che quelle mura gli garantivano.
Quando l’elfa andò ad aprire la porta, però, solo Raerlan aspettava sul pianerottolo. Non c’era più traccia del drow.
“Daren mi ha sgridato e se n’è andato” bofonchiò l’alicorn.
“E a me cosa me ne frega?” Sbottò Amaryll, che non si era ancora fatta passare l’arrabbiatura verso il ranger impacciato. “Perché mi stai davanti, Raerlan?”
“Dobbiamo parlare” tornò a ripetere lui. “Ci sono cose che tu devi sapere… e anche Navar.”
“Navar deve riposare!”
“Stare a letto e non sforzare il braccio sarà più che sufficiente” protestò lui, cercando di sbirciare dentro la stanza.
“Senti, nulla mi piacerebbe più che stare qui con te a parlare della rava e della fava” lo affrontò, con un tono che grondava sarcasmo “ma in questa stanza c’è mio figlio che ha bisogno delle mie cure, e al piano di sotto c’è un pub in cui fra poco dovrò tornare a lavorare, quindi perché non te ne vai prima che ti cacci a pedate?”
“Oh… se è il tuo lavoro a preoccuparti, stai tranquilla: Daren ha detto che ci pensa lui, perché tu sei una madre in ambasce. Be’, non ha usato proprio queste parole, ma il senso era che è meglio non stare intorno a una madre che…”
“Che diavolo significa che ci pensa lui?” Lo interruppe Amaryll. “Ha intenzione di cacciare tutti gli avventori e barricare la porta?”
“Forse vuole dare fuoco al bancone!” Interloquì Navar, con l’aria di voler contribuire alla conversazione. “Questo sì che renderebbe il locale inagibile per un po’…”
“No” Raerlan scoccò un’occhiata veloce verso il fondo delle scale, dove Daren era sparito poco prima. “In realtà credo che voglia farsi carico di coprire il tuo turno.”
L’elfa restò senza parole, ma lo sconcerto era ben visibile nei suoi occhi verdi. Perfino Navar smise di ridacchiare.
“Ti ha detto una frottola” azzardò alla fine la donna, dopo averci pensato per un momento.
“No, non credo. So che non è una cosa da lui, ma è colpa mia. Abbiamo litigato e l’ho accusato di… non essere abbastanza serio con te, di non sapersi adattare a una vita normale. Credo che voglia dimostrare che mi sbaglio, e che non è un completo disadattato sociale.”
Altro silenzio.
“Ma…” pigolò la barista “lui è un completo disadattato sociale.”
Raerlan si strinse nelle spalle.
“Almeno ti farà guadagnare un po’ di tempo.”
“E dovrei usare questo tempo per parlare con te” Amyl riprese le fila del discorso, in una domanda che aveva l’intonazione di una affermazione sarcastica.
“Non sarei qui a subire la tua rabbia, se non fosse importante” cercò di farla ragionare.
“Dai, mamma, essere costretto a letto è già noioso abbastanza” la pregò Navar. “Se Raerlan ha qualcosa di interessante da dire, sarà comunque meglio che starmene qui a guardare il soffitto e a fingere di ascoltare i tuoi rimproveri” ammise candidamente.
Amyl boccheggiò per un istante, poi comprese di essere in inferiorità numerica.
“Va bene, allora” si arrese, facendo spazio all’alicorn perché potesse entrare.

“Mi stai prendendo in giro, spilungone?”
Breildrend Orpip Dimble Tippet dei Tippet del Bosco, proprietario della Casa degli Scapoli, guardò il drow da sotto in su. Anche perché non poteva fare diversamente.
Daren non disse nulla, colpito da quella risposta amara. Per di più non era abituato ad essere chiamato spilungone.
“Pensi che questo gnomo sia un idiota? Eh? Ho la faccia di qualcuno che nasconderebbe il suo oro alla fine dell’arcobaleno?”
“Non… non ho idea di cosa tu stia dicendo” ammise Daren, cristallino. “Non so perché sei arrabbiato, io di solito le persone le faccio arrabbiare di proposito. Adesso voglio solo rendermi utile.”
“Facendo il lavoro di Amaryll? Ah! Certo, perché chiunque può fare l’oste, non è vero?”
“Non ho detto questo, ma…”
“Sai fino a che punto devi raffreddare i bicchieri per fare in modo che il vino elfico mantenga la sua freschezza?”
