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Autore: Ode To Joy    01/06/2019    3 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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Nota 1: la vecchia versione del capitolo 34 è stata cancellata e sostituita con quella che seguesegue. La prima parte del capitolo è rimasta pressoché invariata ma sono state aggiunte delle scene dove la versione precedente era stata interrotta. 
Nota 2: nell'ultima scena sono presenti riferimenti allo spin-off natalizio "Till my last breath" 

34


Di nuove stagioni e altre fughe








Nessuno aveva ancora parlato e il Primo Cavaliere di Seijou provava già un gran dolore alla testa. Si massaggiò il naso e prese un respiro profondo. “Tutto qui?”
Satori scrollò le spalle e la parodia di un’espressione amichevole comparve sul suo volto. “Tutto qui,” concluse il Cavaliere di Shiratorizawa, poi si guardò intorno. “Non avete ancora ristrutturato, vedo.”
Hajime lanciò un’occhiata veloce alla parete distrutta della sala del trono. “Risparmiami il sarcasmo, Satori,” lo avvisò. “Non sono dell’umore adatto.”
Satori annuì. “Posso capire,” disse. “Avete trascinato tutti i vostri uomini… No, l’intera corte del Castello Nero dalle campagne alla Capitale, dopo che questa si era data alla fuga sotto i vostri occhi sempre così attenti. È più che naturale che siate irritato, Hajime.”
Il Primo Cavaliere fece appello a tutto il suo autocontrollo e andò avanti. “In conclusione, tu e il tuo Principe siete qui perchè il ragazzo si sente solo a casa, nel Regno di Shiratorizawa?” Lanciò un’occhiata al fanciullo dai capelli corvini. Aveva tenuto lo sguardo basso per tutto il tempo e non aveva detto una parola.
“Esattamente, sir,” confermò Satori. “Immagino sappiate che il nostro Principe non è cresciuto a stretto contatto con giovani di rango inferiore al suo, a differenza di vostro figlio. Politiche interne del Castello Bianco che non ho il potere di cambiare ma che non ritengo completamente giuste.”
Hajime inarcò un sopracciglio. “Sei il braccio destro del Re dell’Aquila… E smettila di darmi del voi, immagino che il ragazzo sia consapevole che non c’è alcun rispetto tra noi.”
Satori si portò una mano al petto. “Così mi ferisci, Hajime,” disse con fare drammatico. “In tutta onestà, non si può che provar rispetto per un Primo Cavaliere umano in un Regno di Demoni. Ai tempi in cui il tuo nome cominciava a essere conosciuto, si mormorava che ti fossi guadagnato i tuoi titoli alla vecchia maniera, ma le tue azioni hanno saputo mettere a tacere le male lingue alla svelta. Anche il mio Re ti vede come un degno avversario e sai che non è poco...”
Il modo in cui Wakatoshi lo riteneva un avversario era ben diverso da quello che Satori stava lasciando intendere. Lo sapeva. Lo sapevano entrambi, ma c’erano cose di cui non si poteva parlare esplicitamente davanti ai Principi.
Tsutomu pareva così piccolo con quel mantello violaceo sulle spalle e la sua sfrontata guardia del corpo accanto. Hajime provò tenerezza per lui: se era fragile come appariva, il nome di suo padre lo aveva già condannato. “Il piano del tuo Cavaliere ha dato i suoi frutti?” Domandò.
Tsutomu sollevò la testa di scatto e arrossì. “Come, sir?”
“I giovani di Seijou si sono dimostrati una buona compagnia?” Chiarì il Primo Cavaliere.
“Beh… Ecco…” Il Principe dell’Aquila aprì e chiuse la bocca un paio di volte.
Satori intervenne avvolgendogli un braccio intorno alle spalle. “È stata un’estate piena di emozioni per il mio giovane signore, Hajime,” rispose per il ragazzino. “Prima qui al Castello Nero, poi nelle campagne… Il piccolo Principe dei Corvi si è dimostrato davvero gentile con lui e sua altezza demoniaca l’ha portato a caccia con sè in più di un’occasione.”
Hajime aggrottò la fronte. “Tobio?” Era già difficile vedere suo figlio legarsi a Shouyou e convincersi che fosse vero, ma sapere che anche Tsutomu era entrato nella ristrettissima cerchia delle sue simpatie aveva dell’assurdo.
“Oh, sì!” Esclamò Satori con eccessivo entusiasmo. “I tre Principi hanno passato molto tempo insieme. Lo interpreto come un buon presagio. È positivo per il futuro di tutti che gli eredi delle tre monarchie principali di queste terre siano legati tra loro da qualcosa oltre la politica, non credi?”
Hajime non ne era così sicuro e dubitava che Satori credesse davvero a quello che stava dicendo. I giochi tra Principi e Re non finivano mai bene quando s’intrecciavano alle relazioni personali.
Il nome del piccolo Shouyou poteva non essere influente con due mostri come Seijou e Shiratorizawa a stabilire l’equilibrio del potere, ma Karasuno non poteva rimanere in disparte per sempre. Tooru aveva i suoi progetti e glieli aveva ripetuti fino alla nausea, ma Daichi non aveva ancora messo da parte le sue paure.
Shouyou era l’ultimo erede di un regno libero troppo piccolo per fare la differenza, ma che era come una nota stonata in una melodia che solo Tooru e Wakatoshi potevano comporre.
E come se non bastasse, il fanciullo era figlio di Koushi, che gli aveva passato l’unico potere di cui un consorte reale non poteva fare a meno.
Pur mettendo da parte tutta l’assurda storia di Tooru sui sogni, Hajime doveva ammettere che c’era qualcosa di predestinato nel futuro di Shouyou.
“Ne sono sollevato,” disse il Primo Cavaliere con voce incolore.
Satori annuì. “Le alleanze basate sull’amicizia sono le più durature.”
Hajime lo fissò, poi scosse la testa. “No,” replicò. “Sappiamo entrambi che le alleanze che hanno alla base qualcosa di personale sono le più pericolose.”
Satori si fece serio per un istante.
“Tuttavia…” Hajime esitò. “Sono contento che il Principe dell’Aquila abbia dei bei ricordi legati a Seijou e sono lieto di sentire che mio figlio è stato all’altezza del suo nome.”

Satori chinò il capo con rispetto e spinse Tsutomu a fare lo stesso. “Siamo noi a esservi grati per la vostra gentile ospitalità.”
“A proposito di questo…” Hajime si fece più vicino. “Posso essere informato sulla natura della tua prossima mossa, Satori?”
Il Cavaliere rise. “Me lo chiedi come se da me ti aspettassi solo i peggiori complotti!”
“Puoi biasimarmi?”
“Mio malgrado, no. Non temere, Primo Cavaliere, non ho intenzione d’imporre la mia presenza e quella del mio Principe qui alla vostra corte ancora a lungo.”
Hajime fu sollevato di sentirlo. “Posso fare qualcosa per voi?”
“Chiediamo solo due o tre giorni per recuperare le forze e prepararci per il viaggio di ritorno, se non è di troppo disturbo,” disse Satori, guardando il suo Principe. “Prima di fare ritorno al Castello Bianco, credo che Tsutomu voglia salutare i suoi amici come si deve.”
Hajime annuì distrattamente. “Pazientate alcuni minuti,” disse, superandoli. “Vi farò avere delle stanze.”
Fu imprudente da parte sua dare le spalle a una serpe come Satori. “Mi permetti di dirti che fare il padrone di casa in una sala del trono ti riesce incredibilmente bene, Hajime?”
Il Primo Cavaliere lo guardò. Non aveva alcuna intenzione di stare al suo gioco. “Parla chiaro o non parlare affatto, Satori.”
Tsutomu guardò la sua guardia del corpo con espressione perplessa. Non sapeva quando era cominciato, ma ebbe l’impressione che si stesse per svolgere un duello in quel salone.
Satori scrollò le spalle. “Niente, sono solo un nostalgico…” Disse. “Mi sono ricordato di quando i signori di questo castello erano due.”
Lo sguardo di Hajime si fece tagliente. “Non ho mai smesso di essere il Primo Cavaliere. Solo il Re Demone è sopra di me. Non sono le regole mie e di Tooru, ma quelle del mondo dei sovrani.”
Satori annuì. “Hai perfettamente ragione.”
Tsutomu non tolse gli occhi di dosso dal profilo del suo Cavaliere: era stato lui a gettare la spada a terra per primo e a dichiarare la resa, eppure teneva ancora la testa alta.
“Aspetteremo qui che vengano a portarci nelle nostre stanze,” aggiunse Satori.
Hajime annuì e scomparve oltre l’alto portone d’ingresso.
“Che cosa stavi facendo?” Domandò Tsutomu curioso.
Il Cavaliere lo guardò.
“Lo hai sfidato e ti sei nascosto…” Disse il Principe.
L’altro gli spettinò i capelli con fare paterno. “Sai perchè alcuni animali si fingono morti di fronte a un predatore, ragazzo mio?”
Tsutomu storse la bocca. “Perchè mi fai una domanda tanto stupida?”
Satori alzò gli occhi al cielo. “Tipico del sangue di Wakatoshi,” disse, un poco esasperato. “Mai una volta che giochino di furbizia. Tieni a mente quello che hai appena visto, Tsutomu, perchè è una lezione che tuo padre non t’impartirà mai e un giorno potrebbe salvarti la vita.”
Tsutomu non comprese, ma rimase in silenzio.




