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Autore: _Agrifoglio_    29/05/2019    15 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La corona insanguinata
 
Maggio volgeva al termine e la corte era in fermento per la prossima incoronazione di Re Luigi XVII. Molti nobili erano confluiti a Versailles e nella capitale per assistere alle celebrazioni e alle cerimonie collegate al solenne evento, con la conseguenza che i saloni e i corridoi della reggia brulicavano più del solito di un’accolita umana variegata e rumorosa. Quei nobili di provincia, alcuni allegri e gioviali, altri tronfi e pomposi, certuni senza un soldo e in cerca di fortuna e molti alquanto fuori moda, erano tutti, indifferentemente, desiderosi di avvicinare il piccolo Re, di baciargli le mani e le vesti e di impetrare da lui cariche e favori. Ciò aveva innervosito Maria Antonietta che, desiderosa di preservare la tranquillità emotiva del figlio, aveva ordinato alle sue dame di tenerlo il più possibile lontano dalla folla dei curiosi e a Oscar di vigilare.
Questa nuova incombenza, unita alla tensione nervosa collegata alla necessità di organizzare nei minimi dettagli il viaggio della corte a Reims e il servizio di sicurezza durante tutte le fasi dell’incoronazione, stava sfibrando Oscar, infliggendole una recrudescenza della tosse nervosa che, da qualche anno, l’affliggeva. La donna, oltretutto, non riusciva a recuperare la linea precedente alla gravidanza e, da circa una settimana, aveva anche ricominciato a soffrire di alcune fastidiose nausee. André, vedendola pallida e agitata, tentava di venirle in soccorso con la sua presenza intelligente e rassicurante, rimediandoci, molto spesso, qualche immeritato rimbrotto. L’uomo accettava tutto di buon grado, perché quella era la Oscar che conosceva e amava.
Fra i vari nobili giunti nella reggia, c’era l’Arciduchessa Maria Cristina di Sassonia Teschen, molto più silenziosa e compita rispetto ad alcuni mesi addietro. Si sarebbe potuto asserire che l’atteggiamento castigato della sorella di Maria Antonietta fosse dovuto alla presenza del marito oltre che alla solennità dell’evento, ma, avendo notato una certa inquietudine nel volto e negli sguardi di lei, Oscar iniziò a temere che la successione sul trono austriaco, seguita alla morte, avvenuta lo scorso venti febbraio, dell’Imperatore Giuseppe II, avesse posto a rischio il recente trattato fra la Francia e l’Austria.
C’erano anche i cugini inglesi di Oscar, il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakenay che, passando da Lille, avevano offerto alla Marchesina Victoire Aurélie de Saint Quentin e al fratello di lei di accompagnarli a Versailles. Alla comitiva si era aggiunta la famiglia d’Amiens al gran completo. La prospettiva di avere come compagne di viaggio la sgradevole e dispotica Marchesa e la giallognola e lamentosa figlia non aveva entusiasmato i nobili inglesi che, però, per educazione, non si erano potuti esimere dall’accettarne la presenza. Quando, dieci minuti prima della partenza, si era unito ai viaggiatori anche Maurice Le Barde, forte della certezza che l’incoronazione sarebbe stata una fonte inesauribile di ispirazione per la propria vena creativa, il Conte di Canterbury e Sir Percy avevano maturato la definitiva convinzione di trovarsi a capo del carrozzone di un freak show.
Una mattina di fine maggio, Oscar e André stavano conversando, nei giardini della reggia, con i cugini inglesi, con i coniugi Girodel e con i componenti delle famiglie de Saint Quentin e d’Amiens.
Il giovane Marchese Camille Alexandre de Saint Quentin era diventato più maturo e giudizioso mentre il poco più anziano Marchese d’Amiens aveva serbato il suo tratto caratteriale altero e scostante che, unito al volto pallido, alla voce nasale e a un aspetto poco avvenente, gli conferiva un’apparenza decisamente sgradevole. Questa prima impressione, quando era suffragata da una frequentazione più approfondita, consacrava il giovane gentiluomo nell’olimpo delle persone da evitare.
La Marchesina Victoire Aurélie che, per tutto quell’anno, si era mantenuta in contatto epistolare col Conte di Canterbury, si trovava in una fase intermedia in cui l’innamoramento per André si stava affievolendo, sostituito da un progressivo interesse per il gentiluomo inglese che, da parte sua, con una corte garbata, ma assidua, stava facendo di tutto per volgere l’affetto di lei nella propria direzione. Questo paziente e appassionato assedio amoroso era spesso disturbato dalle ossessive e fastidiose incursioni della Marchesa d’Amiens, intenta in un enorme quanto inane sforzo volto a indirizzare i sentimenti del Conte verso l’insignificante Geneviève. Questi ripetuti tentativi, che rendevano la Marchesa odiosa e ridicola al tempo stesso, stavano diventando sempre più insistenti, al punto da mettere a dura prova anche la pazienza del mite e gentile Conte di Canterbury.
Fra un motteggio e l’altro, Monsignor d’Amiens interveniva, ogni tanto, con una frase solenne e una citazione delle sacre scritture, mascherando, dietro l’apparenza del vecchio svanito, una presenza di spirito non comune anche fra i giovani.
– Non trovate, Signor Conte, che l’azzurro chiarissimo del cielo di questa mattina ricordi le iridi di Geneviève? – miagolò l’asfissiante Marchesa al gentiluomo inglese che non sapeva più come schermirsi.