“Non sapevo neanche che andasse fatto” ammise il drow, apertamente.
“Certo. Sai preparare un caffè?”
“Per me è alchimia.”
“E quante bacche di ribes bianco vanno in una pinta di ippocrasso?”
“Non lo so…”
“Nessuna!” Sbottò il piccoletto. “Nessuna, per il grande Garl Glittergold! Quale macellaio metterebbe del ribes nell’ippocrasso?”
“Perdonami, hai ragione, sarebbe un crimine” il drow alzò gli occhi al cielo “ma sono un drow, un certo grado di perversione mi è connaturato e non posso evitarlo.”
Lo gnomo seguitò a guardarlo male.
“Ah, bene. Adesso prendi in giro il tuo capo.”
“Ma… pensavo non mi volessi per questo lavoro.” Gnomi, dannazione, chi li capisce è un genio.
“Con Amaryll impegnata a curare suo figlio, non è che abbia molta scelta.” Ammise il locandiere a bocca storta. “Tu prenderai gli ordini e servirai ai tavoli. Io preparerò le bevande. Spero che tu abbia almeno una buona memoria.”
“Eccellente.” Assicurò l’elfo scuro.

“Forse tua madre era convinta che io non ricordassi, per questo non ha mai detto nulla” ipotizzò Raerlan. “O forse è perché sei un figlio di Mezzestate. Ma è la verità, io sono tuo padre.”
Navar accolse quella rivelazione con atteggiamento calmo e composto.
“Ah. Accidenti. Cioè… va bene.”
Forse troppo calmo. Era come se il ragazzo non sapesse bene come reagire.
“No, non è per quello” ammise Amyl, passandosi una mano sugli occhi. “Sapevo che tu ricordavi, Raerlan, l’ho capito quando hai iniziato a gironzolare intorno alla nostra famiglia. Ti facevi vivo solo raramente, quindi non vedevo il motivo di tenerti a distanza. D’altro canto Navar è un figlio di Mezzestate e…”
“E la paternità non fa differenza” concluse Navar per lei, con tono assente. “Sì, lo so, mamma. Ho visto altri figli di Mezzestate, di cui tutti conoscono i padri ma la cosa viene ufficialmente ignorata. Però, perché non hai pensato che io potessi desiderare di saperlo? Se altri come me possono avere un padre non ufficiale, perché non posso averlo anche io? Confesso che durante la mia infanzia me lo sono chiesto… chi fosse la persona da cui avevo ereditato metà del mio sangue.” Raccontò, abbassando progressivamente la voce. Non voleva criticare sua madre, né farla soffrire facendole credere che lei non fosse stata abbastanza. Lo era stata, ma spesso si era chiesto perché suo padre non si interessasse a lui. L’unica risposta plausibile era che la paternità non fosse certa. Le feste di Mezzestate sono sempre caratterizzate da eccessi e promiscuità.
“Non sono una persona adeguata a fare da padre” rivelò l’alicorn “e credo che una madre queste cose le intuisca a pelle. Ho avuto molti figli nel corso della mia vita, ho conosciuto solo alcuni di loro e non posso dire di aver avuto un ruolo importante nelle loro esistenze.”
I due elfi lo guardarono con espressione confusa.
“Ma se sei sempre stato qui… quand’è che hai avuto questi figli? E perché ne parli come se gli fossi sopravvissuto?” Indagò Amyl.
Bene, questo è il risultato dell’aver temporaneamente soppresso gli effetti del mio rituale di protezione. Pensò il ranger con fastidio. Gente che si fa domande su di me.
Raerlan non era abituato al fatto che il pensiero di qualcuno potesse restare focalizzato su di lui a lungo, quindi non era nemmeno preparato a rispondere a domande inquisitorie. Aveva appena parlato senza pensare; di solito non doveva preoccuparsi dei buchi logici nei suoi discorsi, perché la sua magia li colmava.
Non aveva davvero importanza, perché aveva deciso di raccontare parte della verità ad Amyl e a suo figlio, ma lo disturbava rendersi conto di essere un cattivo bugiardo.
“Non sono sempre stato qui. Io sono ospite in questa foresta.” Ricordò all’elfa.
“Ah… è vero, sì. Nessun alicorn è mai nato in questa foresta, si sarebbe saputo. Ma sei arrivato qui quand’eri molto giovane.”