***





Tooru non ebbe la reazione che Kenma si era aspettato.
Gli occhi scuri del Re Demone non s’incendiarono d’ira, nemmeno si alzò dalla sua scrivania. Si limitò ad abbassare lo sguardo per un istante, prese coscienza della situazione e annuì due volte. “Ho capito…”
In piedi al centro della stanza, Kenma ingoiò a vuoto. “Dovete perdonarmi, sire, ma-”
“No,” lo interruppe Tooru. “Non c’è alcun bisogno di chiedere scusa. Andava fatto. Se non mi avessi preceduto, lo avrei fatto io alla fine dell’estate.” Sollevò gli occhi su quelli del Mago. “Beh… L’estate è finita.”
Kenma inspirò profondamente dal naso. “Vi confesso che la mia è stata una scelta egoistica.” Come sempre, il suo tono non tradì alcuna emozione particolare.
Lo aveva cercato per raccontargli ogni cosa e tanto bastava a Tooru per sapere che parlare a due fanciulli della morte a cui erano destinati non gli aveva fatto piacere. “Quindi gli hai parlato dei tuoi sogni?”
“Sì, mio signore.”
“Tutti quanti?”
Kenma annuì. “Sia di quello che vede vostro figlio come il sovrano di tutti i regni liberi, sia…” Lasciò la frase sospesa. “Ho preferito non soffermarmi sui dettagli.”
Tooru annuì. “Comprendo.”
Kenma attese, ma il sovrano non aggiunse altro. Fu lui a incitarlo: “non volete sapere di più, Maestà?”
Tooru strofinò la nocca dell’indice contro le labbra distrattamente. “Sono rimasti insieme,” disse, sovrappensiero. “Sanno di essere l’uno la condanna dell’altro e sono rimasti insieme.”
“Il Principe Demone ha detto di rifiutarsi di basare le sue scelte su di un sogno che potrebbe non concretizzarsi mai.”
Tooru accennò un sorriso. “Il Principe Demone è figlio di suo padre.” Guardò il Mago. “Del piccolo Shouyou che mi dici?”
“Ha pianto,” raccontò Kenma. “L’ho spaventato…”
Tooru annuì di nuovo. “E sono ancora insieme…” Mormorò, poi rise. “Quanto mi manca la stupidità di quell’età.”
Kenma sbatté le palpebre un paio di volte. “Pensavo che sareste stato felice di vederli insieme anche dopo la verità.”
“Lo sono,” confermò Tooru. “Solo che…” Si umettò le labbra. “Ci ho sperato tanto e ora mi sento sorpreso. Non riesco a capirmi.”
“Probabilmente fate fatica a credere che la il loro desiderio di restare insieme sia più grande della paura della morte.”
Tooru ridacchiò, sarcastico. “No, quello lo capisco perfettamente e tu dovresti saperlo.” Si sentì ridicolo ma senza cattiveria. “Forse faccio fatica a immaginare Tobio così appassionato. Il Principe Demone che non teme di sfidare il destino per restare con il suo Piccolo Corvo. Mi sono raccontato questa storia tante di quelle volte e Hajime mi ha ascoltato altrettante con aria così annoiata che alla fine ho smesso di crederci anche io.” Rilassò la schiena contro l’alto schienale della sua poltrona. “Eccoci qua,” mormorò con un sorrisetto compiaciuto dalle sfumature oscure. “È successo…”


***



Nessuno dei Cavalieri appartenenti alla cerchia dei fedelissimi del Generale Supremo aveva il permesso di lasciare il cortile interno del Castello Nero. I fanciulli potevano uscire, spostarsi sul piazzale esterno e arrivare alla scuderie. Ai veterani, invece, era stato detto che si sarebbero ritrovati con una scure sospesa sopra le loro teste se solo avessero osato guardare in direzione dei cancelli.
Non c’erano allenamenti in corso. Nessuno si era disturbato a indossare le protezioni per i duelli amichevoli. Gli uomini del Primo Cavaliere se ne stavano sparsi in tutto il cortile ad annoiarsi sotto il sole di fine settembre, i visi animati dalla stessa espressione corrucciata che avrebbe fatto un bambino costretto in punizione.
Seduto sulle scale che portavano alle mura di cinta, Koutaro sbuffò sonoramente. “Che noia!”
Per metà disteso sui gradini di pietra, Tetsuro scrollò le spalle. “Poteva andarci peggio.”
Koutaro gli lanciò un’occhiata perplessa da sopra la spalla. “In che modo poteva andarci peggio?”
“Potevamo perdere la testa,” buttò lì Takahiro, seduto all’ombra della logge insieme a Issei. “Non voglio più fare un viaggio come quello di ritorno dalle campagne. Non sono mai stato prigioniero di guerra, nemmeno quando il Castello Nero è stato assediato, ma fare la strada dalle compagne a qui…” Fece un gesto della mano come a dire che era meglio non parlarne.
“Quello che non capisco io è perchè Hajime ha deciso che giovani Cavalieri, tipo Lev, non hanno dovuto soffrire le conseguenze delle loro azioni,” disse Tetsuro.
“Beh… Sarebbe una cattiveria dare a Lev la responsabilità di qualsiasi cosa,” replicò Koutaro.
“E tutti i giovani Demoni?”
“Hanno genitori a cui il Primo Cavaliere non è andato contro,” intervenne Issei. “Ha lasciato a loro la libertà di decidere una punizione adeguata.”
Koutaro guardò la cima delle mura di cinta: poteva udire distintamente il frastuono provocato da tante giovani voci allegre. “A me non sembra stiano espiando come si deve…”
Tetsuro sorrise, diabolico. “Andiamo a rovinare loro la festa?” Propose.
Koutaro s’illuminò di colpo. “Che cosa hai in mente?”
“Di farsi uccidere?” Issei accennò un sorriso sarcastico. “Se uscite da quei cancelli, Hajime si dimenticherà del vostro vecchio titolo reale, della vostra amicizia e del fatto che vi deve la libertà.”
“Al contrario…” Takahiro ridacchiò. “Ve la restituirà in modo definitivo!”
Tetsuro si voltò verso la cima delle scale. “Ma noi non dobbiamo uscire dai cancelli per tediare i mocciosi che stanno giocando sotto queste mura.”
Koutaro sorrise entusiasta. “Raccogliamo tutte le pietre del cortile e saliamo!”
“Crudele,” disse Issei.
“Doloroso,” aggiunse Takahiro. “Anche un po’ vigliacco…”
Tetsuro li zittì con un seccato gesto della mano. “Impareranno che avere intorno a loro dei perfetti idioti non giustifica le loro idiozie.”
Koutaro sbatté le palpebre un paio di volte. “E questa quando l’hai pensata?”
“Sul momento, amico mio.”
I due si alzarono in piedi ma qualcosa salvò i poveri fanciulli fuori dalle mura dalla loro frustrazione.
“Oh, è vivo…” Commentò Issei dal nulla, guadagnandosi le occhiate perplesse dei suoi compagni. Bastò sollevare lo sguardo come lui per comprendere.
“Non solo è vivo,” disse Koutaro, incrociando le braccia contro il petto. “Si atteggia anche da Principe, guardatelo!”
Tetsuro lanciò all’amico un’occhiata eloquente. “Perchè è un Principe.”
Issei e Takahiro abbandonarono il fresco rifugio sotto le logge per guardare meglio.
Ben presto, tutti i Cavalieri nel cortile si ritrovarono col naso all’insù a cercare di capire perchè il Principe Demone se ne stava sulla grande balconata degli appartamenti reali a vagare come un’anima in pena.
“Ha in mano qualcosa?” Domandò Koutaro, coprendosi gli occhi dal sole con una mano.
“Penso abbia solo lo sguardo basso,” rispose Tetsuro.
“Ma ha le mani giunte!” Notò Takahiro affiancandoli.
Issei rimase indietro, l’espressione disinteressata. “Penso sia un fiore…”
“Un fiore?” Chiesero gli altri tre in coro.
“Lo tiene come un fiore.”
“Prima ruba un bacio appassionato al piccolo Corvo di fronte a tutta la corte di Seijou, poi parla con i fiori. Lo stiamo perdendo!” Esclamò Koutaro con un sorriso intenerito.
Tetsuro inarcò le sopracciglia. “Che cosa avrà quel piccoletto da far perdere la testa a tutti?” Si domandò. “Anche Kenma ne parla di continuo. Voglio dire, è Kenma!”
“Avete notato che anche Aone diventa improvvisamente socievole in sua presenza?” Takahiro rise delle sue stesse parole. “Nel modo di Aone, s’intende.”
“Riesce anche a intrattenere una conversazione con il Principe dell’Aquila,” aggiunse Tetsuro. “È praticamente cresciuto accanto ai mocciosi di tutti noi e nessuno è mai riuscito nell’impresa.”
Koutaro sollevò l’indice, pronto a sottolineare l’ovvio: “nessuno lo ha mai interessato.”
Tetsuro storse la bocca e incrociò le braccia contro il petto. “E io torno a chiedere che cosa potrà mai avere di così speciale?”