Oscar non poté trattenere un’alzata di ciglia di fronte a tanta stucchevolezza mentre André e Girodel non finivano di benedire la loro condizione di uomini ammogliati che li metteva al riparo dagli artigli della pronuba. Geneviève, in tutto ciò, manteneva la sua espressione assente e annoiata di sempre, perché il Conte di Canterbury non le piaceva e l’inglese che aveva appreso dai suoi scarsi e svogliati studi era troppo scadente per farle ipotizzare un futuro in Inghilterra.
– Forse, Signora Marchesa, avete confuso i colori – intervenne, con fare sornione, Sir Percy Blakenay – Può darsi che mio cugino non aneli al pallido azzurro del cielo di questa mattina, ma al verde splendente dei cespugli e delle chiome degli alberi – concluse, quindi, riferendosi, con tutta evidenza, a Mademoiselle de Saint Quentin che, di tutte le donne presenti, era l’unica ad avere gli occhi verdi.
Questa frase tagliente confuse i due diretti interessati oltre a provocare la stizza della Marchesa e una petulante rimostranza di Monsignor d’Amiens:
– Nostro Signore ci diede il creato perché noi ce ne servissimo per le nostre necessità quotidiane e non per farne lo specchio delle nostre vanità!
– Perché costringere la beltà del creato entro il meschino cerchio delle necessità quotidiane? Troppo splendente è la natura e troppo brillanti sono i colori per non suscitare in noi sentimenti più elevati! – disse la voce bassa e suadente del bell’uomo che si stava accostando al gruppo.
I presenti si voltarono e videro il Conte Maxence Florimond de Compiègne che si dirigeva, con passo agile e portamento leggiadro, verso di loro. Nello scorgere il cugino, Girodel impallidì e, subito dopo, si allontanò, seguito dalla moglie. Il volto annoiato di Geneviève, a quell’apparizione, si rischiarò come se fosse stato attraversato dai raggi del sole d’agosto e gli occhi di lei brillarono estasiati di viva ammirazione.
– Questo nobile gentiluomo in parte Vi ha esaltata, ma, in parte, Vi ha umiliata, Mademoiselle – proseguì il Conte di Compiègne, rivolto alla Marchesina Victoire Aurélie – perché paragonare i Vostri occhi ai cespugli o alle chiome degli alberi non ne esprime, se non in minima parte, la bellezza e l’intensità. Essi ricordano, piuttosto, gli smeraldi della Birmania, le giade della Cina e la violenza del mare in tempesta!
Il Conte di Compiègne aveva appreso che, fra i nobili giunti dalla provincia per assistere all’incoronazione, c’era anche la Marchesina de Saint Quentin, fornita di una notevole bellezza oltre che di una ragguardevole dote e non si era lasciato sfuggire l’occasione di avvicinarla.
Sir Percy Blakenay, che, in altre occasioni, avrebbe replicato, decise di rimanere in un divertito silenzio, curioso di capire dove sarebbe andato a parare il Conte di Compiègne che, già in occasione del suo precedente soggiorno a Versailles, aveva avuto occasione di conoscere e disprezzare.
Oscar e André soffocarono a mala pena un sorriso al cospetto di tanta sfacciataggine mentre la destinataria delle lodi taceva perplessa. Geneviève, invece, guardava il Conte ammirata, sdilinquendosi all’udire la melodia artefatta di quelle parole, neanche fossero state pronunciate per lei.
André, intanto, aveva provveduto alle presentazioni e ciò aveva dato a Mademoiselle de Saint Quentin il tempo di riaversi dalla sorpresa.
– Non esagerate, Conte, con le Vostre lodi o potrei anche crederci – disse la Marchesina col suo tono più ironico, dopo avere recuperato la presenza di spirito.
– Fareste bene a crederci, invece, perché mai ho visto al mondo qualcosa di più bello! – la incalzò lui.
– Signor Conte, sono una povera provinciale e devo conservare le mie modeste risorse emotive per la prossima incoronazione. Troppe emozioni rischierebbero di uccidermi – e si congedò da lui e dagli altri con un lieve inchino, seguita dai due nobili inglesi e dal fratello.
Il Conte di Compiègne, non avendo più ragione di restare, si accomiatò anche lui, inseguito dagli occhi infervorati di Geneviève che, fra una risata e un saltello, non sapeva più cosa fare per farsi notare.
Subito dopo, tratta in disparte la madre, in preda all’eccitazione e zompettando convulsamente come una bambina, la zitellona esclamò:
– Le Vostre ricerche sono finite, Madre! E’ quello il gentiluomo che voglio sposare! Il Conte di Canterbury è noioso e taciturno mentre il Conte di Compiègne è affascinante e sa stare al mondo!
– Ma sei impazzita, Geneviève?! – la apostrofò, fuori dalla grazia di Dio, la genitrice – Quell’individuo non è affatto un gentiluomo! Mentre tu oziavi, io ho preso alcune informazioni…. Sappi che ha una pessima reputazione e neanche un soldo di suo! E’ completamente screditato e inviso a coloro che contano! Non vedi come lo stesso cugino se ne è andato via indispettito, non appena il tuo gentiluomo ha fatto la sua comparsa?! E, come se non bastasse, stava corteggiando un’altra….
– Ma, Madre, un uomo che dice parole così stupende non può avere un animo abietto….
– Parole stupende non rivolte a te….
Mentre la Marchesa, sotto l’effetto dell’ira, stava rapidamente alternando tutti i colori, si udì, poco più in là, un uomo declamare, con enfatica affettazione, sgangherati versi a un pubblico oscillante fra lo stupore e l’ilarità.
 