“No, neppure questo è vero” la corresse lui, “è solo una cosa che lascio credere a tutti. In realtà sono molto più vecchio di quanto possa sembrare, perché nelle mie vene scorre sangue fatato.”
Anche questa confessione fu accolta da un silenzio attonito.
“E, ehm, di conseguenza anche nelle tue, Navar.” Continuò, per chiarire il concetto.
Amyl prese un profondo respiro.
“E non hai pensato di dirmelo?” Sibilò. Raerlan ricordò che solo pochi minuti prima aveva paura di lei, e forse era il caso di tornare ad averne. “Quando quella notte mi hai detto Non preoccuparti, bimba, se hai una possibilità di avere figli è con me, non hai pensato di dirmi che avrebbero avuto sangue fatato?”
“Ah… accidenti… te lo ricordi” borbottò il biondo, passandosi una mano dietro la testa. Quel discorso era stato davvero un po’ stupido, una sciocca vanteria e di certo uno strano modo per provarci, ma erano entrambi molto alticci. Amyl aveva la sbronza triste, quella notte, perché non riusciva ad avere figli, e Raerlan aveva fatto un po’ lo spaccone. Non immaginava che lei l’avrebbe preso in parola.
“Lo sai chi altri ha sangue fatato, mh? Lady Freya. Che per decenni ha avuto problemi a controllare sia la sua magia che il suo carattere. Non pensi che una madre dovrebbe sapere prima se suo figlio corre il rischio di subire certe instabilità? Avrebbe potuto mettersi in pericolo in mille modi!”
“Ehi, mamma, io sarei ancora qui” protestò il ragazzo, ma i suoi genitori lo ignorarono.
“Lady Freya discende da una ninfa” la corresse Raerlan, piccato. “Una fata dalla forte caratterizzazione sessuale. Navar è diverso. Io sono diverso. Hai visto bene com’è diventato il tuo figliolo: sottovaluta i rischi, ha un senso dell’umorismo un po’ invadente, è sempre giocoso ed è poco incline a rispettare le regole e le limitazioni. Ma non è poi così diverso da qualsiasi altro ragazzo della sua età.”
“Quindi è colpa del suo sangue fatato se una volta ha portato un asino sul tetto della locanda?”
“Non cominciamo a deresponsabilizzarlo” Raerlan mise le mani avanti “quella è la sua natura, ma è capace di intendere e volere.”
“E allora, se non è poi così diverso da un elfo, perché era importante che noi sapessimo tutto questo?” Domandò l’elfa, tirando le fila del discorso.
“Perché lui è comunque un po’ diverso dagli altri, ed è meglio che conosca se stesso prima di mettersi di nuovo in pericolo come oggi. Navar, sono convinto che tu ora sia abbastanza grande da sapere… ho capito che sentivi una connessione con quella belva distorcente, ma questo non è accaduto solo perché sei un druido. Alcune bestie sovrannaturali, come quella che oggi ti ha quasi ucciso, originariamente venivano dal Feywild, il Piano dove hanno avuto origine le fate. Molti millenni fa, anche gli elfi vivevano in quel luogo selvaggio, ma venendo a vivere sul Piano Materiale con il tempo hanno perso la loro natura fatata. Le belve distorcenti sono arrivate qui più o meno nello stesso periodo, e anche loro non sono più esseri fatati. Ma quelli come noi, che hanno ancora una forte connessione con il Feywild, sentono affinità per le creature che ne derivano. Per questo gli elfi, gli gnomi e gli spiritidi mi piacciono più di ogni altra razza umanoide, e probabilmente sarà lo stesso per te. Però devi tenerlo a mente: non tutte le creature per cui senti affinità sono buone. Le belve distorcenti un tempo erano pantere fatate che la Corte Unseelie usava per cacciare le creature buone o innocue, eppure perfino quelle fate malvagie avevano difficoltà a controllare quei mostri sanguinari. Le hanno scaricate quasi tutte sul Piano Materiale perché nel Feywild il loro numero stava crescendo a dismisura. Non sono bestie magiche con cui tu possa stabilire un legame pacifico, tienilo a mente, sono intelligenti e malvagie e davano la caccia anche ai loro simili.”
Navar aveva abbassato gli occhi sul copriletto, e sul suo braccio fasciato. “Ho capito.” Mugugnò. “Adesso mi devi fare un corso accelerato su quali siano le creature da evitare?”
Raerlan percepì una nota di risentimento, e si fermò a riflettere prima di rispondere.