Quella che Tobio stringeva tra le dita non era un fiore ma una spiga di grano.
L’aveva strappata da uno dei campi dorati che avevano superato durante il viaggio di ritorno. Era stato un gesto impulsivo, senza una ragione concreta. Sulla strada verso casa una parte di lui aveva cercato di rimandare il momento in cui quell’estate sarebbe veramente finita, e le sue dita si erano tese verso la distesa d’oro che costeggiava il sentiero.
Era stato un suo modo di salutare, di godere di quegli ultimi istanti di libertà.
Quella spiga gli era rimasta tra le mani quasi per caso e gli aveva fatto compagnia nei giorni seguenti. Se la era rigirata tra le dita tante di quelle volte che aveva perso parte delle sua lucentezza. Tobio aveva scansato subito l’idea di gettarla: sarebbe stato come buttare via un frammento di ricordo.
Non poteva rinchiudere una lucciola e sperare che la sua luce brillasse per sempre, ma quella spiga poteva resistere ancora un po’, poteva portare un messaggio che lui non sarebbe mai riuscito a esprimere a parole.
Dal ritorno al Castello Nero, Tobio non aveva cercato più Shouyou.
Suo padre lo controllava da vicino, si assicurava che non stesse progettando un’altra fuga. Tooru vigilava sul Principe dei Corvi. Tenerlo al sicuro era una sua responsabilità di sovrano e non poteva permettersi di non avere il controllo della situazione, nemmeno se significava passarlo al suo unico erede.
Tobio poteva essere capace di proteggere Shouyou quanto voleva ma era a Tooru che i suoi genitori lo avevano affidato. Il piccolo Corvo era un erede al trono ospite a una corte straniera: la sua incolumità all’interno dei territori di Seijou era una questione politica.
A inibirlo, inoltre, era la consapevolezza che i suoi genitori non se ne sarebbero stati in silenzio. Tooru aveva avuto progetti su di lui e Shouyou fin dall’inizio. Hajime non aveva mai preso attivamente parte a quelle conversazioni ma, ora che le fantasie del Re Demone si erano concretizzate, avrebbe sicuramente detto la propria.
Tobio desiderava solo il silenzio.
C’era stato troppo rumore nella sua testa dopo il primo bacio con Shouyou e la pace era tornata solo in seguito al secondo. Non voleva che qualcuno rianimasse i tumulti del suo cuore, i suoi dubbi, i suoi timori.
Lui e Shouyou erano quello che erano, qualunque cosa fosse. Agli altri era concesso solo il silenzio.
E Tobio non era tanto ingenuo da sperare che lo avrebbe ottenuto.




Un modo per risolvere la situazione lo trovò quella stessa mattina. Non ci riflettè, non pianificò i dettagli. Incrociò Tadashi lungo il corridoio, aveva il vassoio con la colazione di Shouyou tra le mani e Tobio seppe di colpo quello che doveva fare.
“Buongiorno, Altezza,” lo salutò Tadashi con un sorriso cortese.
“Aspetta…”
“Qualcosa non va?”
Tobio accarezzò lo stelo della spiga di grano, la sollevò e la posò sul vassoio, accanto alla tazza rigirata. “Digli di raggiungermi nelle scuderie,” ordinò. “Fallo vestire come se dovesse compiere un lungo viaggio a cavallo.”
Tadashi sorrise perché aveva imparato a fidarsi di lui. “Lo farò.” Lo rassicurò.
Tobio lo guardò dritto negli occhi. “E fai in modo che-“
“Kei non saprà nulla, Tobio.”
Il Principe annuì. “Molto bene. Lo aspetterò…”



***



Shouyou sedeva al centro del grande letto, con le ginocchia piegate contro il petto. Gli occhi color ambra erano rivolti alla finestra, al cielo azzurro di fine estate visibile tra le tende socchiuse.
Non faceva che pensare a Tobio.
Tadashi bussò alla porta due volte ma non aspettò il permesso del suo Principe per entrare nella stanza. “Buongiorno…”
Shouyou sorrise, radioso. “Buongiorno!”
“Sei sveglio da molto?” Domandò Tadashi, appoggiando il vassoio in fondo al letto per poi spostarsi verso le finestre.
Il Principe dei Corvi scivolò sulle coperte per dare un’occhiata alla sua colazione. “Mi sono svegliato col primo sole…” Aveva fame ma il suo appetito perse importanza nel momento in cui notò la spiga di grano accanto al piattino di ceramica. Non s’interrogò sulla sua provenienza, se la portò alle labbra mentre la curva del suo sorriso assumeva sfumature diverse.
Tadashi aprì le tende di colpo e la camera si riempì di luce dorata.
Shouyou sollevò lo sguardo. “Ti ha lasciato un messaggio per me?”
L’amico annuì, avvicinandosi al suo armadio per recuperare i vestiti che il Principe Demone gli aveva ordinato di far indossare al suo giovane signore. “Non conosco i dettagli,” disse. “Mangia tutto, io preparo il necessario.”
Shouyou si passò la spiga sulle labbra. “Sarà un’avventura…” Mormorò con occhi brillanti di aspettativa.
Bussarono di nuova alla porta. Tadashi guardò Shouyou e il Principe dei Corvi gli fece cenno di andare ad aprire mentre cominciava a gustare la sua colazione.
Il Re Demone fece il suo ingresso in scena con un sorriso raggiante, e Shouyou per poco non si strozzò con il pezzo di dolce che aveva in bocca. “Maestà!” Esclamò tra un colpo di tosse e l’altro, mentre scivolava giù dal letto e accennava un inchino. Aveva ancora la camicia da notte addosso e non era neanche lontanamente presentabile, ma il sovrano di Seijou non dimostrò alcun interesse per la sua figura.
“Comodo, mio Principe,” disse, invece. “Sono io ad aver deciso di farti visita all’ora di colazione, non sentirti in imbarazzo.” Si rivolse poi al fanciullo di rango inferiore. “Ti dispiace lasciarci soli?”
Tadashi cercò gli occhi del Principe dei Corvi.
“Vai pure,” gli disse Shouyou, sebbene l’idea di rimanere da solo con il Re Demone non gli piacesse particolarmente. Tadashi non fu felice di andarsene, Shouyou lo comprese dal modo in cui i suoi occhi rimasero fissi sulla schiena del sovrano fino a che non richiuse la porta della camera.
“Mangia,” insistette Tooru.
Shouyou si rimise a sedere tra le coperte in disordine ma l’appetito gli era passato. “A che cosa devo la vostra visita?” Domandò con voce appena tremante. Il nervosismo che gli rendeva il petto pesante si rifletteva nei suoi occhi e a Tooru bastò un’occhiata per notarlo.
“Non hai alcuna ragione di essere teso,” disse, sedendosi di fronte al Principe.
Il vassoio appoggiato sul letto era l’unica cosa a dividerli.
Di colpo, l’assenza di Tobio pesò su Shouyou come un macigno e il fatto che non si fossero parlati dalla sera del loro secondo bacio contribuì a farlo sentire a disagio.
Tobio aveva parlato di loro con i suoi genitori? Il Re Demone sapeva che cosa si erano detti? Perchè Shouyou era venuto a conoscenza di molte riguardo alla persona che aveva di fronte. Le confidenze che Tobio gli aveva fatto durante l’estate, sebbene frammentate e poco dettagliate, avevano cambiato notevolmente il modo in cui Shouyou percepiva la figura del secondo sovrano più potente dei regni liberi.
Se prima Shouyou vedeva in lui un modello irraggiungibile per perfezione, ora non faceva che ripetersi che quella persona era la ragione per cui Tobio rifuggeva ogni emozione.
“L’estate sta finendo, piccolo Principe,” esordì Tooru. “I tuoi genitori vorranno avere tue notizie molto presto.”
Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “Volete che me ne vada?” Gli sfuggì di bocca.
Tooru ridacchiò. “No!” Spettinò i capelli già ribelli del fanciullo. “Nessuno ti caccerà mai via dal Castello Nero, mio piccolo Corvo! A meno che tu-”
“No!” Shouyou scosse la testa. “No, voglio restare!”
Tooru sgranò gli occhi, poi sorrise soddisfatto. “Quanta passione…” Commentò.
Suo malgrado, il Principe dei Corvi arrossì. “Sto imparando molte cose qui,” disse, forzando un sorriso. “Tobio mi sta-”
“Sì, sono certo che Tobio abbia la sua parte di merito.” Il sorriso di Tooru si fece gentile, quasi tenero. “Non hai alcun motivo di nascondere una cosa con un’altra, Shouyou, non con me.”
Shouyou strinse le labbra: non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito ad aprirsi con sua madre, figurarsi con quella del fanciullo che aveva baciato.
“Non c’è nulla di cui vuoi parlare, Shouyou?” Insistette Tooru.
Era con Tobio che Shouyou voleva parlare. Non si sentiva al sicuro con il Re Demone. “I miei genitori cosa sanno?” Sviò il discorso su un argomento più cupo ma, per assurdo, più facile da gestire.
“Stai parlando dei sogni?”
“Sì.”
Tooru inspirò profondamente dal naso. “Quanto basta per vedere il tuo potere come un pericolo.”
“E perchè voi il pericolo non lo vedete?” Domandò Shouyou. Era un quesito che solleticava la sua mente da un po’: i suoi genitori gli avevano tarpato le ali pur di proteggerlo, ma il Re Demone sembrava voler spingere Tobio sulla strada che, secondo le visione di Kenma, lo avrebbe condotto alla sua fine.
“Perchè non credo che il destino si riveli solo per condannarci,” rispose Tooru. “Ci deve essere una ragione se la cortina del tempo si apre quanto basta per permetterci di cogliere frammenti di futuro che, alle volte, si contraddicono l’uno con l’altro.”
“Sono possibilità…”
“Esatto!” Esclamò Tooru. “Proprio così, piccolo Principe.”
“E voi credete che io e Tobio realizzeremo il futuro in cui lui è il Re di tutti i Regni liberi?”
Il sorriso del Re Demone si fece enigmatico. Abbassò gli occhi scuri e vide la spiga dorata accanto al piattino di ceramica. “Anche io faccio dei sogni fin da fanciullo,” confessò. “Poco dopo la nascita di Tobio, ho sognato suo padre che mi accusava di avergli fatto del male e si vendicava di me.”
Shouyou trattenne il fiato ma Tooru era troppo occupato a osservare la spiga per porre attenzione a lui.
“Ho fatto del male a Tobio,” andò avanti il Re Demone, afferrando lo stelo dorato. “E la vendetta di suo padre è stata diversa da quella che ho sognato ma il finale non è cambiato: li ho persi entrambi.”
Shouyou non sapeva come replicare, così rimase in silenzio. Gli occhi scuri del Re Demone tornarono sui suoi e trasalì. “Non hai paura?” Domandò.
“Di cosa?”
Tooru rise di nuovo. “Devi essere molto coraggioso, piccolo Corvo,” disse. “O molto stupido.”
Il nervosismo di Shouyou si tramutò un qualcos’altro. “Perchè siete venuto da me, mio signore?” No, non era abbastanza intuitivo per riuscire a comprenderlo.
Tooru si fece serio di colpo. “Sto cercando di capire che cosa spinge un fanciullo di quindici anni a restare, nonostante sappia che questa scelta potrebbe condannarlo a morte.”
“La stessa cosa che spinge un Re di quindici anni a sfidarne uno più forte di lui per il suo Cavaliere, credo,” disse Shouyou d’impulso, senza pensare. Sbattè le palpebre un paio di volte e tornò in sè. “Perdonatemi, non…”
Tooru rise. “Andavi così bene prima di chiedere scusa,” gli disse, poi lasciò andare la spiga, che ricadde sulle coperte. “Lo ami così tanto?”
Già imbarazzato per lo slancio di arroganza di poco prima, Shouyou non potè evitare di avvampare a quelle parole. “No… Sì, io…” Scosse la testa. “Io voglio restare,” ripetè. “Voglio restare.” Era l’unica risposta che poteva dare con assoluta certezza.
Tooru annuì, lo sguardo malinconico. “Molto bene, mio Principe.”
La porta si aprì di colpo e Tobio fece il suo ingresso nella camera senza permesso.
“Oh, eccolo!” Cinguettò Tooru con un sorriso esagerato. “Stavamo giusto parlando di te!”
Gli occhi blu del Principe Demone cercarono quelli del Principe dei Corvi. Stai bene?
Shouyou sorrise. Sì.
“Vi lascio da soli.” Il Re Demone si alzò in piedi. “Mi raccomando, Tobio, basta colpi di testa,” aggiunse, rivolgendosi al figlio.
Il Principe Demone non si disturbò a rispondergli e il sovrano uscì senza che nessuno dei due lo salutasse.
Una volta che la porta si fu richiuse, Tobio sbuffò sonoramente.
“Ehi…” Shouyou si alzò dal letto, le labbra piegate in un dolce sorriso.
“Che cosa ti ha detto?” Domandò Tobio, un po’ brusco.
Il Principe dei Corvi s’imbronciò. “Non farti venire il malumore per una cosa del genere,” ordinò.
“Non mi fido di lui.”
“Tranquillo, nemmeno lui di te o non sarebbe venuto da me.”
Tobio alzò gli occhi al cielo. “Che cosa ti ha chiesto, Shouyou?”
“Mi ha solo parlato dei sogni, del fatto che Kenma gli ha raccontato di averlo raccontato a noi.” Si grattò la base del collo con perplessità. “Penso che volesse capire che cosa abbiamo deciso di fare?”
Tobio inarcò le sopracciglia. “Che cosa c’è da capire? Io sono qui. Tu sei qui.”
Shouyou scrollò le spalle, il suo sguardo cadde sulla spiga di grano tra le coperte e la raccolse. “Questa?” Domandò con un sorrisetto furbetto, mostrandola al mittente.
“Era un messaggio,” disse Tobio come se fosse una cosa ovvia.
“Sei già qui, perchè non…” Shouyou si fermò. “Tadashi ti ha detto di venire qui.” Non era una domanda.
“Penso che il tuo amico abbia imparato a fidarsi di me,” concluse Tobio con un mezzo sorriso.
“Lo credo anche io.” Shouyou ne era contento. “Allora, questo messaggio?”
Il Principe Demone adocchiò la porta, come se avesse paura che qualcuno potesse entrare e interromperli. “Ce ne andiamo?” Propose.
Shouyou inarcò le sopracciglia. “Siamo tornati da una notte?”
Tobio scrollò le spalle, un sorriso pestifero sul viso. “E noi ce ne andiamo lo stesso,” ribatté. “Hai passato tutta la vita nello stesso castello, non vorrai ripetere l’esperienza anche qui a Seijou, spero.”
Suo malgrado, Shouyou sorrise. “Sua Maestà ti ha appena detto di fare il bravo.”
“Un motivo in più per volare via.”
Il piccolo Principe reclinò la testa da un lato. “Vuoi volare?” Domandò, sorpreso. “Proprio volare?”
Gli occhi di Tobio brillavano ed era un evento più unico che raro. “Quanta distanza puoi coprire in volo?”
“Non lo so. Ho volato più questa estate con te che in tutta la mia vita.”
“Vuoi metterti alla prova? Spingiamoci in avanti, osiamo di più.”
“Non lo so, Tobio. Se si trattasse solo di me, forse-”
“Hai paura?”
Fu l’assenza di buon senso ad avere la meglio in quel momento. Quella e una buona dose di orgoglio.
Shouyou sorrise con arroganza. “Mai…”