Gemea Corisandro
Piangea dagli occhi
E, dopo un lacrimoso saluto,
Andossene.
 
– Oh, per Dio, Le Barde, piantatela o volete diventare lo zimbello di Versailles, dopo essere stato il fenomeno da baraccone di tutta Lille!! – sbottò la Marchesa d’Amiens che non sapeva più con chi prendersela.
Subito dopo, la nobildonna si allontanò, trascinandosi dietro la figlia mentre André andava a consolare il povero poetastro che un’anima perennemente in bilico fra il melodramma e la farsa e una stranezza caratteriale del tutto priva di malignità rendevano facile e indifesa vittima della cattiveria altrui.
 
********
 
La corte si era, infine, trasferita a Reims, nella cui cattedrale si sarebbe svolta la cerimonia dell’incoronazione. La famiglia reale aveva preso alloggio nell’Arcivescovado, sito nel Palazzo di Tau, posto a fianco della Cattedrale di Notre Dame che, per quei giorni, sarebbe assurto al rango di palazzo reale.
La sera di sabato cinque giugno, Oscar e le Guardie Reali, insieme ad alcuni notabili del Regno, fra cui figuravano il Generale de Jarjayes, il vecchio Conte de Girodel e André, avevano accompagnato il piccolo Re nella cattedrale, dove avrebbe trascorso la notte in preghiera. Oscar, le Guardie Reali e i notabili sarebbero, invece, rimasti fuori delle porte del sacro edificio a vigilare.
La mattina di domenica sei giugno, era partita, dall’Abbazia di Saint Remy, una processione di monaci guidata dall’Abate, recante la Santa Ampolla, contenente l’olio sacro con cui l’Arcivescovo di Reims avrebbe impartito al Re le sette unzioni, facendo di lui il diretto depositario del potere divino oltre che un taumaturgo. Secondo una tradizione mista a leggenda, quell’olio era giunto direttamente dal cielo, tramite lo Spirito Santo, per ordine di San Remigio, quando, intorno all’anno 493, aveva battezzato Clodoveo.
Oscar era in allerta, perché sia gli informatori delle Guardie Reali sia Alain le avevano riferito che alcuni ribelli avevano intenzione di impossessarsi della Santa Ampolla e di infrangerla, profanando l’olio sacro. Decise, quindi, di scortare i monaci in processione e, poiché la calca le impediva di allontanarsi dalle porte della cattedrale, si prodigò, non senza difficoltà, per aprire un varco fra quei corpi. Essendo, finalmente, riuscita a intravedere la processione in lontananza, diede ordine agli uomini di formare un cordone su ambo i lati del varco, per tenere a bada la folla mentre lei e altre cinque Guardie Reali andavano incontro ai monaci.
Era appena arrivata davanti all’Abate, quando udì delle urla di dolore e, voltatasi, vide alcuni popolani tentare la fuga o cadere a terra insanguinati e sopraffatti dalla sofferenza. Impiegò poco tempo ad accorgersi che alcuni uomini armati di baionette, di fucili e di spade, si stavano facendo largo a suon di fendenti, costringendo la folla alla ritirata e ferendo chi non poteva o non voleva allontanarsi. Oscar impugnò subito l’elsa ed estrasse la lama dal fodero, urlando ai suoi di prepararsi alla lotta.
Era vero, quindi! Qualcuno ha organizzato un assalto ai monaci e, forse, un attentato allo stesso Re! – pensò la donna mentre parava i fendenti e ne assestava degli altri.
– Guardie, formate un cerchio intorno ai monaci! Reverendo Abate, nascondete la Santa Ampolla, non tenetela così in evidenza!