Uhm… sua madre non gli ha mai detto di me, anzi, raccontava in giro di non ricordare chi fosse il padre del suo figliolo. Io stesso non gli ho mai detto niente, anche se sapevo. Adesso mi faccio vivo solo dopo che è stato ferito, per dargli indicazioni su come stare più attento in futuro. …Come reagirei se fossi un adolescente?
Su, dai, Raerlan, fai un piccolo sforzo. Se mio padre mi avesse parlato solo per insegnarmi a fare il ranger, come mi sarei sentito? Accidenti, se solo mi ricordassi qualcosa in più, su mio padre. Non mi ricordo com’è, fare il figlio.

“Tu sei… ar…rabbiato?” Tentò.
“Non lo so!” Sbottò Navar. “Ho il diritto di essere arrabbiato? Non credo, è evidente che di me non te ne frega una pigna! Quindi a cosa servirebbe? Non sei mai stato mio padre e non lo sei neanche adesso. Se vuoi darmi qualche consiglio di sopravvivenza, ti ascolterò, ma poi vattene per la tua strada.” Sciorinò il ragazzo, ostinandosi a non guardarlo in faccia.
“Oh, Navar…” Raerlan si sedette sul letto accanto a lui, sotto lo sguardo vigile di Amaryll. “Te l’ho detto, non sono bravo a fare il padre. Sono un cattivo esempio e sono poco responsabile. Mi dispiace, non posso essere una figura paterna per te, per nessuno, non mi sono mai sentito pronto a una cosa del genere. Però mi piacerebbe che restassimo in buoni rapporti, visto che entrambi saremo in circolazione per molto tempo.”
Questa informazione ci mise qualche secondo a decantare nelle menti di Navar e Amaryll.
“Che vuol dire che saremo in circolazione per un po’?” Scattò il giovane elfo. “Quanti anni hai detto che hai, esattamente?”
“Non l’ho detto” ammise l’alicorn. “E i miei figli di solito hanno la stessa aspettativa di vita dei normali elfi. Sembra che debbano piegarsi al decadimento fisico e alle malattie della vecchiaia. Però tu hai scelto di essere un druido. Sai che i druidi sono diversi. Invecchiano molto bene, non risentono degli acciacchi del tempo che passa, e i druidi elfi in particolare non mostrano neanche segni cosmetici di invecchiamento. Se continuerai su questo cammino, la tua reale aspettativa di vita si manifesterà appieno, perché il tuo corpo non verrà logorato dalla debolezza e dalle malattie.”
Improvvisamente il ragazzo sembrava aver messo da parte tutta la sua reticenza verso quel padre goffo e inadeguato. La sua curiosità era troppo grande per poterla contenere.
“Ma quindi cosa vuol dire?”
“Uno dei miei figli ha sentito la vocazione per diventare druido, molto tempo fa. Era nato nella foresta di Arcorar, in quella zona che oggi si chiama Foresta di Confine. Ha combattuto nella Guerra delle Ombre contro i drow, ma non è vissuto abbastanza per assistere alla vittoria del suo popolo; il conflitto alla fine gli è costato la vita. Aveva circa cinquemila anni quando è morto. Ho parlato con il suo spirito, mi ha detto che ha scelto di sacrificarsi in battaglia perché sentiva la sua morte naturale ormai imminente. Quindi… non è scolpito nella pietra, ma cinquemila anni è una stima ragionevole.”
Amyl e Navar lo fissarono in silenzio per un lungo, lunghissimo momento.
“Mi prendi in giro?” Domandò alla fine il giovane.
“No, ragazzo, per una volta sono del tutto serio. Ti sto dicendo la verità.”
“Ma… va bene, alcune fate sono immortali, ma i figli di fate e mortali di solito non vivono così a lungo.”
“Ci sono più cose in cielo e in terra, Navar, che nei tuoi studi da apprendista druido” Raerlan fece per dargli una pacca sulla spalla sana, ma l’elfo si scostò.
“Non trattarmi in questo modo! Non è che da un momento all’altro puoi prenderti questa confidenza, tutto quello che hai fatto è stato divertirti con mia madre e poi sei sparito. E adesso vieni qui solo per dirmi che… vivrò molto più a lungo di un normale elfo, con tutto quello che comporta?”