***



“Io non so che cosa è successo ma so con assoluta certezza che è colpa tua!”
“Mia? E che cosa potrei aver mai fatto?”
“Non lo so! Hai parlato con Shouyou, Tobio ti ha beccato e, casualmente, un’ora dopo non c’è traccia di loro in tutto il Castello Nero!”
Tsutomu origliò quella conversazione tra il Primo Cavaliere e il Re Demone per puro caso. Satori era crollato sulla poltrona del loro salotto privato, lasciandolo da solo con le sue riflessioni troppo complesse per permettergli di riposare a sua volta. Si era ritrovato a vagare per i corridoi del Castello Nero senza una ragione e, per un attimo, si era anche guardato intorno con l’intento di trovare un buon nascondiglio in cui rintanarsi per impedire a Satori di compiere il suo dovere di Cavaliere.
Per ragioni che gli sfuggivano completamente, Tsutomu a casa non ci voleva tornare.
Era così che si era ritrovato a passare davanti alle porte della sala del trono distrutta e aveva colto il sovrano di Seijou e il suo braccio destro nel pieno di un’accesa discussione.
“Io ho detto a tuo figlio di smetterla con i colpi di testa!” Esclamò il Re Demone.
“E tu dovresti sapere che qualunque cosa tu dica a tuo figlio, lui agisce al contrario in automatico!”
“La sua stupidità non è colpa mia!”
“Tooru, vedi di non ricominciare con questa storia!”
“Abbiamo mai smesso negli ultimi quindici anni?”
“Io voglio sapere dov’è Tobio!”
“Mettiti comodo, aspetta che si verifichi una catastrofe e lo scopriremo… Ehi! Che fai? Stammi lontano, bruto!”
Il rumore sordo di un colpo in testa fu l’ultima cosa che Tsutomu registrò di quel litigio.
Shouyou e Tobio non erano più al Castello Nero, pensò. Se ne erano andati senza preoccuparsi che lui non sarebbe più stato lì al loro ritorno, pensò. Contro ogni buon senso e tutte le responsabilità che derivavano dal loro titolo, i due Principi erano volati incontro a un’altra avventura che sapeva di libertà, pensò.
“Maledizione!” Urlò Tsutomu, ignorando le lacrime rabbiose che pungevano agli angoli degli occhi. Solo un istante dopo si ricordò di dove era.
“Che cosa è stato?” Domandò il Primo Cavaliere da dietro le grandi porte della sala del trono.
“Non lo so,” rispose il Re Demone. “Vai a vedere, Hajime.”
Prima che le porte si aprissero, Tsutomu era già sparito in fondo al corridoio e poi giù,  in fondo alle scale che portavano al cortile principale del Castello Nero.
Le stanze in cui Satori riposava erano nella direzione opposta e lui non aveva alcuna intenzione di tornarvi.



***



Pochi giorno dopo il suo quindicesimo compleanno, Kei Tsukishima decise che ne aveva abbastanza dei suoi doveri di Cavalieri, di Shouyou e in particolar modo del Principe Demone. Dopo qualche ora di rabbia silenziosa di cui solo Tadashi si accorse, Kei arrivò alla fulminante conclusione che non poteva sfuggire alle sue responsabilità, che il suo Principe era una di esse e che, per sua disgrazia, l’erede al trono di Seijou era divenuto parte integrante di quella tediosa storia.
“Ci scommetto quel che vuoi che sono andati verso nord,” disse il Primo Cavaliere, mentre scortava lui e Tadashi fino alle scuderie. “Questa è la mappa del castello in cui penso che Tobio abbia portato il vostro Principe. Si tratta di una piccola roccaforte di confine e il villaggio più vicino non è davvero vicino.”
Kei prese la carta ripiegata con cura e la infilò nella tasca interna della giacca. Che cosa era andato a fare Shouyou in un posto isolato da tutto e tutti? Non faticava a immaginare il Principe Demone a bearsi in un castello circondato dal niente, ma per il loro erede al trono il silenzio per come un nemico da sconfiggere… Per questo non stava mai zitto.
“Verrei con voi,” aggiunse il Primo Cavaliere, fermandosi sull’ingresso delle scuderie, “ma anche il Principe dell’Aquila è sparito. So per certo che non è andato con loro ma il sovrano di Shiratorizawa sarà qui a giorni e non voglio lasciare il Castello Nero.”
“Lasci fare a noi, sir,” disse Tadashi con un sorriso gentile. Non era preoccupato, non lo era stato nemmeno quando tutta la corte si era allarmata per la scomparsa dei due Principi. In un modo che il giovane Cavaliere di Karasuno non riusciva a spiegarsi, Tobio aveva fatto di Tadashi un suo alleato. Kei era furibondo per questo ma lo era in un modo tanto gelido e discreto che solo chi lo conosceva bene poteva accorgersene.
Se Tadashi c’era riuscito, non lo dava a vedere.
C’erano giorni di viaggio a cavallo davanti a loro e, in un certo senso, Kei temeva la solitudine che gli avrebbe circondati durante il cammino. Avevano passato insieme tutta la loro vita, eppure Kei non ricordava l’ultima volta che avevano condiviso un momento in cui Shouyou non fosse al centro della scena.
Era stata un’estate lunga, molto lunga.
Il Primo Cavaliere li studiò. C’era qualcosa che non lo convinceva: erano giovani, non erano nati a Seijou e vedersela con Tobio stava diventando un’impresa anche per lui.
Kei si accorso del suo tentennamento e fece per dire qualcosa che li convincesse a lasciarli andare. Tadashi lo precedette. “Li riporteremo a casa, sir,” disse con tono rassicurante. “Conti su di noi.” Parlò a testa alta, con un sorriso sicuro.
Kei lo fissò senza una reale espressione.
Alla fine, il Primo Cavaliere annuì due volte. “Molto bene,” disse. “Venite, ho fatto preparare i vostri cavalli.”