Il Colonnello de Girodel e il Capitano de Valmy, intanto, erano accorsi dal portone della cattedrale, dove erano rimasti di guardia e stavano combattendo insieme agli altri. Anche André, il Generale, il Conte di Canterbury e Sir Percy Blakenay erano giunti sul posto e duellavano al pari delle Guardie.
Oscar era la più fiera e la più aggressiva di tutti e non lesinava coupés e montanti all’indirizzo di chi la assaliva, mettendo fulmineamente a mal partito chiunque si azzardasse a sfidarla. Sir Percy tirava di scherma con grande maestria e forniva un prezioso aiuto alla lontana cugina.
– Claude, assali l’Abate! Rubagli l’Ampolla, che noi ti copriamo! – dissero due energumeni a un giovanotto biondo che stava con loro.
André e il Generale, udita quell’esortazione, si avventarono, uno ciascuno, sui due uomini e Oscar, disarmato il suo attuale avversario con un molinello, raggiunse Claude in quattro falcate, lo afferrò per la casacca e lo gettò a terra. A causa del capitombolo, un’ampolla, del tutto uguale a quella portata in processione dall’Abate, cadde di dosso al giovane e ruzzolò a terra senza rompersi. Oscar la agguantò con la mano destra, afferrando, con la sinistra, il braccio dell’uomo disteso che costrinse a voltarsi verso di lei.
– Hervé Huppert! – esclamò la donna, fissando il volto lentigginoso, gli occhi azzurri e la cicatrice a stella sulla guancia sinistra del ragazzo che aveva atterrato.
Nel mentre, un uomo colossale le si fiondò addosso dal lato sinistro, facendole perdere l’equilibrio. Oscar gli assestò una gomitata sul naso e un calcio su una gamba, riuscendo rapidamente a rimettersi in piedi, ma il diversivo, seppure durato pochi istanti, era stato sufficiente a Hervé Huppert per dileguarsi fra la folla.
Arrestati gli aggressori ancora in vita che non erano riusciti a fuggire, Oscar, André, il Generale e i cugini inglesi corsero all’interno della cattedrale mentre Girodel e Valmy vi scortarono, più lentamente, i monaci terrorizzati.
Appena giunta nel sacro edificio, Oscar fu letteralmente investita dalla Regina che, accortasi del tumulto, era in grande apprensione per l’incolumità dei suoi figli.
– Che cosa sta succedendo, Madame Oscar? Datemi una spiegazione!
Oscar raccontò, in poche parole, l’accaduto alla Regina, mostrandole la falsa ampolla che aveva portato con sé. Maria Antonietta allibì, per, poi, trasecolare, quando, giunto l’Abate nella cattedrale, poté vedere vicine le due ampolle.
– Madame Oscar, Vi affido quest’ampolla sacrilega…. Custoditela finché non avremo fatto ritorno a Versailles, dove ne faremo esaminare il contenuto. La cerimonia dell’incoronazione deve avere luogo comunque, non possiamo fermarci, ne va della dignità della Corona! Il Re non si è accorto di niente e non deve essere turbato. Che siano prestati i soccorsi ai feriti, seppellite i morti, portate in carcere i prigionieri e che si parli di tutto ciò il meno possibile.
Ciò detto, si voltò di spalle, dopo che Oscar si era messa sull’attenti e tornò da dove era venuta.
La cerimonia dell’incoronazione fu portata a termine, alla presenza degli alti prelati e dei pari del regno, fra cui figuravano le famiglie de Jarjayes e de Girodel e il neoConte di Lille.
 