L’alicorn sembrò spiazzato davanti a queste accuse. “Ma… che cosa comporta? Tu decidi come vivere la tua vita. La tua longevità ha il significato che tu le attribuisci. Vuoi esserne felice? Sarai felice. Vuoi concentrarti sul fatto che vedrai morire i tuoi compagni perché hanno una vita più breve? Allora sarai triste. E allora? C’è sempre tristezza nella vita, indipendentemente dalla sua durata.”
“Se diventerò un druido millenario avrò delle responsabilità enormi verso la foresta, io, capisci, io che trovo ancora divertente allentare le cuciture dei calzoni del signor Tippet per fare in modo che si squarcino quando si piega a raccogliere le cose. Non sono la persona giusta per questa responsabilità, ho deciso di fare il druido solo per… curiosità verso il mondo naturale, per capire meglio questa connessione che ho con la foresta! Non sarò mai all’altezza di quel tuo figlio che è morto in guerra, io sono…”
“Un ragazzino di settantacinque anni” lo fermò Raerlan. “Quindi adesso smetti di montarti la testa e respira lentamente. Nessuno si aspetta l’impossibile da te. Vivi la tua età! Fai quello che ti senti. Il tuo fratellastro ha iniziato a mettere la testa sulle spalle solo quando ha superato la normale aspettativa di vita di un elfo. Lui non sapeva di essere così longevo, e nemmeno io sapevo che lo sarebbe stato, altrimenti gli sarei rimasto accanto. Ha visto morire i suoi amici, sua moglie, e qualche secolo dopo anche i suoi figli. Il dolore lo ha costretto a crescere. Non voglio che una cosa simile succeda anche a te, per questo ti sto avvertendo con largo anticipo. Se finirai per passare la tua intera vita con la stessa leggerezza che hai ora, per me sarà una vittoria, non una sconfitta.”

Navar davanti a questo discorso si calmò davvero, o almeno, non riuscì a trovare niente da ribattere. Nessuno gli aveva mai detto “anche se rimarrai infantile, va bene così”, tantomeno sua madre. Quale genitore direbbe questo al proprio figlio?
Ma Raerlan sta dicendo che essere infantile è la mia natura, e quindi se resterò così per tutta la vita sarà solo perché nessun fattore esterno mi avrà costretto a forzarmi, a cambiare. Come druido, dovrei sapere che il cambiamento è necessario, e che non dovrebbe incoraggiarmi a restare come sono ora.
Come figlio però, è commovente. A
qualcuno vado bene come sono. Lui è simile a me, mi capisce.
Forse è vero che a modo suo mi vuole bene. Deve essere così, ha corso un grande rischio consigliandomi di restare infantile proprio davanti a mamma.

Il pensiero di sua madre però lo costrinse a valutare anche l’altro lato della medaglia.
“Ho capito cosa vuoi dire, Raerlan” considerò, in tono più tranquillo. “Però non sono solo figlio tuo. Sono anche figlio di mia madre. Vorrei che lei mi vedesse diventare una persona responsabile, prima della fine della sua vita. Vorrei che fosse fiera di me.” Ammise, spostando lo sguardo sulla locandiera.
Amyl adesso aveva gli occhi lucidi per le lacrime. Accarezzò dolcemente la testa bionda del ragazzo. “Figliolo, io sono fiera di te. Non è facile essere madre, quando tu sei nato ho dovuto mostrarmi seria e responsabile, forzandomi, perché fino a poco prima anch’io ero piuttosto selvaggia. Ma come avrei potuto dirti che ero fiera di te anche quando hai portato quell’asino sul tetto della locanda? Voglio dire, tutt’ora non so come hai fatto, ma è stata un’impresa degna di nota e l’ho trovata dannatamente geniale; invece come madre ho potuto solo rimproverarti. Il fatto che tu mi metta in difficoltà perché sei socialmente imbarazzante, testardo e scavezzacollo, mi crea dei fastidi ma non mi rende meno fiera di te.”
“Non puoi rimproverarmi se sono socialmente imbarazzante, lo è anche l’uomo che hai scelto per essere mio padre, e perfino l’amante che ti sei scelta adesso.” Le fece notare l’acuto giovane elfo. “Però adesso, senza offesa eh, mi puoi spiegare perché Raerlan?”
Amyl divenne rossa quanto i suoi capelli.
“Non ti devo spiegare un bel niente!”
“Eravamo alticci, ti basti sapere questo” tagliò corto l’alicorn.