***



Il castello non era altro che una piccola roccaforte di vedetta. La struttura aveva una semplice forma rettangolare, con un singolo bastione che affacciava verso nord, in direzione delle montagne. Per accedere all’unico cortile interno bastava attraversare un piccolo ponte levatoio costruito sopra il letto di un fiumiciattolo. Non vi erano delle porte, solo un enorme cancello.
Non fu quello, però, l’ingresso che scelsero i due Principi. Al secondo piano, dove erano collocate le camere patronali, il legno di una delle persiane era marcito al punto da essersi staccato dai cardini.
Fu attraverso il vetro incorniciato dal ghiaccio che due corvi piombarono all’interno della stanza gettando una pioggia di vetri infranti e di piume nere sul pavimento.
Tobio si ritrovò con un ginocchio poggiato a terra, la testa china e il respiro bloccato in gola per le vertigini.
Shouyou comparve al suo fianco in un battito di ciglia. “Ehi!” Gli prese il viso tra le mani. “Ehi, guardami!”
Tobio ubbidì ma un brivido gelido gli attraversò la schiena prima che potesse parlare: avevano sfondato la finestra, quella camera era inutilizzabile. “Ma come ti è saltato in mente?” Sbottò, tirandosi in piedi. “Hai idea di quanto freddo faccia qui durante la notte anche a fine estate?”
Shouyou si sollevò a sua volta. “Possiamo inchiodare la finestra,” buttò lì, “e ci sono altre camere.”
Tobio fece un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere, poi gli afferrò il polso. “Vieni, ti faccio vedere il castello.”
Nonostante il tono brusco la sua stretta era gentile. Shouyou sorrise e si lasciò guidare fuori la porta, su un soppalco che dava su di un enorme salone.
“Ecco qui,” disse Tobio con una scrollata di spalle. “Ci sono una decina di stanze qui e per accedere al bastione dobbiamo uscire. È piccolo, te l’ho detto.”
Shouyou appoggiò entrambe le mani sulla balaustra e guardò tutto con occhi brillanti. “È perfetto!”
Tobio lo studiò e la sua attenzione venne catturata da un dettaglio che prima gli era sfuggito. “Abbiamo entrambi i vestiti addosso.”
“Cosa?”
“I nostri vestiti…”
Shouyou abbassò lo sguardo su di sè.
“Riesci a controllare il tuo potere sempre di più,” concluse Tobio con una smorfia soddisfatta.
“Passato il giramento di testa?” Domandò Shouyou. “Posso fare poco riguardo quello.”
“Starò bene…”
“Allora scendiamo!” Il piccolo Principe si diresse verso le scale saltellando. “Vieni, togliamo i teli dai mobili e accendiamo il fuoco!”



Dovettero aprire le porte per liberarsi di tutta la polvere che si era accumulata in anni e anni di abbandono.
“Da quanto tempo non venivi qui?” Domandò Shouyou, strofinandosi le braccia per combattere il freddo.
“Più di dieci anni,” rispose Tobio con voce incolore, inginocchiandosi di fronte al grande caminetto per riempirlo di legna. “Vai a cercare una coperta al piano di sopra, stai congelando.”
Si aggiustarono.
Collaborano ed entro il tramonto si ritrovarono seduti sul grande tappeto scuro, Tobio avvolto nel suo mantello rosso e Shouyou in quello corvino. Il fuoco era caldo, scoppiettante e attirava gli sguardi di entrambi.
Shouyou appoggiò pigramente la guancia alla spalla di Tobio e lui lo lasciò fare.
Era strana tutta quella quiete tra loro ma non fuori luogo. Non c’era più bisogno di chiamarsi per nome continuamente, di bisticciare per sottolineare in qualche modo la presenza dell’altro. Erano lì, erano insieme e non era più un pensiero che faceva paura
“Che cosa ti ha convinto?” Domandò Shouyou, infrangendo il silenzio.
“Uhm?” Tobio lo guardò.
Il Principe dei Corvi fissava il fuoco ed i suoi occhi sembravano di ambra liquida. “Che cosa ti ha convinto a darmi quel bacio?”
Tobio appoggiò la nuca al divano alle sue spalle. “E me lo chiedi solo ora?”
“Non posso chiederti il motivo dietro le tue azioni non appena le compi,” disse Shouyou, drizzando la testa e stringendo le ginocchia al petto. “Perchè spesso non lo conosci nemmeno tu. Hai bisogno di tempo, sei lento…”
“Ehi, mi stai dando dello stupido?”
Il Principe dei Corvi ridacchiò ed evitò la domanda. “Non hai più paura.”
Tobio sospirò. “Continui a essere tu le mie ali,” disse. “Avrò sempre paura. Penso sia inevitabile.”
Shouyou fu sorpreso da quella confessione. “Io valgo un rischio tale per il tuo cuore, Principe Demone?”
“No.” Tobio lo fissò. “Mi sono detto che posso inseguirti fino alla fine del mondo, se lo desidero.”
Era una confessione. Lo era nel modo di Tobio e Shouyou l’accolse con un sorriso commosso. “Ma io continuo a essere l’unico con le ali.”
“Vorrà dire che conquisterò delle ali che siano solo mie!” Esclamò Tobio con un po’ troppa rabbia. Shouyou, però, lo conosceva e sorrise e basta. “Avrò ali più grandi delle tue, così potrò inseguirti e raggiungerti!” Concluse il Principe Demone con un sorrisetto vittorioso.
I suoi occhi erano taglienti ma il blu delle sue iridi era profondo, rassicurante.
Shouyou lo fissò e il pensiero di quanto fosse bello lo colse tanto di sorpresa che sentì il bisogno di osare di più. “Puoi seguirmi fino a qui?”
Tobio inarcò le sopracciglia.
Shouyou si umettò il labbro inferiore per rendere l’invito più chiaro. Il Principe Demone alzò gli occhi al cielo ma il bacio non si fece attendere. Fu solo troppo breve.
“E fino a qui?” Domandò ancora Shouyou, quasi in un sussurro. “Puoi seguirmi fino a qui, Tobio?”
Le parole del Principe dei Corvi cominciavano a non avere alcun senso. Oppure sì? Era pur sempre di una distanza che stava parlando ma non fisica: a quella avevano già rimediato.
Il passo successivo era solo un po’ più delicato.
Il secondo bacio fu più lento, umido. Nulla che non avessero già fatto, ma quella poca esperienza che avevano accumulato lo rese diverso dai primi, goffi tentativi.
Il calore si faceva più intenso e qualcosa chiamato desiderio sbocciò dove prima c’era solo curiosità.
Preso dal panico, Tobio provò a farsi indietro. “Shouyou…”
Il Principe dei Corvi infilò una mano tra i suoi capelli. “Puoi…” Tremava, insicuro quanto le era lui. “Puoi seguirmi fino a qui?”
Lo portò giù con lui, guidandolo sopra di sè, sul mantello di piume corvine.
Tobio lo assecondò come un pupazzo inanimato, reso rigido da una consapevolezza che cercò di mascherare da confusione. La luce negli occhi di Shouyou lasciava pochi dubbi in merito a quello che stava per accadere alla luce tremolante di quel focolare, ma la battaglia era la sola cosa in cui Tobio procedeva con determinazione. Era così perchè ce l’aveva nel sangue, perchè quella era stata la sua educazione. L’amore era un’arte che i suoi genitori gli aveva insegnato senza impartirgli alcuna lezione e non erano stati i migliori maestri in merito.

“Ehi…” Le piccola dita di Shoyou s’infilarono tra i suoi capelli, lo trascinarono giù in un altro bacio. Prima le labbra morbide, poi la lingua che accarezzava la sua. Tobio rispondeva ma non si sentiva completamente presente a se stesso. La testa gli girava e l’odore familiare della legna che bruciava venne sostituito da qualcosa che aveva assaggiato solo una volta per puro caso.

“Shouyou…” Tobio strinse i pugni sul mantello corvino sotto di loro e si fece indietro ma non troppo. Non ci riusciva: una forza invisibile lo incatenava a Shouyou come mai era successo prima. Il Principe Demone si era sorpreso a provare desiderio per il Principe dei Corvi da tempo, da prima del bacio che si erano rubati circondati dalla luce delle lucciole. Il senso di stordimento che provava in quel momento, però, era diverso dalla leggerezza che sentiva addosso ogni volta che le labbra di Shouyou si posavano sulle sue.