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Due giorni dopo l’incoronazione, l’otto giugno del 1790, Luigi XVII si mostrò al popolo nella piazza principale di Reims, antistante la Cattedrale di Notre Dame, per benedire la folla, distribuire monete d’oro e imporre le mani sui malati di scrofolosi.
Affinché non si ripetessero i disordini di due giorni prima, Oscar aveva fatto perlustrare ogni angolo dei dintorni e perquisire tutti gli astanti. Ella stessa stava in allerta come se l’anticristo fosse dovuto giungere da un momento all’altro.
Poiché la notizia dell’agguato non era stata portata a conoscenza dei nobili che non si erano trovati in piazza il giorno dell’incoronazione o era stata minimizzata, questi si comportavano come se nulla fosse successo. Il Conte di Compiègne, in particolare, non faceva che avvicinare Mademoiselle de Saint Quentin che, dal canto suo, cercava di evitarlo il più possibile. Geneviève d’Amiens si metteva in mostra con l’aristocratico in tutti i modi, ricevendo, in cambio, un’indifferenza che rasentava la maleducazione e delle eloquentissime occhiatacce da parte della madre. L’Arciduchessa Maria Cristina era sempre tesa, confermando, in Oscar, il timore che qualcosa non stesse andando per il verso giusto relativamente al trattato dello scorso settembre. Il sospetto aggiungeva preoccupazione ad angoscia nell’animo della donna che reagiva con crescente nervosismo.
Come se la confusione non fosse già sufficiente, Maurice Le Barde non faceva che agitarsi in lungo e in largo, alla continua ricerca di una fonte di ispirazione.
Mentre il piccolo Re stava esercitando le sue nuove doti di taumaturgo sui malati di scrofolosi, una donna scarmigliata e rugosa, abbigliata con vesti variopinte, un fazzoletto frangiato sul capo e molte catene d’oro, trascurata dalle Guardie perché vecchia e male in arnese, si slanciò verso il Re e gli si parò dinnanzi.
– E’ la zingara Azucena! – esclamarono alcune persone nella folla.
Subito, le Guardie, timorose che si potesse ripetere quanto accaduto due giorni prima, afferrarono la vecchia per le braccia, ma questa, con una forza insospettabile in una donna di quell’età, biascicando maledizioni nella sua lingua gitana, si divincolò e puntò il dito contro il Re.
– Non volgerà una luna prima che la tua corona si macchi di sangue! Qualcuno sarà assassinato nella grande Casa del Re e quest’evento turberà la pace di molti!
Detto ciò, la zingara proruppe in una sinistra risata mentre i capelli corvini, inframmezzati da fili bianchi, si agitavano al vento.
– Ristabilite l’ordine! – ingiunse Maria Antonietta – Che la benedizione della folla prosegua!
Le Guardie Reali afferrarono la zingara che si dimenava e domandarono a Oscar:
– Comandante, dobbiamo metterla ai ferri?
Oscar guardò, accigliata, la vecchia e, poi, rispose:
– No, è innocua, lasciatela andare.
– Vattene, svaporata! – disse una Guardia, assestandole una spinta sul braccio – E ringrazia la tua buona stella!
La vecchia si liberò con una spallata e se ne andò via, facendo risuonare la sua tetra risata nella piazza di Reims.
 