“Be’ ma allora come fai a sapere che sono esattamente figlio tuo?” Indagò il ragazzo. “Sento una connessione con la natura, sì, ma anche molti elfi. E sono scavezzacollo, ma non ho nemmeno cent’anni, non sono di certo l’unico!”
I suoi genitori rimasero per un momento in silenzio, evitando di guardarsi l’un l’altra.
“Io non posso avere figli” mormorò alla fine Amaryll, imbarazzata. “Da giovane ci avevo provato, e sai quanta poca pazienza possa avere un elfo giovane. Dopo i primi fallimenti andai subito da un guaritore. Pensavo di sentirmi dire le solite cose, che noi elfi siamo poco fertili e che avrei dovuto avere pazienza… invece mi disse che avevo già avuto un aborto spontaneo, anche se così presto nella gravidanza che non me n’ero accorta, e mi spiegò che ho un problema fisico che uccide il bambino dentro di me. All’epoca avevo un amante stabile, stavamo pensando di unirci in modo ufficiale e formare una famiglia, ma saputo questo non se la sentì di stare con me. Io non riuscii nemmeno a biasimarlo, mi sentivo inutile, difettosa. Quando arrivò Mezzestate non ero molto in vena di festeggiare, ma pensai che se poteva accadere un miracolo forse era solo quella notte. Mi ubriacai, e fu una nottata piuttosto promiscua, ma quella tristezza non mi voleva abbandonare. Poi, poco prima dell’alba, mi trovai a fare discorsi alcolici con un gruppetto di amici fra cui c’era anche Raerlan. Confessai che ero praticamente sterile, e lui cominciò a vantarsi…” la rossa lanciò un’occhiata di sfuggita all’alicorn, che ora sembrava molto in imbarazzo “della sua verga magica.”
L’alicorn emise un verso strozzato, e Navar scoppiò a ridere senza controllo.
“Non credo di aver detto queste esatte parole…” obiettò l’alicorn.
“Oh, sì, le hai dette!”
“Ma in tono autoironico!” Protestò. “Eri triste e volevo farti ridere!”
“Ah, ma che ne so, ero ubriaca” la rossa fece spallucce.
“Abbastanza ubriaca da vomitarmi addosso alla fine dell’atto” sorrise il ranger, che voleva renderle pan per focaccia.
“Oh sacro Corellon, te lo ricordi” Amyl si coprì il volto con le mani, e Navar, che stava appena riprendendo fiato, ricominciò a ridere ancora più forte di prima. “Ma è colpa tua, ero ubriaca e tu mi hai fatta oscillare troppo.”
“Va… va bene… niente… dettagli” pregò Navar, cercando di ricominciare a respirare. “Siete sempre i miei genitori, non voglio immaginarvi a fare cose.”
Raerlan gli sorrise e cercò di nuovo di mettergli una mano sulla spalla, e questa volta il giovane druido glielo lasciò fare. L’aveva appena riconosciuto come padre, dopotutto.

Al piano inferiore, un altro degli amanti di Amyl, anch’egli socialmente imbarazzante e potenzialmente un pessimo padre, stava prendendo confidenza con il lavoro al bancone.
Chiaramente le sue similitudini con Raerlan terminavano qui, perché l’alicorn avrebbe saputo cosa fare. Se non altro il ranger era bravo a parlare con la gente, Daren nemmeno quello.
“Un blumiele con una spruzzatina di vino granato e due ciliegie dentro?” Il drow guardò con estremo sospetto l’elfo dei boschi davanti a lui. Era convinto che si fosse appena inventato quella miscela complicata solo per dargli fastidio. “D’accordo, Elendyl, e il tuo ragazzo cosa prende?”
Gli occhi dorati dell’elfo per un momento furono attraversati da un’ombra di dubbio, poi si girò verso il suo compagno di bevute. “Raedeth, ma gli hai detto tu che stiamo insieme?”
L’altro elfo si strinse nelle spalle con una mezza risata. “No, sta solo implicando che la tua scelta in fatto di alcol sia poco virile.”
L’elfo bruno commentò solo con un cenno di comprensione e si voltò di nuovo verso Daren.
“Hai ragione, ho cambiato idea. Scusa sai, so essere così volubile. Fammi un ninniach”.
“Un cosa?” domandò il drow spiazzato, riconoscendo una parola poetica per indicare l’arcobaleno.