Era come una magia invisibile. Tobio la sentiva entrargli dentro a ogni respiro, scivolava sotto la sua pelle e avvelenava il suo sangue di un dolce fiele, fino ad arrivare al cuore.

Shouyou emise una risata nervosa. “Immagino sia questo quello di cui parlano le leggende,” disse, con una nota malinconica. “Questo è quello che intendono quando raccontano che quelli come me ammaliano i loro innamorati.”

Ammaliato. Era così che Tobio si sentiva ma non era sicuro che fosse l’emozione che voleva mentre Shouyou era sotto di lui, le sua dita tra i capelli e le labbra umide che attendevano altri baci.

Si tirò indietro di nuovo, fino a sedersi sulla ginocchia. Shouyou si sollevò, gli occhi d’ambra ancora brillanti e per nulla insicuri. “Che cosa senti?” Domandò, sinceramente curioso.

“Eh?” Tobio aveva la stessa espressione di qualcuno dopo un calice di vino di troppo..

Shouyou rise ancora e appoggiò la fronte a quella del Principe Demone. “Sei il primo,” gli disse, come se l’altro già non lo sapesse. “Sai che non mi piace quello che sono. Lo so che è sempre magia, che ha permesso a me e mia sorella di nascere e che è l’eredità più importante che mi ha lasciato mia madre ma… Lo sai.”

Tobio annuì, di nuovo presente a se stesso. “Ma non lo fai volontariamente.”

Shouyou scrollò le spalle. “Non proprio,” ammise. “Accade con te perchè sei tu,” spiegò. “Perchè sono io a volerlo. È spiacevole?”

Tobio scosse la testa. “Non è spiacevole, è-”

“Soffocante?”

Totalizzante.”

“E non ti piace?” Domandò Shouyou diretto ma un poco timoroso.

Tobio inspirò profondamente dal naso. “Il tuo profumo mi da alla testa,” cercò di spiegare.

“Quindi è vero? Quelli come me fanno perdere i loro innamorati in loro stessi fino a privarli della ragione?” Il labbro inferiore di Shouyou tremava.

Tobio storse la bocca in una smorfia. “Non sto perdendo la ragione!” Disse, orgoglioso. “Sono ancora io!”

“Allora perchè ti sei tirato indietro?” Shouyou non avrebbe accettato il silenzio come risposta, nè una risposta sgarbata perchè il suo interlocutore non era in grado di trasformare i propri pensieri in frasi di senso compiuto.

Tobio sbuffò, frustrato con se stesso. “Sono io,” sottolineò. “Quello che provo sono emozioni miei, ne sono certo. Non mi stai dando alla testa in quel senso.”

Shouyou rilassò le spalle.

“È solo di più,” concluse Tobio.

“Che significa di più?”

“Sento di più! Desidero di più! Ti voglio di più! Che cosa ti aspetti che ti dica, stupido?” Il Principe Demone era arrossito fino alla punta delle orecchie. “È tutto di più...” Concluse in un sussurro, le labbra imbronciate.

Shouyou fece toccare le punte dei loro nasi. “E ti piace?” Domandò con un sorrisetto che al Principe Demone fece prudere le mani.

Tobio voltò il viso di lato, troppo orgoglioso per mostrare l’insicurezza che lo stava inibendo. “È una cosa che non conosco,” ammise. “Come faccio a gestirla se ha un effetto tanto potente.”

“Dicono che il desiderio sia potente per sua natura.”

“E il fatto che tu sia un Omega lo rende ancora più forte.” Tobio non aveva paura di chiamarlo per quello che era, non provava vergogna per la sua natura e non lo considerava inferiore per questo. Tuttavia, era una cosa che non conosceva e non voleva affrettare tutto solo per combinare un disastro. “Sei il primo anche tu, ti ricordo,” aggiunse, quasi astioso. “Come controllo una forza tanto grande se non la conosco?”

Shouyou premette le labbra per non scoppiare a ridere. “Perchè non dici semplicemente che non sei capace e hai paura di farmi male?”

Tobio sollevò il pugno. “Vuoi farmi arrabbiare?”

“Scusa! Scusa! Scusa!” Shouyou alzò le mani in segno di resa, poi prese un respiro profondo e si alzò in piedi.

“Che cosa stai facendo?” Domandò Tobio, quasi avesse paura che l’altro facesse qualcosa che potesse nuocere alla sua incolumità. Gli stivali di entrambi erano già andati, appoggiati accanto a una delle poltrone del salotto e a Shouyou bastò un gesto veloce per liberarsi dei pantaloni.

“Sarà un po’ come volare,” disse il Principe dei Corvi, tornando a inginocchiarsi sul suo mantello. “La prima volta che ti ho dato delle ali l’ho fatto per caso, proprio come è accaduto con il nostro primo bacio. Poi mi hai aiutato a comandare il mio potere e insieme abbiamo capito che cosa volevamo essere l’uno per l’altro. E adesso siamo volati via entrambi, fino ai confini del tuo Regno…” Baciò le labbra imbronciate del Principe Demone. “Non siamo ancora in grado di volare fino alla cima del mondo come ci siamo promessi da bambini, abbiamo ancora tutto il tempo che vogliamo per fare pratica.”

Shouyou afferrò Tobio per le spalle, fece pressione per spingerlo a stendersi. Il Principe Demone non oppose resistenza: era piacevole il peso di Shouyou sopra di sè e lo fu ancor di più quando cercò le sue labbra e i loro corpi aderirono completamente. Fu solo questione d’istanti prima che Tobio cominciasse a sentirsi stretto nei suoi stessi vestiti. Cercò l’orlo della sua tunica, Shouyou lo aiutò ed entrambi si tirarono a sedere. Tobio ignorò il brivido di freddo che gli attraversò la schiena nuda e circondò la vita del piccolo Principe per stringerlo di più a sè e divorare la sua bocca con nuova sicurezza. Shouyou non si fece intimidire, gli avvolse le braccia intorno al collo e rispose con la stessa passione.

Le mani di Tobio lo lasciarono andare solo per cercare la cintura dei propri pantaloni, ma allontanarsi dalle labbra di Shouyou non era pensabile. L’impresa si rivelò più difficile del previsto e due piccole mani si aggiunsero alle sue per aiutarlo. Tobio sentì i pantaloni scivolargli giù dai fianchi e le dita di Shouyou dove gli piaceva di più. Il respiro si spezzò in un gemito che non lasciò mai la sua gola.

Tutto si fece immobile. Le labbra di Shouyou erano ferme, in attesa a pochi millimetri di quelle di Tobio. Non c’era alcuna ombra d’esitazione negli occhi color ambra, mentre quelli blu si erano tinti di una sfumatura più scura ma per nulla minacciosa. Le iridi del Principe Demone erano un mare in tempesta e il Principe dei Corvi era ben lieto di affogarci.

Shouyou mosse i fianchi in avanti, cercò la mano di Tobio e la invitò ad infilarsi sotto la tunica che aveva ancora addosso.

Il loro piacere si consumò velocemente. Goffe furono le carezze di entrambi, spezzati i loro respiri ma, alla fine di tutto, erano ancora stretti l’uno all’altro. Shouyou fu il primo a lasciarsi andare alla stanchezza: circondò il collo dell’amante con le braccia e posò la guancia sulla sua spalla. Tobio nascose il viso contro il suo collo, lasciandosi inebriare ancora un poco da quel profumo che riusciva a incendiare i suoi sensi anche dopo aver raggiunto la vetta del piacere.

Il silenzio era una cosa strana tra loro ma lo accolsero come una cosa preziosa.

Si addormentarono alla luce fioca delle braci nel caminetto.





***




“Non dovremmo viaggiare di notte,” disse Tadashi, mentre gli ultimi raggi di sole sparivano dietro le montagne all’orizzonte. “Non conosciamo queste terre, non possiamo rischiare.”

Kei era in sella al suo cavallo pochi metri avanti a lui. Non diede segno di averlo sentito.

“Kei,” insistette Tadashi.

“Karasu era ancora nelle stalle,” disse il Cavaliere senza voltarsi.

L’altro inarcò le sopracciglia. “Sì, l’ho notato.”

“Shouyou non partirebbe mai con un cavallo diverso dal suo.”

“Avranno preso quello del Principe Demone.”

“Anche quello era al suo posto. Il Primo Cavaliere me lo ha detto prima di ordinarmi di venirti a chiamare.”

“Avranno preso dei cavalli diversi per non far notare la loro fuga!”

Kei arrestò il suo destriero e si voltò. “Fingi di non capire?” La sua voce era controllata ma un fuoco rabbioso accendeva i suoi occhi dorati.

Tadashi strinse le labbra e lo affiancò. “Kei, Tobio sa del potere di Shouyou. Ha dedicato tutta l’estate ad aiutare il nostro Principe a dominarlo. Non mi sorprende che abbiano deciso di usarlo insieme per andarsene. Hanno testato un altro limite.”

“E, da come parli, sembri certo che siano riusciti nell’impresa.”

Tadashi scrollò le spalle. “Ho deciso di avere fiducia in Shouyou e Tobio.”

Nel sentir nominare l’erede al trono di Seijou, il viso di Kei si distorse in un’espressione che Tadashi non aveva mai visto prima. “Tobio?” Ripeté. “È riuscito a incantare anche te?”

“Incantare?” Ripeté la guardia con sbigottimento. “Hai passato un’intera estate a Seijou e ancora credi che Tobio sia in grado di manipolare qualcuno? Il Principe Demone è esattamente quel che si vede, senza recite e senza inganni… Anche a costo di essere sgradevole.”