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Tornata la corte a Versailles, l’ampolla sottratta a Claude – Hervé Huppert era stata consegnata, in gran segreto, al chimico Antoine Laurent de Lavoisier, fatto giungere, per l’occasione, alla reggia e questi aveva iniziato ad analizzarne il contenuto.
Le Guardie Reali si erano accorte che alcune delle armi sequestrate agli attentatori recavano impresso il marchio del reggimento della Guardia Metropolitana Parigina e Oscar aveva imposto discrezione, almeno fino a quando non fosse riuscita a parlare col Colonnello d’Agout.
Pochi giorni dopo il rientro da Reims, Luigi XVII avrebbe fatto la sua prima apparizione da Sovrano nel salone di Apollo e tutta la reggia era in agitazione.
Oscar e André erano bellissimi. Lei indossava la sua divisa turchese da Comandante Supremo delle Guardie Reali, sulla quale rilucevano le spalline, gli alamari, i cordoni dorati e, naturalmente, la Croce dell’Ordine di San Luigi e tutte le altre medaglie da lei conquistate. Lui, invece, aveva un abito composto da una marsina ricamata in faille di seta rosa, da un gilet di taffetà cangiante, rosa e da polpes moirés, pure rosa. Il jabot e le cadute ai polsi erano formati da pizzi argento e da nastri di raso rosa.
Una gran folla era giunta alla reggia per omaggiare il nuovo Sovrano. In mezzo ad essa, c’erano anche Bernard e Rosalie, lui con indosso un completo nero, sobrio ed essenziale e lei con un’andrienne azzurra come il cielo e un nastro dello stesso colore fra i capelli. Bernard, in realtà, aveva l’espressione riottosa di chi era stato trascinato lì per i capelli e proprio non riusciva a condividere l’entusiasmo e la curiosità della consorte per quelle messinscene monarchiche, cariche di sfarzo e di superstizione. Rosalie, però, aveva pestato i piedi e, forte del suo stato di donna incinta, l’aveva spuntata.
Bernard aveva, quindi, colto l’occasione al volo, chiedendo ad André di mostrargli le carte relative alla distribuzione del frumento ai poveri, così che quella giornata scorresse in modo proficuo, senza essere sacrificata sull’altare della vacuità. André aveva condotto l’amico nel suo ufficio, invitandolo a sedersi alla sua scrivania e mettendogli di fronte tutti gli incartamenti. Si era, quindi, accomiatato, a causa di alcune incombenze da svolgere.
Il Conte di Compiègne continuava a dare il tormento a Mademoiselle de Saint Quentin mentre il fratello di lei, il giovane Marchese, se la godeva un mondo, fra una cerimonia e un ballo.
Geneviève d’Amiens non sapeva più cosa fare per rendersi ridicola, coi suoi bizzarri tentativi di farsi notare dall’affascinante nobiluomo, tanto da essere diventata una leggenda fra le dame di corte. Il Conte di Compiègne, da consumato uomo di mondo, si era subito accorto di quella strana e prorompente cotta, ma non aveva voluto dare spago alla seccante Marchesina che giudicava assolutamente indesiderabile, malgrado la cospicua dote di cui disponeva. Mai e poi mai il bel Conte di Compiègne avrebbe unito le sue sorti a quelle di una donna così goffa e sgraziata che lo avrebbe reso ridicolo agli occhi di tutti e che non avrebbe favorito in alcun modo l’ascesa sociale di lui. Non si sarebbe seppellito a Lille, a fare il nobile di provincia, accanto a una moglie scialba, a un cognato presuntuoso e detestabile, a un vecchio Monsignore petulante e a una suocera arcigna e avara, ma ancora troppo giovane per fargli l’immenso favore di passare a miglior vita. Il giovane amore di Geneviève pareva, quindi, destinato all’inappagamento e a fornire copiosa materia ai poemi guerresco-amorosi di Maurice Le Barde.
Quest’ultimo, quel giorno, se ne stava nel Parterre du Midi a declamare i versi che aveva composto per commemorare “l’Agguato alla Santa Ampolla”, giacché, col rientro a Versailles, la notizia era trapelata ed era, ormai, diventata di pubblico dominio.
 