“Prendi un bicchiere di vetro. Poggialo sul quel banco di pietra con quei simboli magici, lì al centro del cerchio, e tocca i glifi magici che attiveranno un incantesimo di freddo. Poi comincia a versare, prima un dito di succo di prugna, che deve rimanere sul fondo. Dopo un minuto, quando sarà ben freddo, aggiungi un dito di succo di mirtillo, poi aspetta un altro minuto, poi ci versi un dito di liquore Loto Blu, poi aspetta due minuti, perché l’alcol è più difficile da raffreddare, poi un dito di succo di mela verde, attendi un minuto, un dito di idromiele e spegni l’incantesimo raffreddante. Nel frattempo fai scaldare a parte del succo di melagrana e agrumi, ma dev’essere appena tiepido, e aggiungi un dito di questo composto nel bicchiere. In cima ci aggiungi uno strato di passata di frutti di bosco, preferibilmente fragoline e ribes. In questo modo verrà un bel bicchiere con una bevanda arcobaleno, ma non devi sbagliare i tempi o i colori si mescoleranno fra loro.”
Ho una gran voglia di mescolarti i connotati, pensò l’arcigno guerriero, ma si costrinse a sorridere perché in quel momento era un cameriere.
“Sembra un disgustoso misto di sapori” ipotizzò. “Sei sicuro di volerlo?”
“Non deve essere buono” Elendyl si scambiò un’occhiata divertita con Raedeth “deve solo essere difficile da preparare.”
Daren prese un profondo respiro. “Fra un paio di giorni io e te potremmo essere di pattuglia insieme. Sei sicuro di volere questa bevanda?”
Elendyl capì che era una minaccia, e nemmeno tanto velata.
“Ne sarà valsa la pena” assicurò, con un gran sorriso.
“Sei un grande amico, Elendyl. Ammiro la tua fiducia nel commissionare una bevanda complessa a qualcuno che maneggiava veleni molto prima di compiere dieci anni.” Si complimentò il drow, con un sorriso così ampio da sembrare inquietante. Finalmente la sicumera dell’elfo sembrò vacillare un pochino.
Nel frattempo si era formato un capannello di gente intorno al bancone. Daren poteva udire i loro bisbigli e risatine. Stava creando un rallentamento nel lavoro, e cominciava a sentirsi molto fuori posto.
“Allora, che succede qui?” sopraggiunse lo gnomo, grazie al cielo. “Che ci fai tu, alle bevande? Ti avevo detto di prendere solo le ordinazioni.”
“Be’, tu eri sparito in dispensa e…”
E niente! Torna a fare il tuo lavoro, non sapresti preparare nemmeno un rum e viola.”
Daren decise di non interrogarsi su cosa fosse quella miscela dal nome poco appetibile, e cominciò a chiedere agli altri clienti che cosa volessero. Dopo aver ordinato, gli elfi andarono a prendere posto ai tavoli. Elendyl aspettò al bancone finché non ebbe ottenuto il suo calice di blumiele con le ciliegie. Daren aveva appena scoperto che il blumiele esisteva davvero, era un misto di idromele e succo di cavolo rosso che, una volta versato nel bicchiere, faceva reazione con una specie di zucchero e sembrava che diventasse blu per magia. Doveva essere una qualche alchimia da gnomi.
Ma il drow non aveva tempo per interrogarsi sui misteri della scienza gnomica, perché i clienti avevano iniziato a chiamarlo ogni piè sospinto.
Nel giro di un’ora il pub contò ventisette cucchiai caduti per terra che necessitavano sostituzioni, quattro casi di amnesia di elfi che gli chiesero di ripetere una lista delle bevande che bene o male non cambiava da duecento anni, dodici richieste particolari di modifiche ai piatti tipici, una bottiglia rotta e un fischio poco educato quando il drow si chinò a raccogliere i cocci. Aveva una mezza idea di chi fosse stato a fischiare, ma non poteva accusare due ranger di Myth Dyraalis senza prove.
Ma che succede oggi, dannazione, questo posto non è mai così pieno all’ora di pranzo! Imprecò mentalmente il guerriero.
Ovviamente si era subito sparsa la voce che l’elfo scuro stesse lavorando come cameriere, e contando le persone che erano lì solo per curiosità, e quelle che volevano davvero farsi una risata alle sue spalle, in definitiva sembrava che mezza città si fosse riversata nella taverna. Daren aveva sempre pensato che fosse un locale molto grande, ma adesso era più affollato che mai, e qualcuno si era addirittura seduto fuori, per terra, ordinando bevande dalle finestre.