Kei alzò gli occhi al cielo. “Sei diventato un altro sostenitore della leggenda vivente che è il Principe Demone?”

“Tobio non è una leggenda vivente!” Insistette Tadashi. “È un fanciullo che ha fatto conoscere il suo nome attraverso le sue azioni, non è rimasto fermo a lasciare che quelle dei suoi genitori parlassero per lui. Il modo in cui si comporta con Shouyou non è meno diretto.”

“Il nostro Re ci ha affidato un compito, Tadashi e lo stiamo tradendo sotto ogni punto di vista.”

Tadashi drizzò la schiena con orgoglio. “Io sono fedele al Principe dei Corvi, lui è il mio signore.”

Fu il turno del Cavaliere di mostrarsi sbigottito. “Se pronunciassi parole del genere a Karasuno, potresti essere processato per tradimento.”

“Perchè? Perchè faccio il bene del mio Principe?”

“Quel mezzo Demone non è il bene dell’idiota che dobbiamo proteggere. Noi, Tadashi, non lui!”

“Chi sta parlando come un traditore, ora?”

Kei alzò gli occhi al cielo. “Shouyou si mette nelle mani di un Principe che potrebbe usarlo come un pupazzo sia politico che personale e tu, che hai giurato a Re Daichi di vegliare sul suo erede, mi stai dicendo che sei ben felice di lasciarglielo fare?”

“Dico che Tobio è in grado di proteggere Shouyou meglio di quanto io e te possiamo fare.” Tadashi abbassò lo sguardo. “Forse ancor meglio di come hanno fatto i nostri sovrani fino ad ora,” aggiunse a voce più bassa, incerta.

Spazientito, Kei scese da cavallo e legò le briglie all’albero più vicino, poi fece segno al suo compagno di viaggio di fare lo stesso. Tadashi non s’illuse nemmeno per un istante che stesse seguendo il suo consiglio di accamparsi prima che la luce del giorno sparisse del tutto. Una volta poggiati i piedi a terra, seppe che stava per affrontare un duello col miglior candidato a divenire il nuovo Primo Cavaliere di Karasuno. Non un duello di spada, ma uno ben più pericoloso, che avrebbe potuto ferirlo più a fondo.

Kei gli arrivò davanti in pochi passi, torreggiando su di lui senza pietà. “Sai chi è Tobio di Seijou?”

“Che razza di domande-”

“Tobio è seriamente il giovane sovrano destinato a governare tutti i Regni liberi.” Era la prima volta che Kei riconosceva in Tobio qualche valore ma non c’era nulla di lusinghiero nelle sue parole. “Sì, Tadashi, ho passato l’estate a Seijou e mi sono guardato intorno. Mentre tutti eravate impegnati in giochetti puerili e tediosi, ho studiato da vicino quello che a casa conoscevo solo attraverso le parole di mio fratello. L’equilibrio del potere si sta spostando e quello che il Re Demone ha fatto non è niente in confronto a quello che il suo erede potrebbe fare.”

Tadashi scosse la testa. “Perchè parli di Tobio come di una minaccia?”

“Hai visto il Principe dell’Aquila?” Domandò Kei. “Lo hai osservato? Tobio disobbedisce ai suoi genitori con la stessa facilità con cui sbatte le ciglia, Tsutomu non è in grado di fare un passo senza il braccio destro di suo padre o qualcuno che lo sorregga.”

“Ha tredici anni, Kei.”

“Tobio non ne ha ancora quindici.”

“Tobio è solo unico.”

Kei annuì. “Esattamente.”

Tadashi scosse la testa. “Non capisco, Kei,” ammise. “Hai passato mesi a gettargli fango addosso a ogni occasione e ora tessi le sue lodi?”

“Sto solo tirando le somme.”

“Di cosa?”

“I sovrani detronati di Fukurodani e Nekoma non hanno alcuna intenzione di ribellarsi alla corona di Seijou, si è ben capito. Quelli di Dateko sono più bravi a mantenere la dignità e a provare disprezzo per il loro conquistatore ma sono più interessati alla serenità del loro vecchio Re che alla libertà.”

Tadashi scrollò le spalle. “In fin dei conti, nessuno di loro viene trattato come schiavo.”

Kei assottigliò gli occhi. “Il Re Demone li ha conquistati con l’inganno e il tradimento.”

“E senza uccidere nessuno,” aggiunse la guardia. “Shiratorizawa lo avrebbe fatto?”

“Questo lo renderebbe degno e onorevole ai tuoi occhi?”

“Dico che la storia di Shiratorizawa è scritta col sangue di popoli di cui nessuno ha più memoria, quella di Seijou no. Tooru si è sporcato le mani ma non c’è nessuno degli uomini che hai nominato che non si batterebbe per Tobio.”

“Appunto…”

“Appunto cosa?”

“Il giorno in cui Tobio di Seijou diverrà il Re Demone, per tutti i Regni rimasti indipendenti non ci sarà alcuna speranza.”

Tadashi sgranò gli occhi. “Credi che Tobio stia mirando a Karasuno?”

Kei sospirò e si guardò intorno, cercando le parole giuste per mettere insieme una riflessione che, si rese conto, avrebbe dovuto fare la generazione precedente alla loro. “Re Daichi si è preoccupato della salvezza e della serenità della sua gente. Ha sostenuto la guerra del Re Demone contro Shiratorizawa sia per ripagare un debito che per impedire al Re dell’Aquila di avanzare. Tooru di Seijou è divenuto potente perchè è stato l’unico a non temere Wakatoshi.”

“Nemmeno Tobio lo teme,” gli fece notare Tadashi.

“E Tsutomu non ha ragioni per essere temuto.”

“Quindi?”

“Quindi, quando il suo tempo arriverà, Tobio si ritroverà tra le mani un potere che nessun Re della nostra storia ha mai stretto in pugno. Shiratorizawa non reggerà con Tsutomu come sovrano. Una volta ottenuta la corona della dinastia dell’Aquila, a chi pensi che punterà Tobio?”

Tadashi prese un respiro profondo. “Tu pensi che Tobio possa scatenare una guerra contro Karasuno," dedusse. “Una guerra che non saremmo mai grado di affrontare perché il nostro Regno non è mai stato una potenza bellica.”

“Re Daichi ha pensato di difenderci tenendosi fuori dalla scena politica. Osservando il quadro nella sua totalità, ci ha resi piccoli, deboli, attaccabili.”

Tadashi lo fissò. “Dobbiamo tornare a parlare di tradimento, Kei?”

Il Cavaliere lo guardò storto. “Preferisci parlare di conquista?” Domandò. “Di tirannia?”

“Tirannia?” Tadashi sbuffò. “Va bene.” Alzò entrambe le mani invitando se stesso alla calma. “Ammettiamo per un istante che tu abbia tirato bene le somme e che Tobio sia destinato a essere il più grande sovrano che la storia abbia mai conosciuto. Perchè hai dato a tutto questo una natura diabolica? Tobio è amato dai sovrani detronati dal Re Demone e Shiratorizawa è sinonimo di terrore, lo hai detto tu. Perchè Shouyou dovrebbe essere in pericolo in tutto questo, quando potrebbe essere al fianco di Tobio come suo pari? Kei, non puoi fingere ancora di non vederlo, quei due sono destinati l’uno all’altro. Si amano…”

Kei si massaggiò la fronte stancamente. “Ancora queste tue sciocchezze sull’amore…”

“Hai detto che Tooru è divenuto grande perchè ha avuto il coraggio di mettersi contro Wakatoshi. Perchè lo ha fatto? Rispondi, Kei… Perchè Seijou ha combattuto fino al suo ultimo uomo contro il Re dell’Aquila?”

Il Cavaliere lo guardò esasperato. “Tu credi davvero alla storia del Principe Demone e del Primo Cavaliere? Credi davvero che tutto quell’inferno abbia avuto origine da una storia d’amore scomoda?”

“Sì,” rispose Tadashi risoluto. “Perchè il potere è anche questo, non solo politica e logica. Sono i sentimenti a rendere chi lo impugna imprevedibile e pericoloso.”

“E Tobio dovrebbe essere l’eccezione?”

“No,” ammise Tadashi. “Ma Tobio non è una persona malvagia, e Shouyou ha visto tutto il bene che c’è in lui prima di chiunque altro. Il Principe Demone stringerà in pugno tutto il potere di cui hai parlato e il nostro piccolo signore lo guiderà, lo aiuterà a usarlo nel migliore dei modi… Nello stesso modo in cui Tobio ha permesso a Shouyou di divenire padrone del suo.”

Kei storse la bocca in una smorfia. “Tu credi davvero a questa bella favola, Tadashi?” Domandò. “Tu credi che Shouyou diverrà il nuovo ago della bilancia in questo gioco tra sovrani e che, alla fine di tutto, quella che avremo sarà un’armonia che non ci appartiene da secoli?”

“Tu sei certo che stiamo andando incontro a un caos senza precedenti. Che cosa m’impedisce di credere l’esatto contrario?”

Kei prese a camminare in tondo nervosamente. “Hai detto che Tobio non è una persona malvagia.”

“Sì.”

“E lo credi?”

“Se non fosse così, pensi che gli lascerei toccare il mio Principe?”

“Quello che non capisco, Tadashi, è come abbiamo potuto guardare la stessa persona per tutta l’estate e vedere due cose totalmente diverse.”

“Punti di vista, Kei. Si scoprono mondi nuovi esplorandoli.”

“Hai imparato a fare il sarcastico?”