Mentre fervea la pugna,
L’amazzone aurichiomata
Strage facea di nemici
Insieme al canuto padre
E al fiero e fedele sposo,
Il nostro buon Conte
E, dalla caliginosa Albione,
Un prode eroe i denti facea tremar.
 
– Un paio di versi non si negano a nessuno – ridacchiò Sir Percy, essendosi riconosciuto nell’eroe straniero citato alla fine del canto mentre il Generale storceva il naso, non avendo gradito l’aggettivo di “canuto”.
Oscar, invece, era più grave del solito, perché, mezz’ora prima, Lavoisier le aveva comunicato gli esiti dell’esame effettuato sul contenuto dell’ampolla falsa. Si trattava di un potente veleno che agiva a contatto con la pelle. Dopo qualche ora dall’unzione, il Re sarebbe morto e, con ogni probabilità, l’Arcivescovo di Reims lo avrebbe seguito, essendo una piccola dose di quell’unguento letale, sparsa sul palmo di una mano, sufficiente a causare la morte di un uomo. Era molto probabile che quei delinquenti, prezzolati da una vecchia conoscenza, avessero simulato un attentato alla Santa Ampolla mentre il loro vero intento era scambiarla con quella contraffatta, per, poi, allontanarsi subito dopo, fingendo una ritirata di fronte all’incalzare delle Guardie.
Torva e agitata, con i malesseri e le nausee che l’affiggevano, Oscar lasciò il Parterre du Midi e iniziò a passeggiare fra i viali ad esso adiacenti. Non passò troppo tempo che la donna fu raggiunta da un sasso, scagliato da una mano nascosta, che terminò il suo volo in prossimità dei piedi di lei. Vedendo che la pietra era avvolta in un foglio di carta, la raccolse e la liberò dall’involucro.
 
La Regina e il Conte di Fersen si sono dati appuntamento per un convegno amoroso nel boschetto di Venere, sotto la statua della dea.
 
Questo era scritto sul foglio spiegazzato, vergato da una grafia piuttosto ricercata.
Senza troppo riflettere, Oscar, in preda all’agitazione e al nervosismo, corse in direzione del boschetto.
Giunta sul posto, la donna restò impietrita di fronte a una scena che le fece spalancare gli occhi. Proprio accanto al basamento della statua di Venere, André stringeva le mani di Mademoiselle de Saint Quentin e le rivolgeva delle parole accorate.
Anche André e la Marchesina Victoire Aurélie erano stati attratti nel boschetto con l’inganno, lui con la falsa notizia che Oscar era caduta in un agguato e lei allarmata da un valletto che l’aveva informata che il fratello era stato punto da una vipera ed era in procinto di esalare l’ultimo respiro. André, vedendo la donna sconvolta e non scorgendo, nel luogo, Oscar e Camille Alexandre, aveva subodorato il tranello e, per calmare la Marchesina, le aveva preso le mani fra le sue, rivolgendole alcune parole di conforto.
Dopo la prima sferzante sorpresa, Oscar iniziò a razionalizzare e, ricordandosi dell’intrigo di novembre che tante lacrime e vergogna era costato alla povera Diane, capì e si calmò.
– Un tranello…. – mormorò André.
– André, presto, vai a vedere se il Re sta bene! In questo momento, mi gira la testa e non posso correre!
– Oscar, come stai? – mormorò André, con un filo di voce.
– Vai!! – tuonò la moglie.
– Sì…. – fece eco lui e, subito dopo, si dileguò.
Oscar prese per un braccio Mademoiselle de Saint Quentin e, insieme a lei, tornò dove stavano gli altri cortigiani, rassicurando l’altra sul fatto che il fratello stava certamente bene.
Vedendo giungere al braccio di Oscar una donna che, secondo i loro progetti, sarebbe, ormai, dovuta essere per lei un’odiata rivale, il Duca d’Orléans e il Duca di Germain impallidirono.
– Le cose non sarebbero dovute andare così…. – biascicò il Duca di Germain.
– Tacete, per Dio! – lo zittì l’altro.
In quello stesso istante, un valletto arrivò trafelato e, col fiato spezzato e le spalle ansimanti, annunciò:
– Hanno assassinato il Conte di Lille!
– Che dite!! – urlò Oscar, afferrando il ragazzo per il giustacuore.
– Nell’ufficio…. Pugnalato….
Oscar lasciò la presa e si scapicollò, come una furia, nell’ufficio del marito. Nulla più sentiva, se non i battiti del suo cuore, amplificati come spari di fucile all’interno di una caverna. Nulla più vedeva, se non i corridoi che si snodavano davanti a lei, uno dietro l’altro, in una confusa e irreale sequenza. Nulla più voleva, se non svegliarsi da quell’incubo o raggiungere lui nella tomba.
Giunta nell’ufficio di André, vide una chioma nera, riversa sulla scrivania. Protese la mano destra verso la sagoma inerte e si accostò ad essa inebetita, fino a sfiorare, con la punta delle dita, quella negra capigliatura ormai prigioniera della morte. Un pugnale era ancora conficcato nella schiena del cadavere e una macchia vermiglia oltraggiava, intorno ad esso, il nero della stoffa.
Poi, arrivò l’illuminazione….
– Di nero…. Quest’uomo è vestito di nero…. Il completo di André è rosa….
Sollevò di scatto il capo del morto ed esclamò:
– Bernard!!!!
Proprio in quel mentre, Rosalie, giunta sul posto insieme ad André, lanciò un urlo e stramazzò al suolo.
 
