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Autore: reggina    02/06/2019    2 recensioni
Non è tutto oro quello che luccica. All’apparenza i Ross vivono una vita da sogno ma, sotto la superficie perfetta, in realtà non c’è dialogo ma solo incomprensioni e muto rancore.
Nell’arco di un pomeriggio tutto si sgretola. Julian e la sua famiglia si ritroveranno con una realtà tutta da reinventare.
Alla paura iniziale si sostituirà, poco alla volta, la meraviglia di ritrovare dentro di sé le risorse per fare il mestiere più difficile del mondo: il genitore.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jun Misugi/Julian Ross, Yayoi Aoba/Amy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Corrono.

Il sentiero gli è così familiare che potrebbero percorrerlo anche ad occhi bendati.

Il mister osserva i ragazzi e si liscia il baffo sinistro.

Che belli che sono, con le pettorine che sbatacchiano!

Pensare com’erano fragili fino a qualche anno fa e vederli ora così fieri, asciutti e muscolosi, con negli occhi quella spensieratezza da cuccioli in un corpo che sta diventando adulto è motivo di orgoglio. Certo c’è ancora tanta strada da fare ma stanno crescendo splendidamente!

Ridono, saltano, corrono in quel rumore fatto di rumori: acqua che scorre, vento tra i rami, passi sulle foglie scricchiolanti…

“Presto vinceremo il torneo regionale e, se restiamo in forma, abbiamo buone possibilità anche in quello nazionale!”

Il tono del capitano è una via di mezzo tra un discorso aulico, da re, e il proclama di un condottiero che incita le sue truppe in battaglia.

“Su facciamo un buon allenamento, ragazzi! Acceleriamo un po' il passo!”

Julian scatta: ha un’eleganza incredibile, un’espressione dolcissima su un fisico potente e forte.

Bellissimo.


Corre.

Corre a passo deciso verso i suoi sogni.

Poi la pietra d’inciampo, la beffa del destino.

All’improvviso i suoi polmoni rimangono indietro, molti passi indietro. Il fiato gli si strozza dentro il petto e sente soltanto il frusciare del suo respiro.

La testa gli gira, gli occhi bruciano; la strada, prima dritta e alberata, è rami, tronchi e foglie che si confondono.

Una fitta.

Una fitta così forte che lo costringe a rallentare, a fermarsi.

Una fitta che lo abbatte.

Il cuore arranca, poi si spezza.


Julian resta in piedi, dando le spalle alla finestra aperta, con gli occhi incollati alla porta: è di legno, verniciata del verde bluastro tipico degli ospedali.

Il sangue gli romba nelle orecchie quando entra il Dottor Johnson, stropicciato nel suo camice da chirurgo, trascinando i passi in un paio di sandali di gomma.

“Pensavo che un giorno così non lo avrei mai vissuto!”

Il dottore è un amico di famiglia, collega di suo padre, adesso giudice inflessibile per il futuro di quel ragazzo a cui è molto affezionato.

Allinea i referti medici e scruta Julian da dietro il doppio strato di vetro dei suoi occhiali dalla massiccia montatura di tartaruga.

“Devo darti una brutta notizia, Julian! Ti sei sentiti male perché il tuo cuore fa i capricci!”

Capricci. Come l’esplosione emotiva straripante di un bambino bizzoso che sente di aver perso il controllo .

Una condanna.

Quindici anni. Una scadenza del proprio corpo.

Il ragazzo cerca di reagire a quel momento di caos, confusione e sconforto.

“Potrò continuare a giocare a calcio?”

La prima domanda che gli sale alle labbra è la più stupida, la più importante per lui.

“Come tuo medico devo metterti in guardia: nelle tue condizioni è pericoloso praticare qualsiasi sport per più di pochi minuti!”

Parole come schiaffi; lo investono con tale violenza che è difficile trovare uno spiraglio di ottimismo. Eppure quando parla, la voce di Julian suona calmissima.

“Questo non significa che io non giocherò più! Lei ha appena detto che per qualche minuto posso andare in campo, vero?”

Si aggrappa a quella minuscola possibilità, con rabbia e con speranza. Con la forza della disperazione.

Il dottor Johnson lo inchioda con uno sguardo paterno, un po' triste ma schietto e sincero.

“Ragazzo mio cerca di non fare pazzie! Potresti rimetterci la vita, te ne rendi conto?”


Julian esce dall’ospedale con la testa ovattata, pesante come un macigno.

Sulle spalle il peso di un referto troppo ingombrante e un futuro andato in pezzi in una manciata di secondi.

Un vuoto allo stomaco e i nervi all’erta quando, in lontananza, scorge le luci di un’ambulanza.

Un incidente? Una disgrazia ?

Pensa alla sofferenza delle persone coinvolte, poi si ferma.

La ragazza è praticamente schiantata su un gradino e le lacrime le scendono ininterrottamente: alcune le asciuga il vento, altre le pizzicano il viso e scendono fino a rigarle il volto per poi sciogliersi sulla felpa blu oltremare, in netto contrasto con i suoi capelli rossi.

Julian esita un momento poi capisce di non avere la forza di accollarsi anche quelle lacrime; inghiotte le sue e cerca di strozzare il dolore.

Ignora Amy e svolta l’angolo mentre le luci psichedeliche dell’ambulanza si allontanano.

Si ferma su un passaggio sopraelevato e, nella sua posizione precaria, prende in mano il telefono.

Cerca il numero sulla rubrica, digita e tende l’orecchio a quel tu-tu di libero.

Uno squillo, due squilli, tre. Silenzio per trenta secondi, poi attacca la segreteria.

Una smorfia storta e amara gli si dipinge sulla bocca.


Julian chiude gli occhi per rifuggire quello scenario da E.R.: figure di paramedici solerti, una donna con i vestiti sporchi di sangue e una maschera d’ossigeno sul viso, la corsa dell’autolettiga sulla rampa d’entrata…

Basta un tocco forte e saldo, che si posa sulla sua scapola, perché ritrovi un equilibrio.

“Non preoccuparti! Vedrai che tutto si risolverà!”

Mister Keegan è genuino, ha modi pacati e il suo ottimismo opera come una magia che scioglie quel nodo di tensioni che sta soffocando Julian.

Ringrazia co un sorriso da bravo ragazzo che però non arriva fino ai suoi occhi lucidi e arretra di qualche passo, fino a tornare da Amy.

Lei non singhiozza più ma resta con il viso nascosto tra le ginocchia.

Quando lui la sfiora, spalanca le palpebre umide in un maldestro tentativo di assumere una posa coraggiosa.

“Va meglio?”

La voce calma di Julian agisce sui suoi nervi come un toccasana ed Amy si lascia accarezzare i capelli lentamente, quasi che lui la stesse pettinando con cura.

“Dovrei essere io a chiederti come ti senti!”

Ho ancora troppe cose da fare, troppi progetti, idee e passioni per farmi fermare da un cuore che no può reggere tutte le mie ambizioni !

I pensieri faticano a trasformarsi in parole, restano impigliate dietro le labbra arricciate, dentro quel cuore imperfetto.

Julian tende la mano fino ad afferrare quella di Amy e si tirano su insieme, sorreggendosi l’un l’altro per restare in piedi.

“Andiamo a prenderci un gelato? Abbiamo entrambi bisogno di un po' di dolcezza!”

   
 
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