Tadashi si mosse in avanti e, sebbene vi fosse qualche centimetro a dividerli, i suoi occhi ebbero il potere d’inchiodare il Cavaliere lì, a mezzo passo da lui. “Ti da fastidio che abbia imparato ad avere un’idea diversa dalla tua, Kei?”

Il nobile fanciullo non rispose immediatamente. Per un istante, uno solo, pensò di ricordare all’altro ragazzo la differenza di rango che c’era tra loro, ma poi avrebbe dovuto disprezzarsi per quelle parole. “Tobio è un animo impavido. Qualcuno potrebbe chiamarlo coraggioso, io lo chiamo stupido.”

“E quindi?”

“E quindi, a poche settimane di distanza dal suo quindicesimo compleanno, sta sopravvivendo in un mondo dominato dal Re Demone e il Re dell’Aquila. Entrambi si sono accorti della minaccia che rappresenta Tobio e non resteranno fermi a guardare.”

Tadashi aggrottò la fronte. “Il sovrano di Seijou che motivo avrebbe di far del male al suo erede?”

“Forse lui nessuno, anche se il potere rende imprevedibili, lo hai detto tu.” Kei sollevò lo sguardo verso le montagne visibili oltre le chiome degli alberi: le loro cime erano a stento visibili ora che il sole era sparito del tutto.

“Il Re dell’Aquila è un mostro,” disse. “Per arrivare al giorno della sua incoronazione, Tobio dovrà prima sconfiggere lui,” abbassò lo sguardo. “Quello che mi chiedo è che cosa sarà costretto diventerà per vincere.”



***



Hajime entrò nella biblioteca del Castello Nero imprecando. Non solo era dovuto marciare fino alle campagne del regno per riportare tutti i soldati e i fanciulli nobili a corte, ma suo figlio aveva ben pensato di contribuire allo stress generale di quell'estate sparendo per la seconda volta in una sola stagione. Per poi tacere sul Principe dell'Aquila che aveva fatto a tutti la cortesia di sparire, ma aveva compiuto quel magnanimo gesto in terra straniera dando a suo padre un buon motivo per muovere guerra. Quando Satori lo aveva cercato per informarlo che di Tsutomu non c'era traccia in tutta la corte, Hajime aveva ipotizzato che Tobio lo avesse portato con sé ma era stato un pensiero di breve durata. Il Primo Cavaliere aveva accettato il fatto che era bastata un'estate perché Tobio andasse incontro a un cambiamento fuori controllo e, come genitore, stava cercando di recuperare terreno, ma da lì a immaginare suo figlio grande amico di Tsutomu…

"Generale." Kaname, che in quegli anni era divenuto l'indiscusso signore della biblioteca, gli andò incontro con espressione sinceramente preoccupata. "Ho saputo dei Principi. Ancora nessuna traccia di loro?"

"Ho mandato i ragazzi di Karasuno a nord," rispose Hajime. "Tobio conosce questi territori come il palmo della sua mano ma non sono molti i posti in cui porterebbe il Principe dei Corvi. Con un po' di fortuna, torneranno a casa prima che le foglie comincino a cadere dagli alberi."

Kaname sorrise cortesemente. "Ne sono lieto. Vostra Maestà sta cercando un libro nella sezione dei miti e delle leggende. Scendo a pranzo e vi lascio parlare."

Hajime sbatté le palpebre un paio di volte. "Tooru è qui?"

"Oh, pensavo lo cercaste…"

No, Hajime era in biblioteca perché la sola idea d'incontrare chiunque altro in ansia per i Principi lo mandava fuori di testa e, tristemente, la corte di Seijou non era solita passare del tempo tra quegli alti scaffali. "Sì, lo cercavo," mentì il Primo Cavaliere.

Kaname chinò la testa in segno di rispetto e se ne andò.

Quando Hajime lo trovò, Tooru era seduto sul vano della finestra con un libro aperto sulle ginocchia e un sorriso nostalgico sulle labbra. La luce del sole ricalcava la linea del naso perfetto e la curva appena accennata delle belle labbra - Tobio aveva lo stesso profilo, pensò Hajime.

Il Cavaliere non si annunciò. Fu il Demone che, sentendosi osservato, sollevò gli occhi scuri e incontrò quelli verdi dell'altro.

"Hajime!" Tooru non nascose di essere felice di vederlo.

Il Primo Cavaliere sorrise. "Ti nascondi anche tu?"

"Più o meno," rispose il sovrano. "Nessuno viene da me a riempirmi di ansia per la sorte di Tobio, a parte te."

"Io non ti riempio di ansia, ti accuso apertamente."

"Sempre bruto," si lamentò Tooru, poi quel sorriso nostalgico tornò a illuminargli il volto. "E sempre sincero." Come Tobio, pensò. "Vieni, siediti accanto a me."

Hajime non aveva ragione di rifiutare. "Che cosa stai leggendo?"

Tooru scrollò le spalle. "Non sto davvero leggendo," disse, porgendo il libro all'altro. "Te lo ricordi?"

Era un volume piuttosto pesante, dalla copertina rossa elegantemente elaborata con complicati ghirigori dorati. Hajime sorrise: "Cronache dei Regni liberi," lesse il titolo. "Il solo libro che Tobio abbia letto fino a impararlo a memoria."

"Accontentiamoci," disse Tooru. "È il libro più bello e più importante di tutte le terre conosciute. Un Principe non potrebbe mai essere Re senza essersi perso tra queste pagine."

"Chissà se lo ha mostrato a Shouyou?" Si chiese Hajime, sfogliando distrattamente le pagine ingiallite, elegantemente scritte e piene di splendide illustrazioni.

"Oh! Quindi ora riconosci l'importanza del piccolo di Daichi e Koushi nella vita del nostro principino," lo punzecchiò Tooru.

"Io nego solo la parte sul destino che a te piace tanto."

Tooru guardò fuori dalla finestra con un sorriso intenerito. "Lo hai visto?"

"Cosa?"

"Nostro figlio mentre baciava un altro fanciullo."

Hajime gelò: era stato talmente occupato a essere arrabbiato per la fuga di massa alle campagne che non aveva avuto tempo di riflettere sulla tenera scena che, prima di annunciare la sua presenza, aveva intravisto.

"Sì…" Rispose in un mormorio. "È successo davvero."

Tooru ridacchiò. "Ti sei emozionato? Sul momento, io no, poi ho cominciato a ripensarci e… È sciocco, mi è tornato in mente quando lo tenevo ancora in braccio e quella boccuccia imbronciata la baciavo solo io."

"E gli dicevi idiozie tipo: facciamo ingelosire papà." Aggiunse Hajime, alzando gli occhi al cielo.

"Nah... Non ha mai funzionato, sei sempre stato il favorito."

"Non è vero, Tooru."

"Sì che lo è."

"È un Arciere e guarda a te come obiettivo da raggiungere."

"È un Cavaliere e tu sei l'uomo che lui vorrebbe diventare."

"La pianti?"

"Ho appena cominciato."

Si zittirono entrambi. Si guardarono. Scoppiarono a ridere come due ragazzini.

"Ho mandato i due fanciulli di Karasuno a nord," lo informò Hajime, una volta tornato serio. "Penso che sia al piccolo castello di vedetta al confine."

Tooru sbatté le palpebre un paio di volte. "Dove ci siamo sposati?" Lo disse con la naturalezza di qualcuno che parla di un bel ricordo, ma Hajime sentì una stretta al cuore a quelle parole. Lui e Tooru non erano mai stati altro che amanti per i Regni liberi. In un certo senso, solo la nascita di Tobio aveva legittimato in qualche modo la loro relazione. Eppure, ai confini del mondo dominato da Cavalieri e Re, con la complicità di un incantesimo di cui Hajime ancora non conosceva i dettagli, Tooru aveva indossato un abito bianco e aveva giurato di amarlo fino alla fine dei suoi giorni.

"Pensi che se lo ricordi?"

Il Cavaliere si riscosse dai suoi pensieri. "Chi?" Domandò. "Cosa?"

"Tobio!" Esclamò Tooru. "Pensi che si ricordi del matrimonio e di tutto il resto?"

"Io non credo che riuscirei a dimenticare uno dei miei genitori che una mattina, magicamente, si ritrova in un corpo del sesso opposto al proprio."

Tooru s'imbronciò. "Per lui non faceva alcuna differenza."

"E poi il favorito sarei io…"

"Ero una fanciulla bellissima e, per mia fortuna, Tobio ha i tuoi gusti. Shouyou è una piccola meraviglia e crescendo lo diverrà ancor di più."

Hajime lo fissò. "Ti sei appena fatto un complimento indiretto?"

"Chi?" Tooru si premette una mano contro il petto con finta innocenza. "Io?"

Hajime sbuffò frustrato. "Non posso nemmeno negare: non sei mai stato brutto in vita tua."

Le labbra di Tooru si piegarono appena in un sorriso che era sintomo di un piacere intimo, segreto.

In lontananza, le trombe del cancello principale presero a suonare.

Tooru inarcò le sopracciglia. "Sono già di ritorno?"

Hajime richiuse il libro tra le sue mani e imprecò tra i denti. "Hai mai visto nostro figlio entrare in grande stile dal cancello principale?”

Tooru fece una smorfia e scosse la testa. "No, sarebbe troppo principesco."

"Appunto…" Hajime rimise il grande libro al suo posto. "Questa è la cavalleria."

"Che cavalleria?"

"Quella volante."

Tooru sgranò. "Oh… Me ne ero quasi scordato."

Hajime si alzò in piedi. "Andiamo, prima che Satori si strazi al cospetto di Wakatoshi per convincerlo che Tsutomu non se lo è perso lui ma lo abbiamo rapito noi."


 
   
 
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