********
 
– Siamo sempre così sfortunati! – ruggì il Duca di Germain, in preda a una crisi di nervi – Non soltanto non siamo riusciti a scambiare le ampolle e ad avvelenare quel marmocchio con la corona, ma neppure abbiamo potuto sfruttare l’opportunità offertaci, su un vassoio d’argento, dalla maledizione di quella zingara!! Non soltanto quella spostata non ha creduto all’infedeltà del marito, ma quello sciocco di un giornalista giacobino è pure andato a morire al posto del villano rifatto!! E, adesso, come facciamo a fare ricadere la colpa dell’omicidio sull’ermafrodito contro natura?!
– Non possiamo, infatti, non possiamo…. – ringhiò il Duca d’Orléans – Manca il movente, manca un nesso, manca tutto….
– Dannazione!! – urlò il Duca di Germain, scaraventando un vaso di porcellana contro il muro.
– CalmateVi, dannazione!! Sapete che non tollero queste sceneggiate da donnetta isterica!! Troveremo il modo per colpire…. Lo troveremo….
 
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– La poveretta è molto provata, ma il bambino è salvo, non lo ha perso.
Il nuovo Archiatra di Corte, succeduto al Dottor Lassonne che era morto nel dicembre del 1788, rassicurò gli astanti, dopo essere uscito dalla camera da letto degli appartamenti della reggia assegnati a Oscar, dove era stata trasportata un’esanime Rosalie.
Oscar e André ascoltavano quelle parole sollevati, per quanto la situazione lo consentisse.
– Madame Châtelet non è in pericolo di vita – proseguì l’Archiatra – Ma ha bisogno di molto riposo…. E riposateVi anche Voi, Generale de Jarjayes, perché siete nelle stesse condizioni della Vostra amica.







La Santa Ampolla, contenente l’olio sacro, destinato alle unzioni regali, fu infranta dai rivoluzionari a Reims, nel 1793. Un frammento di essa fu recuperato e successivamente conservato nel tesoro reale della Cattedrale di Reims.
In questo capitolo, assistiamo, quindi, a una “morte per sbaglio”, ma anche allo sbocciare di un inedito e bizzarro amore e all’affacciarsi al mondo di una nuova vita.
Cosa ne sarà della povera Rosalie? Il trattato fra la Francia e l’Austria reggerà? Che ripercussioni avrà la morte di Bernard? Il nuovo figlio di Oscar e André sarà maschio o femmina? Come si chiamerà?
Per saperlo, basterà leggere il quarantesimo capitolo che sarà collegato alla mia one shot di qualche mese fa, intitolata: “La selva”.
Grazie a chi ha letto questo nuovo capitolo!
 
Qui, c’è l’abito indossato da André per la cerimonia nel salone di Apollo:
   
 
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