“Oggi sto facendo affari d’oro” annunciò il signor Tippet, quando Daren tornò dietro il bancone dopo l’ennesimo giro fra i tavoli. “Però non so se possiamo reggere questo ritmo, il pub non è pensato per questa affluenza.”
“Comincio a pensare che sia colpa mia” borbottò il drow, esausto.
“Un sacco di cose sono colpa tua” lo gnomo si strinse nelle spalle. “Non buttarti giù, non sono arrabbiato!”
“Troppa grazia”, mormorò Daren fra i denti, in tono sarcastico. Afferrò un vassoio perché doveva fare un altro giro per recuperare le stoviglie usate, e quando si voltò di nuovo verso la sala… per la prima volta riuscì ad abbracciare l’intero panorama con lo sguardo.
Decine di persone. Accalcate. A malapena c’era spazio per passare fra i tavoli. Altra gente si era avvicinata al bancone e stava cercando di parlargli.
All’improvviso, il drow smise di sentirli. Quella cacofonia di suoni si fece distante, ovattata, mentre portava il vassoio di legno davanti al petto come uno scudo. La sua mano destra scese istintivamente a cercare l’impugnatura di una spada, che ovviamente non c’era.
Quando la sua mano si strinse intorno al nulla, Daren tornò in sé. Che cosa stava facendo? Perché stare in mezzo alla folla gli trasmetteva una sensazione di pericolo?
Ignorò gli elfi che stavano provando a richiamare la sua attenzione e camminò all’indietro fino alla porta per la cucina, quindi girò il pomello e si fiondò dentro. Richiuse subito la porta alle sue spalle e si appoggiò con la schiena contro lo stipite. La stanza era vuota, fatta eccezione per il simpatico cuoco gnomo che spignattava come un dannato. Il drow pensava che sarebbe stato meglio al riparo da quella confusione, eppure non si stava sentendo meglio. La grande cucina gli trasmetteva una sensazione di vuoto, di calma innaturale, rinforzando la sua convinzione di essere sotto assedio. Appena fuori dalla porta c’era il caos, e quindi, nel suo cervello abituato alla battaglia, fuori dalla porta c’erano aggressori.
Prima di allora non aveva mai affrontato una simile folla tranne che in guerra, e in quel caso era facile, doveva solo uccidere o essere ucciso.
Non aveva paura degli elfi nella locanda, la sua mente razionale sapeva che erano alleati, perfino amici. Però il guerriero non sapeva prevedere le sue stesse reazioni, perché non aveva nessuna esperienza di una situazione del genere. Per la prima volta, stava subendo un assalto di massa a cui non era legittimo rispondere con le armi.
L’altra porta della cucina, quella che dava sulle scale, si aprì cigolando. Per un momento da incubo, Daren credette che la folla avesse preso possesso del pub e stesse arrivando anche da lì. Invece no, naturalmente, era solo Amaryll.
Come la vide, il drow cercò di darsi un contegno, ma il sollievo nei suoi occhi era fin troppo evidente.
“Ah… Amyl, ciao. Va tutto benissimo, sì, sono proprio venuto in cucina per prendere… ehm…”
“Il coraggio, a due mani?” Gli venne in aiuto lei. “Hai lo stesso sguardo che avevo io al mio primo giorno.”
“Là fuori è pieno di pazzi” mormorò l’elfo scuro, abbandonando ogni pretesa di dignità.
Lei gli rivolse un sorriso così dolce e luminoso che riuscì quasi a dissolvere il pensiero di tutta quella gente che aspettava di bere, di mangiare, o in generale di interagire con lui.
“Tranquillo, adesso ci sono io. Mi metto subito a lavorare. Però, visto quanta gente c’è oggi, potresti continuare ad aiutare? Tu rimani al bancone e io mi muovo fra i tavoli?”
Daren la guardò con profonda gratitudine, perché si stava prendendo carico della parte più pesante del lavoro.
“Sì, va bene. E, Amyl… non penso che il tuo lavoro sia più facile del mio. Non l’ho mai pensato.” Chiarì, per correttezza.
“E certamente dopo oggi non sarai mai tentato di pensarlo!” Lo prese in giro lei, con un sorriso furbo. Si baciarono per qualche momento, lì nella cucina, con l’orda degli invasori appena oltre la porta. Una parentesi di pace in un pomeriggio che prometteva di essere burrascoso.

           

   
 
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